Cons. Stato, sez. III, 09 novembre 2018, n. 6326

1. E’ sufficiente sul punto ricordare che la giurisprudenza di questa Sezione (da ultimo,  Consiglio di Stato, sez. III, 27.09.2018, n. 5551), che il Collegio condivide e fa propria, ha affermato che la cd. clausola sociale (art. 50d.lgs. n. 50/2016) deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto. Corollario obbligato di questa premessa è che tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante(Consiglio di Stato, sez. III, 05.05.2017 n. 2078). Quindi, secondo questo condivisibile indirizzo la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento (Consiglio di Stato, sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433; id., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255; id. 9 dicembre 2015, n. 5598; id. 5 aprile 2013, n. 1896; id., sez. V, 25 gennaio 2016, n. 242; id., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890).

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5985 del 2017, proposto dalla Cooperativa Sociale Asso, Agenzia Servizi e Supporto Organizzativo Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio Paolucci e con questi elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Massimo Letizia in Roma, via Monte Santo, n. 68, 

contro

l’Azienda Usl di Modena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Rosaria Russo Valentini e Roberto Bonatti, e con questi elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Maria Rosaria Russo Valentini in Roma, piazza Grazioli, n. 5; 
l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, nonchè; 

nei confronti

della GPI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Vinti e Dario Capotorto, e con questi elettivamente domiciliata presso lo studio Vinti & Associati in Roma, via Emilia, n. 88; 
della dott.ssa Marialuisa Spinelli, non costituita in giudizio, 

per la riforma

della sentenza del Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, n. 333 del 2 maggio 2017, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento della decisione 10 ottobre 2016, n. 1939 adottata dal Direttore del Servizio Unico Acquisti e Logistica dell'Azienda USL di Modena, comunicata con nota 12 ottobre 2016 prot. n. 77035, con cui è stato aggiudicato definitivamente alla società GPI s.p.a. il servizio triennale, rinnovabile per uguale periodo, di prenotazione telefonica unica per l'attività del S.S.N. delle Aziende sanitarie modenesi e per l'attività in libera professione dell'Azienda USL di Modena nonché di supporto alla prenotazione (help desk) a favore degli utilizzatori esterni del sistema CUP (farmacie, strutture private accreditate, centri commerciali); nonché per la declaratoria dell'inefficacia e/o caducazione del contratto, eventualmente stipulato tra la stazione appaltante e l'aggiudicataria GPI s.p.a., e per la condanna della stazione appaltante alla reintegrazione in forma specifica e/o al risarcimento del danno per equivalente, anche per perdita di chances e per danno curriculare.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Usl di Modena;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della GPI s.p.a.;

Vista la sentenza n. 1259 del 28 febbraio 2018, con la quale è stata disposta una verificazione;

Vista la relazione del verificatore, depositata il 31 luglio 2018;

Viste le memorie prodotte dalle parti costituite in giudizio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso n. 887 del 2016, notificato il 14 novembre 2016 e depositato al Tar Bologna il successivo 23 novembre, la Cooperativa Sociale Asso, Agenzia Servizi e Supporto Organizzativo Soc. Coop (d’ora in poi, Asso) ha impugnato l’aggiudicazione definitiva della gara del 10 ottobre 2016 alla GPI s.p.a. (d’ora in poi, GPI), bandita dalla Azienda Usl di Modena, per l’affidamento del servizio triennale, rinnovabile per uguale periodo, di prenotazione telefonica unica per l'attività del S.S.N. delle Aziende sanitarie modenesi e per l'attività in libera professione dell'Azienda USL di Modena, nonché di supporto alla prenotazione (help desk) a favore degli utilizzatori esterni del sistema CUP (farmacie, strutture private accreditate, centri commerciali). Ha altresì chiesto la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato con la GPI nonché la condanna della stazione appaltante alla reintegrazione in forma specifica e/o al risarcimento del danno per equivalente, anche per perdita di chances e per danno curriculare.

Espone, in fatto, che il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa tramite l’attribuzione di un massimo di 50 punti alla qualità del progetto e di un massimo di 50 punti al prezzo proposto dai concorrenti.

La gara, alla quale hanno partecipato tre operatori economici, è stata aggiudicata alla GPI, attuale affidataria del servizio affidatole nel 2010, con 97,24 punti (di cui 45,21 per la qualità del progetto e 50,00 per il prezzo proposto), mentre la Asso si è collocata seconda in graduatoria con 93,39 punti (di cui 47,86 per la qualità del progetto e 43,39 per il prezzo proposto).

L’offerta della GPI, sottoposta alla valutazione di anomalia, dopo una serie di approfondimenti è stata ritenuta congrua.

2. Avverso l’aggiudicazione la Asso ha proposto ricorso al Tar Bologna denunciando:

a) la violazione degli artt. 86-88, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 163, sul rilievo che durante il procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta la GPI ha modificato la propria offerta, sia riducendo il numero delle risorse umane Full time equivalent (FTE) da 15,5 a 14,36, sia modificando la percentuale del 2% degli oneri di sicurezza;

b) la violazione dei trattamenti retributivi minimi previsti dal CCNL in quanto, aumentando le ore di ciascun operatore facente parte dell’organigramma della GPI fino a raggiungere 15,5 risorse umane FTE, il costo del lavoro ammonterebbe ad euro 426.282,14, superiore di oltre 20.000 euro rispetto a quanto dichiarato dall’aggiudicataria;

c) l’elusione dell’obbligo della GIP di mantenere in offerta economica il costo di un lavoratore da riassorbire, che si trovava in congedo parentale straordinario e che sarebbe rientrato in servizio certamente prima della conclusione del rapporto contrattuale triennale;

d) l’illegittima verifica dell’anomalia dell’offerta della GPI conseguente agli errori dei conteggi contenuti nelle giustificazioni prodotte dall’aggiudicataria;

e) l’erronea valutazione dell’offerta tecnica della GPI;

f) l’illegittimo esautoramento delle competenze del RUP, essendo stato il giudizio di congruità dell’offerta compiuto dalla sola Commissione giudicatrice.

3. Con ricorso incidentale, notificato il 13 dicembre 2016, la GPI ha, a sua volta, contestato la mancata verifica sia della congruità dell’offerta presentata dalla Asso che del possesso dei requisiti di qualificazione della stessa e, quindi, il suo collocamento al secondo posto in graduatoria, con conseguente difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse a proporre il ricorso principale.

4. Con ordinanza n. 356 del 20 dicembre 2016 la sez. II del Tar Bologna ha respinto l’istanza di sospensione cautelare dell’aggiudicazione.

