il punto della situazione

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La sospensione di alcune disposizioni del Codice. 3. Gli affidamenti sotto soglia. 4. La regola della rotazione. 5. Tabella riepilogativa delle più importanti novità.

Al presente contributo ha collaborato con una preziosa attività di ricerca e con il lavoro di coordinamento delle disposizioni la dottoressa Valentina Taccori.

1. Premessa.

Nel corso della mia ormai lunga esperienza, prima come funzionario pubblico poi come magistrato, sono passato dal “fare appalti”, a esaminarne le patologie.

Da diversi anni mi viene rivolta una domanda ricorrente. E’ inevitabile il continuo “fluttuare” della normativa sui pubblici appalti?

E’ mia modestissima opinione che la risposta alla domanda debba essere affermativa.

Io credo che il fermento della disciplina degli appalti sia, nell’attuale sistema economico sociale, contenibile ma non del tutto evitabile.

Il passaggio da un sistema che vedeva la procedura ad evidenza pubblica come un modo per ottenere, da parte delle amministrazioni, il miglior contraente possibile, ad uno che deve assicurare questa esigenza insieme a molte altre, rende inevitabili alcuni “aggiustamenti in corsa”.

In un mondo che corre ormai fortissimo, qualche caduta diventa quasi inevitabile.

Non dobbiamo dimenticare che l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni deve garantire la qualità delle prestazioni, il rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, la libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità. Occorre tenere conto delle esigenze sociali, della tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico.

Nell’esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici devono rispettare gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali.

I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e le medie imprese.

Se proviamo a scorrere la vecchia legge di contabilità generale dello Stato, sicuramente troveremo le cose più semplici. Ma non è il caso di farsi ingannare. Si tratta di una semplicità connessa alla minore complessità dei fenomeni economici e sociali che a quell’epoca la disciplina degli appalti doveva governare.

Insomma, è vero che il legislatore negli ultimi anni ci fa faticare ma è altrettanto vero che “fare leggi” è oggi molto difficile.

Come scrive il mio vecchio Maestro (mi perdonerà il “vecchio”) Riccardo Guastini, l’ordinamento giuridico è indeterminato nel senso che è dubbio quali norme “esistano” in esso, quali norme appartengano ad esso, o siano in esso vigenti. E ciò dipende dalla equivocità dei testi normativi, dal fatto cioè che ogni testo normativo ammette una pluralità di interpretazioni ed è perciò soggetto a (possibili) controversie interpretative. Alla indeterminatezza dell’ordinamento si accompagna la ulteriore indeterminatezza di ciascuna norma per sé presa. Ogni norma vigente è indeterminata, nel senso che non si sa esattamente quali fattispecie ricadano nel suo campo di applicazione. Ciò dipende dalla ineliminabile vaghezza dei predicati in ogni linguaggio naturale. Tutti i predicati hanno un riferimento dubbio, o “aperto” (open textured), e in questo senso sono affetti da vaghezza estensionale[1].

Preciso, onde evitare fraintendimenti, che il riferimento alla vaghezza delle norme, dal punto di vista dell’analisi del linguaggio giuridico, è altra cosa rispetto al problema del rispetto dei princìpi di prevedibilità e di tassatività e determinatezza in ambito penale.

In ogni caso, meglio fare qualche cenno.

Uno dei corollari del principio di legalità è la c.d. prevedibilità della norma penale. Si tratta del principio per il quale l’ordinamento impone che ognuno dei consociati possa prevedere, prima di compiere una determinata condotta, se il proprio comportamento sarà considerato illecito e quale pena egli dovrà scontare. Il principio di prevedibilità è inevitabilmente legato al canone della precisione (o tassatività, o sufficiente determinatezza) della disciplina incriminatrice. La garanzia del rispetto di tale principio è affidata al legislatore, che deve delineare in maniera precisa ed esatta i confini delle fattispecie criminose e al giudice, cui si riferisce il divieto di applicazione analogica delle disposizioni incriminatrici.

