Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2018, n. 6059


1. L’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che obbliga l’amministrazione aggiudicatrice a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, anche se non sussisteva più alla data dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice”. E ciò anche nel caso in cui “l’importo dei contributi sia poi stato regolarizzato, prima dell’aggiudicazione o prima della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice”.
La Corte ha inoltre aggiunto che non sussiste violazione della disposizione innanzi citata anche nel caso in cui la disciplina nazionale preveda “quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, escludendo così ogni margine di discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici a tale riguardo”. Orbene, l’art. 5, comma 2, lett. a) D.M. cit. prevede che la regolarità contributiva sussiste anche in caso di richiesta di rateizzazione per la quale l’Istituto competente abbia espresso parere favorevole”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3616 del 2014, proposto da: 
Techedges.p.a,, quale mandataria RTI con Connexòs.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Giuliano, Augusto Moretti, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Giuliano in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 154; 

contro

Anas s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti

Connexòs.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Mascherino 72; 
Milano Assicurazioni, non costituita in giudizio; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZ. III n. 01229/2014, resa tra le parti, concernente revoca aggiudicazione di gara ed incameramento cauzione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Connexòs.p.a e di Anas s.p.a;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Luigi Giuliano, Maurizio Zoppolato e l'Avvocato dello Stato Gaetana Natale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con l’appello in esame, la società Techedges.p.a., quale mandataria di Connexò spa in seno al RTI dalle stesse costituito, impugna la sentenza 31 gennaio 2014 n. 1229, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III, ha respinto il suo ricorso proposto avverso una pluralità di atti, tra i quali, in particolare, la revoca dell’aggiudicazione definitiva ed annullamento della procedura di gara 12 febbraio 2013 prot. n. CDG-0019383, disposta dall’amministratore unico di ANAS s.p.a. e relativa all’appalto avente ad oggetto “servizi di inquadramento del modulo “SAP real estate” per la gestione dei beni immobili di ANAS.

Tale provvedimento (con conseguente segnalazione all’Autorità di settore e incameramento della cauzione) era giustificato dal fatto che l’impresa mandante Connexò non fosse in regola con la posizione INPS al momento della presentazione dell’autodichiarazione di gara.

1.1.La sentenza impugnata – considerato che “al momento di rendere l’autodichiarazione l’impresa mandante non era in regola con i versamenti contributivi come attestato da Durc, per somme eccedenti la soglia di gravità ai sensi del d.m. Lavoro 24 ottobre 2007” – ha affermato, in particolare:

- “la nozione di violazione grave non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma è demandata agli Istituti di presidenza attraverso la disciplina del documento unico di regolarità contributiva, le cui risultanze non sono sindacabili dall’amministrazione”;

- “il concetto di definitività non può essere inteso in astratto, nel senso che, a fronte dell’obbligo contributivo (o anche fiscale) non contestato, è necessario comunque – prima che la violazione possa essere considerata definitiva – che l’ente previdenziale ponga in essere tutti gli adempimenti successivi (finalizzati all’avvio della procedura di riscossione, anche coattiva) . . . . e che, a sua volta, il contribuente abbia la possibilità di esperire, nei termini di legge, i rimedi amministrativi (comprese eventuali istanze di rateizzazione) e giurisdizionali previsti dalla normativa vigente”; ciò in quanto tale interpretazione “oltre il rischio di giustificare pratiche dilatorie dei pagamenti da parte dei contribuenti”, si scontra con il principio della par condicio tra i partecipanti alla gara e di certezza nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, di modo che il concetto di definitività “deve essere rapportato al momento della (scadenza del termine di) presentazione dell’offerta e di resa dell’autodichiarazione”;

- lo stato di “definitivo accertamento” delle violazioni contributive può essere rinvenuto in tutte le situazioni caratterizzate dalla non pendenza di ricorsi amministrativi o giurisdizionali e non è contraddetto “neanche dalla omessa notifica di un avviso di accertamento/addebito che riporti i debiti contributivi”;

- l’incameramento della cauzione provvisoria va ancorato a tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto ovvero di ostacolo alla stipula per fatto dell’affidatario”.