Con sentenza n. 333 del 2 maggio 2017 lo stesso Tar ha respinto il ricorso principale e dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso incidentale, richiamando principii ormai consolidati in tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, del suo oggetto e della sindacabilità dell’esito di tale accertamento da parte del giudice amministrativo. Alla luce di tali canoni giurisprudenziali ha escluso che la valutazione compiuta in ordine alla anomalia dell’offerta presentata da GPI fosse affetta dai macroscopici profili di illogicità e erroneità fattuale che, soli, consentono al giudice amministrativo di sostituirsi all’Amministrazione.

Il Tar ha quindi escluso che, in sede di giustificativi, la GPI avesse modificato la propria offerta né che fossero riscontrabili valutazioni illogiche o irragionevoli in relazione agli oneri della sicurezza - dal momento che le giustificazioni appaiono dirette a distinguere interferenze tra costi del lavoro ed oneri di sicurezza senza che emergano traslazioni di costi da una voce ad altra - e al costo del lavoro e ai trattamenti minimi salariali, non introducendo le tabelle ministeriali minimi assolutamente inderogabili. Privo di fondamento è stato ritenuto dal giudice di primo grado anche il motivo in ordine alla non corretta applicazione della clausola sociale, non avendo la ricorrente Asso provato che la considerazione del costo del lavoratore in congedo parentale avrebbe inciso in maniera determinante sulla sostenibilità complessiva dell’offerta della controinteressata.

Non meritevole di favorevole apprezzamento è, ad avviso del Tar, il motivo volto a confutare la valutazione dell’offerta tecnica compiuta dalla Commissione, non essendo assecondabile il tentativo della Asso di sostituire la propria valutazione a quella della Commissione stessa.

Infine, diversamente da quanto afferma la Asso, il Rup ben può avvalersi di altri soggetti – e quindi anche della Commissione di gara – nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.

5. Avverso la sentenza del Tar Bologna la Asso ha proposto appello, notificato il 26 luglio 2017 e depositato il successivo 10 agosto, deducendo l’erroneità della decisione di primo grado per:

a) Error in judicando per violazione ed errata applicazione degli artt. 86, 87 e 88, d.lgs. n. 163 del 2006. Violazione dei princìpi del giusto procedimento, della par condicio dei concorrenti e del divieto di modificazione dell’offerta. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di istruttoria. Contraddittorietà, illogicità e incongruenza del giudizio di congruità dell’offerta. Carenza di presupposti.

Contrariamente a quanto affermato dal Tar, l’offerta della GPI, in sede di giustificativi sull’anomalia, è stata modificata.

E’ stato innanzitutto eliminato l’operatore indicato con il n. 11 nella tabella fornita dalla stazione appaltante durante la gara a tutti i concorrenti, mentre la GPI nella propria offerta si era vincolata “al mantenimento in organico del personale attualmente impiegato”. Di 24 operatori ne sono rimasti, infatti, 23, perchè uno (la cui prestazione lavorativa era di 20 ore settimanali) non fa più parte della squadra offerta da GPI all’Azienda sanitaria committente. Dunque, in sede di attribuzione del punteggio tecnico l’Azienda USL di Modena ha esaminato un’offerta di 24 operatori, mentre in sede di valutazione di anomalia ha esaminato una diversa offerta di 23 operatori.

Diversamente da quanto afferma il Tar tale sopravvenuta modifica della consistenza numerica della squadra non lascia neppure “immodificato il numero di ore annuali lavorate (indicato in 24.505,5 in sede di offerta)”. Inoltre, il numero medio di ore annue lavorate (1.689,32) presuppone il mancato godimento delle ferie e dei permessi garantiti contrattualmente ed ex lege a tutti i dipendenti del CCNL Multiservizi. Applicando, invece, al personale impiegato da GPI la reale incidenza della percentuale di assenteismo depurata dalle ore di ferie (diritto insopprimibile perché costituzionalmente riconosciuto ai lavoratori), le ore di lavoro offerte da GPI sono 23.507,20, inferiori alle 24.505,50 indicate nel progetto tecnico e nella sentenza di primo grado.

In conclusione, la GPI ha giustificato ex post la congruità della propria offerta economica eliminando il costo del lavoro di un operatore (a quanto pare in congedo parentale) e sostenendo che gli altri lavoratori riescono a coprire l’orario mancante non facendo ferie e non usufruendo dei permessi garantiti ex lege.

Ripristinando le ore di ferie e di permessi la GPI offre in sede di giustificazioni di anomalia solo 14,36 unità Full Time Equivalent, e non più 15,5 unità FTE.

Erroneamente poi il giudice di primo grado ha ritenuto che “in relazione agli oneri di sicurezza non fossero riscontrabili valutazioni illogiche o irragionevoli, dal momento che le giustificazioni appaiono dirette a distinguere interferenze tra costi del lavoro ed oneri di sicurezza, non emergendo, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, traslazione di costi da una voce all’altra”.

Ciò non risponde al vero, dal momento che in sede di giustificazioni una somma pari a € 6.000,00 degli oneri di sicurezza (su un totale di € 8.841,80) sono stati illegittimamente ‘dirottati’ sulla voce del costo del lavoro, al fine di colmare la differenza tra il costo delle risorse umane dichiarato in sede di prime giustificazioni (€ 399.375,00) e il costo (€ 405.375,00) indicato nei giustificativi.

b) Error in judicando per violazione ed errata applicazione dell’art. 86, comma 3 bis, e dell’art. 87, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006. Violazione ed omessa applicazione degli artt. 36 Cost. e 1, d.l. n. 338 del 1989. Violazione ed omessa applicazione dell’art. 11 del Capitolato speciale d’appalto. Violazione dei minimi retributivi previsti dal CCNL di riferimento. Violazione della par condicio dei concorrenti. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, errato presupposto di fatto e ingiustizia manifesta. Illogicità e contraddittorietà del giudizio di non anomalia dell’offerta. Difetto di istruttoria e travisamento.

Il Tar non ha considerato che le tabelle allegate dalla GPI alle giustificazioni del 5 settembre 2016 fanno unicamente riferimento al CCNL nazionale e non contengono invece le ulteriori voci retributive minime introdotte dalla contrattazione territoriale decentrata per la Provincia di Modena, così violando i "minimi retributivi" previsti dalla Contrattazione collettiva del CCNL Multiservizi, che demanda alla contrattazione territoriale la definizione dei premi di produzione e di risultato previsti dal CCNL di secondo livello.

c) Error in judicando per violazione ed omessa applicazione dell’art. 13 del Capitolato Speciale d’appalto e dell’art. 1, comma 10, l. n. 11 del 2016. Violazione e omessa applicazione del CCNL Multiservizi. Violazione della par condicio dei concorrenti. Difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Illogicità e irragionevolezza.