Non rispetteranno il principio di tassatività (e quindi violeranno l’’art. 25 della Costituzione) i c.d. elementi vaghi, ovvero quelle formulazioni delle disposizioni di legge inidonee a fondare un parametro univoco di valutazione e qualificazione del fatto concreto e tali da creare difficoltà nel discernimento della condotta realmente vietata.

Ciò precisato, si tratta di vedere quanto è “vaga” la formulazione di una disposizione. Posto che ogni norma soffre di una ineliminabile vaghezza estensionale e che persino (direi, a maggior ragione) nel diritto penale si dovrà fare i conti con l’analisi della sintassi e della semantica del linguaggio prescrittivo, ancor di più in una materia “in movimento” come il diritto dei contratti pubblici, i problemi interpretativi derivanti dalla vaghezza dei predicati del linguaggio naturale si sommeranno ai problemi derivanti dai repentini mutamenti della legislazione.

Più norme vi sono più il sistema diventa complicato. Ma più esigenze vi sono da governare più servono norme.

Rassegniamoci dunque, il mondo degli appalti pubblici è complicato e continuerà ad esserlo.

L’importante è che gli operatori abbiano metodo per affrontare questa complessità. E’ su questo che occorre lavorare.

Nel momento in cui si licenzia questo breve lavoro, la legge di conversione del decreto legge 18 aprile 2019, n. 32, non è ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Abbiamo però a disposizione il testo nella versione approvata dal Senato della repubblica e trasmesso alla Camera dei deputati e su quello possiamo lavorare per fare un primo punto della situazione.

 

2. La sospensione di alcune disposizioni del Codice.

In un altro intervento pubblicato su questa rivista mi sono soffermato su alcune delle più importanti novità contenute nel c.d. decreto sblocca cantieri. Non è il caso di ripetersi e rinvio a quel breve lavoro per quelli che tuttora considero gli snodi fondamentali della nuova disciplina.

La legge di conversione apporta alcune ulteriori significative novità sotto forma di sospensione della efficacia di alcune disposizioni.

Più nello specifico, l’art. 1 della legge, per quello che qui interessa (commi 1 e 2) così recita:

“(Modifiche al codice dei contratti pubblici e sospensione sperimentale dell’efficacia di disposizioni in materia di appalti pubblici e in materia di economia circolare) -

1. Al fine di rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche, per le procedure per le quali i bandi o gli avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, per le procedure in relazione alle quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte, nelle more della riforma complessiva del settore e comunque nel rispetto dei princìpi e delle norme sancite dall’Unione europea, in particolare delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/ 25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, fino al 31 dicembre 2020, non trovano applicazione, a titolo sperimentale, le seguenti norme del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50:

a) articolo 37, comma 4, per i comuni non capoluogo di provincia, quanto all’obbligo di avvalersi delle modalità ivi indicate;

b) articolo 59, comma 1, quarto periodo, nella parte in cui resta vietato il ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori;

c) articolo 77, comma 3, quanto all’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all’Albo istituito presso l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) di cui all’articolo 78, fermo restando l’obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.

2. Entro il 30 novembre 2020 il Governo presenta alle Camere una relazione sugli effetti della sospensione per gli anni 2019 e 2020, al fine di consentire al Parlamento di valutare l’opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa”.

Di sicuro, la disposizione più significativa si trova nell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge di conversione che dispone la sospensione, fino al 31 dicembre 2020, dell’art. 77 comma 3 del Codice.

Si tratta della sospensione di una delle disposizioni più discusse del Codice, quella che ha suscitato le critiche più aspre da parte degli operatori e anche la più complicata da attuare.

Vediamo perché.

Il nuovo Codice ha segnato una netta inversione di tendenza rispetto a quello precedente.

Prima la regola era quella secondo la quale la commissione era composta da commissari interni alla stazione appaltante, mentre era eccezionale l’ipotesi di nomina di commissari esterni, consentita solo “in caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate” (art. 84, comma 8, D.Lgs. n. 163/2006).

Con il nuovo Codice si è invece stabilito che di regola la commissione è composta da commissari esterni selezionati tra gli esperti iscritti presso un apposito Albo istituito e gestito dall’ANAC, con i criteri e le modalità stabiliti dalle Linee guida[2].