1.2. Avverso tale decisione sono stati proposti i seguenti motivi di appello:

a) violazione e falsa applicazione art. 38, lett. i), d.lgs. n. 163/2006, in combinato disposto con l’art. 3 Cost.; ciò in quanto non può ritenersi caratterizzato da definitività l’accertamento contributivo nei confronti di un’impresa, laddove quest’ultima “avendo presentato una pronuncia sull’istanza di rateizzazione ha regolarmente ottenuto la stessa dopo l’aggiudicazione e nelle more della stipula del contratto”, poiché in questo caso “si è in presenza di un procedimento ancora in corso e non concluso in modo definitivo a sfavore dell’istante”. Non vi è, dunque, un soggetto inadempiente ma un soggetto “di cui deve essere ancora verificata la posizione, per cui non è possibile argomentare la realizzazione di una dimensione di accertamento definitivo di inadempimento”;

b) violazione e/o erronea applicazione art. 5 D.M. 24 ottobre 2007; eccesso di potere per sviamento e travisamento dei fatti; ciò in quanto la sentenza impugnata contrasta con la norma citata, la quale afferma che la regolarità contributiva sussiste anche quando vi sia “richiesta di rateizzazione per la quale l’Istituto competente abbia espresso parere favorevole”; inoltre, “la presenza dell’istanza di rateizzazione, poi accolta, incide anche sul diverso profilo della valutazione della gravità dell’accertamento”;

c) violazione e erronea applicazione artt. 48 e 75 d. lgs. n. 163/2006; poiché non ricorrono i presupposti di legge per l’incameramento della cauzione.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 29 dicembre 2014, l’appellante ha chiesto l’annullamento della nota 3 novembre 2014 n. CDG-0144170-P, inviata da ANAS spa alla Compagnia Milano Assicurazioni, con la quale si invitava quest’ultima a provvedere all’immediato versamento della somma garantita, comunque non oltre quindici giorni dal ricevimento della comunicazione.

1.3. Si è costituita in giudizio ANAS s.p.a., che ha, preliminarmente, eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, sia in quanto l’atto impugnato non ha alcuna autonoma portata lesiva (trattandosi di mera attuazione di sentenza provvisoriamente esecutiva, non sospesa dal Giudice d’appello), sia in quanto con il ricorso vengono introdotte censure non proposte in I grado.

L’ANAS ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

E’ intervenuta ad adiuvandum la società Connexòs.p.a., che ha concluso richiedendo l’accoglimento dell’appello.

L’interveniente ha altresì rappresentato (v. pagg. 2-8 memoria del 16 maggio 2013), specifici aspetti di erroneità della sentenza impugnata.

1.4. Con ordinanza 3 agosto 2015 n. 3836, questa Sezione ha sospeso il giudizio, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su quanto rappresentato dall’ordinanza n. 1236/2015 del Consiglio di Stato.

Si è affermato, in particolare, che – poiché il ricorso sottopone a decisione “la questione dell’irregolarità fiscale e contributiva emergente dal Durc storico, ma non più sussistente all’atto dell’aggiudicazione” – appare opportuna la sospensione del giudizio, visto che con altra ordinanza è stato “rimesso alla Corte di Giustizia il vaglio della legittimità comunitaria dell’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006, così come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, con riferimento, in particolare, alla ammissibilità di esclusioni basate su una irregolarità non più attuale e comunque non emergente dal Durc in corso di validità richiesto, prima della partecipazione alla gara, dall’impresa partecipante”.

Ripreso il giudizio dopo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sez. IX, 10 novembre 2016, in causa C-199/15, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Preliminarmente, occorre dichiarare l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti proposto avverso la nota ANAS 3 novembre 2014.

Tale ricorso – riguardando un atto (peraltro privo di natura provvedimentale) emesso successivamente al giudizio di I grado - non risulta proposto avverso “documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, e dei quali l’appellante abbia avuto successivamente conoscenza, e, dunque, non ricorre l’unica ipotesi nella quale l’art. 104, co. 3, Cpa ammette la proposizione di motivi aggiunti in appello.

Risulta, dunque, violato il divieto di proposizione di domande nuove in appello, di cui all’art. 104, co. 1 Cpa., con conseguente inammissibilità del ricorso che le introduce.

3. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

3.1. L’art. 38, co. 1, lett. i) d. lgs. n. 163/2006 prevede, in particolare:

“ Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:

. . . . i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.

Il successivo co. 2 prevede, per quel che riguarda la presente sede, che “ai fini del comma 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266”.