La GPI avrebbe dovuto mantenere nell’offerta economica il costo del lavoratore in congedo parentale straordinario (indicato con il n. 11 nella tabella fornita dalla stazione appaltante durante la gara a tutti i concorrenti) in attesa del suo rientro in servizio. Peraltro tale congedo dura al massimo 24 mesi, mentre l’appalto di cui è causa ha durata triennale, e quindi manca in ogni caso, nei conteggi di GPI, il costo del lavoratore al rientro (costo rilevante, considerato che il congedo era già sussistente alla data di presentazione dell’offerta e che, dunque, il rientro del lavoratore avverrà, considerata la durata massima dell’istituto, ben prima dei tre anni di durata dell’affidamento).

d) Error in judicando per violazione ed errata applicazione degli artt. 86, 87 e 88, d.lgs. n. 163 del 2006. Error in judicando per violazione dei princìpi del giusto procedimento di valutazione delle offerte anormalmente basse e della par condicio dei concorrenti. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca, illogicità e incongruenza di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti.

Erroneamente il giudice di primo grado non ha considerato che l’asserita maggiore produttività del personale indicato da GPI non è reale perché è stata determinata dal suo perito dapprima conteggiando le ore di ferie e permesso non godute nell’anno come ore di maggiore lavoro e, successivamente, portandole in diminuzione delle ore di assenza (per malattia, maternità, ecc…), così da ridurre la percentuale di assenteismo del personale.

Nell’offerta dell’aggiudicataria è, infine, mancata l’analisi sulle voci di offerta relative agli “altri costi” (ad esempio, della sede di Modena, delle linee telefoniche, ecc.) e ai “costi generali”.

e) In subordine. Error in judicando per violazione ed errata applicazione della lettera di invito e del capitolato speciale e per errata attribuzione del punteggio tecnico alle risorse umane offerte da GPI s.p.a.. Difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Illogicità e incongruenza di motivazione.

Alla luce dei vizi, che inficiano l’offerta tecnica della GPI, il punteggio assegnatole (10 punti alle “modalità di organizzazione e di coordinamento del servizio” e 8 punti alla “gestione delle risorse umane”) è eccessivo e ingiustificato, posto che le risorse umane dalla stessa proposte non sono in grado di garantire la corretta esecuzione del servizio e sono palesemente sottostimate per difetto. La Commissione giudicatrice avrebbe quindi dovuto attribuire alla controinteressata al massimo 3 punti per il sottocriterio a) e 3 punti per il sottocriterio b), con conseguente aggiudicazione dell’appalto alla Cooperativa sociale Asso.

f) In subordine: error in judicando per violazione ed errata applicazione dell’art. 88, d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 121, d.P.R. n. 207 del 2010. Incompetenza della Commissione giudicatrice. Violazione dei princìpi del giusto procedimento e dell’art. 9, l. n. 241 del 1990.

Illegittimamente il giudizio di congruità dell’offerta della GPI è stato espresso unilateralmente e autonomamente dalla Commissione giudicatrice e non (anche) dal Responsabile del procedimento.

6. La Asso chiede quindi, in accoglimento dell’appello, in via principale la reintegrazione in forma specifica tramite l’annullamento degli atti impugnati e l’aggiudicazione a suo favore del servizio o, in subordine, la rinnovazione della procedura ad evidenza pubblica.

Ove la reintegra in forma specifica non fosse possibile, chiede la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento per equivalente, anche per perdita di chances, del danno ingiusto patito, sia per danno emergente che per lucro cessante.

7. Si è costituita in giudizio l’Azienda Usl di Modena che, con memoria depositata il 19 settembre 2017, ha ribadito la legittimità dell’aggiudicazione disposta a favore della GPI s.p.a..

8. Si è costituita in giudizio la GPI s.p.a. che, con memoria depositata il 19 settembre 2017, ha preliminarmente eccepito la tardività dell’appello per essere stato notificato oltre il termine decadenziale, mentre nel merito ha ribadito la legittimità dell’aggiudicazione disposta in suo favore.

9. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena non si è costituita in giudizio.

10. La dott.ssa Marialuisa Spinelli, evocata in giudizio in qualità di responsabile del procedimento, non si è costituita in giudizio.

11. Con ordinanza n. 3981 del 21 settembre 2017 è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata, in considerazione dell’avvenuta stipula, in data 26 dicembre 2016, del contratto tra l’Azienda ospedaliero Universitaria Policlinico di Bologna e la GPI, ferma però restando una sollecita fissazione dell’udienza di trattazione del merito.

12. Con sentenza n. 1259 del 28 febbraio 2018 la Sezione, dopo aver respinto l’eccezione di tardività dell’appello, ha disposto una verificazione, incaricando un professore di prima fascia di economia aziendale dell’Università di Bologna designato dal Rettore della stessa Università, o un suo delegato, di accertare se, alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile, il giudizio di non anomalia dell’offerta della GPI s.p.a. sia da ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza.

13. In data 31 luglio 2018 il verificatore ha depositato la propria relazione.

14. Alla vigilia dell’udienza di discussione le parti hanno depositato ulteriori memorie a sostegno dei rispettivi assunti difensivi.

15. Alla pubblica udienza del 18 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in fatto, l’appello proposto dalla Cooperativa Sociale Asso, Agenzia Servizi e Supporto Organizzativo Soc. Coop (d’ora in poi, Asso) è, nella sostanza, volto a contestare il giudizio di non anomalia dell’offerta, reso dalla Commissione di gara a seguito di reiterati giustificativi richiesti alla prima graduata GPI s.p.a. (d’ora in poi, GPI), peraltro affidataria uscente dello stesso servizio, che le era stato aggiudicato nel 2010.

L’appellante tenta di dimostrare l’illegittimità della valutazione compiuta dalla Commissione, che non si sarebbe avveduta che la GPI, nel tentativo di giustificare la serietà della propria offerta, avrebbe finito, attraverso i giustificativi, per modificarla nel numero degli operatori impiegati nel servizio e per violare i minimi retributivi previsti dal Contratto collettivo nazionale di riferimento. Ancora, erroneamente non si è tenuto conto del fatto che in sede di giustificazioni una somma pari a € 6.000,00 degli oneri di sicurezza (su un totale di € 8.841,80) sono stati illegittimamente ‘dirottati’ dalla GPI sulla voce del costo del lavoro, al fine di colmare la differenza tra il costo delle risorse umane dichiarato in sede di prime giustificazioni (€ 399.375,00) e il costo (€ 405.375,00) indicato nei giustificativi.