Già il Presidente Cantone, con comunicato del 9 gennaio 2019 aveva rilevato che:

a) nel Comunicato del Presidente del 18 luglio 2018 era stata stabilita la data del 15 gennaio 2019 per la piena operatività dell’Albo di cui all’art. 78 del Codice dei contratti pubblici e il superamento del regime transitorio di cui all’art. 216, comma 12 del medesimo Codice;

b) che l’Autorità, in attuazione della disposizione di cui all’art. 78, ha già adottato in modo completo la disciplina di riferimento, mediante l’adozione delle previste Linee guida, e ha predisposto il sistema informatico per l’iscrizione all’Albo già attivo dal 10 settembre 2018 - e per l’estrazione degli esperti da nominare nelle commissioni giudicatrici;

c) che il numero di iscritti nelle diverse sottosezioni dell’Albo ammonta a circa 2.100, di cui solo la metà estraibili per commissioni esterne alle amministrazioni aggiudicatrici;

d) che numerose sottosezioni (circa il 30%) risultano completamente prive di esperti iscritti, altre (circa il 40%) con un numero di esperti molto ridotto (meno di 10).

Ciò rilevato, il Presidente prendeva atto che, tenuto conto dello stato di fatto delle iscrizioni presenti in Albo e del previsto numero di gare bandite annualmente che richiedono la nomina di commissioni giudicatrici ai sensi dell’art. 77, allo stato, il numero degli esperti iscritti all’Albo non consentiva di soddisfare le richieste stimate in relazione al numero di gare previste.

Con saggia decisione, per evitare ricadute sul mercato degli appalti, differiva il termine di avvio del sistema dell’Albo dei commissari di gara al 15 aprile 2019 significando che le criticità evidenziate sarebbero state oggetto di segnalazione, ai sensi dell’art. 213, comma 2, lett. c) del Codice, al Governo e al Parlamento da parte dell’Autorità.

Sia qui consentita qualche considerazione sempre nel più profondo rispetto delle scelte del legislatore.

Perché questa impasse su una questione (la nomina delle Commissioni) che potrebbe essere risolta con immediatezza?

Il problema è che qui si scontrano due filosofie opposte.

Le commissioni giudicatrici garantiscono l’imparzialità di valutazione delle stazioni appaltanti.

Si tratta di vedere se sottrarre (di questo in sostanza si tratta) il potere di nomina alle stazioni appaltanti, partendo dal presupposto che tale sistema consentirebbe di prevenire favoritismi nelle valutazioni, oppure se ritornare allo schema previsto dall’art. 84 del vecchio Codice e lasciare “il pallino” alle amministrazioni che bandiscono le gare.

Credo che la sospensione dell’art. 77 comma 3 del Codice e non la sua immediata abrogazione sia stata una scelta saggia, così come credo che il legislatore del Codice non abbia assolutamente operato scelte avventate. Noto da più parti una certa tendenza a dare giudizi sferzanti sulle scelte del legislatore, spesso da parte di chi non conosce bene le difficoltà entro le quali ci si muove.

Tali scelte, sia quelle del legislatore del Codice sia quelle dell’attuale legislatore, non sono “vezzi” ma sono il risultato di un dibattito su questioni tremendamente complesse.

Proviamo a ricordarne qualcuna.

Le stesse direttive europee del 2014 riflettono la consapevolezza circa la vulnerabilità alla corruzione del settore degli appalti. È, infatti, da tempo che l’Unione europea valuta con preoccupazione le dinamiche corruttive nel settore della contrattazione pubblica, interrogandosi su quali disposizioni possano prevenire la commissione di reati a fini di tutela del fisiologico funzionamento del mercato interno. Così come ha fatto il legislatore italiano a partire dalla legge 6 novembre 2012, n.190, anche il legislatore europeo ha preso atto che la corruzione, da fenomeno sporadico ed esterno all’apparato amministrativo riconducibile ad un singolo evento delittuoso, è divenuto in maniera crescente sintomo di maladministration, in quanto sempre più presente all’interno delle Amministrazioni Pubbliche[3]. 

Che vi sia la necessità di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di celerità dell’azione amministrativa e quelle di tutela della legalità è chiaro a tutti.

