Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2017 n. 748

Il valore della concessione non può essere ancorato ad un parametro - quello del canone di concessione - non rispondente alla previsione normativa recata dall'art. 29 del D.lgs. 163 del 2006, né può ritenersi che la stima del fatturato possa essere demandata al concorrente anziché all'amministrazione, né che possa essere desunta sulla base degli elementi contenuti nel capitolato speciale, perché in questa particolare tipologia di servizio è difficile dall'esterno compiere attendibili previsioni di stima.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 3936 del 2016, proposto da:
Gesa Spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Netti e Renato Perticarari, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Generale del Personale dei Servizi, non costituito in giudizio;
Direzione per la Razionalizzazione degli Immobili degli Acquisti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Ivs, Italia S.p.a. non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II n. 3756/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del servizio di ristorazione, installazione e gestione di n. 41 distributori automatici di bevande e prodotti alimentari presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze;

FATTO e DIRITTO

1.Il 6 ottobre 2015 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato un bando di gara avente ad oggetto la selezione “ex art. 20 e 30 del d.lgs. 163/2006, per l’affidamento in concessione del servizio di ristorazione, mediante installazione e gestione di n. 41 distributori automatici di bevande e prodotti alimentari preconfezionati per le sedi di via XX Settembre n. 97, piazza Dalmazia n. 1, via di Villa Ada n. 55 e via Casilina 1/3”.

2. Il 12 ottobre 2015 la Ge.S.A. s.p.a. ha presentato una richiesta di chiarimenti che, a suo avviso, non sarebbe stato completamente e soddisfacentemente evasa e che l’avrebbe quindi costretta all’impugnativa immediata innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

Sulle premesse che un operatore economico può stimare l’investimento che sarà in grado di sopportare per aggiudicarsi una concessione, quale quella in questione, solo in presenza dell’indicazione da parte dell’amministrazione appaltante del fatturato generato dalla concessione, a sostegno dell’impugnativa ha dedotto i seguenti motivi:

a. Interesse ad agire: per l’impossibilità di formulare un’offerta consapevole e per la natura immediatamente escludente delle clausole del bando;

b. Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza, par condicio, degli artt. 29 e 30 D.lgs. 163 del 2006, per la mancanza del reale valore dell’affidamento, dell’art. 8 della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, perplessità, illogicità e sviamento. Difetto d’istruttoria. Preclusione alla realizzazione dell’utile d’impresa. Impossibilità di formulare un’offerta consapevole che consenta il rientro dell’investimento. Contraddittorietà dell’azione amministrativa.

c. Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza, par condicio e dell’art. 83, comma 5, del D.lgs. n. 163 del 2006. Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità e sviamento. Difetto d’istruttoria.

d. Violazione degli artt. 1, 2, 3, 22, commi 1 lett. b) e 6, 24, comma 7, della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione e dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per manifesta contraddittorietà. Difetto d’istruttoria e travisamento dei fatti.

E’ stata proposta anche domanda di risarcimento del danno per perdita di chance.

3. L’adito tribunale, nella resistenza dell’intimata amministrazione, con la sentenza segnata in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure formulate.

Premessi i punti salienti (in relazione alla controversia in esame) del bando (in particolare i paragrafi I/5, sull’obbligo del sopralluogo di ricognizione; I/7, sul valore della concessione ragguagliato al rimborso spese; II/7, sull’obbligo del gestore di una puntuale attività di reportistica sul numero delle erogazioni e sugli incassi) e ricordato che l’affidamento del servizio de qua è ricondotto dalla giurisprudenza prevalente alla concessione di servizi (che sono escluse in generale dall’applicazione delle disposizioni di cui ai contratti pubblici, ma sono comunque assoggettate, ex art. 27 del D.lgs. n. 163 del 2006, al rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità), il predetto tribunale, pur dando atto della necessità in linea generale di ragguagliare il valore stimato della concessione al fatturato presunto derivante dalla gestione del servizio (come sottolineato anche dall’ANAC), ha rilevato che tale principio deve essere applicato tenendo conto della concreta realtà dei fatti, quando per esempio si tratti di un servizio che venga affidato per la prima volta ovvero l’amministrazione non disponga del dato relativo al fatturato generato dalla concessione, qual è il caso di specie, nel quale è stato inserito per la prima volta nella lex specialis il dato sulla reportistica precedentemente assente, così che l’amministrazione non possiede alcun dato sul fatturato generato dalla precedente concessione ed ha, per altro verso, anche in sede di chiarimenti fornito tutte le notizie e le informazioni di cui era in possesso per consentire un’adeguata, completa e consapevole formulazione dell’offerta. E’ stata respinta anche l’istanza istruttoria nonché la censura concernente la asserita illegittimità della ripartizione dei punteggi tra la parte tecnica e quella economica dell’offerta.