2. Con sentenza n. 1259 del 28 febbraio 2018 la Sezione, dopo aver respinto l’eccezione di tardività dell’appello, ha disposto una verificazione, incaricando un professore di prima fascia di economia aziendale dell’Università di Bologna, designato dal Rettore della stessa Università, o un suo delegato, di accertare se, alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile, il giudizio di non anomalia dell’offerta della GPI s.p.a. sia da ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza. Al verificatore è stato, in particolare, chiesto di accertare:

a) se l’offerta della GPI è stata modificata in sede di giustificativi, con particolare riferimento al numero di ore annuali lavorate e agli oneri di sicurezza;

b) se nel calcolo delle ore di lavoro sono stati correttamente calcolati il tasso di produttività del personale della GPI e di assenteismo, nonché il godimento, da parte del personale, dei diritti irrinunciabili alle ferie e ai permessi garantiti contrattualmente ed ex lege a tutti i dipendenti del CCNL Multiservizi;

c) se sono stati rispettati i trattamenti retributivi minimi previsti dal CCNL, anche in considerazione dei contratti collettivi locali applicabili;

d) se effettivamente una parte degli oneri della sicurezza sono stati “dirottati” sulla voce del costo del lavoro;

e) se è mancata l’analisi sulle voci di offerta relative agli “altri costi” (ad es. della sede di Modena, delle linee telefoniche, ecc.) e dei “costi generali”.

In data 31 luglio 2018 il verificatore ha depositato la relazione, a seguito della quale le parti hanno prodotto ulteriori scritti difensivi, con conseguente garanzia del rispetto del principio del contraddittorio.

Come sarà chiarito sub prg. 3, che segue, la verificazione appare al Collegio sufficiente per consentire la decisione anche grazie all’apporto difensivo delle parti soffermatisi sui diversi punti toccati nella relazione del verificatore.

3. Prima di esaminare i diversi motivi di appello e le relative risultanze del verificatore, il Collegio ritiene necessario richiamare – come opportunamente ha fatto il giudice di primo grado – i principi generali che regolano la materia del sindacato del giudizio di non anomalia dell’offerta, perché utili al fine del decidere.

Come insegna un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (tra le tante, Cons. St., sez. III, 12 ottobre 2018, n. 5880; id. 11 ottobre 2018, n. 5857; id., sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158):

a) nelle gare pubbliche il giudizio circa l'anomalia o l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci (Cons. St., sez. V, 17 novembre 2016, n. 4755; id., sez. III, 6 febbraio 2017, n. 514);

b) al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Cons. St., sez. V, 13 febbraio 2017, n. 607 e 25 gennaio 2016, n. 242; id., sez. III, 22 gennaio 2016, n. 211 e 10 novembre 2015, n. 5128);

c) la verifica di congruità di un'offerta sospetta di anomalia non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell'offerta analizzata ed alla capacità dell'impresa - tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne - di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse (Cons. St., sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5798).

Va ancora ricordato che il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto se la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto e se i prezzi offerti trovino rispondenza nella realtà, sia di mercato che aziendale, cioè se gli stessi siano verosimili in relazione alle modalità con cui si svolge il lavoro, alle dimensioni dell'azienda, alla capacità di effettuare acquisti convenienti o di realizzare particolari economie, anche di scala (Cons. St., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2053).

Tali ultima precisazione appare tanto più necessaria perché la relazione del verificatore non sempre è riuscita a dare una risposta definitiva ai diversi quesiti posti dalla Sezione e comunque non univocamente tale da escludere ex se l’anomalia di tutte le voci dubbie, con la conseguenza che questi profili non saranno tali da determinare l’esclusione dell’offerta della GPI solo se, “nel loro complesso”, non ne escludono la congruità.

In ogni caso, dalla documentazione versata in atti e dagli elementi forniti dal verificatore il Collegio è in grado di decidere, senza che siano necessari incombenti istruttori, con l’acquisizione delle offerte integrali (come richiesto dall’appellante), o di un supplemento del verificatore, traendo dalla relazione del verificatore nel suo complesso gli elementi necessari, non essendo di contro utile ripercorrere i singoli passaggi della stessa.

4. Tutto ciò premesso, può ora passarsi all’esame del merito dell’appello.

Con un primo gruppo di motivi la Asso sostiene che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, in sede di giustificativi resi dalla GPI sulla valutazione della anomalia dell’offerta, quest’ultima sarebbe stata modificata nel numero degli operatori impiegati nel servizio. Infatti, dei 24 operatori indicati nella tabella inviata alla stazione appaltante con e mail del 31 maggio 2016, ad avviso dell’appellante ne sono rimasti 23, perché un lavoratore, la cui prestazione era di 20 ore settimanali, non fa più parte della squadra offerta dalla GPI. Le ore offerte da GPI sono, infatti, 23.507,20, inferiori dunque alle 24.505,50 indicate nel progetto tecnico.

La censura è priva di pregio, e ciò esime il Collegio dall’esame del profilo di inammissibilità della stessa, dedotta dall’Azienda USL di Modena sul rilievo che il vizio denunciato non sarebbe stato proposto, con lo stesso contenuto, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in violazione del divieto di jus novorum.

Peraltro, al fine del decidere è necessaria una breve precisazione, stante l’equivoco che può ingenerarsi nell’utilizzo di uno o di altro strumento di misurazione della forza lavoro.

Giova premettere, per meglio comprendere i dati di cui si discute, che l’FTE (id est, Full Time Equivalent - Equivalente a Tempo Pieno) è l’unità di misura normalmente utilizzata nella fase di pianificazione del personale di un’azienda. Un FTE equivale al tempo di lavoro di un collaboratore a tempo pieno (8 ore al giorno, per un totale di 40 ore settimanali) per l’intero anno lavorativo (mediamente 218 - 220 giorni). L’anno lavorativo è calcolato partendo dal numero di giorni in un anno (365), da cui vengono esclusi sabati (52), domeniche (52), ferie e festività varie, per determinare l’anno-uomo. L'FTE corrisponde inoltre all’attività lavorativa svolta o pianificata per realizzare un’attività o un progetto. Dire, ad es., che un’attività impegna 10 FTE per un periodo di 6 mesi significa che sono necessarie 10 persone impegnate a tempo pieno per un periodo di 6 mesi.

Ciò chiarito, va rilevato che nell’offerta tecnica la GPI aveva dichiarato che “al fine di rispettare pienamente e per tutto l’arco dell’anno i livelli di servizio (SLA) espressi dalla USL nei documenti di gara nonchè per confermare in organico tutte le risorse attualmente presenti, la dotazione organica individuata da GPI risulta così dimensionata: 14,5 Operatori FTE (id est, Full Time Equivalent, per i quali si intende un operatore equivalente a tempo pieno che svolge attività di circa 1.581 ore l’anno) più 1 Team Leader, per un totale di 15,5 FTE”.

