Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2018, n. 5425

1.     La scolpita sanzione espulsiva apparirebbe illogica ed abnorme, nella misura in cui non accompagnata dalla possibilità – per l’impresa che, regolarmente in possesso del requisito, ne avesse semplicemente omesso l’allegazione – di dimostrare con altro utile mezzo la sussistenza dello stesso (o – semmai – di procedere, in difetto, quanto meno alla integrazione della cauzione). Ne discende che la clausola della lex specialis intesa alla comminatoria di esclusione, laddove non accompagnata dalla facoltà di integrazione, regolarizzazione e chiarimento, risulti, per un verso sproporzionata e, per altro verso, contraria al principio di tassatività delle clausole espulsive, codificato all’art. 46, comma 1bis d.lgs 163/2006, onde bisognerebbe predicarne la nullità, sia pure in parte qua.

2.     Vale osservare che l’esaurimento della commessa in contestazione non è idoneo a determinare l’improcedibilità del ricorso, posto che la legittimità degli atti impugnati può essere vagliata ai soli fini della domanda di risarcimento del danno (al qual fine non rileva, come è noto, che la stessa non sia stata proposta contestualmente all’azione impugnatoria, potendo essere formalizzata in successivo ed autonomo giudizio: cfr. art. 30, comma 5 c.p.a.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2521 del 2014, proposto da 
Moretto Giuseppe S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvia Querini, Roberto Sannibale, Massimo Fantin, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Sannibale in Roma, v.le di Villa Pamphili 59; 

contro

Comune di Latisana, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Placidi, Luciano Di Pasquale, con domicilio eletto presso lo studio Luciano Di Pasquale in Roma, via Adige, 43; 

nei confronti

Trans Ghiaia S.r.l., non costituita in giudizio; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. Friuli Venezia-Giulia – Trieste, sez. I, n. 660/2013, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Latisana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Fantin e Di Pasquale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società Moretto Giuseppe s.r.l., come in atti rappresentata e difesa, esponeva:

a) che con delibera di Giunta n. 122 del 29.06.2009, il Comune di Latisana aveva approvato il progetto esecutivo relativo ai lavori di riconversione dell'area ex caserma Radaelli a centro servizi - lotto A - 1° intervento, dell'importo complessivo di € 370.000,00 di cui € 309.381,11 per lavori a base d'asta;

b) che con determinazione n. 782 del 29.06.2010, a firma del Responsabile Servizio Lavori Pubblici, l’Amministrazione comunale aveva deliberato di procedere all'appalto dei lavori in oggetto mediante procedura negoziata, a seguito di esperimento di gara ufficiosa, ai sensi del comma 2 terdell'articolo 22 L.R. n.14/2002, con il criterio del prezzo più basso ai sensi dell'articolo 17 comma 1 lettera a) dello stesso disposto;

c) che, invitata a partecipare alla gara, aveva fatto pervenire, nel rispetto dei limiti temporali e delle formalità indicata dalla lex specialis, la propria offerta alla stazione appaltante;

d) che, all’esito della apertura delle buste contenti la documentazione richiesta, era stata inopinatamente estromessa in quanto, essendosi avvalsa della facoltà di dimidiazione della cauzione provvisoria, aveva omesso la prescritta allegazione di fotocopia del certificato di qualità UNI EN ISO 9000, venne esclusa ai sensi dell'art. 4 del regolamento;

e) che, procedendo alla apertura delle buste contenenti le offerte economiche, l’Amministrazione aveva, quindi, stilato la graduatoria e deliberato l’aggiudicazione dell’appalto alla società Trans Ghiaia S.r.l. di Arzene, che aveva proposto un ribasso del 58,250 %;

