Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 8 luglio 2019, C – 543/17

L’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro come si presentava alla scadenza del termine per il parere motivato, essendo rilevanti mutamenti successivi.

L’obbligo di comunicare le misure di attuazione, di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, può dirsi adempiuto solo in presenza di informazioni sufficientemente chiare e precise in merito alle misure di attuazione di una direttiva, con indicazione - per ciascuna disposizione – della relativa misura nazionale, così da consentire alla Commissione di esercitare il controllo sulla completezza e correttezza dell’adeguamento alla disciplina eurounitaria.

L’irrogazione della penalità rientra nelle prerogative della Corte, che stabilisce e quantifica le sanzioni pecuniarie in applicazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, nonché in funzione delle circostanze del caso, del livello di persuasione e di dissuasione che appare necessario al fine di prevenire la reiterazione di analoghe infrazioni. Ai fini del calcolo dell’importo della penalità, i criteri da prendere in considerazione, per assicurare la natura coercitiva di quest’ultima, sono la durata dell’infrazione, il suo livello di gravità e la capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi.

Il caso.

Con ricorso ai sensi dell’art. 258 TFUE, la Commissione europea chiedeva alla Corte di Giustizia di accertare l’inadempimento del Regno del Belgio agli obblighi relativi all’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva n. 2014/61/UE, recante “misure volte a ridurre i costi dell’istallazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”. Per l’effetto, chiedeva di condannare lo Stato, a sensi dell’art. 260 par. 3 TFUE, al pagamento di una penalità calcolata su base giornaliera.

Aperta la fase precontenziosa mediante notifica della diffida da parte della Commissione, ai sensi dell’art. 258 del TFUE, il Regno del Belgio riscontrava che le misure di recepimento erano in fase di preparazione e che il ritardo era limitato a delle lacune presenti a livello regionale. La Commissione inviava parere motivato invitando lo Stato ad adeguarsi nei due mesi successivi; tuttavia allo spirare del termine, il recepimento non era ancora completo. 

La Corte è chiamata dunque a valutare la sussistenza dell’inadempimento ai fini dell’apertura della procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 e l’applicabilità delle misure sanzionatorie previste dall’art. 260 par. 3 del TFUE.

 

La pronuncia.

Nella pronuncia in oggetto, il Collegio opera una ricostruzione delle misure sanzionatorie previste dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea a fronte del mancato o incompleto recepimento delle direttive da parte di uno Stato membro e le conseguenze sul piano della condanna al pagamento di una penale.

Secondo un orientamento ormai consolidato, la Corte sottolinea, in primo luogo, che la sussistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro come si presentava alla scadenza del termine per il parere motivato, essendo rilevanti mutamenti successivi, circostanza sussistente nel caso de quo.

Lo Stato membro, infatti, non avendo provveduto ad adottare le disposizioni normative, regolamentari e amministrative necessarie al recepimento della direttiva, era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti. Tale circostanza è considerata sufficiente a configurare l’inadempimento e a dare avvio alla procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE, strumento primario e indispensabile per garantire il rispetto e l'effettività del diritto dell'Unione.

Di maggiore interesse poi è la questione attinente all’interpretazione della norma di cui all’art. 260 par. 3 del TFUE e il relativo ambito di applicazione.

La disposizione in esame concerne le ipotesi in cui uno Stato membro abbia disatteso l'obbligo di comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di recepire una direttiva e dispone che quest'ultima può chiedere alla Corte - nell'ambito dello stesso ricorso per inadempimento - di condannare lo Stato al pagamento di una sanzione pecuniaria. In sostanza, con la procedura di cui all'art. 260, par. 3 TFUE, la Commissione può richiedere alla Corte sia di accertare l'avvenuto inadempimento dell'obbligo, sia di condannare lo Stato inadempiente al pagamento della sanzione pecuniaria, senza dover attendere l'esaurimento di un'ulteriore fase precontenziosa.

Sul punto, il Regno del Belgio (suffragato da numerosi Stati membri intervenuti nel giudizio, tra cui l’Italia) propone una interpretazione restrittiva della norma, volta a circoscrivere l’ambito di applicazione della disposizione alle sole ipotesi di mancata comunicazione delle misure da adottare, non anche all’ipotesi di comunicazione parziale o lacunosa. Assume la parte che, dalla lettura dei lavori preparatori della disposizione in esame, emergerebbe che essa è concepita come misura sanzionatoria destinata ad applicarsi soltanto nei casi più gravi e manifesti di violazione dell’obbligo di recepimento e di comunicazione, coincidenti in larga parte con la totale inerzia dello Stato.

Un’interpretazione estensiva è invece proposta dalla Commissione e – infine – abbracciata dalla Corte, che opera una analisi di ampio spettro della norma sotto il profilo teleologico e sistematico, e dunque volta ad indagare gli obiettivi perseguiti dalla disposizione e il contesto normativo in cui essa è inserita.

Per delimitare l’ambito e le modalità di applicazione della norma il Collegio sottolinea la differenza tra «recepimento completo» e «recepimento corretto».

Il primo profilo attiene all’indagine, da parte della Commissione, circa l’esistenza di lacune nel recepimento di una direttiva nel diritto nazionale; il secondo profilo, viceversa, implica un attento controllo sulla conformità a tale direttiva delle disposizioni nazionali esistenti. Il giudizio di conformità rientra nelle prerogative della Commissione e non può essere svolto dalla Corte in sede di ricorso ai sensi degli artt. 258 e 260 par. 3 TFUE.

In tale contesto, la comunicazione assolve all’obiettivo di agevolare la Commissione nello svolgimento dei compiti di vigilanza sull’applicazione delle disposizioni dei Trattati e sulla conformità delle misure adottate dalle istituzioni in virtù di essi.

L’obbligo di comunicare il recepimento della normativa eurounitaria può dunque dirsi adempiuto solo quando lo Stato trasmette tutte le informazioni chiare, precise e complete in merito al contenuto delle norme nazionali che recepiscono una direttiva, onde consentire alla Commissione di stabilire se vi è stata una corretta e completa attuazione della stessa.

La Corte rileva dunque, sotto il profilo teleologico, che il procedimento di cui all’art. 260 par. 3 TFUE – al pari di quello ex articolo 258 TFUE - è ispirato al principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

Inoltre, dai lavori preparatori della norma, emerge che l’obiettivo perseguito dall’introduzione del meccanismo sanzionatorio in esame è, in primo luogo, quello di stimolare gli Stati membri a porre fine quanto prima a un inadempimento che - in mancanza di una misura siffatta - tenderebbe a persistere. In secondo luogo, la disposizione è volta a snellire e accelerare il procedimento di imposizione delle sanzioni pecuniarie, consentendo alla Corte di operare uno scrutinio contestuale in ordine alla sussistenza e gravità della violazione.

Tale ultimo obiettivo sarebbe compromesso se la Commissione potesse chiedere l’irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, soltanto quando detto Stato membro abbia omesso di comunicarle qualunque misura di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa. 

Riconducendo l’argomentazione ad absurdo, la Corte rileva che una diversa interpretazione indurrebbe gli Stati membri ad aggirare l’obbligo di conformarsi alla normativa eurounitaria, recependo solo le disposizioni marginali di una direttiva e restando impunito.

L’interpretazione proposta è compatibile con un’analisi ermeneutica sotto il profilo sistematico, in base al combinato disposto di cui agli articoli 258 e 260 del TFUE, in quanto le misure risultano conformi ai principi di proporzionalità e adeguatezza ed in linea con il diritto di difesa degli stati.

La prima norma, infatti, riconosce agli Stati membri la facoltà di contestare la posizione adottata dalla Commissione in una fattispecie determinata, senza essere esposti fin da subito al rischio di vedersi inflitta una sanzione pecuniaria, potendo infatti tale sanzione essere irrogata, a norma dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, solo laddove lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che comporta l’esecuzione di una previa sentenza che constati l’inadempimento.

In definitiva, a parere del Collegio, occorre accogliere un’interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE che consenta di salvaguardare le prerogative attribuite alla Commissione, volte a garantire l’effettiva applicazione del diritto dell’Unione, e permetta alla Corte di poter esercitare la sua funzione giurisdizionale consistente nell’esaminare - nell’ambito di un unico procedimento – la sussistenza e la gravità dell’inadempimento, infliggendo la sanzione pecuniaria ritenuta più adeguata.