3.2. Preliminarmente, occorre ricordare come sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentt. 9 febbraio 2011 n. 3169 e 11 dicembre 2007 n. 25818), sia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. 29 febbraio 2016 n. 6) hanno affermato che

“la produzione della certificazione attestante la regolarità contributiva dell'impresa partecipante alla gara di appalto costituisce uno dei requisiti posti dalla normativa di settore ai fini dell'ammissione alla gara, sicché il giudice amministrativo ben può verificare la regolarità di tale certificazione, sia pure incidenter tantum, cioè con accertamento privo di efficacia di giudicato nel rapporto previdenziale, ai sensi dell'art. 8 Cpa”. Ed infatti, “il sindacato del giudice amministrativo ha come oggetto principale la questione relativa alla legittimità dell'atto amministrativo adottato dalla stazione appaltante sulla base delle risultante del DURC negativo; rispetto a tale questione, il sindacato sulla regolarità della posizione contributiva quale attestata dal DURC viene effettuato in via meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, al solo fine di statuire sulla questione principale, in conformità allo schema decisorio delineato dall'art. 8 Cpa.

In tal modo si riesce ad assicurare l'effettività della tutela (che esclude che ci possano essere profili dell'azione amministrativi sottratti al sindacato giurisdizionale), senza invadere i confini della giurisdizione ordinaria, quali delineati dagli artt. 442, co. 1, e 444, co. 3, cpc. che devolvono alla giurisdizione civile le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all'applicazione delle sanzioni civili per l'inadempimento di tali obblighi”.

Più specificamente, con riferimento alla norma citata, la giurisprudenza amministrativa, con considerazioni dalle quali non vi è ragione di discostarsi, afferma:

a) la mancanza di un DURC regolare comporta una presunzione legale, iuris et de iure, di gravità delle violazioni previdenziali, essendo la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti (Cons. Stato, Ad. Plen,, 8 maggio 2012 n. 8; Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2017, n. 3551);

b) per l'effetto, la mera presenza di un DURC negativo, al momento della partecipazione alla gara, obbliga l'amministrazione appaltante ad escludere dalla procedura l'impresa interessata, senza che essa possa sindacarne il contenuto ed effettuare apprezzamenti in ordine alla gravità degli inadempimenti ed alla definitività dell'accertamento previdenziale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2018 n. 716; sez. VI, 15 settembre 2017 n. 4349; sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682; sez. V, 26 giugno 2012, n. 3738);

c) la sussistenza del requisito della regolarità contributiva (il cui difetto non può, pertanto, che comportare l'automatica esclusione del concorrente: Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 6) deve essere verificata con riferimento al momento ultimo previsto per la presentazione delle offerte (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 1 settembre 2017, n. 4158 e 15 settembre 2017 n. 4349; sez. V, 26 settembre 2017 n. 4506), non avendo alcuna rilevanza la regolarizzazione postuma della posizione (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2017, n. 2803), atteso che la regolarizzazione, al più, varrebbe ad evitare il contenzioso tra l'impresa e l'ente previdenziale, ma non a ripristinare retroattivamente le condizioni soggettive per partecipare alla procedura già esperita.

In relazione a quanto ora esposto, l’Adunanza Plenaria n. 6/2016 cit. ha precisato che:

- va confermato l’”indirizzo interpretativo secondo cui non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l'impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando, dunque, irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva. Tale principio, già chiaramente espresso dall'Adunanza Plenaria nella sentenza 4 maggio 2012, n. 8, non risulta superato dalla norma, più volta richiamata dall'ordinanza di rimessione, introdotta con l'articola 31, comma 8, del D.L. n. 69 del 2013;

- “l'esclusione del c.d. preavviso di DURC negativo nell'ambito del procedimento d'ufficio per la verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese in sede ai fini della partecipazione alla gara, si pone in linea con alcuni principi fondamentali che governano appunto le procedure di gara: i principi di parità di trattamento e di autoresponsabilità e il principio di continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara”;

Tali principi si pongono in continuità interpretativa con quanto già affermato dall’Adunanza Plenaria con sentenza 8 maggio 2012 n. 8, secondo la quale:

"Deve escludersi la rilevanza di un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, quand'anche ricondotto retroattivamente, quanto ad efficacia, al momento della scadenza del termine di pagamento. La mancanza del requisito della regolarità contributiva alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, in definitiva, non è sanato dall'eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle reciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non anche nei confronti dell'Amministrazione aggiudicatrice che debba accertare la sussistenza del requisito della regolarità contributiva ai fini dell'ammissione alla gara”.

3.3. Con riferimento a quanto rileva nel presente giudizio (che ha determinato la sospensione del medesimo con ordinanza di questa Sezione n. 3836/2015 cit.), la Corte di giustizia dell’Unione Europea, sez. IX, con sentenza 10 novembre 2016 n. C-199/15, ha affermato:

“L'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che obbliga l'amministrazione aggiudicatrice a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d'ufficio dall'amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d'appalto, anche se non sussisteva più alla data dell'aggiudicazione o della verifica d'ufficio da parte dell'amministrazione aggiudicatrice”.