f) che, immediatamente dopo l’esclusione, aveva inoltrato alla stazione appaltante – anche per i fini di cui all’art. 243 bis, c. 1 e 2, d. lgs 163/06 – copia del certificato di sistema qualità UNI EN ISO 9001:2000 n. 501005201, significando di aver già consegnato lo stesso, in altra occasione, all’Amministrazione il giorno 18.06.2010 e rappresentando, in ogni caso, che l'attestazione SOA n. 9835/04/00 del 29.03.2010, allegata alla domanda di partecipazione alla gara, ne faceva espressa menzione quale elemento indispensabile per il rilascio della medesima attestazione SOA, superiore alla categoria II;

g) che – ribadita dal Comune l’esclusione dalla procedura e la pedissequa aggiudicazione alla controinteressata – aveva impugnato gli atti di gara dinanzi al TAR per il Friuli Venezia Giulia, sul critico assunto che la documentazione versata agli atti di gara fosse di per sé idonea a comprovare l’effettivo possesso della certificazione di qualità aziendale, posto che la mancata allegazione del relativo documento potesse essere supplita, ai fini del versamento della cauzione in misura ridotta, dalla attestazione SOA, che, per legge, ne postulava la sussistenza;

h) che nondimeno, con sentenza n. 660/2013, resa in forma abbreviata, il primo giudice aveva respinto il ricorso, sul formalistico assunto della insurrogabilità della prescritta allegazione, a termini di bando e di regolamento.

2.- Sulle esposte premesse, impugnava la ridetta statuizione, lamentandone la complessiva erroneità ed ingiustizia, ed invocandone l’integrale riforma.

Nella resistenza dell’Amministrazione comunale intimata, alla pubblica udienza del 28 giugno 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.

Vale osservare in premessa che l’esaurimento della commessa in contestazione non è idoneo a determinare l’improcedibilità del ricorso, posto che la legittimità degli atti impugnati può essere vagliata ai soli fini della proposizione di domanda di risarcimento del danno (al qual fine non rileva, come è noto, che la stessa non sia stata proposta contestualmente all’azione impugnatoria, potendo essere formalizzata in successivo ed autonomo giudizio: cfr. art. 30, comma 5 c.p.a.).

2.- Con un primo motivo di gravame, l’appellante lamenta che il primo giudice – nell’argomentare tautologicamente la legittimità dell’esclusione disposta in suo danno fondata sulla non equivoca prescrizione regolamentare impositiva dell’onere di allegazione della certificazione di qualità aziendale, quale necessario requisito per l’esercizio della facoltà di dimidiazione della garanzia – abbia eluso le formalizzate ragioni di doglianza, le quali erano propriamente intese alla contestazione della ridetta prescrizione di gara per contrarietà al principio di leale cooperazione, codificato all’art. 46 del d. lgs.n. 163/2006, applicabile ratione temporis acti.

Segnatamente, la scolpita sanzione espulsiva apparirebbe illogica ed abnorme, nella misura in cui non accompagnata dalla possibilità – per l’impresa che, regolarmente in possesso del requisito, ne avesse semplicemente omesso l’allegazione – di dimostrare con altro utile mezzo la sussistenza dello stesso (o – semmai – di procedere, in difetto, quanto meno alla integrazione della cauzione).

3.- Il motivo è palesemente fondato.

Ai sensi degli artt. 40, comma 7 e 75, comma 7 del d.lgs. n. 163/2006, applicabile alla gara oggetto di controversia, la riduzione dell’importo della cauzione a corredo dell’offerta è riconosciuta agli operatori economici in possesso della certificazione di qualità rilasciata da organismi accreditati.

La fruizione del beneficio è normativamente condizionata: a) alla “segnalazione”, da parte del concorrente, all’atto della formalizzazione dell’offerta (la quale è, con ogni evidenza, funzionale a consentire alla stazione appaltante l’accertamento della ricorrenza dei relativi presupposti; b) alla “documentazione” dello stesso “nei modi prescritti dalle norme vigenti”.