Al contempo, consente allo Stato, in tale sede, di addurre giustificazioni e spigare le proprie difese.

Alla luce dell’insieme di tali elementi, e in base ai principi di certezza del diritto e di obbligatorietà del recepimento, l’obbligo di comunicare le misure di attuazione, di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, può dirsi adempiuto solo in presenza di informazioni sufficientemente chiare e precise in merito alle misure di attuazione di una direttiva con indicazione - per ciascuna disposizione – della relativa misura nazionale.

A fronte di siffatta comunicazione, incombe sulla Commissione l’onere di dimostrare, ai fini della condanna alla sanzione pecuniaria, che talune misure di attuazione sono manifestamente mancanti o non riguardano l’intero territorio dello Stato membro interessato.

Accertata l’applicazione della misura di cui all’art. 260 par. 3 del TFUE ad caso di specie, il Collegio esamina il profilo relativo all’irrogazione della penalità, specificando che esso rientra nelle prerogative della Corte, che stabilisce e quantifica le sanzioni pecuniarie in applicazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, nonché in funzione delle circostanze del caso, del livello di persuasione e di dissuasione che appare necessario al fine di prevenire la reiterazione di analoghe infrazioni.

In ossequio a tali principi, l’irrogazione di una penalità è giustificata soltanto se l’inadempimento perdura sino al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte.

Ai fini del calcolo dell’importo della penalità, i criteri da prendere in considerazione per assicurare la natura coercitiva di quest’ultima, sono la durata dell’infrazione, il suo livello di gravità e la capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi.

Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Corte rileva che l’obbligo di adottare le misure nazionali per garantire il recepimento completo di una direttiva e l’obbligo di comunicare tali misure alla Commissione costituiscono obblighi fondamentali degli Stati membri al fine di assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione e che l’inadempimento di tali obblighi deve, pertanto, essere ritenuto di una gravità certa.

Per quanto concerne la durata dell’infrazione, essa dev’essere valutata tenendo conto del momento in cui la Corte esamina i fatti, e non di quello in cui quest’ultima è adita dalla Commissione.

 

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

8 luglio 2019 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 258 TFUE – Misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità – Direttiva 2014/61/UE – Mancato recepimento e/o mancata comunicazione delle misure di attuazione – Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Domanda di condanna al pagamento di una penalità giornaliera – Calcolo dell’importo della penalità»

Nella causa C‑543/17,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 e dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, proposto il 15 settembre 2017,

Commissione europea, rappresentata da J. Hottiaux, C. Cattabriga, L. Nicolae, G. von Rintelen e R. Troosters, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Regno del Belgio, rappresentato inizialmente da P. Cottin, C. Pochet, J. Van Holm e L. Cornelis, successivamente da P. Cottin e C. Pochet, in qualità di agenti, assistiti da P. Vernet, S. Depré e M. Lambert de Rouvroit, avvocati, nonché da A. Van Acker e N. Lollo, consulenti,

convenuto,

sostenuto da:

Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente da T. Henze e S. Eisenberg, successivamente da S. Eisenberg, in qualità di agenti,

Repubblica di Estonia, rappresentata da N. Grünberg, in qualità di agente,

Irlanda, rappresentata da M. Browne, G. Hodge, A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da G. Gilmore, BL, e P. McGarry, SC,

Regno di Spagna, rappresentato inizialmente da A. Gavela Llopis e A. Rubio González, successivamente da A. Rubio González, in qualità di agenti,

Repubblica francese, rappresentata da E. de Moustier, C. David, A.‑L. Desjonquères, I. Cohen, B. Fodda e D. Colas, in qualità di agenti,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello Stato,

Repubblica di Lituania, rappresentata inizialmente da G. Taluntytė, L. Bendoraitytė e D. Kriaučiūnas, successivamente da L. Bendoraitytė, in qualità di agenti,

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér, G. Koós e Z. Wagner, in qualità di agenti,

Repubblica d’Austria, rappresentata da G. Hesse, G. Eberhard e C. Drexel, in qualità di agenti,

Romania, rappresentata da C.‑R. Canţăr, R.I. Haţieganu e L. Liţu, in qualità di agenti,

intervenienti,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, M. Vilaras, E. Regan, C. Toader, F. Biltgen (relatore), K. Jürimäe e C. Lycourgos, presidenti di sezione, J. Malenovský, M. Safjan, D. Šváby e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: M.‑A. Gaudissart, cancelliere aggiunto

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 gennaio 2019,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 aprile 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte, da un lato, di dichiarare che il Regno del Belgio, non avendo adottato, entro il 1º gennaio 2016, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità (GU 2014, L 155, pag. 1) o, in ogni caso, non avendo comunicato tali disposizioni alla Commissione, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti a norma dell’articolo 13 di tale direttiva, e, dall’altro lato, di condannare detto Stato membro al pagamento di una penalità di un importo giornaliero inizialmente fissato a EUR 54 639,36, infine ridotto a EUR 6 071,04, a decorrere dalla data di pronuncia della sentenza, per inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di attuazione della predetta direttiva.

 Contesto normativo

2        Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2014/61:

«1.      Scopo della presente direttiva è facilitare e incentivare l’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità promuovendo l’uso condiviso dell’infrastruttura fisica esistente e consentendo un dispiegamento più efficiente di infrastrutture fisiche nuove in modo da abbattere i costi dell’installazione di tali reti.

2.      La presente direttiva fissa requisiti minimi relativi alle opere civili e alle infrastrutture fisiche, al fine di ravvicinare taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in tali settori.

3.      Gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell’Unione che vadano al di là dei requisiti minimi stabiliti dalla presente direttiva al fine di conseguire meglio lo scopo di cui al paragrafo 1.

(...)».

3        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si applicano le definizioni contenute nella direttiva 2002/21/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU 2002, L 108, pag. 33)].

Si applicano inoltre le seguenti definizioni:

(...)

7.      “infrastruttura fisica interna all’edificio”: l’infrastruttura fisica o installazioni presenti nella sede dell’utente finale, compresi elementi oggetto di comproprietà, destinata a ospitare reti di accesso cablate e/o senza fili, se queste reti permettono di fornire servizi di comunicazione elettronica e di connettere il punto di accesso dell’edificio con il punto terminale di rete;

8.      “infrastruttura fisica interna all’edificio predisposta per l’alta velocità”: l’infrastruttura fisica presente all’interno dell’edificio e destinata a ospitare elementi o consentire la fornitura di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità;

9.      “opere di profonda ristrutturazione”: lavori edilizi o di genio civile nella sede dell’utente finale che comportano modifiche strutturali dell’intera infrastruttura fisica interna all’edificio o di una parte significativa di essa e richiedono un’autorizzazione edilizia;

(...)

11.      “punto di accesso”: punto fisico situato all’interno o all’esterno dell’edificio e accessibile a imprese che forniscono o sono autorizzate a fornire reti pubbliche di comunicazione, che consente la connessione con l’infrastruttura interna all’edificio predisposta per l’alta velocità».

4        L’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2014/61 così dispone:

«Su specifica richiesta scritta di un’impresa che fornisce o è autorizzata a fornire reti pubbliche di comunicazione, gli Stati membri esigono che gli operatori di rete soddisfino le richieste ragionevoli di ispezioni in loco di specifici elementi della loro infrastruttura fisica. Tale richiesta specifica gli elementi della rete interessati ai fini dell’installazione degli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Le ispezioni in loco degli elementi della rete specificati sono autorizzate entro un mese dalla data di ricevimento della richiesta scritta secondo condizioni proporzionate, non discriminatorie e trasparenti, fatte salve le limitazioni di cui al paragrafo 1».

5        Ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli edifici nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 siano equipaggiati, nella sede dell’utente finale, compresi eventuali elementi oggetto di comproprietà, di un’infrastruttura fisica interna all’edificio predisposta per l’alta velocità fino ai punti terminali di rete. Lo stesso obbligo si applica in caso di opere di profonda ristrutturazione per le quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché tutti i condomini nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 siano equipaggiati di un punto di accesso. Lo stesso obbligo si applica in caso di opere di profonda ristrutturazione di condomini per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016.

