Decreto Legge 18 aprile 2019, n. 32

ancora riflessioni sullo Sblocca Cantieri

1. Il d.l. 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici, si muove, per la parte che qui interessa e che è trattata principalmente nell’art. 1 (ma anche nell’art. 4), essenzialmente secondo due direttrici (seppure è solo la seconda ad essere esplicitata nel preambolo del decreto): per un verso, al fine di apportare al codice dei contratti pubblici, approvato con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, quelle modifiche ritenute necessarie per conformare la disciplina nazionale ai rilievi esposti dalla Commissione europea nella missiva del 24 gennaio 2019, contenente, ai sensi dell’art. 258 TFUE, la costituzione in mora dello Stato italiano relativamente alla procedura di infrazione n. 2018/2273; per altro verso, di apportare al codice stesso quelle innovazioni ritenute opportune “per favorire la crescita economica e dare impulso al sistema produttivo del Paese, mediante l'adozione di misure volte alla semplificazione del quadro normativo e amministrativo connesso ai pubblici affidamenti, concernenti, in particolare, la disciplina dei contratti pubblici”.

Con queste due direttrici vengono a intersecarsi due ambiti tematici posti in primo piano: l’intervento riformatore, infatti, ha per oggetto (seppure, si vedrà, con modalità ben distinte) soprattutto da un lato i contratti con importo economico più contenuto (vale a dire, inferiore alle soglie fissate dal diritto UE)[1], dall’altro gli appalti per infrastrutture definiti prioritari.

È con queste modalità, dunque, che il codice dei contratti pubblici, esattamente a tre anni di distanza dalla sua entrata in vigore, è stato sottoposto a un secondo rilevante processo di modifica[2]. Se il primo (peraltro previsto dalla stessa legge delega e portato a termine con il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56) aveva prodotto il risultato della modifica di 122 articoli del testo del 2016, dell’aggiunta di 2 e dell’abrogazione di 1, l’intervento del 2019 (allo stato attuale, in attesa cioè degli esiti della legge di conversione del d.l. n. 32) ha condotto alla modifica di 33 articoli del codice nel testo ad oggi vigente, oltre che di un articolo del codice del processo amministrativo (e quindi in buona sostanza di un altro articolo del codice dei contratti pubblici che quello aveva modificato), per una complessiva modifica di oltre 100 disposizioni del codice stesso.

L’osservazione più immediata deducibile da questi dati attiene al fatto che la cronaca legislativa sembra andare in direzione opposta rispetto alla tesi, pure largamente diffusa, che il mercato dei contratti pubblici, per le sue caratteristiche strutturali, abbia bisogno di un quadro giuridico stabile, in grado di garantire elementi di certezza a tutti i protagonisti in campo, in funzione delle rispettive esigenze; tesi, è bene ricordarlo, che pure era largamente alla base delle critiche più forti portate all’assetto normativo precedente – quello basato sul codice del 2006 e sul relativo regolamento di esecuzione, continuamente e ripetutamente modificato nel corso del decennio di vigenza – tanto da indurre taluno a parlare di vero e proprio fallimento di quell’esperienza ordinamentale e lo stesso Consiglio di Stato ad affermare che  “la stratificazione e frammentazione normativa, in una con il difetto di un congruo periodo di riflessione e di decantazione normativa, ha comportato il sovrapporsi di regimi transitori, il determinarsi di incertezza applicativa, l’aumento del contenzioso e dei costi amministrativi per le imprese, soprattutto piccole e medie”. Vicenda che sembra ora ripetersi con punte di particolare esasperazione, come quella riguardante la disciplina degli affidamenti diretti per i contratti sotto soglia, modificata con apposita disposizione della legge di bilancio per il 2019 (l’art. 1, comma 912, della legge n. 145 del 30 dicembre 2018) e poi rideterminata con il decreto in esame (con contemporanea abrogazione della suddetta disposizione, che ha quindi avuto un tempo di applicazione durato appena 3 mesi e mezzo); ma che comunque è destinata a riproporsi in forme quantitativamente e qualitativamente più vistose, nel caso in cui arrivasse a buon fine il processo aperto con la presentazione il 22 marzo da parte del Governo di un nuovo disegno di legge di delega in materia al fine di adottare un nuovo codice dei contratti pubblici in sostituzione del codice di cui al d.lgs. n.50/2016 (nonché del d.lgs. 15 novembre 2011, n. 208), ovvero di modificarli per quanto necessario.

Naturalmente occorre interrogarsi sulle ragioni che sono sottese alla ripetizione di tali accadimenti, soprattutto con riguardo alla vicenda più recente; ragioni che sono certamente molteplici e passibili di operazioni di bilanciamento produttive di esiti diversi circa la valutazione della capacità di incidenza sulla attuale situazione. Non vi è dubbio che abbiano inciso negativamente le cadenze temporali secondo le quali si è svolto lo stesso processo di produzione normativa: la legge delega – la n. 11 del 28 gennaio 2016 – è stata approvata solo tre mesi prima della scadenza del termine stabilito per l’approvazione del testo che avrebbe dovuto recare il recepimento del “pacchetto legislativo” europeo in materia del 2014; e per di più il nuovo testo – vale a dire, appunto, il d.lgs. n. 50/2016 – ha previsto l’entrata in vigore del codice il giorno stesso della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Ciò nonostante che il nuovo codice fosse destinato necessariamente ad essere un testo peculiarmente complesso, essendo stato chiamato a tenere insieme il recepimento dell’ultima disciplina europea, a sua volta più complessa e articolata rispetto alla precedente, seppure per certe parti innovativa, fino a comprendere anche la regolazione di una materia prima in larga misura sottratta al suo raggio di azione (come le concessioni), e il riordino del quadro giuridico nazionale, nel mentre che il legislatore interno era altresì chiamato a svolgere il compito di sciogliere quelle opzioni regolatorie che l’ordinamento sovranazionale aveva rimesso alle preferenze degli Stati membri; alla fine con evidente esito di “difetto di un congruo periodo di riflessione normativa” (come abbiamo visto affermare il Consiglio di Stato per la vicenda precedente) e indubbio effetto di spaesamento per gli operatori, pubblici e privati, tenuti a confrontarsi nel nuovo e incognito campo di gioco, per di più privati della copertura abituale e rassicurante fornita da un dettagliato regolamento di esecuzione e invitati quindi a misurarsi con metodi e linguaggi diversi, quali quelli inerenti alla c.d. regolazione flessibile.

Ora l’attuale maggioranza di governo sembra aver adottato una diversa cadenza temporale, basata su di un immediato e più ristretto intervento di riforma affiancato dalla previsione di un intervento sistematico entro un anno dalla entrata in vigore della nuova legge delega (seppure con momenti di parziale sovrapposizione, visto che il regolamento unico di esecuzione previsto dal d.l. n. 32/2019 dovrà essere emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo); ma la complessità del processo non sembra venuta meno, se è vero (pur tenuta presente la pluralità degli oggetti normati con il decreto legge) che ben otto, oltre al Presidente del Consiglio, sono i Ministri che risultano concertanti per la presentazione del medesimo decreto[3] (a fronte dei due soli coinvolti nell’approvazione del codice del 2016), e che la stessa doppia approvazione in Consiglio dei Ministri cui il decreto è stato sottoposto a distanza di quasi un mese l’una dall’altra può essere vista, se si vuole, come espressione della necessità di approfondimento e decantazione di valutazioni non banali.