Quel che non è chiaro, sembra, è che si tratta della ricerca di un punto di equilibrio che è tutt’altro che semplice.  

Pazientiamo dunque, non è vero che il legislatore “naviga a vista”. Non lo era al tempo della redazione del Codice e non lo è oggi che si cerca di trovare soluzioni ad alcune criticità, con scelte che paiono tutt’altro che avventate.

 

3. Gli affidamenti sotto soglia.

Il decreto legge interveniva in modo “pesante” sulla disciplina degli appalti sotto soglia. La legge di conversione, in sostanza, riscrive quasi tutto l’art. 36 del Codice.

Partiamo da una considerazione di carattere generale. Qual è la ragione di prevedere una disciplina specifica per gli appalti che rientrano in una certa soglia di valore?

Su tutte, l’esigenza di semplificazione.

Si tratta della, se vogliamo scontata, considerazione che non possono essere trattati allo stesso modo affidamenti di piccola entità e affidamenti di rilevante interesse economico.

Occorre quindi contemperare due esigenze apparentemente in antitesi. Quella di assicurare il rispetto dei principi di imparzialità, parità di trattamento, non discriminazione con quelli di efficienza, non aggravamento, speditezza dell’azione amministrativa.

Il legislatore ha, per lungo tempo, trovato questo contemperamento con l’istituto del cottimo fiduciario. L’affacciarsi nel nostro ordinamento dei principi comunitari ha via via limitato l’applicazione di questo istituto trasformandolo dalla sua essenza originaria di affidamento “fiduciario” a una vera e propria procedura negoziata.

Non vi era più ragione, quindi, di conservare nel nuovo Codice un istituto che, nei fatti, non esisteva più.

In modo del tutto condivisibile il legislatore ha quindi previsto una regolamentazione differente, in base all’importo dell’affidamento, partendo da quelli di minore entità (fino a 40.000 €) definiti “diretti” fino ad affidamenti di maggiore entità (con importi differenti per lavori da una parte e servizi e forniture dall’altra).

Il sistema previsto dal Codice, come già sopra accennato, è stato sottoposto ad una importante revisione, prima con il d.l. 32, poi con la legge di conversione.

Lo schema che scaturisce dalla legge di conversione è il seguente.

 

LAVORI

 

1) affidamenti 0 – 40.000: affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici con obbligo di esporre le ragioni della scelta del contraente ai sensi dell’art. 32; possibilità di ricorrere all’amministrazione diretta;

2) affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro: affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l’acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui alla lettera b) dell’art. 36 comma 2;

3) affidamenti di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro: procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici;

4) affidamenti di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro: procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici;

5) affidamenti di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35: ricorso alle procedure di cui all’articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 97, comma 8.

 

FORNITURE E SERVIZI

 

1) affidamenti 0 – 40.000: affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici con obbligo di esporre le ragioni della scelta del contraente ai sensi dell’art. 32;

2) affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a alle soglie di cui all’articolo 35: affidamento diretto previa valutazione di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti.

 

4. La regola della rotazione.

Si tratta dello snodo centrale di tutta la disciplina dei contratti sotto soglia.

Occorre fare chiarezza sulla portata del criterio della rotazione che non a caso ho chiamato regola. In seguito vedremo perché.

E occorre fare chiarezza a maggior ragione in un momento in cui il legislatore alza la soglia di quelli che vengono chiamati “affidamenti diretti”, perlomeno nei lavori.

Alla “attenuazione” dell’evidenza pubblica non può che fare da contraltare un serrato controllo sul rispetto della regola della rotazione.

Vediamo allora di capire di cosa si tratta.

Intanto, va detto che il principio di rotazione non nasce certo con il Codice dei contratti approvato con il d.lgs. 50/2016[4].

Già il precedente Codice prevedeva all'art. 57, comma 6, dopo aver indicato i casi tassativi nei quali è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, che:

a) nella fase preliminare di selezione degli operatori economici da consultare, la stazione appaltante "ove possibile" individua tali soggetti "sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno tre operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei";

b) nella fase della partecipazione alla gara, gli operatori economici selezionati sono quindi contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta.