3.      Gli edifici equipaggiati in conformità del presente articolo possono beneficiare dell’etichetta volontaria “predisposizione alla banda larga” negli Stati membri che abbiano scelto di introdurre tale etichetta.

4.      Per determinate categorie di edifici, in particolare per le abitazioni singole, o per le opere di profonda ristrutturazione, gli Stati membri possono prevedere esenzioni dagli obblighi di cui ai paragrafi 1 e 2 [nei] casi in cui l’adempimento di tali obblighi sia sproporzionato, ad esempio in termini di costi per singoli proprietari o comproprietari o in termini di tipo di edificio, come nel caso di specifiche categorie di monumenti, edifici storici, case di villeggiatura, edifici militari o altri edifici utilizzati a fini di sicurezza nazionale. Tali esenzioni devono essere debitamente motivate. Alle parti interessate è offerta la possibilità di esprimere osservazioni sui progetti di esenzioni entro un termine ragionevole. Dette esenzioni sono notificate alla Commissione».

6        L’articolo 13 di detta direttiva, intitolato «Recepimento», prevede quanto segue:

«Gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° gennaio 2016. Essi ne informano la Commissione.

Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal 1° luglio 2016.

Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri».

 Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte

7        Non avendo ricevuto alcuna comunicazione, da parte del Regno del Belgio, in merito all’adozione e alla pubblicazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61 alla scadenza del termine di recepimento previsto all’articolo 13 di tale direttiva, ossia il 1º gennaio 2016, la Commissione ha inviato a detto Stato membro, il 23 marzo 2016, una lettera di diffida.

8        Dalla risposta del Regno del Belgio, dell’11 luglio 2016, è emerso che, a tale data, le misure di attuazione erano ancora in corso di preparazione. Pertanto, il 30 settembre 2016 la Commissione ha inviato un parere motivato a detto Stato membro, invitandolo ad adottare le misure necessarie per conformarsi alle prescrizioni della direttiva 2014/61 entro un termine di due mesi a decorrere dalla ricezione del medesimo parere.

9        Avendo concesso la Commissione, su richiesta delle autorità belghe, una proroga del termine di risposta sino al 28 febbraio 2017, il Regno del Belgio ha risposto al parere motivato con lettere del 21 febbraio e del 28 marzo 2017, con cui ha comunicato alla Commissione che il recepimento della direttiva 2014/61 era in corso. A tali lettere il Regno del Belgio aveva allegato progetti di misure di attuazione nonché la versione consolidata dell’ordinanza del 3 luglio 2008 relativa ai cantieri stradali della Regione di Bruxelles‑Capitale.

10      Considerando che il Regno del Belgio non aveva recepito in modo completo la direttiva 2014/61 e che non aveva comunicato le relative misure nazionali di attuazione, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

11      Con lettere del 10 e del 25 agosto, nonché del 12 settembre 2017, il Regno del Belgio ha comunicato alla Commissione varie misure legislative volte a recepire la direttiva 2014/61 a livello federale e nella Regione fiamminga.

12      Nella sua replica, la Commissione ha precisato che, malgrado i notevoli progressi registrati in merito al recepimento della direttiva 2014/61 in Belgio successivamente alla presentazione del ricorso, l’adozione di ulteriori misure rimaneva necessaria ai fini di una piena attuazione della suddetta direttiva. Tale necessità sarebbe stata del resto riconosciuta dalle stesse autorità belghe. Di conseguenza, e pur avendo ridotto, in tale fase della procedura, a EUR 12 142,08 l’importo della penalità giornaliera al cui pagamento intendeva far condannare il Regno del Belgio, la Commissione ha mantenuto le sue conclusioni.

13      In udienza, e tenuto conto degli ulteriori progressi compiuti dal Regno del Belgio in merito al recepimento della direttiva 2014/61 successivamente al deposito della replica, la Commissione ha specificato che persistevano talune lacune soltanto a livello della Regione di Bruxelles‑Capitale e ha ridotto a EUR 6 071,04 l’importo della penalità giornaliera richiesta. Per contro, detta istituzione ha mantenuto le altre sue conclusioni.

14      Con decisioni del presidente della Corte del 5 febbraio 2018 e del 21 novembre 2018, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Lituania, l’Ungheria e la Repubblica d’Austria, da un lato, nonché la Romania, dall’altro, sono stati ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno del Belgio.

 Sul ricorso

 Sull’inadempimento fondato sull’articolo 258 TFUE

 Argomenti delle parti

15      La Commissione ritiene che il Regno del Belgio, non avendo adottato, entro il 1° gennaio 2016, tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61 o, in ogni caso, non avendo comunicato tali disposizioni alla Commissione, sia venuto meno agli obblighi a esso incombenti a norma dell’articolo 13 di tale direttiva.

16      La Commissione ricorda, in particolare, che le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire la certezza del diritto, e che gli Stati membri non possono eccepire situazioni interne o difficoltà pratiche per giustificare il mancato recepimento di una direttiva entro il termine stabilito dal legislatore dell’Unione. Di conseguenza, spetterebbe a ciascuno Stato membro prendere in considerazione le fasi necessarie per adottare la legislazione richiesta, risultanti dal suo ordinamento giuridico interno, al fine di garantire che il recepimento possa avvenire entro il termine stabilito.

17      Nel caso di specie, a norma dell’articolo 13 della direttiva 2014/61, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le misure nazionali necessarie per recepire le disposizioni della medesima direttiva entro il 1º gennaio 2016 e a informare la Commissione in proposito. Orbene, da varie comunicazioni del Regno del Belgio risulterebbe che, oltre un anno e mezzo dopo la scadenza del termine di recepimento fissato dalla direttiva in parola, detto Stato membro non aveva adottato tutte le misure necessarie ai fini del recepimento completo di quest’ultima. In effetti, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato del 30 settembre 2016, e persino al momento in cui la Commissione ha adottato la decisione di proporre il ricorso in esame, vale a dire il 13 luglio 2017, gli articoli da 2 a 11 della direttiva 2014/61 non sarebbero stati recepiti in modo completo in Belgio, essendo stati attuati soltanto gli articoli 5 e 6 e ciò soltanto con riferimento alla Regione di Bruxelles‑Capitale.

18      È vero che la Commissione ha affermato, nella sua replica, che il Regno del Belgio le ha comunicato un certo numero di misure di attuazione adottate successivamente alla presentazione del ricorso. Tuttavia, dalle suddette comunicazioni risulterebbe che il predetto Stato membro non aveva ancora provveduto a recepire in modo completo le disposizioni degli articoli da 2 a 4, dell’articolo 7, paragrafo 1, nonché degli articoli 8 e 10 della direttiva 2014/61.

19      In udienza, la Commissione ha specificato che, in tale fase del procedimento, nonostante i nuovi progressi registrati non era ancora possibile riscontrare un recepimento completo dell’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, dell’articolo 4, paragrafo 5, nonché dell’articolo 8 della direttiva 2014/61.

20      Il Regno del Belgio sottolinea che, dall’inizio del procedimento precontenzioso, e al fine di rispettare il principio di leale cooperazione, non ha cercato di dissimulare il fatto che talune disposizioni nazionali dovevano ancora essere adottate per garantire il recepimento completo della direttiva 2014/61. Detto Stato membro osserva, però, che le varie autorità competenti in proposito, ossia lo Stato federale, la Regione di Bruxelles-Capitale, la Regione vallona, la Comunità francese, la Regione e la Comunità fiamminghe nonché la Comunità germanofona (Belgio) hanno adottato, ciascuna nel proprio ambito di competenza, disposizioni al fine di recepire la direttiva in parola o, almeno, hanno preso i provvedimenti necessari in vista dell’adozione di tali disposizioni. Del resto, nel corso del procedimento, la Commissione stessa avrebbe riconosciuto l’effettività di tali sforzi riducendo l’importo della penalità giornaliera richiesta.

21      Peraltro, pur non contestando l’affermazione della Commissione secondo cui talune misure dovevano ancora essere adottate, il Regno del Belgio ha espresso, nella sua controreplica, il proprio disaccordo con la Commissione in merito alle specifiche misure che rimanevano ancora da adottare.