2. Ricca è la storia delle procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per la non conformità del diritto nazionale sugli appalti pubblici al diritto sovranazionale (a lungo tale materia è stata la seconda per numero di procedure avviate, seconda solo al diritto dell’ambiente); ora con la procedura n. 2018/2273 complessivamente sono 25 le disposizioni delle tre direttive europee del 2014 rispetto alle quali la Commissione ha osservato la non conformità di 13 disposizioni del codice del 2016, come modificato dal decreto correttivo del 2017 (oltre che a una disposizione del d.P.R. n. 380/2001, cui fa rinvio altra disposizione del codice). I rilievi della Commissione sono dalla Commissione stessa raggruppati entro quattro ambiti tematici, e precisamente: violazione di norme riguardanti il calcolo del valore stimato degli appalti; violazione di norme riguardanti i motivi di esclusione; violazione di norme riguardanti il subappalto e l’affidamento sulle capacità di altri soggetti; violazione di norme riguardanti le offerte anormalmente basse.

Quanto al primo, il rimedio apportato dal d.l. consiste nella eliminazione dell’avverbio “contemporaneamente” dal testo dell’art. 35, comma 9, lett. a) e b), in punto di metodo di calcolo del valore complessivo stimato della totalità dei lotti relativi a un appalto o concessione ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative alle soglie europee, in quanto la Commissione aveva osservato che, aggiungendo tale parola alla corrispondente disposizione recepita dalle direttive, la normativa italiana finiva per risultare di aver ristretto l’applicabilità dell’obbligo di computare il valore complessivo stimato della totalità dei lotti con conseguente esito di elusione della disciplina sovranazionale dei contratti sopra soglia.

A questo ambito tematico fa riferimento un secondo rilievo relativo all’interpretazione dell’art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001, richiamato dall’art. 36, comma 4, del codice dei contratti pubblici, in punto di calcolo del valore del totale dei lotti da aggiudicare per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, interpretazione che, nella versione fornita al riguardo dall’ANAC nella linea guida n. 4/2018, secondo la Commissione, anche sulla base della giurisprudenza europea rilevante, non sarebbe conforme al diritto europeo per la stessa ragione di cui al punto precedente in quanto isolerebbe alcune categorie di opere (quelle di urbanizzazione primaria funzionali) dalle altre ai fini del suddetto calcolo. In merito a tale rilievo il d.l. ha ritenuto di non dover intervenire, avendo probabilmente ritenuto sufficiente la pendenza del procedimento per la revisione della citata linea guida avviato dall’ANAC con la richiesta di parere al Consiglio di Stato (che si è pronunciato in data 3 dicembre 2018 con il parere n. 2942 e poi da ultimo in data 11 aprile 2019 con il parere n. 424) in vista della modifica della interpretazione avversata dalla Commissione.

Quanto al secondo ambito tematico, il rimedio apportato dal d.l. consiste nell’integrazione del testo dell’art. 80, comma 4, in conformità ad un primo rilievo della Commissione, con la previsione della possibilità per la stazione appaltante di escludere un operatore economico che abbia violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione – pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo – possa essere comunque dalla stessa adeguatamente dimostrata. Siffatta soluzione appare in linea con quanto esposto più ampiamente in tema nel Considerando n. 101 della dir. 24/2014 con riguardo al significativo riconoscimento della possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di escludere operatori economici che si siano dimostrati inaffidabili e la cui presa in considerazione aveva condotto il legislatore nazionale, all’interno di altro provvedimento d’urgenza di poco precedente, a intervenire su altra disposizione dello stesso art. 80 del codice[4].

Più complesso è l’esame concernente il terzo ambito tematico, anche perché questa parte della disciplina (e in specie la parte inerente al subappalto) era stata indicata come una di quelle per le quali le direttive europee contengono norme che affidano agli Stati membri la decisione sui modi del recepimento di singoli e specifici punti della disciplina stessa, aprendo lo spazio per l’esercizio da parte di questi della facoltà di introdurre a loro volta norme di specificazione/integrazione/attuazione del dettato europeo[5]. Qui, invero, i rilievi della Commissione hanno investito le norme presenti nel codice dei contratti pubblici che rispettivamente prevedono: a) il divieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico; b) l’obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti; c) il divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso ad un altro subappaltatore; d)  il divieto per il soggetto sulle cui capacità l’operatore intende fare affidamento di affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto; e) il divieto i) per diversi offerenti in una determinata gara di fare affidamento sulle capacità dello stesso soggetto, ii) per il soggetto sulle cui capacità un offerente intende fare affidamento di presentare un’offerta nella stessa gara e iii) per l’offerente in una determinata gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa gara; f) il divieto per gli offerenti di avvalersi delle capacità di altri soggetti quando il contratto riguarda progetti che richiedono “opere complesse”.

Quanto al punto sub a), i rilievi della Commissione hanno investito i commi 2 e 5 dell’art. 105 del codice. Il d.l. ha modificato il primo, introducendo un parziale elemento di flessibilità, nel senso di rimettere alla decisione della stazione appaltante, esternata nel bando di gara, la scelta circa la previsione del subappalto per lo specifico contratto di lavori, servizi e forniture, ma comunque entro i limiti massimi del 50 per cento dell’importo complessivo dell’appalto; fatto salvo (come già nel testo originario della disposizione) quanto disposto proprio dal comma 5, che per contro non è stato a sua volta modificato e che dunque continua a prevedere il limite del 30 per cento dell’importo per le particolari opere come descritte dall’art. 89, comma 11 (c.d. opere superspecialistiche)[6].

È evidente la portata compromissoria della soluzione divisata, che sembra tenere in considerazione la molteplicità di pressioni, anche di segno opposto, che potenzialmente sembravano accompagnare la decisione al riguardo. Si può pensare che la modifica del comma 2 dell’art. 105 tenga in conto anche la circostanza per la quale è pendente davanti alla Corte di giustizia[7] una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del giudice amministrativo nazionale, con la quale è stata posta la questione se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi ostino appunto a una norma come quella qui in oggetto (Tar Lombardia, ord. n. 148 del 19 gennaio 2018, che ha dato origine alla causa C-63/18)[8], causa in relazione alla quale la Commissione europea ha già rappresentato gli stessi motivi di critica esposti nella lettera di costituzione in mora, intesi a sostenere la più ampia facoltà di ricorso all’istituto del subappalto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici quale strumento di valorizzazione della posizione delle PMI nel mercato dei contratti pubblici e più in particolare la non conformità al diritto europeo di restrizioni quantitative al subappalto fissate in maniera astratta in una determinata percentuale dell’appalto. Risulta chiaro, dunque, che la modifica del comma 2 dell’art. 105 è ben lungi dall’elidere la questione posta dalla Commissione europea, ma si può ritenere che abbia cercato di ponderare la misura della riforma con le specifiche caratteristiche della situazione nazionale quali emerse nella pratica dell’istituto del subappalto e prefigurarne quindi anche per questa parte modi di sostenibilità. Mentre la sottrazione alla modifica anche del comma 5 dell’art. 105 è da presumere che intenda far leva su di una ragione che pure è rappresentata dalla Commissione in direzione opposta, vale dire in forza del sostegno che può intendersi fornito da quelle disposizioni delle tre direttive del 2014 che prevedono la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di limitare il ricorso al subappalto in funzione della particolare natura delle prestazioni oggetto del contratto, alle quali appunto la disposizione in oggetto sembra voler fare riferimento attraverso il richiamo interno all’art. 89, comma 11.