4. Con atto di appello notificato il 10 maggio 2016 la Ge.S.A. ha chiesto la riforma di tale statuizione, riproponendo sostanzialmente le censure sollevate in primo grado, così rubricate: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt- 29, 30 del D.lgs. 163/2006 per l’assenza del reale valore dell’affidamento. Violazione dell’art. 8 della Direttiva 2014/23/CEE del 26 febbraio 2014 sulla “Aggiudicazione dei contratti di concessione”. Eccesso di potere per perplessità, illogicità e sviamento. Preclusioni alla realizzazione dell’utile di impresa. Impossibilità di formulare un’offerta che consenta il rientro dell’investimento. Impossibilità di presentare un’offerta consapevole”; “Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza e par condicio. Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità e sviamento. Difetto di istruttoria. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 83, comma 5, del D.lgs. n. 163/2006 attesa l’errata ed illegittima attribuzione dei punteggi, 70 per l’offerta economica e 30 per l’offerta tecnica”; “Violazione degli artt. 1, 2, 3, 22, comma 1, lett. b) e 6, e 24, comma 7, della L. n. 241/1990. Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione. Violazione dei principi di trasparenza, ragionevolezza. Imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti”.

In l’appellante ha lamentato l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata, ribadendo che l’art.29 del D.lgs. 163 del 2006 ha introdotto l’obbligo di calcolare l’importo dell’affidamento con riferimento al fatturato presunto derivante dalla gestione del servizio e non solo al canone richiesto per l’utilizzo del bene, sottolineando che tale norma non prevede eccezione, anche ai fini di garantire condizioni trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, così come riconosciuto dall’ANAC (e prima anche dall’AVCP).

Per contro l’amministrazione aveva erroneamente fissato in €. 130.000,00 il valore della concessione ed il prezzo a base d’asta, commettendo una ingiustificata commistione: infatti per la stazione appaltante il valore della concessione è corrispondente all’importo del ristorno, così identificando il valore del fatturato con il reale valore della concessione, laddove la stima del valore di una concessione è un elemento fondamentale per il corretto contenuto del bando di gara e per stabilire adeguati requisiti di partecipazione e deve tener conto anche dei flussi di cassa previsti (pagati dagli utenti) accanto al canone minimo da richiedere.

Pertanto per le concessioni nella nozione di importo totale pagabile deve ricomprendersi il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi offerti oltre al canone a carico del concessionario ove previsto, così come richiamato dall’ANAC: del resto, secondo l’appellante, la direttiva 2014/23/Ue, nello stabilire la soglia dei metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni, ha definitivamente stabilito che il valore della concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto al netto dell’Iva, stimato amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e di servizi oggetto della concessione (…), elementi di cui non vi è tratta nel bando contestato e la cui mancanza lede gravemente il principio della parità di trattamento fra concorrenti: sul punto l’appellante sottolinea anche la eventuale necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Sempre secondo l’appellante, poi non erano aderenti al caso di specie i pur giusti principi in materia di discrezionalità della stazione appaltante nel determinare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, richiamati dai primi giudici per respingere il relativo motivo di censura, giacché gli stessi non potevano essere utilizzati per conferire legittimità ad una ingiustificata ed ingiustificabile sproporzione dell’equilibrio tra gli elementi da valutare, senza poi sottacere la commessa violazione della L. 241 del 1990 e dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa nel respingere l’istanza di accesso/istruttoria al tempo presentata dalla concorrente.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello.

