1.   Premessa

La perimetrazione del nostro intervento inerisce l’esercizio di fatto di pubbliche funzioni il cui rapporto origina da un provvedimento di nomina, quale atto unilaterale dell’amministrazione, della commissione di gara di cui uno dei componenti non è validamente investito della funzione e nello svolgerla “di fatto”, radicalmente, altera l'esercizio della funzione pubblica rendendo l’atto, compiuto dalla commissione, illegittimo.

La commissione è l’organo preposto alle operazioni riguardanti l’espletamento delle procedure inerenti la valutazione dei candidati per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi, forniture o di quelli partecipanti ad un concorso pubblico. In termini generali le regole di composizione di una commissione, sia di gara sia di un pubblico concorso, hanno significativa importanza tanto da trovare collocazione nell’ambito di specifiche norme in cui sono declinati i requisiti soggettivi che i componenti la commissione devono possedere affinché siano tutelati i principi sottesi alla loro funzione.

Le regole riguardanti la composizione delle commissioni di gara, oggetto del presente lavoro, sono quelle delineate dall’art. 35 bis del d.lgs.165/2001 introdotto dal comma 46 dell’art.1 della L.190/2012 che stabilisce: “1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato. per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:

a)   non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi;

b)             […]

c)   non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi;

d)             […]

Questa disposizione è poi richiamata al comma 6 dell’art.77 del codice dei contratti che testualmente dispone:” Si applicano ai commissari e ai segretari delle commissioni l'articolo 35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, […]”.

L’art-35 bis, avuto riguardo alla sua collocazione nel corpo della L.190/2012, s’inserisce nell'ottica della prevenzione della corruzione con l'obiettivo di interdire la nomina a commissari e segretari in seno a commissioni giudicatrici di gare o pubblici concorsi, di soggetti resisi colpevoli, anche con sentenza ancora non passata in giudicato, di reati contro la pubblica amministrazione.

Tale regola, nella prospettiva funzionale della compromissione dell’interesse pubblico e della fedeltà e onestà, di chi esercita una funziona pubblica, in questo caso “onoraria”, eleggendo a essenziale polo di riferimento la funzione amministrativa, è espressione di un principio generale la cui ratio consiste nella volontà dello Stato di tutelare concretamente il corretto funzionamento e il prestigio e l’immagine della P.A. Con ciò dovrebbe essere garantito che l’operato dei componenti della commissione sia scevro da qualsiasi potenziale pregiudizio e non sia influenzato da pregresse situazioni soggettive in cui essendo venuta meno, in uno dei componenti, l’integrità morale, possa compromettere lo svolgimento di questa particolare funzione pubblica. 

La presente trattazione intende affrontare, per l’appunto, quale sorte hanno gli atti posti in essere dalla commissione di gara in caso di difetto di competenze nello svolgimento della funzione onoraria di commissario di gara sia quale presidente sia quale componente o quale segretario, originato dalla sua nomina per difetto del requisito soggettivo di cui all’art. 35 bis.

2.             Inquadramento sistematico

Prima di addentrarci nella risposta al quesito formulato, è bene inquadrare l’istituto del “funzionario di fatto”, perché la fattispecie in argomento attiene proprio a detto istituto.

In nessuna legge è rinvenibile la figura del funzionario di fatto che ne dia una definizione; cosicché tale figura si è concretizzata, de jure condendo, in una realtà ontologica giuridica ma non altrettanto per quanto riguarda la sorte degli atti compiuti da questo ponendolo quindi in una situazione tra “realtà e contraddizioni”[1], poiché sia il pensiero giurisprudenziale che dottrinale nel tempo è rimasto sempre ondivago.