Quanto al punto sub b), è stato pienamente accolto il rilievo della Commissione, fondato essenzialmente sul richiamo al principio di proporzionalità a fronte della eccessiva ampiezza della prescrizione in oggetto, con la integrale abrogazione del comma 6 dell’art. 105 del codice[9]. Anche a questo proposito è da ritenere che abbia avuto un suo peso la circostanza che la disposizione era entrata nello spettro delle valutazioni critiche già avanzate dalla Commissione per gli stessi motivi in occasione del procedimento aperto dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da parte del giudice amministrativo nazionale (Tar Lazio, ord. n. 6010 del 29 maggio 2018) e che ha dato origine alla causa C-395/18 attualmente pendente[10]. Nondimeno, non si può evitare di pensare che, a fronte per un verso della esistenza di una disposizione “possibilista” come l’art. 71, par. 2, della dir. 24/2014 e per altro verso della estensione, contenuta in altra parte del decreto, della facoltà per le stazioni appaltanti di procedere all’aggiudicazione diretta o con procedura negoziata degli appalti sotto soglia, sarebbe stata forse preferibile in questa occasione una appropriata e più circoscritta riformulazione della disposizione contestata, soprattutto nella parte in cui aveva riguardo, appunto indipendentemente dall’importo contrattuale, alle attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazioni mafiose e in quella ove comunque erano stabilite alcune prescrizioni di cautela (peraltro non direttamente investite dai rilievi della Commissione).

Quanto al punto sub c), concernente il divieto del c.d. subappalto a cascata come disposto dal comma 19 dell’art. 105, la decisione è stata nel senso del non adeguamento al rilievo che aveva di mira ancora una volta, come in buona sostanza vale per quelli già considerati per questa parte, la portata generale ed universale del divieto stesso, e che era fondato su quelle formulazioni delle disposizioni delle direttive che fanno espressa menzione della “catena” dei subappaltatori nonché sul riferimento ai principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Vero è, d’altro canto, che, per un verso, è il Considerando n. 105 della stessa dir. 24/2014 a riconoscere che la garanzia di “una certa trasparenza nella catena dei subappalti” deve essere uno degli obiettivi della disciplina al riguardo, e che, per altro verso, il giudice amministrativo (v. ad es. Tar Lazio, I, 20 febbraio 2018, n. 1956) è peculiarmente attento a preservare la distinzione (pure presente nel corpo dell’art. 105) dal subappalto dei sub-contratti (fatti salvi i c.d. sub-contratti assimilati), vale a dire di quelle forme non paritetiche di cooperazione imprenditoriale nella quali un soggetto è chiamato a operare in posizione di dipendenza tecnica dall’appaltatore, con l’effetto di circoscrivere la portata del divieto[11].

Analogamente, quanto al punto sub d), concernente il divieto del c.d. avvalimento a cascata come disposto dal comma 6 dell’art. 89, la decisione è stata nel senso del non adeguamento al rilievo[12], fondato sulla interpretazione da parte della Commissione di quella formulazione contenuta nelle disposizioni delle direttive, per cui “l’operatore economico può […] affidarsi alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei suoi rapporti con loro”, come escludente un divieto di portata generale quale quello sancito dalla normativa nazionale. A questo proposito si può ritenere la scelta del Governo italiano a sua volta fondata su una diversa e più restrittiva interpretazione della norma contestata per come fornita dal giudice amministrativo e quindi per come operante nel diritto nazionale vivente, interpretazione quest’ultima per la quale il c.d. avvalimento a cascata, con conseguente operatività del divieto ex art. 89, comma 6,  “si configura  solo quando venga a mancare la corresponsabilità dell’ausiliario che rimanga, anche in relazione alle ‘garanzie’ dell’adempimento, un terzo estraneo alla stazione appaltante” (Cons. Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1295).

Quanto al punto sub e), le disposizioni del codice oggetto dei rilievi della Commissione erano due: il comma 7 dell’art. 89, relativo alle posizioni sub i) e sub ii), e il comma 4, lett. a), dell’art. 105, relativo alla posizione sub iii); per entrambe il rilievo era fondato sul richiamo, corroborato dalla menzione della giurisprudenza europea che ne ha fatto applicazione al tema specifico, al principio di proporzionalità, individuando come obiettivo dell’attacco il carattere incondizionato dei divieti recati da quelle disposizioni. In questo ambito l’adeguamento deciso dal Governo italiano è stato solo parziale, limitato alla eliminazione della seconda disposizione e per converso dal mantenimento della prima. Anche per questo caso si può ritenere che sia stata tenuta in considerazione la circostanza per cui la giurisprudenza amministrativa ha espresso un orientamento teso a privare i divieti portati da quella disposizione del loro carattere assolutizzante (Cons. Stato, V, 10 aprile 2018, n. 2183), considerazione affiancata dal tradizionale atteggiamento di cautela dell’ordinamento nazionale verso un istituto ritenuto, ove appunto ammesso incondizionatamente, in grado di mettere a rischio la lealtà del confronto concorrenziale e di consentire l’alterazione delle offerte. Di contro, l’eliminazione della disposizione che in buona sostanza metteva fuori del quadro normativo vigente la possibilità del subappalto ad altra impresa partecipante alla stessa gara sembra costituire un ripensamento conseguente alla presa di consapevolezza di quanto per il vero già affermato dalla Corte di giustizia in sede di valutazione circa la compatibilità con il diritto UE della normativa nazionale relativa ai c.d. protocolli di legalità, secondo cui “eccede quanto necessario al fine di prevenire comportamenti collusivi” una normativa che ponga “una presunzione irrefragabile secondo la quale l’eventuale subappalto da parte dell’aggiudicatario, dopo l’aggiudicazione dell’appalto, a un altro partecipante alla stessa gara d’appalto derivi da una collusione tra le due imprese interessate, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare il contrario”[13].

Quanto al punto sub f), il mancato adeguamento (già ricordato in precedenza) al rilievo della Commissione, fondato ancora una volta sulla pretesa portata sproporzionata della disposizione di cui all’art. 89, comma 11 perché proibisce l’avvalimento in relazione all’intero appalto, è da pensare in qualche modo collegato al mancato adeguamento al rilievo sul comma 5 dell’art. 105, oltre che probabilmente alla considerazione che la prescrizione in essa contenuta è già corredata da alcune specificazioni e limitazioni, destinate ad essere accresciute dalle previsioni che dovranno allo scopo essere formulate all’interno dell’emanando regolamento unico.

Quanto, infine, al quarto ambito tematico, il rimedio apportato dal d.l. è consistito nell’inserimento nel comma 8 dell’art. 97 del codice della previsione per la quale il metodo dell’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse opera per i contratti di importo inferiore alla soglia europea e che non presentano carattere transfrontaliero, come richiesto dalla Commissione facendo riferimento alla sentenza Secap del 2008 della Corte di giustizia in causa C-147/06. È invece mancato l’adeguamento alla seconda parte del rilievo avanzato dalla Commissione (anche questa sulla base del dictum della sentenza Secap), ove la Commissione stessa ha contestato l’insufficienza della soglia di dieci offerte fissata dalla suddetta disposizione per l’applicazione del metodo dell’esclusione automatica, e comunque senza considerazione della diversa capacità amministrativa delle stazioni appaltanti di condurre quella verifica in contraddittorio delle offerte, cui il metodo in esame intende sovvenire. Ciò può spiegarsi con il fatto che la Corte aveva con la sentenza Secap definito non ragionevole allo scopo una soglia di offerte che al tempo era stata fissata in cinque; ma va altresì ricordato il tradizionale favor del legislatore italiano, proprio a fronte della problematica evocata dalla sentenza, per l’istituto in questione, inteso come metodo di semplificazione delle procedure di gara, tanto da rendere ora il metodo stesso, con altra apposita modifica alla disposizione in esame, criterio ordinario e non più solo facoltativo di azione per le amministrazioni aggiudicatrici per le aggiudicazioni dei contratti aventi le caratteristiche sopra indicate.