E ciò anche nel caso in cui “l'importo dei contributi sia poi stato regolarizzato, prima dell'aggiudicazione o prima della verifica d'ufficio da parte dell'amministrazione aggiudicatrice”.

La Corte ha inoltre aggiunto che non sussiste violazione della disposizione innanzi citata anche nel caso in cui la disciplina nazionale preveda “quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d'ufficio dall'amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d'appalto, escludendo così ogni margine di discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici a tale riguardo”

3.4. Alla luce di quanto esposto, devono essere rigettati i primi due motivi di appello.

La prospettazione dell’appellante si fonda (come ribadito con memoria del 2 marzo 2018) sulla natura “non definitiva” dell’accertamento di debito contributivo.

Secondo l’appellante – che a tal fine richiama l’art. 5 D.M. 24 ottobre 2007 - l’impresa Connexo “sia al momento di presentazione della domanda che in tutti i periodi successivi era in possesso di un Durc regolare, in quanto anche la semplice richiesta di regolarizzazione permette di considerare come regolare il Durc” (pagg.5-6 memoria cit.).

Orbene, l’art. 5, co. 2, lett. a) D.M. cit. prevede che la regolarità contributiva sussiste anche in caso di:

“a) richiesta di rateizzazione per la quale l'Istituto competente abbia espresso parere favorevole”.

Come è dato osservare, ciò che la norma “parifica” alla “regolarità contributiva” è non solo la “richiesta di regolarizzazione” (come sostenuto dall’appellante), ma una richiesta che, una volta presentata, abbia altresì ottenuto il parere favorevole dell’Istituto previdenziale.

E ciò, in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza e ora riportati, entro il termine previsto per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara.

Tanto non risulta nel caso di specie, né è dimostrato dall’appellante che, come riportato, non assume l’intervenuta emissione del parere, ma offre una diversa e non condivisibile interpretazione della norma.

D’altra parte, a fronte di quanto affermato da ANAS e risultante dalla documentazione da questa depositata (v. pag. 6 memoria del 14 febbraio 2018), la stessa appellante afferma che, alla data del 14 marzo 2012, risultava una sospensione dell’istruttoria Inail ai fini del rilascio Durc (v. pag. 4 app.).

Per le ragioni esposte, i primi due motivi di appello devono essere respinti.

4. Anche il terzo motivo di appello (sub lett. c) dell’esposizione in fatto) è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Con tale motivo, l’appellante lamenta, in sostanza, la violazione e la erronea applicazione degli artt. 48 e 75 d. lgs. n. 163/2006; non ricorrerebbero i presupposti di legge per l’incameramento della cauzione, poiché la sentenza, “pur dando atto della limitazione dell’escussione ai soli casi di mancanza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali, estende l’incameramento della cauzione provvisoria ad ogni ipotesi di (mancata: ndr) sottoscrizione del contratto.

Tale prospettazione non può essere condivisa.

Per consolidata giurisprudenza, nelle gare pubbliche di appalto l'incameramento della cauzione è una misura a carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege dell'esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare ai sensi dell'art. 38 D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, senza che sia necessaria la prova di colpa nella formazione delle dichiarazioni presentate (Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2016 n. 2531; sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5280 e 9 giugno 2015, n. 2829; sez. V, 10 settembre 2012, n. 4778).

Tale incameramento, disposto ai sensi dell’art. 75, co. 6, d. lgs. n. 163/2006, va disposto in ogni caso in cui la mancata sottoscrizione del contratto sia dipesa da circostanze imputabili all'affidatario, avendo la cauzione provvisoria la funzione di garantire la complessiva solidità e serietà dell'offerta (Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2015 n. 3749; sez. IV, 29 luglio 2015 n. 3749))

In particolare, l’Adunanza Plenaria (sent. 10 dicembre 2014, n. 34) ha ritenuto che la presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero altera di per sé la gara, quantomeno per aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse.

L'escussione costituisce dunque conseguenza automatica della violazione dell'obbligo di diligenza gravante sull'offerente, considerato anche che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione, si impegnano ad osservare le regole della procedura delle quali hanno piena contezza.

Si tratta di una misura autonoma e ulteriore rispetto all'esclusione dalla gara ed alla segnalazione all'Autorità di vigilanza, che si riferisce, mediante l'anticipata liquidazione dei danni subiti dall'Amministrazione, a un distinto per quanto connesso rapporto giuridico fra quest'ultima e l'imprenditore

Essa ha la sua causa nella violazione di regole e doveri contrattuali già espressamente accettati nei confronti dell'amministrazione appaltante, per effetto della domanda di partecipazione alla gara.