L’unico tratto comune è rappresentato dall'esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia immediata e diretta[2],  per le quali si pone la questione circa la validità degli atti (amministrativi) posti in essere medio tempore dal funzionario e formalmente imputati all'ente.

a)            Il pensiero giurisprudenziale

La teoria che riconosce legittimi gli atti compiuti dal funzionario di fatto, si fonda sull'esigenza di garantire i diritti del terzo destinatario del provvedimento che viene a contatto col funzionario medesimo, e si sostanzia nel mantenere fermi gli effetti degli atti compiuti per la tutela della buona fede del terzo[3] che è all’oscuro della legittimazione del funzionario e tale situazione attribuisce una posizione poziore nella sua tutela. La tutela trova fondamento nel legittimo affidamento[4], riconosciuto anche come principio dell’apparenza juris giusto il quale il funzionario nello svolgimento delle sue funzioni, crea una situazione di apparenza, inducendo il terzo, che è venuto a contatto suo, per necessità, a ritenere che egli sia legittimamente investito del pubblico ufficio, non avendo alcun motivo di dubitarne, né essendo tenuto ad indagare, sulla regolarità della sua nomina e sulla sua permanenza in servizio. Per il terzo è irrilevante il rapporto in essere fra l’Amministrazione e la persona fisica dell'organo che agisce[5].  È stato anche affermato che la teoria del c.d. “funzionario di fatto” si fonda sul principio di certezza del diritto[6], di conservazione degli atti giuridici[7], conosciuto come il principio del “fatto compiuto” (“factum est infectum fieri nequit”) al fine di dare continuità all’azione amministrativa[8]. La tesi conservativa nel riconoscere validità ed efficacia agli atti compiuti dal funzionario di fatto, imputando all’ente-amministrazione gli atti favorevoli ai terzi, equipara, attraverso una fictio iuris, la situazione di apparenza alla corrispondente situazione reale. Tale equiparazione attiene, per il principio di economia dei mezzi giuridici, all’esigenza di salvaguardare l’atto compiuto inciso da qualche vizio la cui presenza determinerebbe l’invalidità dell’atto stesso. Ma il principio  del “fatto compiuto” trova due ordini di limiti, l'uno derivante dal fatto che l'interessato insorga negando il potere di chi ha emesso l’atto e l'altro della tutela della buona fede del terzo,[9] nel senso che detta teoria può essere invocata a vantaggio del terzo, ma non a suo danno[10], perché l’istituto del funzionario di fatto trova applicazione «solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia diretta ed immediata».[11]

b)    Il funzionario di fatto negli organi collegiali

La problematica relativa al funzionario di fatto si è posta anche con riferimento alle decisioni degli organi collegiali alle quali lo stesso abbia illegittimamente partecipato. In tal caso occorre distinguere tra i collegi virtuali (che deliberano a maggioranza) e i collegi reali o perfetti (che necessitano il plenum). Nel primo caso, occorrerà dimostrare la decisività della partecipazione del funzionario di fatto con la c.d. “prova di resistenza”, perché la partecipazione di questi determini l'invalidità derivata della decisione del collegio.

Nel secondo caso, invece, poiché l’organo non è investito di funzioni di carattere generale, bensì di una specifica e determinata funzione (quale è il nostro caso), la volontà del componente investito illegittimamente si riverbera sugli atti  adottati dalla commissione causandone la loro caducazione per illegittimità derivata a seguito dell’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina della commissione a tutela dei principi di trasparenza e d’imparzialità delle operazioni di gara.[12] Mentre gli atti a monte ossia: il bando di gara, il disciplinare e tutti gli atti in base ai quali è stata indetta la gara restano non inficiati né in senso logico, né in senso giuridico, poiché il vizio attiene esclusivamente alla composizione della commissione.[13]

L’effetto domino, riconducibile al brocardo “simul stabunt aut simul cadent”, è dipeso dalla relazione funzionale fra il presupposto atto di nomina, quale fase endoprocedimentale, e i successivi consequenziali atti della commissione posti a valle della nomina, atteso che la commissione non potrebbe emanare i propri atti quale manifestazione di volontà complesse, senza il provvedimento di nomina dei suoi componenti.[14]

La rinnovazione è resa necessaria poiché non è possibile invocare il principio del “fatto compiuto”, salvo i casi in cui lo svantaggio non sia determinato da valutazioni discrezionali della commissione, quale cifra discriminante l’esito negativo, poiché in tali casi si contrappongono, per definizione, “posizioni di vantaggio e di svantaggio”[15], essendovi, contemporaneamente, concorrenti avvantaggiati, i.e. gli aggiudicatari, e svantaggiati, i.e. i non aggiudicatari.