L’organico indicato, chiarisce ancora la società, è già comprensivo delle necessarie risorse per far fronte a: pause previste dalla vigente normativa; ferie; malattie, infortuni e maternità; formazione; permessi e assemblee sindacali.

Moltiplicando il numero di lavoratori FTE (15,5) per il numero di ore annue lavorate (1.581), il monte ore totale annuo lavorate da tutti i dipendenti impegnati nella commessa è di 24.505,5.

Come chiarito, al FTE non corrisponde un criterio di carattere assoluto, nel senso che risente non solo della tipologia di attività alla quale si riferisce (e, dunque, al contratto collettivo applicato, che può prevedere un monte ore annue mediamente lavorate diverse da un altro Contratto, o il numero di ore retribuite ma non lavorate) ma anche del tipo di azienda alla quale sono attribuiti i calcoli e, quindi, dell’organizzazione dell’impresa. Se l’impresa si fonda su un’organizzazione e un sistema di mezzi ottimali, se i dipendenti conoscono bene il lavoro che devono prestare o per una qualsiasi ragione si assentano meno per malattia, la produttività aumenta.

Nella specie il consulente della GPI, nella relazione del 5 settembre 2016, aveva dimostrato che le ore annue aziendali mediamente lavorate erano pari a 1.689,32, su un monte ore “teorico” di 2.088 ore annue per 1 FTE (delle tabelle ministeriali, dunque non concretamente riferite alla singola realtà aziendale). Tale risultato si ottiene calcolando il livello di assenteismo aziendale, che per la GPI è pari a 398,68.

Se quindi i risultati cambiano, nel senso di una maggior produttività, considerando il FTE aziendale di GPI, restano invece immutati i dati, rappresentati nell’offerta tecnica, del numero di lavoratori (24, che è peraltro quantitativamente la medesima dotazione organica utilizzata in occasione dell’affidamento del 2010 dello stesso servizio) e del monte ore annuo (24.505,05), ottenuto moltiplicando 15,5 FTE per 1.581 ore annue (1 FTE è infatti pari, come si è detto, a 1.581).

Il verificatore, al fine di rispondere al quesito relativo alla modifica dell’offerta in sede di giustificativi, ha posto un dubbio preliminare, risolvendo il quale si trova la risposta al quesito stesso, e cioè: “Se il livello vincolante è solamente la fornitura di 24.505 ore che possono essere svolte da un numero variabile di lavoratori secondo una articolazione aziendale da definirsi in seguito, e secondo livelli di produttività ed assenteismo da esprimere, allora la pretesa GPI è corretta poiché non nega la disponibilità delle ore da parte del proprio personale e si ripropone di realizzare una maggiore economicità dell’appalto, una maggiore produttività del personale, una gestione più fluida degli orari e delle chiamate e l’utilizzo dello straordinario. Se il livello vincolante della proposta oggetto di valutazione da parte dell’appaltante e della commissione è invece rappresentato dalla complessiva organizzazione dell’appalto non comprendente solamente la fornitura di ore ma anche l’articolazione in cui tali ore sono proposte tra gli operatori, allora non si può negare che tale proposta sia stata modificata dopo l’assegnazione, sia con la proposta di un diverso tasso di assenteismo, secondo delle valutazioni ‘affinate’ dalla considerazione non delle ore da tabella ministeriale ma da valori aziendali, e dalla diversa considerazione dell’apporto dell’operatore 11 e di altri lavoratori”.

Il Collegio ritiene che ciò che rileva, per valutare la non anomalia dell’offerta, è solamente la fornitura di 24.505 ore svolte dai lavoratori, anche se variabili in relazione all’organizzazione di impresa, della quale la stazione appaltante tiene conto in sede di valutazione dell’offerta tecnica.

Il Collegio rileva altresì il rispetto della cd. clausola sociale, che nella specie non può essere messo in dubbio, nonostante il contrario avviso dell’appellante, secondo cui il lavoratore n. 11 dell’organigramma fornito il 31 maggio 2016 dalla stazione appaltante ai concorrenti (ai fini del riassorbimento di tutte le maestranze), in congedo parentale straordinario, non era stato computato nella gruppo di dipendenti da adibire all’esecuzione dell’appalto. Più precisamente, la GPI avrebbe riassunto tutti i 24 lavoratori che erano stati utilizzati per l’esecuzione dell’appalto già aggiudicatole nel 2010 ma il n. 11, appunto perché in congedo parentale, non era stato assegnato all’appalto di cui è causa.

E’ ben vero, come affermano le parti resistenti, che la clausola sociale non obbliga all’utilizzo del lavoratore proprio nello specifico appalto in relazione alla quale la stessa opera, ma solo alla sua riassunzione.

Non è quindi suscettibile di positiva valutazione la censura di violazione della clausola sociale, atteso che il dipendente in congedo parentale straordinario è stato comunque riassunto, ferma restando la possibile allocazione per l’esecuzione di altro contratto.

E’ sufficiente sul punto ricordare che la giurisprudenza di questa Sezione (da ultimo, 27 settembre 2018, n. 5551), che il Collegio condivide e fa propria, ha affermato che la cd. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto. Corollario obbligato di questa premessa è che tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente (che peraltro nella specie coincide con l’aggiudicataria GPI), nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante (sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078). Quindi, secondo questo condivisibile indirizzo la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento (Cons. St., sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433; id., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255; id. 9 dicembre 2015, n. 5598; id. 5 aprile 2013, n. 1896; id., sez. V, 25 gennaio 2016, n. 242; id., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890).

Anche se non rilevante agli effetti dell’analisi del motivo in esame – in relazione al quale neanche Asso ha dedotto il mancato assorbimento del lavoratore in congedo parentale straordinario ma solo il suo omesso utilizzo nell’appalto di cui è causa – giova ricordare, al fine di rafforzare la legittimità della distrazione di un lavoratore, assunto in virtù della clausola sociale, in altra commessa, che la giurisprudenza (Cons. St., sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078) ha affermato che i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Cons. St., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255).

Ancora, con riferimento al costo del lavoro ed al rischio di impresa, i rilievi del verificatore trovano conferma nella conclusione dell’appalto affidato.

Ha affermato il verificatore (pag. 8) che “occorre ricordare che le giornate di assenza sono stimate a futuro e quindi la domanda ‘se nel calcolo delle ore di lavoro sono stati correttamente calcolati il tasso di produttività del personale della GPI e di assenteismo’ deve essere specificata non trattandosi di calcolo di un valore su variabili certe o accertabili ma di stima di un parametro che sarà possibile verificare solo al termine dell’appalto”.