Le parti hanno illustrato le proprie rispettive tesi difensive con apposite memorie.

All’udienza del 12 gennaio 2017 la causa è passata in decisione.

5. L’appello è fondato.

La controversia riguarda la legittimità della lex specialis di gara nella parte in cui ha commisurato il valore della concessione ai canoni concessori anziché al fatturato generato per tutta la durata del contratto, il che - secondo la società appellante - le avrebbe impedito di formulare un'offerta ponderata e dunque di partecipare alla gara.

La questione, nei suoi identici termini, è stata recentemente affrontata da altra Sezione di questo Consiglio di Stato (Sez. III, 18 ottobre 2016 n. 4343), alle cui convincenti conclusioni la Sezione intende aderire.

5.1. Non può innanzitutto negarsi la sussistenza dell’interesse a ricorrere, dato che, com’è stato ricordato (Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4343), “l’adeguata ponderazione, in quanto espressione del principio di serietà dell’offerta, costituisce quindi uno degli strumenti posti a tutela dell’esigenza pubblicistica dell’individuazione del “giusto contraente” (Cons. Stato, VI, 1 ottobre 2004 n. 6367); così che “nel momento in cui la lex specialis della gara presenti caratteristiche tali da rendere oggettivamente difficoltosa un’esatta ponderazione dell’offerta, allora essa assume carattere immediatamente lesivo della sfera delle possibili candidate, venendo a costituire, quindi, oggetto di legittima impugnativa da parte delle stesse” (Cons. Stato, V, 7 settembre 2001 n. 4679).

Posto che il concorrente formula la propria offerta in modo da poter conseguire un utile è del tutto evidente che se la legge di gara non consente la ponderazione dell’offerta non può negarsi l’interesse alla eliminazione della stessa lex specialis o quanto meno di quelle clausole di esse che gli impediscono la adeguata, corretta e consapevole partecipazione alla gara: ciò è quanto accaduto, secondo la non irragionevole prospettazione dell’appellante, nel caso di specie in cui l’erroneità della stima del valore della concessione e del relativo criterio di stima lede la possibilità di formulare un’offerta corretta, completa, consapevole e ponderata, essendo il valore stato ragguagliato solo al canone concessorio e non al fatturato.

V.2. Quanto al merito della questione, concernente la corretta stima del valore della concessione, si rinvia a quanto puntualmente statuito nella richiamata sentenza della III Sezione n. 4343 del 18 ottobre 2016 che sul punto, così si esprime:

L'AVCP ha rilevato che sebbene sia difficoltoso per le stazioni appaltanti stimare i proventi del servizio, poiché provengono interamente dagli utenti e non da chi bandisce la gara, in ogni caso l'esatta determinazione del valore dell'affidamento assume rilievo sotto molteplici aspetti: è essenziale per poter fornire una corretta informazione agli operatori economici potenzialmente interessati a prestare il servizio, serve ad individuare con esattezza la forma di pubblicità idonea, è necessaria per determinare l'entità delle cauzioni e del contributo dovuto all'Autorità.

Già nella Deliberazione n. 9 del febbraio 2002, l'Autorità aveva precisato che: "Come è noto, ai sensi dell'art. 29, commi 1, invece, "il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull'importo totale pagabile al netto dell'IVA, valutato dalle stazioni appaltanti. Questo calcolo tiene conto dell'importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto". Per le concessioni in particolare, nella nozione di "importo totale pagabile" è sicuramente da ricomprendere il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione. Infatti, così come nella stessa nozione è ricompreso il corrispettivo pagato dalla stazione appaltante nel caso di appalto, qualora si tratti di una concessione, non essendovi un prezzo pagato dalla stazione appaltante, ma solo quello versato dagli utenti, sarà quest'ultimo a costituire parte integrante dell'"importo totale pagabile" di cui è fatta menzione nella norma sopra citata; il canone a carico del concessionario potrà, altresì, essere computato ove previsto, ma certamente proprio in quanto solo eventuale non può considerarsi l'unica voce indicativa del valore della concessione".