Nel caso di specie, dunque, l’amministrazione non poteva che procedere all’incameramento della cauzione, mediante escussione del garante.

Per tali ragioni, anche il terzo motivo di appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

5. In conclusione, alla luce di quanto sin qui esposto, l’appello deve essere rigettato, mentre deve essere dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti. Di conseguenza, deve essere confermata la sentenza impugnata.

Stante la particolare natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Techedges.p.a. (n. 3616/2014 r.g.):

a) rigetta l’appello;

b) dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti:

c) per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

d) compensa tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Il Consiglio di Stato, nell’affermare il principio secondo cui la semplice richiesta di regolarizzazione della posizione contributiva non può essere equiparata alla presenza di un DURC regolare, prende le mosse da quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE sez. IX, con sentenza 10 novembre 2016 n. C-199/15, nella quale viene espresso quanto segue:

“L'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che obbliga l'amministrazione aggiudicatrice a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d'ufficio dall'amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d'appalto, anche se non sussisteva più alla data dell'aggiudicazione o della verifica d'ufficio da parte dell'amministrazione aggiudicatrice”.

Pertanto, sia per la giurisprudenza nazionale sia per quella comunitaria, il momento per determinare se un soggetto debba essere escluso o meno da una procedura di appalto nel caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, è quello della presentazione della domanda: non ha alcuna rilevanza il fatto che, alla data fissata per la Determina di aggiudicazione (ossia per la conclusione della procedura), nei confronti del soggetto stesso sia stato rilasciato un DURC regolare.

Tuttavia, il principio affermato dalla Corte di Giustizia, e fatto proprio dal Consiglio di Stato, deve essere anche valutato alla luce dell’art. 30 comma 5 del D.lgs. 50/2016, che stabilisce quanto segue: “In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva relativo a personale dipendente dell'affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all’articolo 105, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile”.

In tal caso si verifica l’ipotesi inversa a quella delineata dalla Corte di Giustizia: infatti, nel caso di cui all’art. 30 comma 5 cit., abbiamo un soggetto che, al momento della partecipazione alla procedura di appalto, era in regola con gli obblighi contributivi, e che poi però, al momento dell’esecuzione del contratto, è diventato inadempiente.

Come si può agevolmente constatare, la sanzione prevista non è la risoluzione del contratto di appalto, bensì, unicamente, la decurtazione, dal corrispettivo contrattuale,  dell’importo dei contributi non versati.

Tale previsione di mantenimento del contratto in essere deve essere messa a confronto con quanto stabilito dall’art. 80 dello stesso D.lgs. 50/2016: ciò non per un capriccio, ma semplicemente perché la norma di riferimento in materia di regolarità contributiva negli appalti pubblici è l’art. 80 comma 4. Ebbene, il comma 6 dell’art. 80 stabilisce che “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l'operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5”.

Ora, la situazione di inadempienza contributiva riscontrata nell’esecuzione del contratto (art. 30 comma 5) cos’altro rappresenta se non una causa di esclusione dalla procedura a causa di un atto omesso (ossia l’omesso versamento dei debiti contributivi) di cui all’art. 80 comma 6? Eppure, nonostante ciò, l’art. 30 comma 5 non parla di risoluzione del contratto e di esclusione dalla procedura (con il conseguente scorrimento della graduatoria ex art. 110); esso parla solo di decurtazione del corrispettivo contrattuale, e non prevede alcun limite oltre il quale l’inadempienza contributiva diviene causa di cessazione del rapporto con la stazione appaltante: quest’ultima, in teoria, potrebbe anche dover provvedere ad una decurtazione ad oltranza dal compenso dell’appalto, eventualmente anche fino alla copertura integrale di quest’ultimo ove ciò si dovesse rendere necessario.

Allora, se così stanno le cose, ossia se l’art. 30 comma 5 assume il carattere di norma speciale – e quindi – prevalente rispetto alla norma generale contenuta nell’art. 80 comma 6, evidentemente in materia di DURC il principio adottato dal legislatore è stato quello di una propensione per la salvaguardia dell’operatore economico, anche a fronte di un accertato inadempimento nei confronti dell’Ente previdenziale: il soggetto, che al momento della presentazione della domanda di partecipazione, era in regola con gli obblighi contributivi, e che tuttavia in corso di contratto è divenuto inadempiente, deve comunque essere salvaguardato, ossia non perde la qualità di “appaltatore”.