Per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia, l’art. 125 del “vecchio” Codice dei contratti prevedeva al comma 8 quanto di seguito si riporta:

“Per lavori di importo pari superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”.

Analoga disposizione si rinveniva per servizi e forniture nel comma 11.

Se si risale ancora indietro nel tempo, l’art. 78 del d.P.R. 554/99 (Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, c.d. Legge “Merloni”) così disponeva:

“Per lavori di importo pari superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”.

Nulla di rivoluzionario quindi. Si tratta di un principio immanente nell’ordinamento.

La ragione della sua introduzione è semplice.

Il principio di rotazione è funzionale ad assicurare un certo avvicendamento delle imprese affidatarie di appalti pubblici.

Per come era pacificamente inteso prima del nuovo codice dei contratti, esso non aveva, per le stazioni appaltanti, una valenza precettiva assoluta, di guisa che la sua episodica mancata applicazione non valeva ex se ad inficiare gli esiti di una gara già espletata, una volta che questa si fosse comunque conclusa con l'aggiudicazione in favore di un soggetto già in precedenza invitato a simili selezioni ovvero già affidatario del servizio. Tali considerazioni valevano laddove fosse provato che la gara si era svolta nel rispetto del principio di trasparenza e di parità di trattamento e si era conclusa con l'individuazione dell'offerta più vantaggiosa per la stazione appaltante, senza che nel giudizio comparativo tra le offerte avesse inciso la pregressa esperienza specifica maturata dalla impresa aggiudicataria nella veste di partner contrattuale della amministrazione aggiudicatrice.

In tal senso la dottrina assolutamente unanime così come la giurisprudenza. Tra le tante si può citare la convincente pronuncia del T.a.r. Lazio, sez. II, 20 aprile 2015, n. 5771.

In modo altrettanto convincente il Consiglio di Stato ben insegnava quale fosse la ragione dell’introduzione del principio di rotazione.

Nel contesto dell'art. 125 del codice dei contratti pubblici il principio della "rotazione", imposto con riferimento alla procedura di "cottimo fiduciario", era concepito dal legislatore come una contropartita, o un bilanciamento, del carattere sommario e "fiduciario" della scelta del contraente (Consiglio di Stato, sez. III, 12 settembre 2014, n. 4661).

E tutto si capisce se si chiude il cerchio del ragionamento.

Nelle procedure “ordinarie” (per esempio una procedura aperta) il mercato è aperto a tutti i concorrenti possibili. Non c’è necessità di curarsi del principio di rotazione perché tutti gli operatori economici interessati e in possesso dei requisiti, possono partecipare alla gara.

Nella procedura negoziata la situazione è differente. Non tutti possono partecipare ma solo coloro che sono individuati dalla stazione appaltante.

E questo è lo snodo centrale della questione.

Anche nel nuovo Codice la procedura negoziata è definita in modo da affidare alla stazione appaltante la scelta dei soggetti da invitare.

L’art. 3 lettera uuu) del Codice così recita: “«procedure negoziate», le procedure di affidamento in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell'appalto”.

Si comprende perfettamente quindi la necessità di bilanciare il potere di scelta delle amministrazioni con l’obbligo di rispettare la rotazione.

L’esigenza è sempre la medesima, nel nuovo Codice come nel vecchio e cioè evitare che la Stazione appaltante rispetti solo formalmente l’obbligo di consultare più operatori economici ma, nella sostanza, scegliendo sempre gli stessi soggetti, consolidi una posizione di vantaggio in capo a un determinato operatore.

Occorre chiedersi dove stia la novità nel Codice approvato con d.lgs. 50/2016.

La novità, non di poco conto, sta nell’aver “anticipato” la rotazione (per le procedure che prevedono un confronto competitivo) al momento della scelta dei soggetti da invitare e non al risultato degli inviti e cioè l’affidamento.

Il Consiglio di Stato comm. spec., 30/03/2017, n. 782 ha ben colto la questione affermando quanto segue.