Trattandosi di mera “documentazione” del possesso di un requisito, di per sé non idonea al alterare, in senso anticoncorrenziale, il contenuto delle offerte, l’art. 46, comma 1 d.lgs. cit. impone all’amministrazione (in applicazione del canone della doverosità del soccorso istruttorio) l’obbligo di invitare il concorrente che ne abbia omesso la l’allegazione (o ne abbia fornito insufficiente attestazione) alla relativa integrazione o, eventualmente, alla presentazione di chiarimenti: il che obbedisce (nella prospettiva generale della integrabilità delle dichiarazioni meramente formali: cfr. art. 6, comma 1, lett. b) l. n. 241/1990) all’esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare d’appalto, evitando che queste ultime possano essere alterate, pregiudicate o condizionate da carenze di ordine meramente formale, suscettibili di regolarizzazione.

È questa la ragione che ha indotto la giurisprudenza ad affermare che, nel caso in cui, come nella specie, il concorrente avesse inteso avvalersi della possibilità di prestare la cauzione in misura ridotta, secondo quanto previsto dall'art. 75, comma 7 citato, la prova del possesso della certificazione ISO mediante produzione documentale può esser fornita anche successivamente (cfr. Cons. di Stato, sez. III, 5 dicembre 2013 n. 5781).

Ne discende che la clausola della lex specialis intesa alla comminatoria di esclusione, laddove non accompagnata dalla facoltà di integrazione, regolarizzazione e chiarimento, risulti, per un verso sproporzionata e, per altro verso, contraria al principio di tassatività delle clausole espulsive, codificato all’art. 46, comma 1 bis d. lgs. cit.: onde bisognerebbe predicarne la nullità, sia pure in parte qua.

Per giunta, nel caso di specie, la conclusione che precede è addirittura avvalorata dal rilievo che, avendo la concorrente allegato all’offerta la propria attestazione di qualità rilasciata dalla SOA (la quale sottende e postula il riconoscimento della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della certificazione di qualità), la stazione appaltante sarebbe stata in ogni caso in condizioni di verificare, se non altro in guisa inferenziale, la reale sussistenza della certificazione: con il che, a maggior ragione, eventuali incertezze avrebbero, al più, imposto l’attivazione del soccorso istruttorio, senza possibilità di escludere immediatamente l’offerente.

4.,- Le esposte considerazioni valgono ad assorbire le ulteriori ragioni di doglianza e sono sufficienti alla riforma della impugnata statuizione, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

L’integrale esecuzione del contrato per cui è causa elide, peraltro, l’interesse all’annullamento degli atti impugnati (cfr. art. 34, comma 3 c.p.a.), dei quali allora – perdurando, nei sensi chiariti, l’interesse ai fini risarcitori – va dichiarata l’illegittimità.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.

Condanna il Comune di Latisana alla refusione delle spese a favore dell’appellante, che quantifica nella complessiva misura di € 4.500, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

   

Guida alla lettura

La sezione quinta del Consiglio di Stato nella sentenza in rassegna torna ad occuparsi della tassatività delle ipotesi in cui la stazione appaltante può procedere all’esclusione del concorrente, laddove non sussistano i presupposti per il soccorso istruttorio, ovvero per la richiesta di integrazione documentale, prendendo, altresì posizione sulla persistenza dell’interesse alla declaratoria di illegittimità della graduatoria, nei casi in cui la procedura di gara sia esaurita, sussistendo l’interesse della ricorrente ai fini risarcitori.

La ricorrente impugnava la delibera di Giunta del Comune di Latisana, con la quale il predetto ente la escludeva dalla procedura di gara sull’assunto che al momento della presentazione della domanda di partecipazione non fosse stata consegnata copia del certificato di sistema qualità UNI EN ISO 9001:2000 n. 501005201, indispensabile per fruire del beneficio  della riduzione dell’importo della cauzione.

Il TAR territorialmente competente, con sentenza breve rigettava il ricorso, in base all’argomentazione secondo cui la documentazione in oggetto risultava essere necessaria ai fini della partecipazione alla procedura di gara, avallando, di conseguenza, l’operato della stazione appaltante.