22      Infine, nel corso dell’udienza, e tenuto conto della circostanza che la Commissione ha mantenuto le proprie censure soltanto in relazione al mancato recepimento di talune disposizioni della direttiva 2014/61 per quanto riguardava la sola Regione di Bruxelles‑Capitale, il Regno del Belgio ha riconosciuto di non aver ancora provveduto al recepimento di tali disposizioni nonché alla comunicazione delle misure di attuazione.

 Giudizio della Corte

23      In via preliminare, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti avvenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte (sentenze del 30 gennaio 2002, Commissione/Grecia, C‑103/00, EU:C:2002:60, punto 23, e del 21 marzo 2019, Commissione/Italia, C‑498/17, EU:C:2019:243, punto 29).

24      Nel caso di specie, la Commissione ha inviato il suo parere motivato al Regno del Belgio il 30 settembre 2016, sicché il termine di due mesi fissato in detto parare motivato era scaduto il 30 novembre 2016. È tuttavia pacifico che tale termine, che è stato prorogato dalla Commissione su richiesta delle autorità belghe, è scaduto definitivamente il 28 febbraio 2017. Pertanto, l’esistenza o meno dell’inadempimento va valutata alla luce dello stato della normativa interna vigente in tale data (v., per analogia, sentenza del 9 dicembre 2004, Commissione/Francia, C‑177/03, EU:C:2004:784, punto 25).

25      Orbene, oltre al fatto che dalla risposta del Regno del Belgio del 21 febbraio 2017 risulta che, a tale data, la direttiva 2014/61 non era stata recepita in modo completo nel diritto nazionale, è pacifico che al 28 febbraio 2017 detta situazione era rimasta invariata, non essendo stata comunicata alla Commissione, nel frattempo, alcuna ulteriore misura di attuazione della predetta direttiva.

26      Occorre dunque affermare che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, come prorogato dalla Commissione, il Regno del Belgio né aveva adottato le misure necessarie per garantire il recepimento della direttiva 2014/61 né le aveva comunicate.

27      Pertanto, si deve dichiarare che il Regno del Belgio, non avendo adottato, alla scadenza del termine impartito nel parere motivato del 30 settembre 2016, come prorogato dalla Commissione, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61 e, a fortiori, non avendo comunicato alla Commissione tali misure di attuazione, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti a norma dell’articolo 13 della predetta direttiva.

 Sull’inadempimento fondato sull’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

 Sull’ambito di applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

–       Argomenti delle parti

28      La Commissione sostiene che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è stato introdotto dal Trattato di Lisbona al fine di rafforzare il meccanismo sanzionatorio precedentemente istituito dal Trattato di Maastricht. Tenuto conto del carattere innovativo della suddetta disposizione e della necessità di salvaguardare la trasparenza e la certezza del diritto, detta istituzione ha adottato la comunicazione sull’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1).

29      Tale disposizione avrebbe l’obiettivo di stimolare maggiormente gli Stati membri ad attuare le direttive nei termini fissati dal legislatore dell’Unione e di garantire l’applicazione della legislazione dell’Unione.

30      La Commissione considera che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applica sia alla mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva, sia alla loro comunicazione parziale.

31      La predetta istituzione ritiene peraltro che, facendo riferimento l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE all’inadempimento di uno Stato membro al suo obbligo di comunicare le «misure di attuazione di una direttiva», tale disposizione non solo si applica nell’ipotesi di mancata comunicazione delle misure nazionali di attuazione di una direttiva, ma è applicabile fin dal momento in cui uno Stato membro non abbia adottato dette misure. Un’interpretazione puramente formalistica di tale disposizione, in base alla quale quest’ultima disposizione mirerebbe soltanto ad assicurare l’effettiva comunicazione delle misure nazionali, non garantirebbe un recepimento pertinente di tutti gli obblighi derivanti dalla direttiva di cui trattasi e priverebbe di qualsiasi effetto utile l’obbligo di recepimento delle direttive nel diritto nazionale.

32      Nel caso di specie, si tratterebbe proprio di sanzionare la mancata adozione e la mancata pubblicazione, nonché di conseguenza la mancata comunicazione alla Commissione, da parte del Regno del Belgio, di tutte le disposizioni giuridiche necessarie per garantire il recepimento della direttiva 2014/61 nel diritto nazionale.

33      Rispondendo agli argomenti addotti dal Regno del Belgio per contestare l’applicabilità dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE nel caso di specie, la Commissione fa valere in particolare che, contrariamente all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non costituisce una deroga a una regola generale e non deve quindi essere interpretato restrittivamente. In effetti, tale disposizione avrebbe un ambito di applicazione specifico.

34      Dai lavori preparatori del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa risulterebbe che sarebbe opportuno distinguere tra il recepimento completo di una direttiva e il recepimento conforme di una direttiva. Infatti, alla luce della nota di trasmissione del Praesidium della Convenzione europea, del 12 maggio 2003 (CONV 734/03), sarebbe pacifico che, secondo gli autori del testo, il controllo della conformità deve riguardare le sole misure di attuazione effettivamente adottate dallo Stato membro, considerando che, a rigor di logica, un siffatto controllo della conformità non potrebbe riguardare misure che non siano ancora state adottate e comunicate alla Commissione.

35      La nozione di «recepimento completo», da un lato, e quella di «recepimento corretto», dall’altro, dovrebbero quindi essere tenute chiaramente distinte. La constatazione, da parte della Commissione, dell’esistenza di lacune nel recepimento di una direttiva nel diritto nazionale non significherebbe in alcun modo che la Commissione abbia svolto un controllo sulla conformità a tale direttiva delle disposizioni nazionali esistenti. Ciò varrebbe a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, lo stesso Stato membro inadempiente ammetta che il recepimento della direttiva nel proprio diritto nazionale è ancora parzialmente lacunoso. D’altronde, tale differenza sarebbe perfettamente illustrata dalle conseguenze derivanti dalla sentenza di accertamento di inadempimento. Infatti, nell’ipotesi in cui sia accertata la non conformità di una misura legislativa nazionale al diritto dell’Unione, le autorità nazionali competenti non potrebbero applicare tale misura nazionale neanche qualora il legislatore nazionale non avesse ancora preso i provvedimenti che detta sentenza comporta. Invece, il divieto di applicare una misura nazionale esistente non può discendere da una sentenza che accerta una lacuna nel recepimento, poiché siffatta sentenza non farebbe altro che constatare la mancanza, nel diritto nazionale, delle misure richieste dal diritto dell’Unione.

36      Alla luce dell’obiettivo dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, di stimolare maggiormente gli Stati membri ad attuare le direttive nei termini fissati e di garantirne in tal modo la reale efficacia, un’applicazione della suddetta disposizione limitata ai soli casi di totale mancato recepimento implicherebbe un rischio increscioso. Infatti, per aggirare tale applicazione, gli Stati membri potrebbero essere indotti a cominciare col recepire le disposizioni marginali di una direttiva, agendo così in contraddizione con l’obiettivo dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE. In mancanza della minaccia di applicare una sanzione pecuniaria, il recepimento delle disposizioni fondamentali della direttiva rischierebbe, così, di essere relegato in secondo piano.

37      Ad avviso della Commissione, l’interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE da essa suggerita è corroborata dalla formulazione stessa di detta disposizione, che riguarda l’inadempimento dello Stato membro «all’obbligo di comunicare le misure di attuazione» di una direttiva. Tale formulazione non contemplerebbe, quindi, restrizioni o condizioni come quelle fatte valere dal Regno del Belgio.

38      Inoltre, non si potrebbe validamente sostenere che le sanzioni previste dal Trattato FUE sono contrarie al principio di proporzionalità allorché, in mancanza di dette sanzioni, il rispetto dell’obbligo di recepire una direttiva nel diritto nazionale non potrebbe essere garantito.

39      Il Regno del Belgio sostiene che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applica, contrariamente all’interpretazione suggerita dalla Commissione e a quella proposta dall’avvocato generale Wathelet nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Polonia (C‑320/13, non pubblicate, EU:C:2014:2441), unicamente nell’ipotesi in cui uno Stato membro non abbia comunicato alcuna misura destinata a recepire una determinata direttiva. Orbene, nel caso di specie il Regno del Belgio, come riconosciuto dalla stessa Commissione, avrebbe comunicato talune misure di attuazione, così sottraendosi all’applicazione di tale disposizione.