 

3. Si è detto inizialmente che nel d.l. n. 32/2019 è poi contenuta altra serie di modifiche del tessuto normativo stabilito dal codice dei contratti pubblici (e dal suo decreto correttivo) volta alla semplificazione del quadro normativo e amministrativo in funzione di obiettivi di crescita economica, ove il fattore propulsore dell’intervento riformatore non è rappresentato dalla necessità di conformazione al diritto eurounitario (che pure occasionalmente può venire in rilievo anche qui) ma piuttosto – come del resto è espressamente dichiarato dallo stesso Governo nella relazione al ddl presentato in Senato per la conversione del d.l. -  al fine di recepire alcune indicazioni pervenute dagli stakeholder che operano nell'ambito dei contratti pubblici, che hanno partecipato alla consultazione pubblica indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Da questo punto di vista, può risultare allora interessante, come pietra di paragone, mettere a confronto il protocollo presentato congiuntamente da ANCI e ANCE il 19 luglio 2018[14] e contenente 10 proposte di modifica al codice con le soluzioni poi adottate dal Governo con il d.l. in esame; questo confronto sarà svolto raggruppando tali proposte in quattro gruppi, sulla base dei seguenti criteri (ovviamente applicati con le necessarie approssimazioni del caso): A) proposte accolte integralmente nel decreto; B) proposte accolte parzialmente nel decreto; C) proposte relative a tema trattato nel decreto ma con soluzione diversa; D) proposte relative a temi pretermessi nel decreto.

A1) Previsione di una fonte regolamentare per l’attuazione del codice, con contestuale abrogazione delle diverse fonti di disciplina non legislative finora adottate e previsione altresì di un adeguato periodo transitorio.

Il decreto, con l’inserimento nel codice dell’art. 217-octies, ha disposto l’adozione entro 180 giorni, ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. a) e b), della l. 23 agosto 1988, n. 400, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del codice stesso, con contestuale sostituzione di tale regolamento alla fonte (linee-guida o decreto ministeriale) distintamente indicata in dieci previgenti disposizioni (a loro volta singolarmente innovate per questo aspetto dal decreto), la cui efficacia è mantenuta fino all’entrata in vigore del suddetto regolamento[15].

A2) Previsione dell’appalto integrato, vale a dire, come è noto, della facoltà delle stazioni appaltanti  di ricorrere all’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione di lavori sulla base del progetto definitivo redatto dalla amministrazione aggiudicatrice.

Il d.l. n. 32/2019 è intervenuto in materia in primo luogo integrando l’estensione dell’impiego di tale forma contrattuale già realizzata dal decreto correttivo del 2017 con alcune proposizioni inserite nel corpo del comma 1-bis dell’art. 59 e con un nuovo comma 1-quater che sembra teso ad agire a garanzia dei livelli di qualità e di efficienza della progettazione anche nei confronti della stessa impresa affidataria dell’esecuzione dei lavori. Inoltre, più radicalmente, con una (ulteriore) modifica alla norma transitoria in materia è stato disposto che “il divieto di cui all'articolo 59, comma 1, quarto periodo, non si applica altresì per le opere i cui progetti definitivi siano approvati dall'organo competente entro il 31 dicembre 2020, con pubblicazione del bando entro i successivi dodici mesi dall'approvazione dei predetti progetti. Il soggetto incaricato della predisposizione del progetto esecutivo non può assumere le funzioni di direttore dei lavori in relazione al medesimo appalto”[16].

A3) Innalzamento fino alla soglia comunitaria dell’importo dei lavori aggiudicabili con il criterio del prezzo più basso, con obbligo dell’esclusione automatica delle offerte anomale e con metodo antiturbativa semplificato rispetto all’attuale, e contestuale riduzione dell’utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai soli casi di complessità tecnica dell’appalto.

Il decreto ha disposto, con l’inserimento nel corpo dell’art. 36 di un nuovo comma 9-bis, che, “fatto salvo quanto previsto all'articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all'aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero, previa motivazione, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa”, con conseguente abrogazione delle lett. a) e c) del comma 4 dell’art. 95 e con contemporaneo inserimento nel corpo del citato comma 3 dello stesso art. 95 della lett. b-bis) al fine di riprendere la prescrizione già esistente (e ora appunto abrogata), che laddove specificamente autorizzava il criterio del minor prezzo faceva salvo l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o aventi un carattere innovativo.

Inoltre, oltre ad aver modificato la disciplina dell’esclusione automatica delle offerte anomale in risposta ai rilievi della Commissione europea, il decreto è anche intervenuto sulla regolamentazione del metodo antiturbativa, modificando (nel senso della semplificazione) sia il comma 2 che il comma 3 dell’art. 97 (rispettivamente relativi ai casi di utilizzo del criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa) e ulteriormente distinguendo per il primo caso, con il nuovo comma 2-bis, in dipendenza del fatto che il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore, o meno, a 15.

A4) Modificazione della disciplina del subappalto, con particolare riguardo all’obbligo del concorrente di indicare in sede di gara una terna di subappaltatori.

Già si è potuto rilevare che in questa materia il d.l. è intervenuto in risposta ai rilievi della Commissione europea.

B1) Semplificazione di norme a favore dei piccoli comuni, in particolare in tema di nomina del RUP e del Presidente della Commissione aggiudicatrice dell’appalto, nonché di procedure negoziate.

Rinviando su quest’ultimo punto a quanto si dirà più sotto, il decreto, con la sostituzione del regolamento unico alle vigenti linee guida ANAC nel corpo dell’art. 31, comma 5, consente che in quella sede potranno essere definite le auspicate modifiche in punto di individuazione dei requisiti per la nomina del RUP; mentre in tema di Commissione aggiudicatrice il decreto sembra piuttosto orientato a risolvere una questione in merito segnalata dall’ANAC, con l’inserimento nell’art. 77 del comma 3-bis, per il quale “in caso di indisponibilità o di disponibilità insufficiente di esperti iscritti nella sezione ordinaria dell'Albo ai fini della compilazione della lista di cui al comma 3, la commissione è nominata, anche solo parzialmente, dalla stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto tenuto conto delle specifiche caratteristiche del contratto da affidare e delle connesse competenze[17]”.

Comunque orientata a riconoscere maggior spazio ai comuni di minori dimensioni per l’acquisizione delle prestazioni nei mercati rilevanti è inoltre la modifica apportata al comma 4 dell’art. 37, per cui i comuni non capoluogo di provincia possono ora procedere anche direttamente in alternativa al ricorso agli strumenti di centralizzazione della committenza prefigurati dalla stessa disposizione.

B2) Ridefinizione della disciplina delle procedure per i contratti per i lavori sotto soglia, con graduazione dei vincoli per l’amministrazione aggiudicatrice per scaglioni di importo economico.

Il Governo, dopo un primo intervento con la legge di bilancio 2019 poi cancellato dal d.l. n. 32/2019, ha con questo decreto proceduto a una più complessiva riforma dell’art. 36 del codice, relativa quindi anche agli appalti di servizi e forniture, seguendo il metodo della diversificazione della regolazione per scaglioni di importo economico (seppure differentemente graduati rispetto alla proposta), che prevede in particolare affidamenti diretti entro il valore di 40.000 euro e affidamenti con procedura negoziata previa consultazione di un numero differenziato di operatori economici per tipo contrattuale entro il valore di 200.000 euro per i lavori o la soglia generale per servizi e forniture.

Inoltre, attualizzando una previsione delle direttive europee[18], il d.l. ha riscritto il comma 5 dell’art. 36, prevedendo per tali contratti la possibile inversione dell’ordine procedurale, vale a dire che “le stazioni appaltanti possono decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica della documentazione relativa al possesso dei requisiti di carattere generale e di quelli di idoneità e di capacità degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la procedura. Se si avvalgono di tale facoltà, le stazioni appaltanti verificano in maniera imparziale e trasparente che nei confronti del miglior offerente non ricorrano motivi di esclusione e che sussistano i requisiti e le capacità di cui all'articolo 83 stabiliti dalla stazione appaltante; tale controllo è esteso, a campione, anche sugli altri partecipanti, secondo le modalità indicate nei documenti di gara”[19].