I Giudici di Palazzo Spada, nel riformare totalmente la sentenza di primo grado, mostrano di condividere l’orientamento formatosi relativamente alla tassatività delle cause di esclusione dalla gara, e alla conseguente necessità di procedere al soccorso istruttorio, mediante richiesta di integrazione documentale.

Giova segnalare che la vicenda oggetto della sentenza in rassegna, ratione temporis, è riferita all’art. 46 del D.lgs 163/2006, oggi sostituito dall’art. 83 del D.lgs 50/2016.

Il Consiglio di Stato, nell’affrontare il tema, rileva innanzitutto che la documentazione asseritamente mancante, era stata preceduta dall’allegazione dell’attestazione SOA, attestazione che avrebbe comunque conferito alla stazione appaltante la possibilità di verificare la sussistenza della certificazione richiesta ai fini della fruizione del beneficio.

Sottolineano i Giudici di Palazzo Spada, che, in ogni caso, trattandosi di mera “documentazione” del possesso di un requisito, di per sé non idonea ad alterare, in senso anticoncorrenziale, il contenuto delle offerte, l’art. 46, comma 1 del Dlgs 163/2006, che impone all’amministrazione l’obbligo di invitare il concorrente che abbia omesso l’allegazione alla relativa integrazione o, eventualmente, alla presentazione di chiarimenti: il che obbedisce all’esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare d’appalto, evitando che queste possano essere alterate, pregiudicate o condizionate da carenze di ordine meramente formale, suscettibili di regolarizzazione”.

In virtù delle superiori considerazioni, il Consiglio di Stato ha giudicato la sanzione espulsiva in oggetto come illogica ed abnorme, in quanto produce l’espulsione di una concorrente in possesso del requisito richiesto dal bando.

I Giudici di Palazzo Spada, nel dichiarare l’illegittimità della predetta esclusione, valorizzano la ratio principale dell'istituto del soccorso istruttorio, che è quella di limitare le ipotesi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara ai soli casi di carenze gravi e sostanziali dei requisiti di partecipazione alla gara, ampliandone la possibilità di concorrere all'aggiudicazione del contratto pubblico, in ossequio al principio del favor partecipationis.

In particolare, il soccorso istruttorio, anche in virtù della nuova formulazione dell'art. 83 comma 9, è un  istituto di ampia applicazione nell'ambito della procedura di gara.

Più precisamente, in base alla normativa richiamata, le irregolarità insanabili, consistono nelle carenze concernenti l'offerta tecnica ed economica e più genericamente, nella carenza della documentazione che sia tale da non consentire l'individuazione del contenuto del soggetto responsabile della stessa.

Conseguentemente, la disciplina del soccorso istruttorio è volta a privilegiare gli aspetti sostanziali, rispetto agli adempimenti di natura formale, all'evidente scopo di ampliare e favorire la partecipazione alle gare ad evidenza pubblica.

In definitiva, l’istituto del soccorso istruttorio è interpretato in senso ampio per consentire il più possibile il favor partecipationis, con la conseguenza che a meno che le carenze non siano riferite all’offerta economica o all’offerta tecnica, i casi di esclusione dalla gara devono essere espressamente indicati nella lex specialis, risultando doveroso, negli altri casi il ricorso al soccorso istruttorio.

Chiarita la questione relativa all’ampiezza del soccorso istruttorio, i Giudici di Palazzo Spada analizzano (per vero prioritariamente rispetto all’ordine seguito nella presente rassegna, trattandosi di questione in rito, e quindi preliminare) l’eccezione sollevata dall’amministrazione resistente relativa all’improcedibilità del ricorso per carenza di interesse, determinato dal fatto che essendosi esaurita la procedura di gara, la ricorrente non avrebbe avuto alcun interesse alla declaratoria di illegittimità della stessa, posto che, in base alla cd “prova di resistenza” non avrebbe potuto conseguire alcun vantaggio dalla declaratoria illegittimità della predetta esclusione.