Ma allora eguale principio dovrebbe essere applicato anche a favore di chi, alla data di scadenza della domanda di partecipazione, era in una situazione di irregolarità contributiva, e ciò in quanto questi, in teoria, potrebbe anche riuscire a sanare la propria inadempienza entro il termine previsto per la determina di aggiudicazione.

Non si comprende perché la salvaguardia debba valere, ex art. 30 comma 5, solo per il concorrente regolare al momento della domanda di partecipazione ed inadempiente in corso di contratto, e non anche per il concorrente inadempiente alla data della domanda ma potenzialmente in grado di diventare adempiente entro il termine previsto per la decisione finale sull’aggiudicazione.

La presenza di due situazioni sostanzialmente eguali (è inadempienza contributiva quella dell’appaltatore verificatasi in corso di contratto ex art. 30 comma 5, così come è inadempienza contributiva quella del concorrente, verificatasi alla data di scadenza della domanda) dovrebbe imporre una parità di trattamento: come l’appaltatore non si vede comunque risolto il contratto di appalto, così il concorrente dovrebbe comunque essere ammesso alla procedura, quanto meno fino alla data dell’aggiudicazione, salvo poi essere escluso nell’ipotesi in cui a tale data non risulti aver adempiuto.

Ciò posto, si potrebbe comunque sostenere quanto segue: è vero che il trattamento di favore riservato all’appaltatore dall’art. 30 comma 5 del D.lgs. 50/2016 (ossia mantenimento del contratto nonostante l’inadempienza contributiva) dovrebbe essere applicato anche al concorrente che, alla data della scadenza della domanda, aveva una irregolarità contributiva da sanare (e quindi quest’ultimo dovrebbe poter ammesso a partecipare alla procedura), ma è pur vero che occorre tutelare la par condicio tra concorrenti, nel senso che ammettere alla procedura di appalto un’Impresa, nei cui confronti l’INPS non abbia ancora dato il parere favorevole alla rateizzazione, sarebbe iniquo nei confronti delle altre Imprese che invece, al momento della domanda di partecipazione, erano regolari.

Al riguardo, va segnalato l’art. 8 comma 4 del D.M. 24/10/2007, il quale prevede che “Non costituisce causa ostativa al rilascio del DURC l'aver beneficiato degli aiuti di Stato specificati nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato ai sensi dell'art. 1, comma 1223 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sebbene non ancora rimborsati o depositati in un conto bloccato”. L’ “aiuto di Stato”, è, per definizione, un fatto destinato ad incidere negativamente sulla tutela della concorrenza, ed è proprio per questo motivo che la disciplina dettata in materia è particolarmente rigorosa, ossia stabilisce delle condizioni ben precise, ed assolutamente inderogabili, per la concessione di questo beneficio.

Ebbene, lo stesso D.M. 24/10/2007 – proprio quello su cui il Consiglio di Stato si è basato per negare che una richiesta di rateizzazione priva del parere favorevole dell’Ente previdenziale possa essere equiparata al rilascio del DURC (vedi art. 5 comma 2 lett. A) – stabilisce che il DURC può essere rilasciato anche quando un operatore economico, il quale abbia usufruito di un aiuto di Stato, non abbia ancora provveduto al rimborso della somma a tal titolo in precedenza percepita.

Allora la domanda è: perché il DURC può essere emesso anche a favore del soggetto che non abbia ancora adempiuto all’obbligo del rimborso di un aiuto di Stato, e non può invece essere rilasciato a colui il quale, riconoscendo pienamente il proprio debito, abbia chiesto il beneficio della rateizzazione?

Nel primo caso, il soggetto, ottenendo il DURC, può partecipare alla procedura di appalto anche se non ha ancora materialmente eliminato, attraverso il rimborso dell’aiuto di Stato, quella situazione di privilegio di cui aveva goduto appunto in virtù della concessione del beneficio, e quindi intanto egli partecipa alla procedura detenendo ancora la somma corrispondente, che teoricamente potrebbe essere investita (chi ha certezze che egli effettivamente provvederà al rimborso in tempi brevi?) proprio ai fini dell’esecuzione dell’appalto, garantendo quindi alla stazione appaltante condizioni di esecuzione dell’appalto migliori rispetto a quelle di cui sono capaci gli altri concorrenti.