C1) Misure per accelerare la definizione del contenzioso. Per questo punto il documento ANCI-ANCE in parte riproponeva, ai fini di una ipotesi di estensione, istituti già esistenti (come la previsione ex art. 125, comma 2, del codice del processo amministrativo), oppure ne riprendeva altri già utilizzati e poi scartati dallo stesso legislatore (come il collegio tecnico consultivo quale rimedio alternativo di risoluzione delle controversie, già previsto dall’art. 207 del codice dei contratti pubblici del 2016 e poi soppresso dal decreto correttivo del 2017).

Il decreto legge ha qui seguito una strada autonoma (ma conforme all’opinione di larga parte della dottrina e di esponenti della stessa magistratura amministrativa), con la eliminazione della figura del c.d. rito superspeciale introdotto dall’art. 204 del codice dei contatti nell’art. 120 del codice del processo amministrativo (e con conseguente modifica dell’art. 29, comma 1, del primo)[20].

C2) Accelerazione della definizione delle regole tecniche per l’utilizzo delle piattaforme di e-procurement.

In realtà la modifica per come proposta sembrava investire due distinte disposizioni del codice (l’art. 40, comma 2, e l’art. 52); ma nonostante il tema fosse stato oggetto anche di un Atto di segnalazione dell’ANAC (n. 7 del 19 dicembre 2018), nel d.l. n. 32/2019 non è contenuto alcun intervento specifico al riguardo. Di contro, nell’art. 36 con i nuovi commi 6-bis e 6-ter sono state introdotte misure di semplificazione rilevanti soprattutto per gli affidamenti nei mercati elettronici[21].

D1) Puntualizzazione della disciplina di qualificazione delle Stazioni uniche appaltanti e delle Centrali uniche di committenza, ivi comprese Province e Città metropolitane come soggetti aggregatori.

Il decreto legge non è intervenuto in materia.

D2) Semplificazione delle procedure per l’affidamento degli incarichi di progettazione, mediante la parificazione della soglia limite di tali affidamenti tramite procedura negoziata (nell’art. 157 fissata ad euro 100.000) a quella più generale fissata per i contratti di servizi (pari ad euro 209.000 per le amministrazioni sub-centrali).

Il decreto legge non è intervenuto in materia[22].

4. Subappalto, criteri di aggiudicazione, disciplina dell’anomalia, nomina e requisiti del RUP, motivi di esclusione, oltre che, seppure in misura minore, abolizione delle linee guida e del rito superspeciale, hanno per il vero costituito i temi più frequentati nella consultazione sul codice dei contratti pubblici avviata on line dal Ministero dei trasporti e delle infrastrutture e conclusasi il 10 settembre 2018[23].

Altri poi sono stati i temi emersi nella consultazione come possibili oggetto di riforma e sui quali in effetti il decreto legge è intervenuto. Ci si riferisce in particolare a: i livelli di progettazione (art. 23), gli incentivi per le funzioni tecniche, ora ivi comprese le attività di progettazione (art. 113), la disciplina dei rapporti tra consorzi stabili e imprese consorziate (art. 47), del punteggio massimo attribuibile all’offerta economica nel caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95, comma 10-bis), delle procedure di affidamento in caso di fallimento dell’aggiudicatario in corso di esecuzione e di partecipazione alle gare di imprese ammesse al concordato con continuità aziendale, ai fini di un miglior coordinamento con la relativa normativa generale (art. 110), l’albo nazionale obbligatorio, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di direttore dei lavori e di collaudatore per gli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale, ora abolito (art. 196, commi 3 e 4), il raccordo della disciplina della qualificazione del contraente generale con il sistema generale di qualificazione degli operatori economici (sulla cui necessità aveva formulato indicazione anche il Consiglio di Stato con il parere dell’Adunanza generale n. 1479/2017), ma ora risolto nel senso del superamento di un sistema unitario e l’affidamento del primo alla gestione del Ministero delle infrastrutture (artt. 197 e 199).

In definitiva, le modifiche per le quali il Governo ha agito, per così dire, in autonomia risultano essere quelle apportate ai motivi di esclusione ex art. 80, con la riscrittura del comma 10 e l’inserimento del comma 10-bis, che sono valsi a coordinare la normativa del codice dei contratti pubblici con le nuove regole introdotte a sua volta nel codice penale, con la riscrittura dell’art. 317-bis, dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, recante  misure per il contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione, in punto di incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione come pena accessoria per i reati ivi indicati; nonché le modifiche in tema di SOA ex art. 84, con le quali, se per un verso si è provveduto ad allungare a quindici anni il periodo di attività documentabile dall’operatore economico ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria e tecniche e professionali indicati nell’art. 83, per altro verso si è provveduto ad integrare nel comma 1 la formulazione di principi cui le SOA stesse devono conformare la propria attività di attestazione, recuperando in specie quella parte della disposizione già contenuta nell’art. 40, comma 3, del d.lgs. n. 63/2006, per la quale tali organismi nell’esercizio dell'attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici ”svolgono funzioni di natura pubblicistica, anche agli effetti dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20”, vale a dire rilevanti anche ai fini di eventuale esercizio dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti.

5. Da ultimo, per la parte del d.l. n. 32/2019 che interessa queste note, viene in rilievo anche l’art. 4, che contiene una norma apparentemente fuori del campo di operatività del codice dei contratti pubblici, o meglio apparentemente “contro” il codice stesso: si tratta della previsione circa la possibilità che per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, disponga la nomina di uno o più Commissari straordinari con poteri anche sostitutivi ai fini dell’approvazione dei progetti, abilitati altresì ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e che “operano in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea”.

Le annotazioni sopra apposte all’esposizione del punto trovano spiegazione nel fatto che la figura del Commissario straordinario per le opere pubbliche (di volta in volta definite, prioritarie, strategiche, di intereresse nazionale, etc.) è in realtà una figura ben conosciuta, per non risalire troppo indietro nel tempo, almeno nell’ultimo ventennio di svolgimenti del diritto nazionale dei contratti pubblici (a partire cioè dall’art. 13 del d.l. 25 marzo 1997 n. 67 conv. in l. 23 maggio 1997, n. 135) e ha trovato un qualche spazio anche nella legislazione organica della materia (art. 194 del codice del 2006, art. 214 del codice del 2016). Semmai ciò che manca nel caso di oggi rispetto ai casi del passato, con qualche vulnus al principio di trasparenza, è, per un verso, la prescrizione circa l’obbligo per il Commissario di indicare nei singoli provvedimenti che adotterà le norme che vengono di volta in volta derogate, e, per altro verso, la delimitazione dell’ambito delle deroghe stesse rispetto ai principi generali dell’ordinamento.

Ma la questione centrale sembra essere un’altra, e di portata assai più estesa: vale a dire, come è immaginata debba essere la conformazione della contrattualità pubblica secondo l’attuale decisore politico. È questa una domanda che sorge spontanea anche perché il decreto legge non interviene su alcuni temi della regolazione posta con il codice del 2016 (sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, sistema reputazionale delle imprese), che da più parti erano stati indicati come assi portanti della nuova finalizzazione della disciplina codicistica, ma che a tutt’oggi attendono ancora di essere attuati.