Diversamente si arrecherebbe un vulnus ai criteri che presidiano la correttezza delle operazioni di gara (o concorsuali) che trovano, a loro volta, un presidio costituzionale nell’art. 97 Cost.

c)    La commissione giudicatrice

L’impianto normativo di cui all’art.77 del codice dei contratti, relativo alla commissione giudicatrice, delinea prevalentemente la composizione e i modi di costituzione della stessa, non anche il suo funzionamento il quale, a seguito dell’abrogazione delle relative norme del previgente regolamento (artt. 119-121 e 282, 283 del D.P.R. 207/2010), è regolato, nel corpus della lex specialis, dalla singola stazione appaltante, se non limitatamente alla valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico nel caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo previsto al comma 1.

In via residuale a quanto prevede il comma 1, per l’aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, l’esame della documentazione amministrativa e dell’offerta economica, può essere demandato ad un seggio di gara anche in composizione monocratica poiché.

Ai fini della presente trattazione, si pone in rilievo il comma 11 dello stesso art.77  che esclude la riconvocazione della medesima commissione ove l’annullamento dell'aggiudicazione sia derivato da un vizio nella composizione della commissione stessa.

3.     La sorte degli atti  

Vediamo ora quale sorte hanno gli atti della commissione in composizione non regolare a seguito dell’emanazione del provvedimento di annullamento della nomina della commissione in base ai seguenti casi:

a.      antecedente l’inizio delle operazioni valutative;

b.      successivo all’esame della documentazione amministrativa

c.      dopo la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

d.      dopo la stipula del contratto.

a.      Emanazione del provvedimento di annullamento della nomina della commissione antecedente l’inizio delle operazioni valutative

In questo caso, secondo un orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, non esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità delle commissioni giudicatrici, poiché tale principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso d’incompatibilità da parte di uno dei componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni. Il Consiglio ha, quindi, ammesso, in via eccezionale, la sostituzione di un componente in un momento in cui la commissione non aveva ancora cominciato le operazioni valutative[16]. Ne consegue che il componente della commissione di gara incompatibile può essere sostituito, prima dell’inizio dell’attività della commissione, in relazione ad esigenze di rapidità e continuità dell’azione amministrativa[17], configurandosi la sostituzione come un provvedimento di ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto funzionamento e la continuità delle operazioni[18].

b.      Emanazione del provvedimento di annullamento della nomina della commissione successivo all’esame della documentazione amministrativa[19]  

In questo caso l’annullamento della nomina del commissario implica, invece, la decadenza e la necessaria sostituzione di tutti gli altri commissari.

La disciplina dell’art.80, riguardante “Motivi di esclusione” dalla gara per la mancanza dei requisiti soggettivi di partecipazione “non esclude in capo alla stazione appaltante un coefficiente di discrezionalità[20] “monofasica” nel senso che una volta apprezzata la sussistenza di una delle cause di esclusione, la commissione dovrà necessariamente seguire, senza possibilità di opzione contraria, l’esclusione del concorrente. Si pensi ad es. alle gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro di cui all'art.30, c.3 del codice…(c.5 lett. a), connessi alle misure di self-cleaning eventualmente adottate dall’operatore economico, alla commissione da parte dell’operatore economico di gravi illeciti professionali (c.5 lett.c), comportante l’obbligatoria e immediata esclusione dalla gara, con l’uso di locuzioni generiche, (“gravi infrazioni e illeciti professionali” e “dubbia la sua integrità e affidabilità” ), nonché alla valutazione della sussistenza del conflitto d’interesse.

Sicché, la nuova commissione, attenendosi la valutazione espulsiva al coefficiente di discrezionalità, dovrà rivalutare la documentazione amministrativa.