40      A sostegno della sua posizione, il Regno del Belgio fa valere, in particolare, che un’interpretazione estensiva dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, come quella suggerita dalla Commissione, può implicare problemi di certezza del diritto. Infatti, qualora tale disposizione dovesse riguardare, nel contempo, i casi di mancata comunicazione e i casi di mancato recepimento, potrebbe essere difficile capire se ci si trovi nell’ambito del procedimento previsto dalla suddetta disposizione o nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 258 TFUE. Inoltre, nell’ambito di uno stesso procedimento potrebbe risultare difficile sapere quali disposizioni di una direttiva debbano essere recepite senza che sia avviato il procedimento di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, e quali disposizioni non recepite rientrino nell’ambito di applicazione del procedimento previsto all’articolo 258 TFUE.

41      Peraltro, l’interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE suggerita dalla Commissione potrebbe contrastare con il principio di proporzionalità di cui all’articolo 5, paragrafo 4, TUE. Infatti, da un lato, gli inadempimenti concernenti il recepimento delle direttive non costituirebbero necessariamente le infrazioni più dannose per gli interessi pubblici e privati tutelati dalle norme dell’Unione. Dall’altro lato, sanzionare qualsiasi mancato recepimento equivarrebbe a equiparare, per quanto riguarda la loro gravità, due tipi di infrazioni diverse, vale a dire la mancata esecuzione di una sentenza (inadempimento su inadempimento) e il mancato recepimento di direttive (primo inadempimento), equiparazione che sarebbe sproporzionata.

42      Ad avviso del Regno del Belgio, non sussisterebbe un rischio che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE sia eluso, in quanto la Commissione può avviare un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE o dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.

43      Tale Stato membro aggiunge che l’interpretazione restrittiva dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE che è opportuno accogliere si baserebbe su un’interpretazione teleologica fondata sui lavori preparatori relativi a tale disposizione e sarebbe suffragata dalla formulazione di detta disposizione, che riguarda esplicitamente i casi in cui lo Stato membro interessato non abbia adempiuto l’obbligo di «comunicare le misure di attuazione» di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa. Soltanto la violazione dell’obbligo di «comunicare» le misure di attuazione, e non la violazione dell’obbligo di recepimento, potrebbe quindi essere sanzionata in base a tale disposizione. Inoltre, detto obbligo di comunicazione riguarderebbe solo la comunicazione di talune misure di attuazione di una direttiva e non la comunicazione dell’insieme delle misure di attuazione di detta direttiva, poiché gli autori del Trattato FUE non hanno preso in considerazione «le» misure di attuazione, ma «talune» misure di attuazione. Siffatta interpretazione sarebbe peraltro corroborata dalle versioni tedesca, inglese e neerlandese dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

44      La Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Lituania, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria e la Romania, ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno del Belgio, fanno del pari valere, in sostanza, che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applica solo nell’ipotesi in cui uno Stato membro sia rimasto totalmente inerte in relazione al recepimento di una direttiva nel diritto nazionale e abbia quindi omesso, entro il termine impartito, di adottare misure per recepire tale direttiva e di comunicarle alla Commissione. Tuttavia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica italiana e l’Ungheria riconoscono che la Commissione può ricorrere all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE allorché è manifesto che le misure di attuazione di una direttiva non consentono di conseguire gli obiettivi fondamentali di quest’ultima, o in caso di abuso di diritto. Invece, in nessun caso rientrerebbe nell’ambito di applicazione di tale disposizione l’ipotesi in cui uno Stato membro ha comunicato alla Commissione misure di attuazione, ma quest’ultima gli contesta un recepimento scorretto o un recepimento parziale della direttiva di cui trattasi.

45      A sostegno della loro posizione, gli Stati membri intervenuti nella presente controversia fanno valere, in particolare, che siffatta interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE discende dalla formulazione di detta disposizione, è fondata sulla genesi di quest’ultima ed è conforme al suo obiettivo, essendo tale disposizione destinata ad applicarsi soltanto nei casi più gravi e manifesti di violazione dell’obbligo di recepimento e di comunicazione. Inoltre, la suddetta interpretazione sarebbe suffragata dall’impianto sistematico dell’articolo 260, TFUE e sarebbe l’unica interpretazione a non mettere gli Stati membri in una situazione estremamente difficile, dato che, seguendo l’approccio suggerito dalla Commissione, questi ultimi non potrebbero mai essere certi che tale istituzione non intenda infliggere loro una penalità.

46      A ciò si aggiungerebbe il fatto che l’interpretazione esposta al punto 44 della presente sentenza consente di garantire che l’ambito di applicazione dell’articolo 258 TFUE sia pienamente rispettato e che essa è l’unica interpretazione compatibile con i principi di certezza del diritto e di proporzionalità. Da essa conseguirebbe infatti che, nel caso in cui, nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, uno Stato membro abbia recepito una direttiva e abbia comunicato alla Commissione l’insieme delle misure di attuazione, la Commissione dovrebbe rinunciare a chiedere la condanna di detto Stato membro al pagamento di una penalità. Inoltre, la suddetta interpretazione implicherebbe un rischio soltanto marginale che gli Stati membri cerchino di eludere l’applicazione della disposizione in esame comunicando misure di attuazione non corrispondenti alla realtà.

–       Giudizio della Corte

47      In via preliminare, è opportuno ricordare che l’articolo 260, paragrafo 3, primo comma, TFUE prevede che la Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtù dell’articolo 258 TFUE reputando che lo Stato membro non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato membro che essa consideri adeguato alle circostanze. Conformemente all’articolo 260, paragrafo 3, secondo comma, TFUE, se la Corte constata l’inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

48      Al fine di stabilire la portata dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, occorre determinare in quali circostanze si possa ritenere che uno Stato membro non abbia adempiuto all’«obbligo di comunicare le misure di attuazione» ai sensi di detta disposizione.

49      A tal riguardo, da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima e degli obiettivi da essa perseguiti, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione. Anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può fornire elementi pertinenti per la sua interpretazione (sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 47 nonché giurisprudenza ivi citata).

50      Per quanto concerne, anzitutto, la formulazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, è opportuno esaminare la portata dell’inadempimento dell’«obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva» che è alla base di tale disposizione.

51      La Corte ha ripetutamente dichiarato in proposito, nell’ambito di procedimenti relativi all’articolo 258 TFUE, che la comunicazione cui gli Stati membri devono provvedere, conformemente al principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, mira ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, ai sensi dell’articolo 17 TUE, nel vigilare sull’applicazione delle disposizioni dei Trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù di essi. Tale comunicazione deve quindi contenere informazioni sufficientemente chiare e precise in merito al contenuto delle norme nazionali che recepiscono una direttiva. Inoltre, detta comunicazione, che può essere accompagnata da una tabella di concordanza, deve indicare senza ambiguità quali siano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative con cui lo Stato membro ritiene di aver adempiuto i vari obblighi impostigli da tale direttiva. Orbene, in mancanza delle suddette informazioni, la Commissione non è in grado di stabilire se lo Stato membro abbia effettivamente e completamente attuato la direttiva. L’inadempimento di tale obbligo da parte di uno Stato membro – che non abbia affatto fornito informazioni o le abbia date in modo non abbastanza chiaro e preciso – può giustificare di per sé l’avvio di un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE per far dichiarare l’inadempimento stesso (v., in tal senso, sentenze del 16 giugno 2005, Commissione/Italia, C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 27, e del 27 ottobre 2011, Commissione/Polonia, C‑311/10, non pubblicata, EU:C:2011:702, punti da 30 a 32).