Rileva il Collegio che i dati offerti da GPI si sono dimostrati corretti. Giova aggiungere che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che non sussiste una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile modesto può comportare un vantaggio significativo per l’impresa anche in termini di qualificazione per essere stata aggiudicataria di un determinato appalto, e inoltre che l’impresa aggiudicataria può, al fine di giustificare la congruità dell’offerta, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell’utile indicate inizialmente nell’offerta, purché non ne risulti una modifica degli elementi compositivi tali da pervenire ad un’offerta diversa rispetto a quella iniziale (Cons. St., sez. V, 12 settembre 2018, n. 5332; id., sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2770).

Nel caso all’esame del Collegio, non solo l’appalto si è concluso – senza che l’Azienda Usl di Modena, neanche nell’ultima memoria depositata il 2 ottobre 2018, abbia denunciato irregolarità – ma ha registrato un aumento di fatturato, e quindi di utili, data la scarsa incidenza dei costi incrementali, che aumentano all’aumentare delle prestazioni (v. certificato di esecuzione del contratto del 25 maggio 2018 del Servizio Unico Acquisti e Logistica del Servizio sanitario regionale Emilia Romagna, versato in atti da GPI il 25 settembre 2018).

Tutto ciò dimostra in fatto, prima ancora che in diritto, che l’offerta presentata dalla GPI non era sottostimata e, quindi, anomala.

Come affermato dalla GPI nella memoria depositata alla vigilia dell’udienza di discussione della causa, indice significativo della concreta sostenibilità dei nuovi prezzi che garantiscono congrui margini di profitto, anche alla luce del costante andamento crescente della domanda di servizi in questo peculiare settore, è anche la circostanza che la stessa società erogava, nel triennio precedente alla gara, i medesimi servizi praticando delle tariffe unitarie per le prestazioni de quibus inferiori del 38% (valore medio), rispetto alle tariffe offerte nella nuova gara.

Anche con riferimento all’utilizzo o meno del contratto collettivo locale (di Modena), il verificatore non prende posizione netta, affermando che “ove si richieda come vincolo che per omogeneità di valutazioni e di computo entrambi i concorrenti debbano utilizzare le tabelle del CCNL della provincia di Modena, le osservazioni di Asso scrl sono fondate e si può affermare che non sono stati correttamente conteggiati i costi del lavoro. Ove invece si aderisca all’interpretazione per cui i contratti collettivi rappresentano criteri di riferimento ma non vincolo assoluto per la valutazione del costo del lavoro e quindi delle offerte la posizione di GPI appare accettabile.”.

Ricorda il Collegio come sia giurisprudenza consolidata – peraltro richiamata anche dall’appellante – quella secondo cui lo scostamento del costo del lavoro rispetto ai valori ricavabili dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi non può comportare, di regola e di per sé, un automatico giudizio di inattendibilità (Cons. St., sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444; id. 14 maggio 2018, n. 2867; id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4912), occorrendo invece che sussistano discordanze “considerevoli” e ingiustificate rispetto a tali valori (Cons. St., sez. V, 12 settembre 2018, n. 5332), ipotesi che non ricorrono nella fattispecie in esame. Contrariamente a quanto afferma la Asso, tale considerazione è assorbente ai fini della reiezione della censura.

Non è suscettibile di positiva valutazione neanche il motivo secondo cui in sede di giustificazioni una somma pari a € 6.000,00 degli oneri di sicurezza (su un totale di € 8.841,80) sarebbero stati illegittimamente ‘dirottati’ sulla voce del costo del lavoro al fine di colmare la differenza tra il costo delle risorse umane dichiarato in sede di prime giustificazioni (€ 399.375,00) e il costo (€ 405.375,00) indicato nei giustificativi.

Sul punto il verificatore parte dall’assunto che il comma 10 dell’art. 95 del nuovo Codice dei contratti pubblici ha una formulazione ambigua, essendo suscettibile di duplice, distinta interpretazione, nel senso di richiedere che nell'offerta economica l'operatore indichi i “costi della manodopera ‘e tra essi’ gli oneri aziendali concernenti l’adempimento” o i “costi della manodopera ‘e in aggiunta’ gli oneri aziendali concernenti l’adempimento”. Ad avviso del verificatore se la corretta lettura della norma fosse la prima non sarebbe stato fatto alcun dirottamento degli oneri della sicurezza, se invece la norma dovesse essere letta nel secondo senso, allora sarebbe stata operata una riclassificazione a modifica delle condizioni proposte.

In effetti l’assunto del verificatore non appare condivisibile, atteso che il bando di gara in più punti specifica che alla procedura si applica il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. L’art. 87, comma 4, ultimo alinea precisa che “Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

Ne consegue che era possibile per il concorrente – e comunque non causa di immediata esclusione – indicare, tra gli oneri per la sicurezza, anche una quota di costo della manodopera, se tale quota è destinata a coprire oneri aziendali per la sicurezza.

Quanto infine all’analisi delle voci di offerta relative agli “altri costi” e dei costi generali” il verificatore ha stimato che gli “altri costi” sono pari al 5.97% dell’offerta, percentuale che appare anche al Collegio, in quanto stima di costi presunti e futuri, non irragionevole.

5. L’appellante deduce, infine, in via gradata due ulteriori motivi.

Afferma, innanzitutto, che alla luce dei vizi che inficiano l’offerta tecnica della GPI, il punteggio assegnatole (10 punti alle “modalità di organizzazione e di coordinamento del servizio” e 8 punti alla “gestione delle risorse umane”) è eccessivo e ingiustificato, posto che le risorse umane dalla stessa proposte non sono in grado di garantire la corretta esecuzione del servizio e sono palesemente sottostimate per difetto. La Commissione giudicatrice avrebbe quindi dovuto attribuire alla controinteressata al massimo 3 punti per il sottocriterio a) e 3 punti per il sottocriterio b), con conseguente aggiudicazione dell’appalto alla Cooperativa sociale Asso.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Giova premettere che la gara è stata aggiudicata alla GPI con 97,24 punti (di cui 45,21 per la qualità del progetto e 50,00 per il prezzo proposto) mentre la Asso si è collocata seconda in graduatoria con 93,39 punti (di cui 47,86 per la qualità del progetto e 43,39 per il prezzo proposto).

L’appellante tenta di superare la prova di resistenza – e dunque di colmare il divario di 3,85 punti che divide il punteggio totale assegnato all’aggiudicataria (97,24) e all’appellante (93,39) – individuando i punti che avrebbero dovuto essere assegnati a due voci dell’offerta tecnica di GPI (“modalità di organizzazione e di coordinamento del servizio” e “gestione delle risorse umane”) alle quali sono stati attribuiti, rispettivamente, punti 10 e 8, mentre più correttamente avrebbe dovuto essere dati 3 punti ciascuna.