Nel secondo caso, il soggetto, che eppure ha dichiarato di voler estinguere l’obbligazione contributiva mediante un pagamento rateale, si vede impossibilitato a partecipare alla procedura sol perché, alla data di scadenza della domanda di partecipazione, non è ancora intervenuto il parere favorevole dell’INPS.

In merito all’art. 5 comma 2 lett. A) del D.M. 24/10/2007 - a norma del quale “la regolarità contributiva sussiste anche in caso di … richiesta di rateizzazione per la quale l'Istituto competente abbia espresso parere favorevole” e che ha costituito il fulcro del ragionamento del Consiglio di Stato – va evidenziato quanto segue.

Effettivamente, la formulazione letterale della norma non sembra lasciare adito a dubbi: una richiesta di regolarizzazione, in mancanza del parere favorevole dell’INPS, non può essere equiparata al rilascio di un DURC regolare.

La richiesta di rateizzazione deve comunque essere accettata dall’Ente previdenziale (“parere favorevole”); non basta che vi sia una inequivocabile manifestazione di volontà da parte del privato volta all’eliminazione, attraverso un pagamento rateale, della situazione di inadempimento, ma occorre che venga accertata, da parte dell’INPS, l’effettiva sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio della rateazione.

Inoltre, il richiamo normativo all’art.5 comma 2 lett. A) del D.M. 24/10/2007 appare abbastanza inattaccabile anche per un altro motivo: nell’ambito della disciplina civilistica l’operatività del beneficio della dilazione di pagamento dipende dalla scelta del creditore, il quale può decidere di concederlo o meno (art. 1244 c.c.: “la dilazione gratuitamente concessa dal creditore…”); il debitore può anche manifestare una inequivocabile volontà di estinguere l’obbligazione attraverso un pagamento rateale, ma, siccome quest’ultimo non consente un soddisfacimento immediato delle pretese creditorie, ecco che deve essere il creditore a decidere se accettarlo o meno.

Tuttavia, nel caso del debito previdenziale, la domanda che ci si deve porre è: in quali casi l’INPS può non accettare la richiesta di rateizzazione di cui  all’art.5 comma 2 lett. A) del D.M. 24/10/2007?

In prima battuta verrebbe spontaneo rispondere che l’Ente previdenziale, nel caso in cui non accettasse tale richiesta, automaticamente si priverebbe della – nella gran parte dei casi – unica possibilità di ottenere il pagamento del debito previdenziale, e quindi diventerebbe sostanzialmente responsabile – sia pur in maniera indiretta – dei danni causati ai dipendenti dell’Impresa, i quali a quel punto perderebbero l’ultima occasione per poter vedersi versati i contributi spettanti.  Di conseguenza, verrebbe spontaneo dire che il “parere favorevole” dell’INPS – di cui all’art. 5 comma 2 lett. A) del D.M. 24/10/2007 – sia solo una “formalità”.

A ben vedere, tuttavia, l’istituto della dilazione di pagamento dei debiti INPS -  disciplinato dalla Circolare INPS n. 106 del 03/08/2010 – è effettivamente caratterizzato da un procedimento nel quale l’INPS deve valutare la sussistenza di determinati presupposti, quali, ad esempio, i seguenti:

- all’atto della presentazione della domanda di rateazione il richiedente dovrà sottoscrivere l’estratto contributivo relativo ai crediti oggetto di dilazione, nel quale saranno specificate le partite debitorie e gli eventuali versamenti.

Nel caso in cui vengano rilevate mancate registrazioni, sia degli importi a debito sia dei versamenti, l’estratto aziendale dovrà essere integrato con l’indicazione degli importi a debito e dei versamenti mancanti per i quali dovrà essere specificato il periodo, l’importo, la data di scadenza/versamento

- il pagamento della prima delle rate complessivamente accordate, dovrà essere effettuato prima o contestualmente alla data di sottoscrizione, per accettazione, del piano di ammortamento.

Insomma, la concessione della rateizzazione è il frutto di un procedimento di verifica di alcuni requisiti, e quindi non sembra proprio poter essere ottenuta solo mediante presentazione di una domanda.

Sotto questo aspetto, quindi, l’assunto del Consiglio di Stato pare corretto.

Tuttavia, ai sensi della Circolare sopra citata, la domanda di rateazione può avere ad oggetto anche crediti per i quali non sia avvenuta la notifica della cartella di pagamento al contribuente.