52      Per quanto riguarda, poi, l’obiettivo dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, si deve ricordare che tale disposizione corrisponde, in larga misura, al progetto di articolo 228, paragrafo 3, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, così come esso figura a pagina 15 della nota di trasmissione del Praesidium alla Convenzione, del 12 maggio 2003 (CONV 734/03), progetto la cui formulazione concorda a sua volta con il testo proposto dal circolo di discussione sulla Corte di giustizia nella sua relazione finale del 25 marzo 2003 (CONV 636/03, pagine 10 e 11). Da tale relazione finale risulta che l’obiettivo perseguito dall’introduzione del meccanismo di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è non solo di stimolare gli Stati membri a porre fine quanto prima a un inadempimento che, in mancanza di una misura siffatta, tenderebbe a persistere, ma anche di snellire e accelerare il procedimento di imposizione delle sanzioni pecuniarie per inadempimenti dell’obbligo di comunicare una misura nazionale di attuazione di una direttiva adottata secondo la procedura legislativa, fermo restando che, prima dell’introduzione di detto meccanismo, poteva accadere che una sanzione pecuniaria a carico di uno Stato membro che non si era conformato entro i termini a una precedente sentenza della Corte e che non aveva rispettato l’obbligo di recepimento fosse inflitta soltanto molti anni dopo quest’ultima sentenza.

53      Orbene, un tale obiettivo sarebbe compromesso se, come sostengono il Regno del Belgio e gli altri Stati membri intervenuti nel presente procedimento, la Commissione potesse chiedere l’irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, soltanto quando detto Stato membro abbia omesso di comunicarle qualunque misura di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa.

54      Infatti, un’interpretazione siffatta implicherebbe il rischio che uno Stato membro comunichi alla Commissione o misure che garantiscono il recepimento di un numero insignificante di disposizioni della direttiva di cui trattasi, oppure misure che manifestamente non siano volte a garantire l’attuazione di tale direttiva, consentendo, così, agli Stati membri di impedire alla Commissione di applicare l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

55      Del resto, non può essere accolta neanche l’interpretazione secondo cui solo gli Stati membri che attuino in modo corretto, dal punto di vista della Commissione, le disposizioni di una direttiva e che ne informino la predetta istituzione possono essere considerati adempienti quanto all’obbligo di comunicazione previsto all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

56      In effetti, la suddetta interpretazione sarebbe inconciliabile con la genesi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE. Dalla relazione finale menzionata al punto 52 della presente sentenza risulta infatti che i membri del circolo di discussione sulla Corte di giustizia hanno mantenuto distinti i casi di mancata comunicazione e di mancato recepimento dai casi di recepimento scorretto, e hanno ritenuto che il meccanismo proposto non dovesse essere applicato a questi ultimi, dato che una sanzione pecuniaria può essere inflitta in caso di recepimento scorretto solo a seguito della proposizione di un ricorso per inadempimento sulla base dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.

57      Tale interpretazione non sarebbe conciliabile neanche con il contesto in cui si inserisce l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, nel quale rientra il procedimento per inadempimento di cui all’articolo 258 TFUE. A tal riguardo, si deve rilevare che il procedimento previsto da quest’ultima disposizione riconosce agli Stati membri la facoltà di contestare la posizione adottata dalla Commissione in una fattispecie determinata, con riferimento alle misure volte a garantire un recepimento corretto della direttiva di cui trattasi, senza tuttavia essere esposti fin da subito al rischio di vedersi inflitta una sanzione pecuniaria, potendo infatti tale sanzione essere irrogata, a norma dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, solo laddove lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che comporta l’esecuzione di una previa sentenza che constati l’inadempimento.

 

 

 

58      In tali circostanze, occorre accogliere un’interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE che, da un lato, consenta sia di salvaguardare le prerogative attribuite alla Commissione al fine di garantire l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione che di tutelare i diritti della difesa nonché la posizione procedurale riconosciuta agli Stati membri in forza dell’applicazione del combinato disposto dell’articolo 258 TFUE e dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, e, dall’altro lato, permetta alla Corte di poter esercitare la sua funzione giurisdizionale consistente nell’esaminare, nell’ambito di un unico procedimento, se lo Stato membro interessato abbia adempiuto i propri obblighi di comunicazione e, se del caso, nel valutare la gravità dell’inadempimento in tal modo constatato e nell’infliggere la sanzione pecuniaria da essa ritenuta più adeguata alle circostanze del caso di specie.

59      Alla luce dell’insieme di tali elementi, i termini «obbligo di comunicare le misure di attuazione», di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, devono essere interpretati nel senso che riguardano l’obbligo degli Stati membri di comunicare informazioni sufficientemente chiare e precise in merito alle misure di attuazione di una direttiva. Al fine di rispettare l’imperativo di certezza del diritto e di garantire il recepimento completo delle disposizioni della direttiva di cui trattasi sull’intero territorio interessato, gli Stati membri sono tenuti a indicare, per ciascuna disposizione di detta direttiva, la misura nazionale o le misure nazionali che ne assicurano l’attuazione. Una volta effettuata siffatta comunicazione, se del caso accompagnata dalla presentazione di una tabella di concordanza, incombe alla Commissione dimostrare, al fine di chiedere l’irrogazione, a carico dello Stato membro interessato, di una sanzione pecuniaria ai sensi della disposizione in esame, che talune misure di attuazione sono manifestamente mancanti o non riguardano l’intero territorio dello Stato membro interessato, fermo restando che non spetta alla Corte, nell’ambito del procedimento giurisdizionale avviato in applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, esaminare se le misure nazionali comunicate alla Commissione garantiscano un recepimento corretto delle disposizioni della direttiva di cui trattasi.

 Sulla sussistenza dell’inadempimento al momento dell’esame dei fatti

60      Secondo la giurisprudenza della Corte, l’irrogazione di una penalità è giustificata, in linea di principio, soltanto se l’inadempimento che tale penalità mira a sanzionare perdura sino all’esame dei fatti da parte della Corte (v., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2005, Commissione/Francia, C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 31; del 18 luglio 2006, Commissione/Italia, C‑119/04, EU:C:2006:489, punto 33, e del 7 settembre 2016, Commissione/Grecia, C‑584/14, EU:C:2016:636, punto 70).

61      Tale giurisprudenza, relativa all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, deve essere applicata per analogia all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, dal momento che le penalità previste da queste due disposizioni perseguono il medesimo obiettivo, ossia stimolare uno Stato membro a porre fine quanto prima ad un inadempimento che, in mancanza di una misura siffatta, tenderebbe a persistere (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2005, Commissione/Francia, C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 81).

62      Occorre pertanto accertare se l’inadempimento che la Commissione contesta al Regno del Belgio ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, ossia la mancata adozione delle misure necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61 e, a fortiori, la mancata comunicazione, da parte di tale Stato membro, delle relative misure di attuazione, come constatato al punto 27 della presente sentenza, sia perdurato sino all’esame dei fatti da parte della Corte.

63      Come risulta dai punti 12 e 13 della presente sentenza, la Commissione, nel corso del procedimento, ha adattato l’importo della penalità a cui chiede che sia condannato il Regno del Belgio al fine di tener conto della circostanza che l’inadempimento contestato a detto Stato membro è ormai limitato al mancato recepimento, per quanto riguarda la sola Regione di Bruxelles‑Capitale, dell’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, dell’articolo 4, paragrafo 5, e dell’articolo 8 della direttiva 2014/61, nonché alla mancata comunicazione di misure volte ad attuare tali disposizioni nella medesima regione.

64      In primo luogo, per quanto riguarda l’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, di detta direttiva, è necessario rilevare che tali disposizioni contengono le definizioni delle nozioni di «infrastruttura fisica interna all’edificio», di «infrastruttura fisica interna all’edificio predisposta per l’alta velocità», di «opere di profonda ristrutturazione» e di «punto di accesso», e che dalla tabella di concordanza allegata al controricorso del Regno del Belgio risulta che, nella fase relativa al deposito del suddetto controricorso, il recepimento delle citate definizioni era stato oggetto, per quanto riguarda la Regione di Bruxelles‑Capitale, di un mero «progetto di decreto recante modifica del regolamento urbanistico regionale». In mancanza di qualunque successiva comunicazione, da parte di tale Stato membro in merito all’adozione e all’entrata in vigore del decreto previsto dal suddetto progetto, si deve dichiarare che detto Stato membro non ha ancora adottato le misure necessarie per garantire il recepimento, nella Regione di Bruxelles‑Capitale, dell’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, della direttiva in esame.