Ha poi precisato che la mancata indicazione del valore stimato degli appalti, pone le imprese partecipanti alla gara in una situazione di estrema incertezza nella formulazione della propria offerta, rilevando che il calcolo relativo alla determinazione dell'importo del servizio oggetto di concessione deve essere effettuato in conformità a quanto previsto dall'art. 29, comma 1 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, tenendo conto dei ricavi ipotizzabili in relazione alla sua futura gestione.

Ha precisato, infatti, l’Autorità che "l'esatto computo del valore del contratto, assume rilevanza anche per garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, ex art. 2, comma 1, D.lgs. n. 163 del 2006 che si traducono nell'informare correttamente il mercato di riferimento sulle complessive e reali condizioni di gara" (cfr. deliberazione AVCP n. 40 del 19dicembre 2013).

Nel caso di specie, come già stigmatizzato dall'Autorità di Vigilanza, il valore della concessione non può essere computato con riferimento al c.d. "ristorno" e cioè al costo della concessione, che è un elemento del tutto eventuale, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio di distribuzione automatica.

9.2. La correttezza di detto criterio di calcolo risulta confermata dalla previsione contenuta nella direttiva 2014/23/UE che ha stabilito all'art. 8, comma 2, rubricato "soglia e metodo di calcolo del valore stimato delle concessioni" che ".... Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionaria generato per tutta la durata del contratto, al netto dell'IVA, stimato dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è valido al momento dell'invio del bando.... ".

Inoltre, il comma 3 stabilisce che il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione, indicando poi gli stessi elementi di valutazione, consentendo alle imprese di poter verificare anche i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione. Detta disposizione è stata recepita nell’art. 167 del D.lgs. n. 5072016 (non applicabile al caso di specie ratione temporis).

9.4. Sicché il valore della concessione non può essere ancorato ad un parametro - quello del canone di concessione - non rispondente alla previsione normativa recata dall'art. 29 del D.lgs. 163 del 2006, né può ritenersi - come sostenuto dal primo giudice - che la stima del fatturato possa essere demandata al concorrente anziché all'amministrazione, né che possa essere desunta sulla base degli elementi contenuti nel capitolato speciale, perché in questa particolare tipologia di servizio è difficile dall'esterno compiere attendibili previsioni di stima, in quanto i fattori che incidono sui flussi di cassa dipendono da una molteplice varietà di condizioni, relative all'ubicazione delle strutture ospedaliere, alla collocazione dei distributori automatici, alle abitudini dell'utenza, alla localizzazione di altri punti di ristoro nell'ambito della stessa struttura ospedaliera, all'accesso di utenti esterni, e così via, tali da non consentire ai concorrenti di stimare in modo attendibile il fatturato sulla base dei soli elementi indicati nel capitolato speciale”.

Alla stregua di tali puntuali, condivisibili e convincenti motivazione il primo motivo di appello deve ritenersi fondato (con assorbimento degli altri motivi) giacché, pur avendo l’amministrazione fornito ogni altro elemento idoneo e necessario per la formulazione delle offerte, è mancato nel caso di specie la indicazione dal fatturato generato dalla (precedente) concessione: né può addursi a giustificare tale omessa indicazione la circostanza che non sarebbe stato espressamente previsto nella gestione del precedente rapporto concessorio alcun elemento utile a far emergere il dato del fatturato generato, trattandosi all’evidenza non di una impossibilità assoluta, bensì eventualmente di una mera difficoltà operativa dell’amministrazione in ordine ai rapporti col precedente gestore; né d’altra parte l’amministrazione ha in qualche modo provato di aver chiesto al precedente gestore abbia rifiutato tale dato fondamentale o che lo stesso gestore si sia rifiutato ingiustificatamente di fornirlo.

VI. In conclusione l'appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento degli atti di gara impugnati.

La peculiarità e la novità della fattispecie giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti connessi impugnati.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 

Guida alla lettura

La controversia oggetto del decisum della V Sezione del Consiglio di Stato n. 748/2017 concerne la legittimità della lex specialis di gara nella parte in cui ha commisurato il valore della concessione ai canoni concessori, anziché al fatturato generato per tutta la durata del contratto.