L’Asso non spiega però perché dette due voci avrebbero meritato proprio 3 punti; in ogni caso, è granitica la giurisprudenza del giudice amministrativo secondo cui la valutazione delle offerte, così come l’attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice, è espressione dell’ampia discrezionalità riconosciuta a tale organo, sicché le relative censure che investono il merito di tale valutazione, sono sottratte al sindacato di legittimità, salva l’ipotesi della loro manifesta irragionevolezza, arbitrarietà, illogicità, irrazionalità o travisamento dei fatti, dei quali non vi è prova nel caso di specie (Cons. St., sez. V, 6 ottobre 2018, n. 5744).

6. Ancora in via gradata l’appellante afferma che illegittimamente il giudizio di congruità dell’offerta della GPI è stato espresso unilateralmente e autonomamente dalla Commissione giudicatrice e non (anche) dal Responsabile del procedimento.

Il motivo è infondato.

Ed invero, a prescindere dalla condivisibilità o meno della valutazione di non anomalia da parte del Rup che, come afferma GPI e l’Azienda sanitaria, avrebbe fatto proprio il giudizio favorevole reso dalla commissione di gara, è assorbente la considerazione che la competenza alla verifica dell’anomalia del RUP è delegabile, secondo un principio generale in materia di funzioni amministrative, non sovvertito nel settore degli appalti. Ciò vale senz’altro con riferimento all’ipotesi in cui la delega trasli l’esercizio del potere commissione, attesa la posizione che questa riveste nel procedimento di gara (Cons. St., sez. III, 21 luglio 2017, n. 3615).

7. In conclusione, alla stregua delle su indicate coordinate ermeneutiche, confortate dalla lettura complessiva della relazione del verificatore, non si ravvisano nell’operato dell’Amministrazione e nella valutazione di congruità dell’offerta di GPI profili di macroscopica illogicità e irragionevolezza, né sussistono i dedotti vizi di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione, apparendo perciò anche immune dalle censure formulate la sentenza di primo grado che ha ritenuto l’infondatezza del ricorso.

Piccoli scostamenti rilevati anche in sede di verificazione non sono tali da fondare un giudizio di anomalia, in applicazione del già ricordato principio secondo cui giudizio sull’anomalia dell’offerta ha natura globale e sintetica, essendo la verifica volta ad accertare la serietà dell’offerta economica e cioè che in concreto la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.

8. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, proprio in considerazione della valutazione complessiva che occorre effettuare ed essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

9. La particolarità e complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese e degli onorari di giudizio.

Le spese della verificazione sono, invece, poste a carico dell’appellante e liquidate nel dispositivo, in misura ritenuta equa dal Collegio in considerazione dell’impegno profuso dal verificatore.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio.

Pone a carico dell’appellante le spese della verificazione, che liquida in complessivi € 5.000,00, dalla quale somma va scomputato l’anticipo disposto con la sentenza n. 1259 del 2018, se effettivamente versato.

Ordina alla Segreteria della Sezione di comunicare al verificatore l’avvenuta liquidazione del compenso spettante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 Guida alla lettura

L’art. 50 del D.lgs. 50/2016 prevede quanto segue: “Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.”

La Direttiva 24/2014, in merito alla tutela dei lavoratori dipendenti dall’Impresa appaltatrice,  prevede anzitutto un principio di carattere generale, contenuto nell’art. 37 delle Premesse, in base al quale “In vista di un’adeguata integrazione dei requisiti in materia… di lavoro, è particolarmente importante che gli Stati membri e le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure pertinenti per garantire il rispetto degli obblighi… derivanti da leggi, regolamenti, decreti e decisioni, adottati sia a livello nazionale che dell’Unione, e da contratti collettivi purché tali norme, nonché la loro applicazione, siano conformi al diritto dell’Unione.

Parimenti, durante l’esecuzione di un appalto dovrebbero essere applicati gli obblighi derivanti da accordi internazionali ratificati da tutti gli Stati membri ed elencati nell’allegato X. Tuttavia, ciò non dovrebbe in alcun modo impedire l’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori”.

Essa, poi, per quanto riguarda, nello specifico, la stabilità occupazionale degli stessi lavoratori, prevede, all’art. 70, che “Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto, purché collegate all’oggetto dell’appalto ai sensi dell’articolo 67, paragrafo 3, e indicate nell’avviso di indizione di una gara o nei documenti di gara. Dette condizioni possono comprendere considerazioni economiche, legate all’innovazione, di ordine ambientale, sociale o relative all’occupazione.”

Il caso di cui alla sentenza in commento è quello relativo alla sussistenza, in capo all’appaltatore subentrante, di garantire continuità occupazionale al personale dell’impresa dell’appaltatore uscente.

Come abbiamo appena visto, la Direttiva 24/2014 si occupa del problema della stabilità dei lavoratori non in modo specifico e diretto, ma affermando un principio di carattere generale, in base al quale la stazione appaltante può dettare condizioni particolari relative all’occupazione.

Nel giudizio di appello l’appellante (seconda classificata nella gara di appalto) lamenta il fatto che l’aggiudicataria, in sede di giustificazioni fornite nel procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta, abbia ridotto, da 24 a 23, il numero dei dipendenti da impiegare nell’appalto, in quanto uno di questi si trovava in congedo parentale e sicuramente sarebbe rientrato in servizio prima della conclusione dell’appalto; proprio così facendo, quindi, avrebbe ottenuto l’aggiudicazione (un minor costo del personale consente all’Impresa di diminuire il prezzo offerto).

L’aggiudicataria, dal canto suo, replica che l’appalto avrebbe benissimo potuto essere eseguito anche con 23 dipendenti (anziché con 24), nella misura in cui questi non avessero fatto ferie od avessero rinunciato a godere dei permessi riconosciuti ex lege.

Inoltre, l’appellante sostiene che l’aggiudicataria abbia violato la clausola sociale di cui all’art. 50 del D.lgs. 50/2016 in quanto il lavoratore in congedo parentale è sì stato riassunto, ma, anziché essere destinato all’esecuzione dello stesso appalto aggiudicato, è stato destinato ad altro appalto: di conseguenza non sarebbe stata rispettata quella che è la ratio della norma, la quale – sempre a giudizio dell’appellante- ha un senso solo nella misura in cui l’obbligo del riassorbimento del lavoratore da parte dell’appaltatore subentrante sia finalizzato a ridestinare il dipendente allo stesso appalto, e non ad un generico reinserimento di quest’ultimo nell’organigramma aziendale.

Il Consiglio di Stato ritiene infondato tale motivo di appello, affermando che “la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento”.

Inoltre, esso – per attribuire piena legittimità alla scelta dell’Impresa appaltatrice di utilizzare un lavoratore, assunto in virtù di una clausola sociale, in un appalto diverso – si riallaccia all’orientamento giurisprudenziale (Cons. St., sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078) secondo il quale “i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria”.