Sul punto, i Giudici di legittimità chiariscono, preliminarmente, che nel caso di specie non vi è carenza di interesse alla declaratoria di illegittimità, posto che è possibile azionare, anche in separato giudizio, la tutela risarcitoria di cui all’art. 30 comma 5 del c.p.a.).

Inoltre, nel caso di specie, il Collegio, valorizzando il nuovo assetto del giudizio amministrativo, il cui oggetto non è più rappresentato dall’atto, ma dal rapporto, e cioè dalla posizione giuridica di vantaggio fatta valere dal ricorrente, che ha diritto di ricevere ogni tutela, anche atipica per il soddisfacimento del proprio interesse, applica al caso di specie l’art. 34 comma 3 c.p.a., secondo cui: “Quando nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

Occorre, pertanto, soffermarsi brevemente sull’articolo 34 comma 3 e sulla sua portata applicativa.

Il codice di rito contempla, con l’inserimento dell’art. 34 comma 3, la possibilità di una azione di mero accertamento, con tale espressione intendendosi le ipotesi in cui l'accertamento, anziché limitarsi a momento logico propedeutico al giudizio sulle altre azioni di cognizione (di condanna e costitutiva), esaurisce in sé lo scopo del processo. Con la particolarità che qui l'incisione della situazione giuridica sostanziale non consiste nella condizione di incertezza, obiettiva e pregiudizievole, originata dalla contestazione di controparte, che si intende con l'azione di mero accertamento eliminare.

L'interesse ad agire è integrato dalla necessità di economizzare un giudizio già instauratosi (ma destinato a concludersi in rito, per via di sopravvenienze), deragliandone il percorso in funzione dell'accertamento di una parte (quella riferita alla illegittimità dell'atto) dei fatti costituitivi necessari ai fini dell'accoglimento della (eventuale) azione risarcitoria (in sostanza, dall'annullamento dell'atto si passa ad una sentenza generica su di una frazione dell'an della pretesa risarcitoria).

La norma in commento ha suscitato i seguenti interrogativi: se si tratta di un potere ufficioso del giudice che non abbisogna di alcuna iniziativa di parte, potendo l'interesse risarcitorio essere desunto in via presuntiva; se, al contrario, occorra una espressa domanda di parte per proseguire il giudizio; se occorra, ai medesimi fini, anche la contestuale proposizione di una domanda risarcitoria. In disparte quest'ultima opzione, pure proposta in giurisprudenza, ma che non può essere sin da subito condivisa semplicemente perché renderebbe la disposizione in commento priva di autonoma portata precettiva, occorre interrogarsi sulle opzioni giurisprudenziali sopra richiamate.

In prima battuta, si precisa che l'ipotesi prefigurata dall'art. 34, comma 3, non concreta una mera riqualificazione della domanda originaria. In quest'ultimo caso, infatti, il giudice è chiamato soltanto ad una operazione di interpretazione giuridica della domanda originaria, alla stregua del contenuto effettivo della pretesa. Limitandosi il giudice a farsi mentore della volontà soggettiva dell'istante, l'allineamento delle formule utilizzate al contenuto sostanziale della domanda, non si pone in conflitto con il principio di disponibilità della tutela giurisdizionale.

Il passaggio dall'azione di annullamento a quella di mero accertamento, determina una modificazione (non degli effetti processuali della domanda originaria, bensì) degli effetti sostanziali scaturenti dal giudicato.

Se, tuttavia, non può parlarsi di domanda implicita (ovvero contenuta in quella di annullamento), neppure si è in presenza di una “mutatio libelli”. Per tale via, infatti, non viene introdotta una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria; il mero accertamento dei vizi, in luogo dell'annullamento, non introduce né un “petitum” diverso e più ampio, né una “causa petendi” fondata su fatti costitutivi differenti.