65      In secondo luogo, per quanto concerne l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2014/61, ai sensi del quale, su specifica richiesta scritta di un’impresa che fornisce o è autorizzata a fornire reti pubbliche di comunicazione, gli Stati membri esigono che gli operatori di rete soddisfino le richieste ragionevoli di ispezioni in loco di specifici elementi della loro infrastruttura fisica, è giocoforza constatare che la tabella di concordanza allegata al controricorso del Regno del Belgio non contiene alcuna indicazione relativa a una misura di attuazione già adottata nella Regione di Bruxelles‑Capitale. Poiché il Regno del Belgio non ha fornito, a seguito del deposito del controricorso, alcun elemento aggiuntivo in relazione alla suddetta disposizione, si deve concludere che l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2014/61 non è ancora stato recepito per quanto riguarda la Regione di Bruxelles-Capitale.

66      In terzo luogo, per quanto riguarda l’articolo 8 della direttiva 2014/61 ‑ del quale talune disposizioni, essendo facoltative, non richiedono, ad avviso del Regno del Belgio, un recepimento nel diritto nazionale ‑ risulta dalla tabella di concordanza menzionata al punto precedente che quelle tra le disposizioni del suddetto articolo il cui recepimento pacificamente è obbligatorio non erano in ogni caso ancora state recepite nella Regione di Bruxelles‑Capitale. Sebbene tale tabella di concordanza menzioni un «progetto di decreto recante modifica del regolamento urbanistico regionale», il Regno del Belgio non ha successivamente fornito alcuna informazione in merito all’adozione e all’entrata in vigore del decreto contemplato da tale progetto. Si deve quindi dichiarare che il Regno del Belgio non ha ancora adottato le misure necessarie per garantire il recepimento, nella Regione di Bruxelles‑Capitale, dell’articolo 8 della direttiva 2014/61.

67      Infine, come ricordato al punto 22 della presente sentenza, nel corso dell’udienza di discussione il Regno del Belgio non ha contestato le censure dedotte dalla Commissione e ha riconosciuto che dovevano ancora essere adottate misure per garantire il recepimento completo della direttiva 2014/61 nel diritto belga e che tali misure sarebbero state comunicate tempestivamente.

68      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che il Regno del Belgio, non avendo ancora adottato, al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte, le misure necessarie per recepire nel suo diritto interno, per quanto riguarda la Regione di Bruxelles‑Capitale, l’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, l’articolo 4, paragrafo 5, nonché l’articolo 8 della direttiva 2014/61, e, a fortiori, non avendo comunicato alla Commissione tali misure di attuazione, ha parzialmente persistito nel proprio inadempimento. Ne consegue che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è applicabile nel caso di specie.

 Sull’irrogazione di una penalità nel caso di specie

–       Argomenti delle parti

69      Per quanto riguarda l’importo della sanzione pecuniaria, la Commissione considera, conformemente alla posizione che si riflette nel punto 23 della comunicazione citata al punto 28 della presente sentenza, che le modalità di calcolo della penalità di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE devono essere le stesse che sono applicate nell’ambito del procedimento previsto all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.

70      Nel caso di specie, la Commissione ha proposto, nel corso dell’udienza, di adottare un coefficiente di gravità di 1 su una scala da 1 a 20. Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, essa ha considerato appropriato un coefficiente di 1,8 su una scala da 1 a 3. A tal riguardo, la Commissione chiarisce che, contrariamente a quanto sostiene il Regno del Belgio, dalla stessa formulazione dell’articolo 13, primo comma, della direttiva 2014/61 risulta che gli Stati membri dovevano adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva entro il 1° gennaio 2016 e informare la Commissione in proposito. Sarebbe dunque a partire da quest’ultima data che si poteva considerare che uno Stato membro non avesse adempiuto l’obbligo di comunicazione delle misure di attuazione, e non a partire dal 1° luglio 2016, data che corrisponde al dies a quo dell’applicazione delle disposizioni nazionali adottate.

71      Applicando ai suddetti coefficienti il fattore «n» relativo al Regno del Belgio, ossia il 4,96, e un importo forfettario di base uniforme di EUR 680, la Commissione chiede che sia irrogata una penalità di importo pari a EUR 6 071,04 per ogni giorno di ritardo nel recepimento della direttiva 2014/61, a decorrere dalla data di pronuncia dell’emananda sentenza.

72      Il Regno del Belgio chiede, nell’ipotesi in cui dovesse essergli inflitta una penalità, che l’importo di quest’ultima sia inferiore a quello chiesto dalla Commissione. A tal riguardo, detto Stato membro contesta l’importo del coefficiente di gravità e quello del coefficiente di durata dell’infrazione in quanto non proporzionati all’inadempimento eventualmente constatato.

73      Per quanto riguarda, in particolare, il coefficiente di gravità, il Regno del Belgio rileva segnatamente che le conseguenze del mancato recepimento completo della direttiva 2014/61 e il risparmio realizzabile nell’ipotesi di recepimento completo non sono stati analizzati in concreto. In proposito, nell’ordinamento giuridico belga vi sarebbero già numerose disposizioni normative che consentono, o che persino impongono, il coordinamento delle opere di ingegneria civile, nonché la condivisione e l’accesso alle informazioni relative alle infrastrutture fisiche esistenti, alle opere di ingegneria civile previste e alle procedure di rilascio delle autorizzazioni necessarie, cosicché gli obiettivi della suddetta direttiva sarebbero già ampiamente raggiunti nell’ordinamento giuridico belga. In tal modo, l’inadempimento dell’obbligo di recepimento avrebbe conseguenze solo limitate sugli interessi generali o particolari, criteri questi che sono presi in considerazione dalla Commissione e dalla Corte per valutare la gravità di un’infrazione. In ogni caso, si dovrebbe tener conto dei progressi registrati in merito al recepimento della direttiva 2014/61 nel diritto belga successivamente alla proposizione del ricorso in esame.

74      Per quanto riguarda il coefficiente di durata dell’infrazione, il Regno del Belgio rileva che, sebbene, conformemente all’articolo 13 della direttiva 2014/61, gli Stati membri dovessero adottare e pubblicare le disposizioni attuative di quest’ultima entro il 1º gennaio 2016, dal medesimo articolo 13 risulta altresì che tali Stati membri erano tenuti ad applicare dette disposizioni soltanto a decorrere dal 1º luglio 2016. Pertanto, occorrerebbe considerare quest’ultima data come dies a quo per calcolare la durata dell’infrazione e ridurre il coefficiente di durata della stessa a 1,3.

75      Per quanto riguarda le modalità di pagamento della penalità, il Regno del Belgio chiede che la verifica del recepimento della direttiva 2014/61 e del rispetto della sentenza della Corte avvenga su base semestrale dopo la pronuncia di tale sentenza e che, di conseguenza, anche il pagamento della penalità avvenga su base semestrale anziché giornaliera. Una soluzione di tal genere consentirebbe di prendere in considerazione e di incoraggiare i progressi nel recepimento di detta direttiva nonché, eventualmente, di attenuare l’impatto della penalità sulle finanze pubbliche.

76      Peraltro, tenuto conto della complessità del recepimento della direttiva 2014/61 nel diritto belga, dovuta alla pluralità delle autorità competenti in materia, il Regno del Belgio chiede alla Corte che gli sia concesso un termine di sei mesi, a decorrere dalla data di pronuncia dell’emananda sentenza, per consentirgli di adempiere gli obblighi ad esso incombenti in forza di detta direttiva.

77      Gli Stati membri intervenuti a sostegno del Regno del Belgio fanno valere, in sostanza, che spetta alla Commissione dimostrare in maniera chiara il livello di gravità dell’infrazione, di modo che sia garantita la proporzionalità della sanzione. Nel caso di specie, il livello di gravità addotto dalla Commissione sarebbe nettamente troppo elevato. Occorrerebbe in particolare far sì che l’importo della penalità sia ridotto man mano che sarà data progressiva esecuzione all’emananda sentenza. Inoltre, dalla formulazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE nonché dall’interpretazione sistematica dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, TFUE risulterebbe che il legislatore dell’Unione abbia inteso prevedere un periodo di tempo ragionevole tra la pronuncia della sentenza che impone una sanzione pecuniaria e la data in cui l’obbligo di pagamento in essa stabilito diventa esigibile.