Il Consiglio di Stato, pertanto, afferma un principio importante: la capacità dell’appaltatore subentrante di eseguire l’appalto attraverso una più efficace organizzazione del lavoro e quindi eventualmente anche mediante l’impiego di un numero di dipendenti inferiore rispetto a quello ordinariamente necessario, prevale su qualsiasi obbligo, pur previsto dal bando, di riassorbire lo stesso ed identico numero di lavoratori in precedenza impiegati presso l’appaltatore uscente.

Qui ci sono in ballo due principi: da un lato, quello della facoltà dell’Impresa di eseguire l’appalto contenendo i costi del personale, e ciò non violando in maniera palese e macroscopica i trattamenti minimi retributivi previsti dal CCNL bensì elaborando una più efficace organizzazione del lavoro tale da permettere alla stessa di garantire la piena attuazione dell’appalto anche utilizzando un organico di personale più ridotto rispetto a quello comunemente occorrente; dall’altro, quello della previsione, da parte della stazione appaltante (l’art. 50 del Codice stabilisce che “ i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale…”), di un preciso obbligo per il concorrente di assicurare, al personale dipendente dall’Impresa appaltatrice, il pieno reimpiego nell’esecuzione del nuovo appalto.

Ebbene, il Consiglio di Stato ritiene prevalente il primo dei due principi.

L’appaltatore può benissimo eseguire il contratto anche con un numero di lavoratori inferiore rispetto a quello originariamente indicato, anche ove ciò dovesse comportare la violazione dell’obbligo di garantire la “stabilità occupazionale” dei lavoratori impiegati, e ciò in quanto il vincolo della continuità del contingente di forza lavoro per tutta la durata del contratto deve cedere il passo al diritto dell’imprenditore di organizzare l’esecuzione dell’appalto in un modo che gli consenta di garantire alla stazione appaltante il soddisfacimento dell’interesse pubblico ma al tempo stesso risparmiando sui costi del personale, ossia riducendo la forza lavoro e contestualmente aumentando gli obblighi lavorativi a carico degli altri dipendenti rimasti. 

L’art. 41 comma 2 della Costituzione stabilisce che l’iniziativa economica privata “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.  

Come si concilia tale norma con l’art. 50 del D.lgs. 50/2016, il quale prevede la “stabilità occupazionale del personale impiegato”?

Una risposta potrebbe essere questa: se il lavoratore non viene licenziato dall’appaltatore, bensì, semplicemente, impiegato nell’esecuzione di un altro appalto (al quale lo stesso appaltatore può aver deciso di partecipare), la “stabilità occupazionale” non viene violata, in quanto ciò che si verifica è non già il definitivo allontanamento del lavoratore dall’Impresa, bensì soltanto la destinazione di quest’ultimo ad una diversa attività. Ed allora ecco che si conciliano i due principi, ossia: da un lato, il diritto del lavoratore a vedersi garantito il mantenimento nell’organigramma aziendale; dall’altro, il diritto dell’imprenditore di organizzare la propria attività secondo criteri di ottimizzazione della forza lavoro e di economicità dei costi del personale (beninteso, sempre che tali criteri non configurino una violazione dei diritti inderogabili del lavoratore).

E questo è appunto il ragionamento operato dal Consiglio di Stato in un’ipotesi nella quale – lo si ripete – non si è trattato di una uscita definitiva di un lavoratore dall’Impresa, ma, solamente, della scelta di destinare quest’ultimo all’esecuzione di un’altra commessa.

In un caso del genere, l’art. 41 comma 2 della Costituzione appare pienamente rispettato, in quanto: non viene lesa la “dignità” della persona (il lavoratore, infatti, resta nell’azienda), nè viene in alcun modo violata la “utilità sociale” (anzi: l’imprenditore che voglia ripartire meglio la forza lavoro e quindi decida di utilizzare un lavoratore per un altro appalto, è un soggetto che fa l’interesse dell’Impresa stessa in quanto intende con ciò non perdere l’opportunità di aggiudicarsi eventualmente anche altre gare di appalto, proprio allo scopo di aumentare il giro di affari e pertanto il benessere dei dipendenti stessi e dell’azienda tutta).

Di conseguenza, occorre privilegiare una interpretazione sistematica, anziché puramente letterale, dell’art. 50 del D.lgs. 50/2016: è vero che questo parla di “stabilità occupazionale del personale impiegato”, e che quindi l’interesse tutelato è quello al mantenimento della dotazione organica per tutta la durata dell’appalto, in quanto, in linea di principio,  si ritiene che qualsiasi uscita (per licenziamento o dimissioni od altra causa) di qualche lavoratore possa incidere negativamente sulla qualità e sulla tempestività delle prestazioni; ma è, altresì, vero che lo stesso art. 50 deve essere letto alla luce della norma contenuta nell’art. 41 della Costituzione, e che quindi, laddove la forza lavoro di un dipendente sia stata destinata, per una precisa scelta imprenditoriale, all’esecuzione di un altro appalto, non potrà dirsi che la “stabilità occupazionale” sia stata violata, proprio perché il dipendente non ha “perso il lavoro”: egli è, semplicemente, stato impiegato in un’altra attività aziendale.

 

Ciò premesso, si deve evidenziare che, sebbene il Consiglio di Stato parli di “impresa subentrante”, in realtà la fattispecie oggetto del giudizio ha riguardato un subentro solo formale.

Infatti si dovrebbe parlare di vero e proprio “subentro” solo in relazione ai casi di effettiva sostituzione di un appaltatore nuovo al precedente appaltatore, e cioè solo quando si verifica una reale novazione soggettiva del rapporto con la stazione appaltante (p. es. le ipotesi disciplinate dall’art. 110 del Codice, ossia: fallimento, di liquidazione coatta e concordato preventivo, ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell'appaltatore, o di risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 108 ovvero di recesso dal contratto).

Invece, il Consiglio di Stato è intervenuto su una fattispecie in cui l’appaltatore c.d. “subentrante” altri non è stato che lo stesso appaltatore uscente, ossia colui che era già titolare del precedente contratto (nella sentenza si legge: “peraltro affidataria uscente dello stesso servizio, che le era stato aggiudicato nel 2010”; “l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente (che peraltro nella specie coincide con l’aggiudicataria GPI), nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante”).

Quindi, ad essere precisi, parlare di “subentro” in riferimento ad una situazione in cui l’aggiudicatario della nuova gara coincide con l’aggiudicatario della procedura precedente, non è molto corretto: più semplicemente, si è trattato di un caso in cui, a seguito di una valutazione delle offerte fatta dalla stazione appaltante, è stato designato quale affidatario del nuovo appalto lo stesso soggetto titolare dell’ultimo contratto.