Eppure sono questi temi essenziali, perché, ritornando per un momento a considerazioni più generali di inquadramento della materia, occorrerebbe invero partire dalla ricostruzione dell’analisi delle distinte aspettative che in una relazione di agency – quale è quella che secondo l’analisi economica del diritto configura la relazione tra committente pubblico e operatore economico privato - maturano il “principale” e l’”agente”. Per il contribuente e il ceto politico nella sua funzione di rappresentanza - nonché per la singola amministrazione che procede con strumenti consensuali all’attuazione delle scelte formulate nelle leggi e negli atti di indirizzo politico, e che quindi a sua volta opera nei confronti del “principale” pubblico come “agente” pure pubblico - si tratta del miglior impiego delle risorse pubbliche nel rapporto qualità/prezzo delle prestazioni e dei beni acquisiti ai fini di un loro impiego ottimale per una crescita complessiva del sistema economico e sociale; per l’operatore economico si tratta di avvantaggiarsi di occasioni di profitto, acquisendo e conservando quote del singolo segmento del mercato rilevante. Il nodo centrale consiste allora nella ricerca innanzitutto delle condizioni istituzionali più adeguate per un allineamento dei rispettivi obiettivi.

In questo contesto devono essere di ausilio gli impulsi che, pur con qualche incertezza e contraddittorietà, provengono dal diritto europeo come riformulato con le direttive del 2014[24], da un lato nella direzione della pluralità degli obiettivi di una “policy” dei contratti pubblici, dall’altro di una regolazione semplificata e flessibile, operante soprattutto per principi e regole generali, che risulti valorizzare le forme di cooperazione e di competizione ciascuna al momento e nel modo in cui è giusto che vengano valorizzate . Tutto questo certamente tenendo conto per un verso del monito, seppure pronunciato con riferimento ad altro ambito materiale, di Benjamin Franklin, per cui “there is no kind of dishonesty into which otherwise good people more easily and frequently fall than that of defrauding the government”, e che nel sistema italiano merita precipua attenzione, anche per la specificità derivante dall’interazione tra fenomeni corruttivi e infiltrazioni mafiose. Ma per altro verso del fatto che quel mercato che, volendo abbattere le distorsioni e le interferenze generate dalle particolari caratteristiche strutturali e funzionali del “cliente” pubblico (ma anche talvolta degli stessi oggetti per la cui acquisizione esso entra nel mercato) e dall’adozione di criteri non economici di decisione, la regolazione pro-concorrenziale intende mimare, è, come hanno dimostrato studi non preconcetti sulle relative dinamiche, più un mercato ideale che effettivo, perché nel secondo mancano quelle forme di chiusa separatezza e di massima trasparenza che nel primo si vogliono garantire e realizzare come priorità assolute, a loro volta quasi non negoziabili.

La risposta più adeguata, allora, non sembra poter essere quella di una quasi cieca bulimia legislativa, della quale manifestazione esemplare è la rilevata e reiterata instabilità della stessa normazione generale dei contratti pubblici, e rispetto alla quale lo stesso utilizzo di provvedimenti di “commissariamento” delle amministrazioni in una logica emergenziale continuamente riprodotta[25] certifica piuttosto un fallimento (sebbene non solo come fallimento del coordinamento pubblico e della regolazione amministrativa, ma anche come fallimento del mercato e di nuovo del diritto dei contratti).

Tutto questo impone invece, in definitiva, un sistema che si fondi adeguatamente da una parte sulla qualificazione non solo degli operatori economici anche mediante la previsione di criteri reputazionali, valutati in maniera oggettiva e trasparente da un soggetto terzo, magari attraverso un procedimento che garantisca una qualche forma di contraddittorio per l’impresa, al fine di farne interlocutori affidabili sul lato dell’offerta, dall’altra parte sulla qualificazione delle amministrazioni, al fine di farne interlocutori autorevoli sul lato della domanda, in modo da consentire non solo ai primi di contendere ad armi pari, come fair players, nel mercato rilevante, ma anche alle seconde l’esercizio del “giusto” potere di scelta laddove possibile ed opportuno. Ciò implica,sul lato pubblico, l’approntamento di strutture dedicate in grado di seguire con competenza e autorevolezza una vicenda contrattuale nell’intero arco del suo svolgimento, dalla programmazione prima e progettazione poi della prestazione e della loro successiva traduzione nei documenti di gara alla interazione con i concorrenti nella procedura di aggiudicazione specie in punto di valutazione della qualità delle offerte e di giudizio sull’anomalia della loro parte economica, dalla formulazione del testo contrattuale secondo il giusto coefficiente di completezza al controllo sull’esecuzione e sulle varianti che dovessero insorgere come indispensabili in quella fase rispetto al progetto reso oggetto della prestazione di esecuzione contrattuale. È solo a queste condizioni, infatti che è possibile consentire e anzi stimolare le amministrazioni ad ascoltare, senza restrizioni irragionevoli e sproporzionate, le “voci” del mercato puntando sull’incremento della cultura dell’innovazione, e quindi non penalizzando quei sistemi di affidamento e quegli assetti contrattuali che meglio simulano il funzionamento dei mercati reali attraverso forme e momenti di negoziazione come il dialogo competitivo e il partenariato per l’innovazione e le varie modalità di partenariato contrattuale pubblico-privato vero e proprio[26].

Se dunque viene in chiaro rilievo la convenienza dell’apertura a modalità più serrate di dialogo delle amministrazioni con il mercato, con pari evidenza si ripropone contestualmente – secondo un vincolo, anzi, di imprescindibilità – il punto critico della formazione degli operatori pubblici, addetti alle attività in oggetto all’interno dei corpi degli apparati amministrativi, in quanto la costruzione dei due elementi – quello funzionale e quello strutturale - come componenti necessarie della contrattualità pubblica può valere come rimedio alla seconda caratteristica problematica del rapporto di agency tra parte pubblica e parte privata, cioè l’esistenza delle da tempo rilevate asimmetrie informative che rendono troppo spesso il “principale” pubblico un contraente debole. Ma a tale scopo è anche assolutamente evidente che il sistema della contrattazione pubblica richiede, su entrambi i lati del gioco, di essere accompagnato da un “ben temperato” meccanismo  di incentivi e responsabilizzazioni, fatto di premi e sanzioni e mirante a costruire la reciproca affidabilità e reputazione, senza però che, in specie ancora sul versante pubblico della vicenda, ogni scelta discrezionale non condivisa dal controllore possa tradursi (quasi) automaticamente in una imputazione per responsabilità per danno erariale[27].

È da questo punto di vista più generale, dunque, che inducono elementi di preoccupazione le principali novità introdotte con il d.l. in esame[28]: dalla preferenza (peraltro condivisa, invero, da larga parte della dottrina amministrativistica ed espressa con il ritorno al sistema del regolamento unico previa marginalizzazione dello strumento delle linee guida)[29] verso prescrizioni a carattere cogente di fonte formalmente secondaria che vanno a collocarsi negli interstizi delle disposizioni di legge (magari più che raddoppiandone il numero) rispetto a previsioni a carattere direttivo (quali quelle contenute nelle per il vero non sempre adeguatamente confezionate linee guida ANAC), in grado non di costituire un vulnus allo Stato di diritto (come pure è stato detto) bensì, conformemente all’insegnamento romaniano, di esprimere un valore orientativo e riflessivo capace di stimolare il protagonismo consapevole del decisore amministrativo; al ritorno in primo piano dell’istituto dell’appalto integrato, che se pure formalmente compatibile con il diritto UE, riflette, venendo a incidere su una delle specifiche incompatibilità tra le varie funzioni rilevanti disposte dalla normativa del 2016, una posizione comparativa di debolezza della stazione appaltante destinata a riflettersi sullo svolgimento dell’intera vicenda contrattuale non sufficientemente compensata dagli elementi di integrazione nella disciplina in merito apportati dal decreto; al ritorno della centralità del metodo di aggiudicazione secondo il criterio del massimo ribasso, che oltre ad esprimere una netta controtendenza rispetto all’orientamento del diritto europeo, ha rivelato la sua pratica abusiva nella esperienza nazionale in tutti i casi, per il vero statisticamente frequenti, in cui il ribasso grazie al quale il contratto è stato aggiudicato è pari o si avvicina all’importo della variante che entra in gioco nella fase dell’esecuzione del contratto, nel mentre che lo stesso criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa vede messa a rischio la sua idoneità a valorizzare qualità e innovazione della prestazione contrattuale in considerazione della eliminazione del tetto massimo di valore attribuibile in sede di gara all’elemento economico dell’offerta; al ripristino dell’autonoma capacità dei piccoli comuni (per necessità organizzativamente e tecnicamente di regola poco attrezzati quanto a professionalità specifiche) a presentarsi sul mercato nel mentre che si allarga la possibilità per le amministrazioni di procedere all’aggiudicazione di contratti in forme negoziate previa consultazione di un numero ora anche più ristretto di operatori economici.