Al contrario, sarebbe più corretto qualificarla quale mera “emendatio”, la quale non pone al giudice un nuovo tema d'indagine e neppure sposta i termini della controversia, ma si concreta esclusivamente nella variazione in senso riduttivo del petitum originario, al fine di renderlo adeguato alle sopraggiunte necessità di soddisfacimento del bisogno di tutela: in definitiva, modificandosi l'utilità perseguita (l'oggetto mediato trascorre dalla tutela specifica a quella per equivalente) in relazione alla originaria richiesta di provvedimento giurisdizionale (oggetto immediato), quest'ultimo viene soltanto variato nella sua estensione.

La giurisprudenza maggioritaria ritiene che, tra i presupposti della conversione dell'azione di annullamento in mero accertamento, occorra una esplicita istanza di parte: per questa via, l'art. 34, comma 3, c.p.a., viene interpretato nel senso che occorra una espressa “manifestazione” di interesse del ricorrente a fini risarcitori

Ciò per i seguenti motivi.

In primo luogo, tale espressa manifestazione di interesse rientra tra i presupposti della tutela giurisdizionale contenziosa di mero accertamento: difatti, considerato che il processo non può essere utilizzato in vista della mera previsione di possibili effetti pregiudizievoli per la parte, occorre che la parte prospetti l'esigenza concreta di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile.

Inoltre, per quanto la domanda originaria che risulti mutata soltanto in senso riduttivo, occorre sottolineare che, tra la dichiarazione di improcedibilità ed il mero accertamento della fondatezza dei vizi, non vi è alcuna continenza effettuale, ben potendo la parte preferire (ai fini, ad esempio, delle spese processuali) la chiusura in rito del giudizio ad una pronuncia che (se negativa) potrebbe rivelarsi per la parte in vario modo controproducente.

Avuto riguardo, poi, alla esigenza di economia dei giudizi, contraddice frontalmente il principio di ragionevole durata che il giudice, in mancanza (non della dimostrazione, ma quantomeno) della seria prospettazione di un danno, sia sempre e comunque obbligato a procedere in via di extrapetizione, rischiando di portare a compimento un giudizio non sorretto da alcuna sostanziale “pretesa”. 

La conversione ufficiosa si pone, poi, in spregio al principio della domanda (di cui all'art. 112 c.p.c., operante nel processo amministrativo in forza dell'art. 39 c.p.c.), a sua volta correlato ai canoni di imparzialità e terzietà del giudice.

La manifestazione espressa di interesse alla prosecuzione del giudizio (la quale, salvo il caso in cui sia formulata nel ricorso introduttivo in via subordinata, non abbisogna di atto notificato, considerato che trattasi di mera precisazione della domanda originaria), invero, consente anche il rispetto del contraddittorio (formatosi sulla sola domanda originaria).

Da ultimo, si rimarca che a risultati sostanzialmente non diversi si giungerebbe pure considerando la conversione in discorso quale espressione del potere ufficioso del giudice; ciò qualora (come sarebbe doveroso) si osservassero le formalità di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (in ragione del quale, il giudice deve indicare la questione in udienza, dandone atto a verbale). In quella sede, infatti, il giudice dovrebbe comunque sollecitare una manifestazione di interesse della parte che, ove mancante, precluderebbe comunque al giudice di procedere all'accertamento autonomo.

Ciò chiarito in merito alla portata applicativa dell’art. 34 comma 3, e alla necessità della presenza di una prospettazione di un danno, i Giudici di Palazzo Spada, sussistendo le predette condizioni, e persistendo l’interesse della parte alla declaratoria di illegittimità, hanno concluso nel senso di non annullare i provvedimenti impugnati, non potendo la ricorrente ottenere alcun vantaggio dalla loro caducazione, accertandone, tuttavia, l’illegittimità ai fini della eventuale instaurazione di un giudizio risarcitorio, valorizzando in tal modo il rapporto sotteso al giudizio.