“In tema di disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice degli appalti), il “principio di rotazione” contemplato nell'art. 36, comma 1, si riferisce propriamente agli “inviti”, in tal modo l'innovazione intende collocare la rotazione già nella fase in cui l'amministrazione si rivolge al mercato per delineare, eventualmente, la successiva competizione tra gli operatori interessati all'affidamento. Sembrerebbe che l'intento sia quello di assicurare una piena turnazione degli inviti degli operatori che potrebbero aspirare al contratto. Dunque, in questa prospettiva, non sarebbero ammessi al successivo invito anche gli operatori già partecipanti alle precedenti selezioni, ancorché non aggiudicatari. Si deve osservare, però, che in tal modo, si pongono sullo stesso piano i precedenti aggiudicatari e i precedenti concorrenti. Sarebbe preferibile, invece, evidenziare che la rotazione dovrebbe preferibilmente assicurare proprio l'alternanza degli affidamenti e non delle mere occasioni di partecipazione alla selezione”.

A questo punto si dispone di tutti gli strumenti per dare un concreto significato al principio della rotazione (rectius, regola), significato che sia in linea con la volontà del legislatore e al contempo, in linea con le Direttive UE e con basilari principi nella materia della contrattualistica pubblica.

Il principio di rotazione non può essere trasformato in una non codificata causa di esclusione dalla partecipazione alle gare.

Allorquando la stazione appaltante non sceglie i soggetti da invitare ma apre al mercato anche nelle procedure negoziate, dando possibilità a chiunque di candidarsi a presentare un’offerta senza determinare limitazioni in ordine al numero di operatori economici ammessi alla procedura, ha per ciò stesso rispettato il principio di rotazione che non significa escludere chi ha in precedenza lavorato correttamente con un’amministrazione, ma significa non favorirlo.

La posizione del Consiglio di Stato è consolidata sulla questione ed è il frutto di un ragionevole contemperamento tra la tutela della concorrenza e quella del buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.

Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito l’obbligatorietà del principio di rotazione per le gare di lavori, servizi e forniture negli appalti cd. “sotto soglia” affermando quanto segue.

Il principio di rotazione che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da consultare e da invitare a presentare le offerte trova fondamento nella esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato. Pertanto, anche al fine di ostacolare le pratiche di affidamenti senza gara ripetuti nel tempo che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di favorire, per contro, la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio in questione comporta, in linea generale, che l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale.

Per l’effetto, ove la stazione appaltante intenda comunque procedere all’invito di quest’ultimo, dovrà puntualmente motivare tale decisione, facendo in particolare riferimento al numero (eventualmente) ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto e alle caratteristiche del mercato di riferimento (in tal senso, cfr. la delibera 26 ottobre 2016, n. 1097 dell’Autorità nazionale anticorruzione, linee guida n. 4).

In caso di appalti sotto soglia, dunque, la stazione appaltante ha due possibilità: non invitare il gestore uscente o, in caso contrario, motivare attentamente le ragioni per le quali ritiene di non poter invece prescindere dall’invito.

È quindi legittima la scelta della PA di optare per la soluzione di non invitare il gestore uscente, non determinando tale decisione alcun pregiudizio per la concorrenza, posto che il principio di rotazione è volto proprio a tutelare le esigenze della concorrenza in un settore, quale quello degli appalti “sotto soglia”, nel quale è maggiore il rischio del consolidarsi, ancor più a livello locale, di posizioni di rendita anticoncorrenziale da parte di singoli operatori del settore risultati in precedenza aggiudicatari della fornitura o del servizio (Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2017, n. 5854).

Ancora alcune considerazioni.

L’orientamento che si va ormai consolidando in giurisprudenza è frutto di un equo compromesso tra l’esigenza di evitare il consolidarsi di rendite di posizione e quella di evitare irragionevoli esclusioni di soggetti che correttamente operano sul mercato.

Anche di recente il T.ar. Lombardia, con sentenza 12 marzo 2019, n. 521 ha avuto modo di affermare che il principio di rotazione, fissato dall’articolo 36 del d.lgs. n. 50/2016 per gli appalti sotto soglia mira a evitare il crearsi di posizioni di rendite anticoncorrenziali e a consentire, per contro, l’apertura del mercato agli operatori più ampia possibile.