Ed inoltre va rimarcato che sono tutte modifiche a disposizioni del codice dei contratti pubblici, quelle testé elencate, che pure rappresentavano (quasi) altrettante innovazioni introdotte dal codice stesso in attuazione dei principi e criteri direttivi di cui alla legge n. 11/2016 e la cui cancellazione apporta ora elementi di distonia nella relazione tra legge delegante e legge delegata, che, sebbene non rilevanti, secondo quello che è il consolidato insegnamento della Corte costituzionale, nell’ambito di valutazione del parametro di cui all’art. 76 Cost. in ragione della stretta attinenza di questo al rapporto “interno” tra le due fonti, nondimeno vengono inevitabilmente a inficiare l’organicità di un disegno normativo (condivisibile o meno che esso fosse).

Da questo punto di vista, allora, sarà bene e anzi pressoché inevitabile guardare non solo e non tanto alla legge di conversione del decreto legge, quanto al più complessivo processo di riforma avviato dal Governo con la presentazione quasi contemporanea, come già ricordato inizialmente, di un ddl delega, il n. 1162, avente per oggetto (nuovamente) la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici. La lettura dei principi direttivi contenuti in tale disegno di legge non sembra in grado di consentire ora una adeguata valutazione dei contenuti che concretamente potrà venire ad assumere la nuova regolazione della materia. C’è da augurarsi che alcune pur specifiche misure rilevanti per la materia stessa, che hanno trovato posto in testi normativi diversi da quello in esame, e che hanno previsto da un lato la creazione di una apposita struttura per la progettazione di beni ed edifici pubblici chiamata a supportare amministrazioni centrali e territoriali al fine di contribuire, per tali edifici e beni, alla valorizzazione, all’innovazione tecnologica, all’efficientamento energetico e ambientale nella progettazione e nella realizzazione, alla progettazione degli interventi di realizzazione e manutenzione, ordinaria e straordinaria, nonché alla predisposizione di modelli innovativi progettuali ed esecutivi o con elevato grado di uniformità e ripetitività (art. 1, commi 161-162, l. n. 145/2018), dall’altro, l’autorizzazione all’assunzione a tempo indeterminato, a partire dal 1° dicembre 2019, di cento unità di personale di alta specializzazione ed elevata professionalità, da individuare tra ingegneri, architetti e geologi e, nella misura del 20 per cento, di personale amministrativo, da inquadrare nel livello iniziale dell’Area III del comparto delle funzioni centrali, al fine di consentire il più celere ed efficace svolgimento dei compiti dei Provveditorati interregionali alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture (art. 47, d.l. 30 aprile 2019, n. 34), rappresentino altrettanti segnali di una diversa consapevolezza circa gli obiettivi da realizzare con l’intervento di riforma di più lungo periodo[30].  


[1] … per i quali pure, come è noto, le amministrazioni aggiudicatrici, secondo la giurisprudenza europea, sono tenute a rispettare le norme fondamentali e i principi generali dei Trattati UE e, in particolare, il principio di parità di trattamento e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, nonché l'obbligo di trasparenza che ne deriva.

[2] Per non ricordare le 181 correzioni apportate agli errori contenuti nel testo del d.lgs. n. 50/2016 con il preteso “avviso di rettifica” pubblicato sulla G.U. del 15 luglio 2016.

[3] Ma tra essi non compare il Ministro per gli affari esteri, anche se di fatto il decreto legge intende rimediare ad alcuni almeno dei rilievi di non conformità al diritto UE sollevati dalla Commissione europea con la lettera della quale lo stesso Ministro è stato il destinatario, secondo quanto poi è stato esplicitato nella relazione al ddl n. 1248 presentato al Senato per la conversione del decreto legge (senza che per questo, peraltro, il suddetto Ministro assuma la veste di proponente il testo).

[4] Per questo ambito tematico, infatti, la lettera di costituzione in mora della Commissione conteneva un secondo rilievo, relativo al comma 5, lett. c), dell’art. 80 e sostanzialmente ispirato alla stessa ratio, concernente il fatto che la valutazione di affidabilità del concorrente in caso di risoluzione anticipata di precedente contratto fosse preclusa fino al termine del giudizio con il quale tale risoluzione fosse stata contestata. In merito dunque il d.l. n. 32/2019 non interviene, avendo già portato la riscrittura della suddetta disposizione, operata con l’art. 5, comma 1, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135,  conv. in l. 11 febbraio 2019, n. 12, e la riformulazione del punto specifico all’interno della nuova lett. c-ter) dello stesso comma, alla eliminazione di quella previsione.

[5] In particolare, nel parere n. 855/2016 sullo schema di decreto delegato, il Consiglio di Stato aveva a suo tempo osservato che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro.

[6] A sua volta oggetto di specifico rilievo della Commissione, come si vedrà, anche questo rimasto senza seguito .

[7] Della quale si veda il precedente costituito dalla sentenza Wroclaw del 14 luglio 2016, in causa C-406/14 (seppure riferito alle direttive del 2004) e non a caso menzionato nella lettera della Commissione europea.

[8] Anche il Consiglio di Stato, VI, ord. n. 3553 dell’11 giugno 2018, ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale in tema (seppure con riferimento alla disposizione del precedente codice), che ha dato origine alla causa C-402/18.

[9] Nonché della parte al riguardo rilevante dell’art. 174, comma 2, relativa alle concessioni, anche se questa non era stata oggetto di espresso rilievo da parte della Commissione.

[10] Consequenziale a questa parte del decreto deve essere poi ritenuta la eliminazione di altre (parti di) disposizioni del codice che richiamavano l’art. 105, comma 6, per prescrivere l’esclusione del concorrente in presenza di una situazione costituente motivo di esclusione di uno dei suoi subappaltatori (art. 80, comma 1 e comma 5; e in questo senso anche il comma 4, lett. d), dello stesso art. 105). Resta ferma invece la disposizione (lett. c), dello stesso comma 4) che prevede la verifica del possesso dei necessari requisiti da parte del subappaltatore al momento dell’autorizzazione al subappalto.

[11] Si prescinde qui dalla diversa (e sostanzialmente minore) portata che la distinzione può assumere ai fini dell’applicazione della normativa speciale sulla tracciabilità dei flussi finanziari relativi all’esecuzione di contratti pubblici: v. in merito la delibera ANAC del 31 maggio 2017.

[12] Anche in questo caso era stata formulata una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del  Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4982  del 30 ottobre 2017, ma la Corte di giustizia, con sentenza del 14 febbraio 2019, in causa C-710/17, Consorzio Cooperative Costruzioni, ha dichiarato tale domanda irricevibile per mancanza di un interesse frontaliero certo.