Siffatta previsione risulta impedire una ponderata formulazione dell’offerta, con la conseguenza per cui la stessa si riflette sulla medesima partecipazione alla gara.

Con la pronuncia in esame il Consiglio di Stato ritorna sulla questione, recentemente affrontata da altra sezione del medesimo Consesso (Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4343).

Superando preliminari questioni connesse alla stessa sussistenza dell’interesse a ricorrere, la Corte rileva come da un’analisi complessiva della normativa nazionale e comunitaria di riferimento risulta pacifico che il valore di una concessione non può essere ancorato al parametro del canone concessorio, lo stesso al contrario dovendo rapportarsi al complessivo fatturato generato per l’intero arco temporale di vita del contratto.

Come innanzi già rilevato la questione concernente la corretta stima del valore della concessione è stata di recente analizzata da differenti Sezioni del Supremo Consesso amministrativo.

Al riguardo l’AVCP (attuale ANAC) ha rilevato come sebbene sia difficoltoso per le stazioni appaltanti stimare con precisione i proventi del servizio di concessione, gli stessi provenendo interamente dagli utenti non anche dal soggetto che bandisce la gara, la corretta determinazione del valore concessorio è essenziale per poter fornire una corretta informazione agli operatori economici potenzialmente interessati a prestare il servizio (del. n. 9 del 2002).

A tal proposito in soccorso interviene l’art. 29 comma 1 D.lgs. 163/2006 a parere del quale “il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori e servizi pubblici è basato sull’importo totale pagabile al netto dell’IVA valutato dalle stazioni appaltanti. Questo calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto”.

Con particolare riferimento alle concessioni, nella nozione di “importo totale pagabile”, va senz’altro fatto riconfluire il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione.

Quanto affermato deriva dalla considerazione per cui così come nell’esposta dizione va ricompreso il corrispettivo pagato dalla stazione appaltante nel caso di appalto, qualora si tratti di una concessione, non essendovi un prezzo pagato dall’ente aggiudicatore, ma solo quello versato dagli utenti, sarà quest’ultimo a costituire parte integrante “dell’importo totale” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4343).

Ancora, richiamando ulteriore deliberazione dell’AVCP (del. n. 40 del 2013), va rilevato come la stessa Autorità, nel ribadire come l’esatto computo del valore del contratto, in specie concessorio, assume rilevanza anche per garantire le condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, che si traducono nell’informare correttamente il mercato di riferimento sulle reali condizioni di gara, ha stigmatizzato che il valore della concessione non può essere computato con riferimento al cosiddetto ristoro, ossia al costo della concessione, quest’ultimo costituendo un elemento del tutto eventuale, ex adverso lo stesso dovendo essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio.

La correttezza dell’esposto criterio di calcolo ha trovato poi conferma nella normativa sovranazionale.

Al riguardo l’art. 8 comma 2 della Direttiva 2014/23/UE, rubricato “soglia e metodo di calcolo del valore stimato delle concessioni”, prevede che “il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi”. Il successivo comma 3 poi stabilisce che “il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo, specificato nei documenti della concessione”.

Da ultimo, la validità del più volte citato criterio di calcolo del valore del contratto di concessione di servizi risulta sancita dall’art. 167 D.lgs. 50/2016, il quale ha sostanzialmente richiamato le prescrizioni sovranazionali.

Alla luce della ricostruita evoluzione interpretativa sul punto, in uno all’esposta disciplina normativa di riferimento (nazionale e unionale) è ben possibile affermare che il valore della concessione non può essere ancorato ad un parametro, quale quello del canone concessorio, non rispondente ad alcuna prescrizione legislativa, né può ritenersi che la stima del fatturato possa essere demandata al concorrente anziché all’amministrazione, né ancora che la stessa possa essere desunta sulla base degli elementi contenuti nel capitolato speciale, posto che in questa particolare tipologia di servizio risulta particolarmente difficoltoso compiere dall’esterno attendibili previsioni di stima, in quanto i differenti e molteplici fattori che incidono sui flussi di cassa dipendono da varie condizioni inidonee a consentire ai concorrenti di stimare in modo attendibile il fatturato sulla base dei soli elementi indicati nel capitolato speciale.