Viceversa, se la valutazione espulsiva attiene solo al coefficiente dei parametri predefiniti dalla norma, caratterizzati dall’assenza di profili di discrezionalità quali: a) i requisiti soggettivi (ad es.: art.80 c.1,2,4,5 lett.b)…); b) i parametri temporali che presiedono al soccorso istruttorio all’esito del quale è la stessa norma (art.83) che declina l’esclusione nel caso “di inutile decorso del termine di regolarizzazione”; c) i casi di “irregolarità essenziali non sanabili”  quali “le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa” (art.83), che non comportano effetti pregiudizievoli in ordine alla obiettività e omogeneità delle valutazioni compiute in ordine alla declaratoria di esclusione, l’amministrazione potrebbe rendere salvi gli atti in ragione della teoria del fatto compiuto. Invero la commissione, nel suo plenum, quale collegio perfetto, svolgendo solo un ruolo notarile, non esprime alcun giudizio e consequentemente non è pregiudicato l’interesse dei partecipanti a che le operazioni di gara si svolgano nel principio dell’imparzialità. In tale caso i nuovi componenti sottoscrivono il verbale della valutazione della documentazione amministrativa sì da ritenere che abbiano, implicitamente, fatto propri gli atti presupposti dei loro predecessori, in quanto atti necessari e indefettibili ai fini del completamento di detta fase procedimentale.[21]

c.       Emanazione del provvedimento di annullamento della nomina della commissione dopo la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa

All’annullamento della nomina della commissione segue la nomina di una nuova commissione per effetto della già richiamata disposizione del comma 11 dell’art.77. Sotto il profilo sostanziale l’annullamento potrebbe intervenire prima della fase di apertura delle offerte economiche o dopo la proposta di aggiudicazione o dopo l’aggiudicazione ma prima della stipula del contratto ossia nel periodo della clausola di raffreddamento i.e. nel periodo di “stand still”.

Nel primo caso, non essendo ancora venuto meno il principio di segretezza delle offerte economiche, si ritiene che la stazione appaltante, in autotutela, possa annullare la gara dalla fase della valutazione della documentazione amministrativa se implicante, nei termini sopra già precisati un giudizio discrezionale che, in concreto, risulta inficiato, perché uno dei suoi componenti, illegittimamente investito, ha materialmente concorso alla formalizzazione della volontà della commissione. Secondo questa linea di ragionamento la nuova commissione riesaminerà sia la documentazione amministrativa che le offerte tecniche. Diversamente, se l’esame della documentazione amministrativa non è stato oggetto di valutazione discrezionale, la nuova commissione potrà riesaminare le sole offerte tecniche previa sottoscrizione del verbale della valutazione della documentazione amministrativa, sì da ritenere che abbiano, implicitamente, fatto propri gli atti presupposti dei loro predecessori.

Nel secondo e terzo caso, ossia quello in cui l’annullamento della nomina della commissione sia intervenuto dopo la proposta di aggiudicazione o dopo l’aggiudicazione ma prima della stipula del contratto, essendo venuto meno il principio di segretezza delle offerte economiche, l’annullamento della nomina implica ancora una volta l’annullamento della gara dall’esame della documentazione amministrativa purché riguardante anche un giudizio discrezionale. Sotto il profilo sostanziale, in questo caso, ne consegue che la stazione appaltante dovrà riaprire i termini per la presentazione di nuove offerte sia tecniche che economiche[22] di modo che la nuova commissione non sia condizionata dalla conoscenza del contenuto delle offerte, garantendo così un giudizio immune dal rischio di favoritismi.

d.      Emanazione del provvedimento di annullamento della nomina della commissione dopo la stipula del contratto

Diversamente dai casi ipotizzati in precedenza, in cui l’accertamento della nomina illegittima avviene ancora nella fase pubblicistica, in questo caso l’accertamento avviene nella fase privatistica “dell’esecuzione del contratto”.

In tale fattispecie si evidenziano due domande: la prima se all’amministrazione è consentito intervenire in autotutela annullando la gara, la seconda quale sorte ha il contratto per effetto dell’annullamento della gara.

La prima genera dal decorso di un apprezzabile intervallo a seguito del quale l’amministrazione si avvede dell’illegittimità della nomina della commissione e ravvisa i presupposti per disporre l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione in sede di esecuzione del contratto. La correlata risposta è desumibile sia dalla giurisprudenza di merito[23] sia da quella del Consiglio di Stato[24], che univocamente, ha sostenuto l’ammissibilità dell’annullamento d’ufficio. Giurisprudenza successivamente rafforzata nell’obiter dictum dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[25] il quale ha precisato che rimane impregiudicata “la possibilità dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto”, purché motivata in relazione alla “sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole[26].