 E’ quindi illegittimo per violazione del principio di rotazione nelle gare di appalto l’invito del gestore uscente a partecipare alla gara nonché tutti gli atti conseguenziali, ove la Stazione appaltante non abbia indicato, con apposita motivazione, le ragioni che l’avrebbero indotto a derogare al principio invitando anche il gestore uscente[5].

E’ di particolare rilievo l’orientamento espresso recentemente dal Consiglio di Stato con sentenza 5 marzo 2019 n. 1525.

Nella sentenza si legge, tra l’altro, che il principio di rotazione delle imprese che, per espressa previsione normativa, deve orientare le stazioni appaltanti trova fondamento nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento e non invece dalle modalità di affidamento, di tipo “aperto”, “ristretto” o “negoziato”), soprattutto nei mercati in cui il numero di operatori economici attivi non è elevato.

Anche nel caso di appalto sotto soglia e di procedura negoziata, va confermato il principio di carattere generale in virtù del quale va riconosciuta l’obbligatorietà del principio di rotazione delle imprese. Ai fini dell’applicabilità di detto principio, infatti, rileva il fatto oggettivo del precedente affidamento in favore di un determinato operatore economico, non anche la circostanza che questo sia scaturito da una procedura di tipo aperto o di altra natura.

Per effetto del principio di rotazione delle imprese, ove la stazione appaltante intenda comunque procedere all’invito del precedente affidatario, dovrà puntualmente motivare tale decisione, facendo in particolare riferimento al numero (eventualmente) ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle caratteristiche del mercato di riferimento.

Ma chiudiamo ora il cerchio e cerchiamo di capire perché parlo di regola e non di principio. L’uso appropriato del lessico non è una questione di dettaglio.

Perché quel che era un principio è oggi una regola?

Un principio è una norma che presenta congiuntamente i due caratteri seguenti:

1) ha carattere “fondamentale”;

2) ha contenuto indeterminato nell’una o nell’altra delle forme seguenti (nessuna delle quali si identifica con la vaghezza che è propria di ogni regola), ossia:

2.1) abbia un antecedente aperto, ovvero

2.2) sia defettibile, ovvero

2.3) sia generico.

La peculiarità dei principi, in quanto norme distinte dalle regole, resta la loro posizione nell’ordinamento: il loro carattere fondamentale, la loro capacità di giustificare altre norme (che a loro volta possono essere regole, ma anche principi, per così dire, di rango inferiore[6]).

Il concetto di principio è alquanto più complicato di quello di regola e, assai controverso. Nella nostra cultura giuridica si considera principio ogni norma che presenti congiuntamente due caratteristiche: per un verso, abbia carattere fondamentale, e per un altro verso, sia affetta da una peculiare forma di indeterminatezza[7].

Dice Guastini, che insegna come nessun altro a comprendere il diritto, che nel linguaggio corrente dei giuristi, l’uso del vocabolo “principio” ha una evidente componente assiologica, che il concetto di indeterminatezza non cattura in alcun modo.

Con questo vocabolo i giuristi sembrano riferirsi a norme — costituzionali, ma anche di fonte primaria (come nel caso che qui stiamo esaminando) — che essi considerano in qualche senso “fondamentali”, ossia dotate di una importanza speciale dal punto di vista assiologico (entro l’ordinamento giuridico nel suo insieme, oppure in un qualche suo settore o sottosettore: il diritto civile, il diritto penale, il diritto delle obbligazioni, il diritto dei contratti, etc.). L’idea soggiacente è che, dal punto di vista valutativo, le norme giuridiche non siano tutte sullo stesso piano: talune norme esprimono i valori etico-politici che caratterizzano la fisionomia — meglio: l’identità assiologica — dell’ordinamento, e in questo senso sono “sovraordinate” (assiologicamente sovraordinate) alle rimanenti.