Questa previsione è significativa: il fatto che la rateazione possa essere richiesta ancor prima che sia stata notificata la cartella di pagamento – la quale è l’atto con il quale si instaura il procedimento con il contribuente – sembrerebbe indicare che la domanda di rateazione, prima ancora di entrare a far parte di un procedimento amministrativo con l’Ente previdenziale, trova un riconoscimento giuridico già nell’atto unilaterale di impegno con il quale il soggetto si vincola all’adempimento di tutti gli obblighi (istruttori e di pagamento) che da tale domanda derivano.

In tal senso, allora, la Circolare appare essere pienamente coerente con la formulazione letterale dell’art. 80 comma 4 del D.lgs. 50/2016, il quale stabilisce che il soggetto non deve essere escluso dalla procedura di appalto nel caso in cui egli “si sia impegnato”, in modo vincolante, a pagare i contributi.

A parere di chi scrive, pertanto, il Consiglio di Stato, nel basare il proprio ragionamento sulla necessità del previo parere favorevole dell’INPS, non ha tenuto conto del fatto che la domanda di rateazione costituisce anzitutto un atto unilaterale di impegno, e che ciò è già di per sé sufficiente a conferirle dignità di atto ad autonoma rilevanza giuridica, senza che a tal fine sia necessaria l’adozione di un provvedimento amministrativo di impulso (quale, appunto, la notifica della cartella di pagamento). Altrimenti la stessa Circolare avrebbe detto: “la domanda di rateazione non può essere presentata fin quando non sia stata notificata la cartella di pagamento”.

Inoltre, sempre in base alla Circolare, nel caso in cui il debitore sospenda il versamento dei contributi correnti, pur continuando a pagare con regolarità le rate della dilazione concessa, il Direttore della Sede, effettuate le opportune valutazioni, potrà comunque autorizzare la prosecuzione della dilazione stessa(l’unica conseguenza in tal caso è che il contribuente non potrà essere ammesso ad un successivo pagamento ratealeper tutto il periodo di durata della rateazione in corso).

Anche tale previsione è significativa: l’INPS ha rilasciato il parere favorevole sulla domanda di rateazione; in seguito, però, il contribuente ha cessato di pagare le rate; l’INPS, nonostante ciò, non deve obbligatoriamente revocare la dilazione concessa, ma può anche autorizzarne la continuazione.

Quindi l’INPS  può rilasciare un “secondo” parere favorevole anche se il contribuente non ha pagato le rate concesse con il “primo” parere , ed allora tale constatazione induce a riflettere sul seguente esempio:

- Tizio, che intende partecipare ad una procedura di appalto, ha presentato all’INPS una domanda di rateizzazione del debito contributivo; l’INPS, tuttavia, non ha rilasciato il parere favorevole entro il termine di scadenza della domanda di partecipazione, e quindi Tizio viene escluso.

- Caio, invece, che si trovava nella stessa condizione di Tizio, era riuscito ad ottenere il parere favorevole dell’INPS prima della data di scadenza della domanda di partecipazione, ma, prima della determina di aggiudicazione, cessa di pagare le rate: quindi in teoria il precedente parere favorevole dell’INPS dovrebbe essergli revocato e pertanto Caio dovrebbe essere escluso. Invece non accade questo: Caio può ottenere dall’INPS un nuovo parere favorevole e quindi non solo rimane nella procedura di appalto ma ne potrebbe addirittura diventare aggiudicatario.

A questo punto, allora, sorge spontanea una considerazione: se il parere favorevole INPS può essere rilasciato anche dopo che il contribuente non ha pagato le rate di cui alla prima rateazione concessa, e quindi anche dopo un acclarato inadempimento di quest’ultimo, a maggior ragione allora lo stesso parere favorevole dovrebbe poter essere emesso in favore di chi si è solennemente assunto l’impegno di pagare le rate e, nell’attesa del parere dell’INPS, deve ancora iniziare a pagare:

altrimenti accade che chi ha ottenuto dall’INPS il parere favorevole prima del termine di scadenza previsto dal bando, può partecipare, e può inoltre rimanere in gara anche se poi smette di pagare le rate (vedi parere favorevole concesso per la seconda volta), mentre chi non ha avuto la “fortuna” di ottenere tale parere prima del suddetto termine non viene ammesso a partecipare anche se, di fatto, non è ancora stato “inadempiente” (per l’ottimo motivo che l’obbligazione del pagamento deve ancora iniziare a decorrere!), e magari, una volta che fosse stato ammesso a partecipare, avrebbe puntualmente e diligentemente adempiuto al pagamento di tutte le rate della dilazione.

A parere di chi scrive, pertanto, il Consiglio di Stato, nel confermare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato nei confronti della ricorrente, non ha tenuto conto della disparità di trattamento tra le due situazioni sopra descritte.