[13] C. giust. UE, 22 ottobre 2015, in causa C-425/14, Impresa Edilux, punto 39. Merita di essere segnalato che questa come altre delle disposizioni in tema di subappalto oggetto dei rilievi della Commissione sono state inserite nel codice dal decreto correttivo, con un irrigidimento della disciplina in oggetto rispetto al quale il diritto nazionale è indotto ora a fare un passo indietro.

[14] Consultabile all’indirizzo http://www.appaltiecontratti.it/2018/07/20/

[15] In realtà, peraltro, tenendo conto di quanto rilevato infra, alla nota 29, il punto si sarebbe potuto anche inserire nel gruppo sub B), in dipendenza della portata secondo la quale si vuole interpretare la proposta in merito contenuta nel protocollo in esame.

[16] All’ambito degli interventi sulla normativa relativa alla progettazione possono essere ricondotti anche la parziale ridefinizione della disciplina del lavori di manutenzione ex art. 23, comma 3-bis, ora affidabili sulla base del progetto definitivo, e l’eliminazione della incompatibilità tra titolarità dell’incarico di progettazione ed affidamento dell’esecuzione dei lavori per le concessioni ex art. 24, comma 7, ivi sancita come incompatibilità assoluta e in quanto tale potenzialmente non conforme con l’art. 3 della dir. 23/2014 .

[17] Il riferimento è all’Atto di segnalazione n. 1 del 9 gennaio 2019, dal quale la disposizione di cui al d.l. si discosta per la parte in cui non prevede la previa determinazione di regole di competenza e trasparenza da parte di ciascuna stazione appaltante.

[18] Art. 56, par. 2, dir. 24/2014. Il codice aveva ripreso tale previsione solo per i settori speciali (art. 133, comma 8, disposizione ora integrata per pareggiarla a quella introdotta per i settori ordinari).

[19] La disposizione prevede anche che, sulla base dell'esito di detta verifica, si procede eventualmente a ricalcolare la soglia di anomalia di cui all'articolo 97. Resta salva, dopo l'aggiudicazione, la verifica sul possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto.

[20] Il cui contenuto è stato in parte traslato nell’art. 76, con il comma 2-bis. Va altresì ricordato che sul rito abolito è altresì pendente un giudizio di legittimità costituzionale, promosso da Tar Puglia con le ordinanze n. 138 e n. 141/2018, mentre, per altro verso, la normativa in questione aveva superato il vaglio di conformità al diritto UE sulle procedure di ricorso in materia (C. giust., 14 febbraio 2019, in causa C-54/18, Cooperativa Animazione Valdocco).

[21] E nel comma 6-quater relativamente al sistema dinamico di acquisizione.

[22] Ma si veda però quanto infra, nota 24, per quanto disposto dal decreto per gli interventi relativi alla ricostruzione nei territori investiti dagli eventi sismici.

[23] Consultazione condotta su temi in parte “predefiniti” dal Ministero stesso e in parte “ulteriori”: v. al riguardo il Report sui risultati della consultazione pubblicato sul sito web del Ministero, dal quale emerge, peraltro, che talvolta le indicazioni provenienti dagli stakeholder nel merito di singole proposte erano tra loro discordanti, se non di segno opposto. Per altro verso, con riguardo ai temi già trattati, un esempio di specifica proposta emersa solo in sede di consultazione poi recepita nel decreto legge (con la modifica del comma 13 dell’art. 105) è stata quella attinente alle limitazioni dei pagamenti diretti dell’amministrazione al subappaltatore, mentre sulla questione della ammissibilità alla luce del disposto di cui all’art. 95, comma 10, dell’esclusione automatica senza possibilità di ricorso al soccorso istruttorio anche con riferimento all’indicazione dei costi della manodopera (questione parimenti emersa in sede di consultazione ma non trattata dal d.l.) è sopravvenuta da ultimo, per i limiti di compatibilità con il diritto UE, C. giust. UE, 2 maggio 2019, in causa C-309/18, Lavorgna s.r.l. .

[24] Ma si veda anche la successiva Comunicazione della Commissione Appalti pubblici efficaci in Europa e per l'Europa, COM (2017) 572

[25] La figura del Commissario straordinario è in effetti utilizzata dal d.l. n. 32/2019 (artt. 6 e ss.) anche con riguardo agli interventi di ricostruzione nei territori colpiti dagli eventi sismici degli ultimi anni. A questo proposito meritano qui di essere segnalate, come misure specifiche e a completamento dell’analisi svolta in precedenza, l’autorizzazione all’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara ex art. 63 del codice per gli interventi previsti nei piani di ricostruzione, nonché l’autorizzazione all’affidamento con procedura negoziata previa consultazione di almeno dieci professionisti degli incarichi di progettazione e dei servizi dell’architettura e dell’ingegneria di importo inferiore alla soglia europea mediante il criterio del minor prezzo (quindi in deroga alla regola di cui all’art. 95, comma 3) e con il metodo antiturbativa di cui all’art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter.

[26] Da quest’ultimo punto di vista va segnalato che il d.l. ha ampliato l’area dei soggetti potenzialmente interessati ad assumere un ruolo di primo piano nella finanza di progetto, prevedendo che gli investitori istituzionali ivi individuati possano presentare autonome iniziative nei modi di cui all’art. 183, comma 17-bis.

[27] Ciò peraltro senza che vengano accantonate, per altro verso, adeguate possibilità di tutela per fronteggiare le esternalità negative eventualmente prodotte dalla negoziazione. Per una più articolata analisi degli elementi di un sistema reputazionale e delle condizioni per una riduzione della “separatezza” delle amministrazioni dagli operatori di mercato e più in genere dagli amministrati nell’ambito del ”Contracting State” sia consentito infine il rinvio al mio Lo Stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione pubblica tra concorrenza per il mercato e cooperazione con il potere, Pisa, 2012, passim, ma specie p. 11ss., p. 263ss., p. 429ss., p. 568ss.

[28] Decreto i cui intendimenti sembrano condizionati, sul piano fattuale, da un presupposto non più attuale e da una premessa non integralmente considerata, vale a dire, da un lato, che il lamentato decremento dell’attività contrattuale pubblica prodottosi successivamente all’entrata in vigore del codice del 2016 è ormai largamente in via di superamento (come dimostrano i dati raccolti nei Rapporti quadrimestrali pubblicati dall’ANAC), dall’altro che la stessa attività  si addensa per la maggior parte su importi contrattuali inferiori alle soglie europee e che quindi la relativa disciplina va maneggiata con particolare cura, al fine di evitare effetti di alterazione dell’assetto dei mercati rilevanti.

[29] Lo strumento delle linee guida ANAC non è infatti scomparso dal testo del codice pur dopo l’intervento del d.l. n. 32/2019: oltre alla permanenza della previsione generale ex art. 213, comma, si vedano l’art. 78, comma 1, l’art. 80, comma 13, l’art. 83, comma 10, il nuovo art. 110, comma 6, l’art. 177, comma 3, l’art. 181, comma 4.

[30] In questa direzione, nel senso del potenziamento della funzione di coordinamento pubblico, possono essere lette, se si vuole, anche misure, previste dalla legge di bilancio per il 2019, quali l’introduzione della Cabina di regia “Strategia Italia” e della Struttura di missione “Investitalia”. La questione attiene a quanto gli esiti di accentramento delle decisioni che sembrano inevitabilmente destinati a derivarne potranno essere resi compatibili con la complessità e l’articolazione del sistema istituzionale, con le conseguenti refluenze sul piano dell’efficienza amministrativa e quindi del benessere economico-sociale.