Il referente normativo, nella dogmatica dell’annullamento d’ufficio, è dato dall’art.21 novies della L.241/90 implicitamente richiamato dall’art. 32 del codice dei contratti, a mente del quale la stipulazione del contratto ha luogo “divenuta efficace l’aggiudicazione e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti”. Il richiamato art. 21 novies, in sostanza, prevede l’annullamento d’ufficio, da parte dell’organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge, purché sussistano le ragioni di interesse pubblico e si tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, entro un termine ragionevole e comunque non superiore a 18 mesi dal momento dell’adozione dei  provvedimenti di autorizzazione e di attribuzione di vantaggi economici, tra i quali  rientra il provvedimento di aggiudicazione.

Dalla lettura dell’articolo emerge che l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio è condizionato dal presupposto "rigido" dell'illegittimità dell'atto da annullare e da altri due presupposti riferiti a concetti indeterminati, da apprezzare discrezionalmente dall'amministrazione: la ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e l'interesse pubblico alla rimozione unitamente alla considerazione dell'interesse dei destinatari.[27]

Da un lato, dunque, la certezza del diritto in qualsiasi tempo e il rispetto pedissequo della legalità; dall'altro la garanzia della tutela del legittimo affidamento, quale principio di diritto comunitario il cui rispetto è disposto dall’art.1 della legge 241/90 e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento illegittimo, che porta a ricercare un motivato bilanciamento fra l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l'interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante, rafforzato dall'affidamento legittimo determinato dall'adozione dell'atto e dal decorso del tempo.

In tale caso il legislatore ha inteso conferire una primazia decisoria giustiziale alla pubblica amministrazione che va oltre il legittimo affidamento del beneficiario del provvedimento che si ritrova privato del bene della vita (l’aggiudicazione e il contratto) ritenuto legittimamente conseguito, con la conseguenza che sull’amministrazione: ”grava in via di principio […] l’onere di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto […]”[28] anche ai fini del ragionevole decorso del tempo.

Quanto alla ragionevolezza del termine, il Consiglio di Stato, nell’Adunanza Plenaria,[29] ha affermato che si tratta di un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti caso per caso, la cui decorrenza scatta dal momento in cui l'amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto.

Così nel caso in commento, in cui l’atto di nomina illegittimo annullato in autotutela, a seguito di accertata dichiarazione oggettivamente non veritiera del componente la commissione (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), ha prodotto la caducazione del provvedimento di aggiudicazione, è parimenti congruo che il termine “ragionevole” decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha accertato la non veridicità della dichiarazione e comunque non oltre il termine di 18 mesi.

Riguardo alla motivazione di un interesse pubblico alla rimozione di un atto amministrativo illegittimo, la sussistenza dello stesso interesse è oggettivamente connaturata alla rilevata presenza di una situazione antigiuridica. Nel caso che ci occupa, la situazione antigiuridica è data dalla dichiarazione falsa che rende il provvedimento di nomina della commissione illegittimo, e, per illegittimità derivata, anche il provvedimento di aggiudicazione. Per tale situazione, l’amministrazione, non potendo mantenere in vita né l’atto di aggiudicazione, né l’atto di nomina della commissione, procede, in autotutela, all’annullamento di detti provvedimenti al fine di ripristinare la legalità violata.

Quanto ora precisato non è sufficiente a motivare adeguatamente il provvedimento di annullamento, è necessario agganciare la motivazione al pregiudizio della dichiarazione falsa, la quale è condizione determinante dell’esito caducatorio della procedura. Poiché l’atto è deputato ad attestare la veridicità di quanto rappresentato nella dichiarazione, il pregiudizio si sostanzia nella lesione sia dell’interesse della fede pubblica,[30] altrimenti detto “interesse sociale”, quale “bene giuridico […] di primaria tutela”,[31] essendo risultato l’atto materialmente non genuino e ideologicamente non veritiero, sia dell’interesse “a che l'azione amministrativa si fondi sulla base di atti affidabili[32], in ossequio alle esigenze di buona amministrazione.