In secondo luogo, l’indeterminatezza — in particolare la cosiddetta “open texture”, la vaghezza semantica — è un carattere proprio di ogni norma giuridica, dal momento che ogni norma è necessariamente formulata per mezzo di “termini generali classificatori” come si usa dire (tecnicamente: predicati in senso logico, ossia termini che si riferiscono a classi). È un’illusione formalista l’idea che solo i principi siano indeterminati, e che invece le “regole” (cioè tutte le norme rimanenti) abbiano un contenuto chiaro e preciso, suscettibile di essere identificato per via d’interpretazione. Orbene, se tutte le norme sono indeterminate, i principi devono essere indeterminati in qualche modo speciale, o almeno caratteristico, che si tratta di identificare[8].

Ma la rotazione oggi non è più un principio è una regola con antecedente chiuso, quindi, per niente indeterminata (se non nel senso di ineliminabile vaghezza estensionale)[9] e come tale deve essere trattata (con la sua immediata portata precettiva).

Facciamo attenzione dunque a parlare di “affidamenti diretti” con eccessiva disinvoltura. Laddove il legislatore richiede la consultazione di più operatori vi è sempre, pur nella forma più semplice, una evidenza pubblica. Sembra, in qualche modo, di ritornare ai tempi in cui nei manuali di diritto amministrativo si studiava la c.d. “piccola evidenza pubblica” e questo non è certo un male.

La volontà del legislatore è quella di semplificare. L’intento è lodevole e, se le stazioni appaltanti applicheranno le nuove disposizioni rispettando rigorosamente la regola della rotazione, non ci saranno problemi nella corretta allocazione delle risorse pubbliche.

 

5. Tabella riepilogativa delle più importanti novità

CONSULTA LA TABELLA


[1] Riporto, senza cambiarne una (sarebbe un delitto), le parole di Riccardo Guastini in Interpretare e argomentare, Trattato di diritto civile e Commerciale Cicu Messineo Mengoni, Milano, 2011, pag. 39.

[2] Si vedano Linee guida n. 5, di attuazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici” - Aggiornate al d.lgs. 56 del 19/4/2017 con deliberazione del Consiglio n. 4 del 10 gennaio 2018.

[3] Descrivono il fenomeno in modo eccellente, Parisi – Chimenti in, Il ruolo dell’A.n.ac. nella prevenzione della corruzione in materia di appalti pubblici, Diritto del Commercio Internazionale, fasc.2, 2015, pag. 419.

[4] Si riportano interi stralci della motivazione della sentenza del T.a.r. Sardegna 493/2018.

[5] Nello stesso senso, T.a.r. Veneto, Sez. I, 21 marzo 2018 n. 320. La sentenza è di grande interesse perché afferma l’illegittimità della aggiudicazione di una gara di appalto ove, per effetto di quanto previsto dalla lex specialis, si sia realizzata una illegittima restrizione della platea dei concorrenti mediante l’utilizzo di punteggi che privilegiano ingiustificatamente le imprese locali (nella specie mediante l’attribuzione all’offerta tecnica del punteggio massimo di 50 punti in ragione del “radicamento costante della Cooperativa sociale di tipo B nel territorio dell’ULSS n. 9” nonché, un punteggio massimo di 10 agli “elementi in grado di testimoniare l’organico radicamento territoriale del progetto stesso attraverso l’impiego di personale proveniente dal territorio con grado di preferenza nel seguente ordine Garda (preferenziale), territorio ex ULSS n. 22 e territorio ULSS n. 9”): infatti, la combinazione dei due elementi appena evidenziati realizza senz’altro un’illegittima rendita anticoncorrenziale di posizione, in contrasto con i principi di libera concorrenza e di non discriminazione, nonché in violazione degli artt. 4, 30 e 36 del Codice dei contratti.

[6] Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, 2011, pag. 188.

[7] Guastini, op. cit. pag. 182.

[8] Guastini, op. cit. pag. 183

[9] Guastini, op. cit.: le regole sono norme con antecedente “chiuso” (a fattispecie chiusa), mentre i principi sono norme con antecedente “aperto” (a fattispecie aperta), nel senso seguente.

L’antecedente (la fattispecie) di una norma è chiuso (chiusa), allorché la norma enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce la conseguenza giuridica che essa stessa dispone. Per contro, l’antecedente (la fattispecie) è aperto (aperta), allorché la norma non enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce la conseguenza giuridica corrispondente.