–       Giudizio della Corte

78      In via preliminare, è necessario ricordare che spetta alla Corte, in ciascuna causa e in funzione delle circostanze del caso ad essa sottoposto, nonché del livello di persuasione e di dissuasione che le appare necessario, stabilire le sanzioni pecuniarie adeguate, in particolare per prevenire la reiterazione di analoghe infrazioni al diritto dell’Unione (v., per analogia con l’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, sentenza del 2 dicembre 2014, Commissione/Italia, C‑196/13, EU:C:2014:2407, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

79      Come ricordato ai punti 60 e 61 della presente sentenza, l’irrogazione di una penalità è giustificata, in linea di principio, soltanto se l’inadempimento perdura sino al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte.

80      Nel caso di specie, come constatato al punto 68 della presente sentenza, al momento dell’esame dei fatti le misure necessarie per garantire il recepimento della direttiva 2014/61 nel diritto belga non erano ancora state integralmente adottate né comunicate alla Commissione.

81      In tali circostanze, la Corte ritiene che la condanna del Regno del Belgio al pagamento di una penalità ‑ la sola condanna richiesta, nel caso di specie, dalla Commissione ‑ costituisca un mezzo finanziario adeguato al fine di garantire il rispetto, da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in forza di detta direttiva nonché dei Trattati.

82      Per contro, dato che, come riconosciuto dalla Commissione, le misure comunicate dal Regno del Belgio testimoniano un’evoluzione verso un recepimento completo della direttiva 2014/61 nel diritto belga successivamente alla proposizione del ricorso, non è escluso che, al momento della pronuncia della sentenza nella presente causa, il recepimento della suddetta direttiva sia pienamente realizzato. La penalità deve pertanto essere irrogata unicamente nei limiti in cui l’inadempimento persista alla data di pronuncia di tale sentenza.

83      Occorre ricordare che, nell’esercizio del suo potere discrezionale in materia, spetta alla Corte fissare la penalità in modo tale che essa, da una parte, sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’inadempimento accertato nonché alla capacità finanziaria dello Stato membro interessato (v., per analogia, sentenze del 4 luglio 2000, Commissione/Grecia, C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 90, e del 14 novembre 2018, Commissione/Grecia, C‑93/17, EU:C:2018:903, punto 118), e, dall’altra, non superi l’importo stabilito dalla Commissione, conformemente all’articolo 260, paragrafo 3, secondo comma, TFUE.

84      Nell’ambito della valutazione della Corte ai fini del calcolo dell’importo della penalità, i criteri da prendere in considerazione per assicurare la natura coercitiva di quest’ultima, in vista di un’applicazione uniforme ed effettiva del diritto dell’Unione sono, in linea di principio, la durata dell’infrazione, il suo livello di gravità e la capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi. Per l’applicazione di tali criteri, la Corte deve tener conto, in particolare, delle conseguenze dell’inadempimento sugli interessi pubblici e privati di cui trattasi nonché dell’urgenza che lo Stato membro interessato si conformi ai propri obblighi (v., per analogia con l’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, sentenza del 14 novembre 2018, Commissione/Grecia, C‑93/17, EU:C:2018:903, punto 120 e giurisprudenza ivi citata).

85      Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, si deve constatare che l’obbligo di adottare le misure nazionali per garantire il recepimento completo di una direttiva e l’obbligo di comunicare tali misure alla Commissione costituiscono obblighi fondamentali degli Stati membri al fine di assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione e che l’inadempimento di tali obblighi deve, pertanto, essere ritenuto di una gravità certa.

86      Se è vero che il Regno del Belgio ha compiuto, dopo la scadenza del termine impartito nel parere motivato, taluni progressi nel recepimento della direttiva 2014/61 e nella comunicazione alla Commissione delle misure nazionali di attuazione di quest’ultima, rimane nondimeno il fatto che alcune disposizioni di tale direttiva, al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte, non erano ancora state recepite nel diritto nazionale per quanto riguarda una parte del territorio del Regno del Belgio.

87      Per quanto concerne la durata dell’infrazione, essa dev’essere valutata tenendo conto del momento in cui la Corte esamina i fatti, e non di quello in cui quest’ultima è adita dalla Commissione (v., per analogia con l’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, sentenza del 14 novembre 2018, Commissione/Grecia, C‑93/17, EU:C:2018:903, punto 130 e giurisprudenza ivi citata).

88      Nel caso di specie, come discende dal punto 68 della presente sentenza, l’inadempimento contestato non era ancora terminato al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte. Si deve quindi ritenere che tale inadempimento perduri a partire dalla scadenza del termine fissato nel parere motivato, come prorogato dalla Commissione sino al 28 febbraio 2017. Orbene, una tale durata dell’infrazione di quasi due anni e mezzo è considerevole alla luce del fatto che, in forza dell’articolo 13 della direttiva 2014/61, gli Stati membri avevano l’obbligo di recepire le disposizioni di detta direttiva entro il 1º gennaio 2016.

89      Alla luce delle suesposte considerazioni e tenuto conto del potere discrezionale riconosciuto alla Corte dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, ai sensi del quale quest’ultima non può, con riguardo alla penalità che essa infligge, superare l’importo indicato dalla Commissione, la Corte considera che l’irrogazione di una penalità di importo giornaliero pari a EUR 5 000 sia adeguata al fine di garantire il rispetto, da parte del Regno del Belgio, degli obblighi ad esso incombenti a norma dell’articolo 13 della direttiva 2014/61.

90      Per quanto riguarda l’argomento del Regno del Belgio concernente la degressività della penalità, esso non può essere accolto. Si deve, infatti, constatare che l’obiettivo della penalità richiesta è di porre fine all’inadempimento del Regno del Belgio consistente nell’aver recepito solo in parte la direttiva 2014/61 e nel non aver comunicato tutte le misure necessarie per garantire detto recepimento nel diritto belga. Orbene, il fatto di prevedere una degressività della suddetta penalità in funzione dell’adozione e della comunicazione graduali di misure di attuazione potrebbe compromettere l’efficacia della penalità.

91      Per quanto riguarda le modalità di pagamento della penalità, spetta alla Corte, in applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, fissare la data in cui il pagamento è esigibile.

92      Nel caso di specie, la Corte ritiene opportuno, nell’esercizio del suo potere discrezionale, far decorrere il dies a quo della penalità dalla data di pronuncia della presente sentenza, con la sola riserva espressa al punto 82 di quest’ultima. Peraltro, poiché la constatazione della cessazione dell’inadempimento non richiede, da parte della Commissione, alcuna valutazione fattuale complessa, non occorre prevedere un pagamento della penalità su base semestrale.

93      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre quindi condannare il Regno del Belgio a pagare alla Commissione, a decorrere dalla data della presente sentenza e sino a quando tale Stato membro avrà posto fine all’inadempimento constatato, una penalità di EUR 5 000 al giorno.

 Sulle spese

94      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna del Regno del Belgio, quest’ultimo, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese.

95      In conformità all’articolo 140, paragrafo 1, dello stesso regolamento, in forza del quale le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella controversia restano a loro carico, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Lituania, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria e la Romania sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il Regno del Belgio, non avendo adottato, entro il termine fissato nel parere motivato del 30 settembre 2016, come prorogato dalla Commissione europea, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, e, a fortiori, non avendo comunicato alla Commissione tali misure di attuazione, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti a norma dell’articolo 13 di tale direttiva.

2)      Il Regno del Belgio, non avendo ancora adottato, al momento dell’esame dei fatti da parte della Corte, le misure necessarie per recepire nel suo diritto interno, per quanto riguarda la Regione di BruxellesCapitale, l’articolo 2, paragrafi da 7 a 9 e 11, l’articolo 4, paragrafo 5, nonché l’articolo 8 della direttiva 2014/61, e, a fortiori, non avendo comunicato alla Commissione europea tali misure di attuazione, ha parzialmente persistito nel proprio inadempimento.

3)      Nell’ipotesi in cui l’inadempimento accertato al punto 2 persistesse ancora alla data di pronuncia della presente sentenza, il Regno del Belgio è condannato a pagare alla Commissione europea, a decorrere da tale data e sino al termine di detto inadempimento, una penalità di EUR 5 000 al giorno.

4)      Il Regno del Belgio è condannato alle spese.

5)      La Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Lituania, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria e la Romania sopporteranno le proprie spese.