In sostanza l’accertata dichiarazione non veritiera è un attentato all’attitudine probatoria della dichiarazione che gode di credito (in questo caso per legge) nei rapporti della vita sociale, ledendo, in una visione costituzionalmente orientata, sia il principio del “buon andamento” dell’amministrazione sia il dovere inderogabile di solidarietà […] sociale.

Quanto alla seconda domanda: quale sorte ha il contratto, la risposta non può trarsi  dal codice dei contratti poiché le uniche fattispecie regolamentate della “risoluzione del contratto” (art.108) e del “recesso “ (art.109), traenti la loro fonte dall’art.73 della direttiva n.24/2014[33], non attengono alla fattispecie in argomento rientrando entrambe nel modo di estinzione non satisfattoria del contratto. Il primo nella così detta patologia del contratto, mentre il secondo, quello del recesso, nei motivi di opportunità, in cui l’amministrazione agisce iure privatorum.

È necessario fare riferimento, allora, pur sempre, a un altro istituto civilistico, rinvenibile in quello dell’inefficacia del contratto, collocato, nell’ambito della patologia del negozio. Il termine si usa con vasta accezione per indicare tutti i casi nei quali il negozio, seppure validamente concluso, non produce i suoi effetti per la concorrenza di altri fattori estranei.

Il contratto di appalto, seppure validamente concluso, è inciso dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, inscindibilmente collegato, quale presupposto, al contratto stipulato a valle del provvedimento. In sostanza l’annullamento dell’aggiudicazione produce, per il fatto che il contratto è privo di una propria autonomia, un effetto domino riconducibile al brocardo “simul stabunt aut simul cadent”. Tale teorica della caducazione automatica è stata riproposta dal Consiglio di Stato il quale ha chiarito che l’annullamento giurisdizionale o in autotutela degli atti della procedura di gara “comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali, stante la preordinazione funzionale tra tali atti”. [34]

Un punto di rottura con il pensiero della “caducazione automatica” è rappresentato dall’innovazione giurisprudenziale immediatamente successiva[35] giusta la quale “l’inefficacia del contratto d’appalto, in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione, deve essere sempre dichiarata da “un organo di ricorso indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice”, previa valutazione caso per caso, bilanciando le situazioni di fatto emergenti dal provvedimento di annullamento e la buona fede del terzo aggiudicatario[36].

Da quanto precede l’attenzione si sposta sulle norme speciali i.e. quelle del diritto processuale, sul presupposto che il rapporto interessato dal giudizio è caratterizzato dalla compresenza inscindibile di un provvedimento illegittimo e del contratto stipulato a valle di esso. Viene, allora, in rilievo, l’art.133 c. 1 lett.e n.1) del c.p.a.(D.lgs.104/2010) che, in attuazione del principio dell’inscindibilità della trattazione, di cui all’art. 103 C, demanda la competenza al giudice amministrativo, “anche quando si tratti di annullamento in autotutela[37]. Ciò in quanto, per l’appunto: da un lato vi è stato l’esercizio dell’annullamento in autotutela con connotati, al tempo stesso, autoritativi e discrezionali, il quale annullamento, nel postulare sempre un apprezzamento dell’interesse pubblico, comporta, per regola generale, che la posizione dei controinteressati abbia natura d’interesse legittimo;  dall’altro la domanda di dichiarazione d’inefficacia del contratto stipulato con la pubblica amministrazione, conseguente all’annullamento in autotutela.

Anche in questo caso, come in quello che precede, la stazione appaltante dovrà riaprire i termini per la presentazione di nuove offerte sia tecniche che economiche.

4.     Conseguenze dell’inefficacia del contratto

Gli effetti di caducazione delineati dell’aggiudicazione post contratto e pre contratto, nel periodo di stand still, incidendo sul provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, pongono il problema della responsabilità della pubblica amministrazione.

Nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza. La violazione di queste norme può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza.[38] Ne deriva che le regole pubblicistiche e privatistiche, come ha affermato il Consiglio di Stato,[39]operano in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione”. Le regole di diritto pubblico riguardano il provvedimento, mentre le regole di diritto privato riguardano il comportamento tenuto dall’amministrazione nel corso della gara. Da tale combinati disposti le Sezioni unite della Cassazione Civile[40] hanno ammesso la configurabilità (anche al di fuori dall'ambito dei procedimenti amministrativi finalizzati alla conclusione di un contratto) di una responsabilità dell'amministrazione da provvedimento favorevole poi annullato in via giurisdizionale o per autotutela.

Ne consegue che la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione si può delineare anche prima dell'aggiudicazione e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, nella violazione dei doveri di correttezza e buona fede,[41] in uno a quello di lealtà, quale manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell'art. 2 della Costituzione[42]. Ne consegue che “il dovere di correttezza e buona fede oggettiva (e la conseguente responsabilità precontrattuale derivante dalla loro violazione) sia configurabile in capo all’amministrazione anche prima e a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva”.[43]

Rientra, quindi, nella violazione di tali canoni oltre che l’aggiudicazione anche la proposta di aggiudicazione. Entrambe espongono l’amministrazione al risarcimento dei danni subiti dalla ditta aggiudicataria avendo, questa, fatto affidamento incolpevole nella regolarità e legittimità delle procedure di gara.[44]

La responsabilità che deriva, invece, in pendenza dell’aggiudicazione, s’inquadra nella responsabilità di tipo contrattuale da “contratto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art.1173 c.c. E ciò in base al principio di diritto espresso dalla Cassazione Civile SS.UU,[45] giusto il quale la responsabilità è “configurata come responsabilità precontrattuale ai sensi degli artt.1337 e 1338 c.c., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contratto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni riconducibile, ex art.1173 c.c., e dal quale derivano reciproci obblighi di buona fede […]”, quale espressione del dovere di solidarietà di cui all’art.2 della C..

Invece la responsabilità che deriva dall’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione post contratto, all’esito della formazione progressiva della volontà della pubblica amministrazione e del suo contraente di addivenire all’accordo finale in attuazione di regole procedurali, e dalla quale iniziano a dispiegarsi gli effetti vincolanti per le parti, è configurata nella classica responsabilità contrattuale.

Entrambe le configurate responsabilità traggono la loro causa nella circostanza che l’amministrazione, con la verifica postuma “anche a campione” di cui all’art. 71 c.1 del DPR 445/2000, ha pretermesso, all’emanazione dell’atto di nomina della commissione, la verifica preventiva delle dichiarazioni, interferendo così sull’intera procedura di gara con il generare le illegittimità dei provvedimenti sottesi e conseguenti alla dichiarazione non veritiera.

Mentre la verifica preventiva, quale best practices dei canoni di efficienza, efficacia ed economicità, anche temporale, dell’azione amministrativa, che l’amministrazione, si ritiene, era tenuta a fare, in contrapposizione alla verifica “anche a campione”, avrebbe preservato gli atti compiuti dalla commissione determinando, ab initio, la sostituzione del solo componente non in possesso del requisito soggettivo, e non anche le conseguenze caducatorie della procedura di gara e di responsabilità nei termini sopra rassegnati.

 

[1] S.G. SCARABINO-S. SCARABINO, “Il funzionario di fatto tra realtà e contraddizioni”, in Giust. amm., 2003, pt. III, pp.  607 ss., p. 612;

[2] C.d.S. A.P. n.6/1993; C.S. n.1160/1962;

[3] Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930; Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 1949, n. 145; Cons. Stato n.853/1999; Cons. Staton.2861/2013;

[4] ex multis Cons. Stato, Ad. plen., 22 maggio 1993, n. 6 cit; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821, cit; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis, 14 febbraio 2011, n. 1379;

[5] ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. N.4/1992; Cons. Stato n.3070/2001; Cons. Stato n. 821/2003; Cons. Stato n.3915/2008; TAR/ Molise n.745/2012; Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2861;

[6] Cons. Stato n.2861/2013;

[7] Cons. Stato, n.3070/2001;

[8] Cons. Stato n.749/1999;

[9] TAR Lazio n.2550/2012;

[10] C.d.S., n.1160/1962;

[11] Cons. Stato n.853/1999;

[12] C.S.n.5732/2015;

[13] C.S.n.5732/2015;

[14] TAR Lombardia n.402/2011;

[15] TAR Lazio n.2550/2012;

[16] C.S. n.1169/2013;

[17] C.S. n.8400/2010;

[18] C.S.n.6872/2009;

[19] Il presente caso è ipotizzato in aderenza al pensiero giurisprudenziale giusto il quale: “ se è vero che l’attività di controllo della documentazione amministrativa prodotta dalle imprese concorrenti, in quanto priva di qualsiasi discrezionalità tecnica, può essere svolta dal seggio di gara eventualmente in composizione monocratica (ivi compreso lo stesso responsabile unico del procedimento), è altrettanto vero che la stessa ben può essere svolta direttamente anche dalla commissione giudicatrice” TAR Campania n.5877/2017; TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, n. 537/2014;

[20]TAR Bologna n.718/2017. Per completezza di trattazione del caso in esame si è citato anche il pensiero giurisprudenziale del TAR di Bologna che, in difformità a quello di cui alla nota 19, non esclude un grado di discrezionalità nella valutazione dei requisiti soggettivi;

[21] TAR Friuli Venezia Giulia n.239/2017;

[22] TAR Lecce n.1040/2016. La sentenza non risulta appellata;

[23] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, n.20/2011 e n. 116/2011;

[24] C.S. n.11/2011 e n. 74372010;

[25] C.S. Ad.Plen. n.14/2014;

[26] C.S. Ad.Plen. n.8/2017

[27] Cons.Stato n.341/2017;

[28] Ad.Plen. n.8/2017;

[29] Ad.Plen. n.8/2017;

[30] Nella Relazione al codice penale la pubblica fede è intesa - come "fiducia che la società ripone negli oggetti, segni e forme esteriori (monete, emblemi e documenti) ai quali l'ordinamento giuridico attribuisce un valore importante" (ulteriormente precisata da un passaggio dei lavori preparatori (IV,373), in cui si afferma che "non si può concepire falsità in atto pubblico che non abbia la possibilità di ledere quell'interesse sociale che si chiama pubblica fede";

[31] Cass.Pen. SS.UU. n.46982/2007;

[32] Cass.Pen. n.30899/2015;

[33] L’art.73 acconsente alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di “risolvere un contratto pubblico durante il periodo di validità dello stesso alle condizioni stabilite dal diritto nazionale applicabile

[34] C.S. n.2802/2013; C.S. n.5032/2011;11/2011;

[35] C.S. n.3437/2013;

[36] A tale fine il Consiglio di Stato (sentenza n.5478/2014) ha puntualizzato che: “La caducazione del contratto stipulato a seguito dell’aggiudicazione poi annullata costituisce, quindi, in via generale, la conseguenza necessitata dell’annullamento; […]. L’inefficacia del contratto non è quindi la conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, la quale determina solo il sorgere del potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba continuare o meno a produrre effetti, con la conseguenza che la privazione degli effetti del contratto, per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione, deve formare oggetto di una espressa pronuncia giurisdizionale”. Questa impostazione è stata confermata da Sezioni Unite n.13455/2017. Le stesse Sezioni Unite con sentenza n. 23468/2010 hanno abilitato il giudice amministrativo a dichiarare l’inefficacia del contratto anche quando la caducazione della gara implichi la ripetizione della procedura;

[37] Cass.Civ. SS.UU. n.9861/2015;

[38] C.S. n. 1142/2015; n.633/2013; Ad.Plen. n.6/2005;

[39] C.S. Ad.Plen. n.5/2018;

[40] Cass.Civ. SS.UU. n.1162/2015 e n.17586/2015;

[41] Cass.Civ. n.157/2003;

[42] Cass.Civ. n.14188/2016;

[43] C.S. Ad.Ple.  n.5/2018;

[44] Cass.Civ. n.24438/2011;

[45] Cass.Civ. SS.UU. n.14188/2016;