Natura giuridica del diritto al risarcimento del danno, causato da attività autoritativa (comportamenti o provvedimenti) della Pubblica Amministrazione. Sui conseguenti riflessi in tema di ambito di ammissibilità della giurisdizione arbitrale.

§ 1) LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’§ 2) I PRINCIPI GENERALI § 3) LA EVOLUZIONE LEGISLATIVA § 4) LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE § 5) LA RILEVANZA DEL PROBLEMA § 6) LA IPOTESI DI SOLUZIONE

 

 

 

§ 1) LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’

Con la pretesa risarcitoria, conseguente ad atti o comportamenti illegittimi della Pubblica amministrazione (di seguito P.A.) nell’esercizio di poteri autoritativi, il danneggiato fa valere un diritto soggettivo.

Posizione questa tradizionale in giurisprudenza, anche quando si negava che tali danni fossero ristorabili; riaffermata e riassunta proprio dalla sentenza che ha aperto alla risarcibilità (Cass. sez. un., 22/07/1999 n. 500), in omaggio anche a principi del diritto Europeo. Si legge in motivazione di quello storico arresto: l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per l'ordinamento).

Affermazione che va oggi coordinata con una diversa regola sulla giurisdizione (esclusiva del giudice amministrativo – di seguito G.A.), ma che resta valida in punto di definizione della situazione soggettiva (diritto e non interesse). Come puntualmente evidenziato da Corte Cost. 6/7/2004 n. 204, punto 3.4.1 del diritto: il superamento della regola….che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno …, costituisce null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost.

Anche tale ultima affermazione si fonda sulla natura della pretesa risarcitoria: trattandosi di diritto soggettivo, sarebbe di competenza del giudice ordinario (di seguito G.O.); ma è stata affidata – per eccezione - al G.A. dall’art. 7 L. 21/7/2000, n.205 che inserisce nel terzo comma dell'art. 7 L. TAR (6 dicembre 1971, n. 1034) la seguente regola "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali". La Corte ha escluso la illegittimità costituzionale, avendo ritenuto che si tratta di ragionevole ipotesi di giurisdizione esclusiva, proprio per la inerenza della pretesa all’esercizio di poteri autoritativi. Ha infatti annullato altre norme, che affidavano al G.A. diritti, ma non collegati alla attività propriamente amministrativa.

Non può considerarsi sul punto innovativo l’art. 7 co. 4 del D.Lgs. 2/7/2010 n.104 (di seguito c.p.a.) che attribuisce “alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi…”.

La specificazione aggiunta (“di legittimita'”), che appunto manca nel (nuovo, ed appena riportato) art. 7 L. TAR, ha valore classificatorio, come tale non vincolante per l’interprete; e si pone in contrasto con altra norma dello stesso Codice (art. 133 lett. a) n. 1), quanto meno per l’ipotesi di omissione, come di seguito specificato (§ 3, ult. cpv.).

Resta infatti ferma l’opinione del Giudice regolatore, che continua a definire diritto la pretesa risarcitoria, anche quando riconosce la Giurisdizione amministrativa: da ultimo, SS.UU. 8 novembre 2016 n. 22650 “La domanda risarcitoria proposta da chi ritenga lesa la propria attività commerciale …. è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ponendosi comunque in discussione l'esercizio di una potestà pubblicistica”. Se “esclusiva”, la giurisdizione riguarda un diritto soggettivo, seppure leso da atti autoritativi. Specie dove la posizione soggettiva resta univoca (pretesa al risarcimento), che si verta o meno in materia “a contenuti misti” (diritti e interessi). Nell’ambito del concetto di “risarcimento del danno” da attività autoritativa, non pare esservi spazio per convivenze tra diritti ed interessi legittimi. La esclusività della giurisdizione, se c’è, è per tutti i casi.

 

§ 2) I PRINCIPI GENERALI

Le indicate affermazioni hanno un fondamento logico.

Un fatto giuridico può produrre differenti effetti; la legge regola tale rapporto di causalità, applicando norme che dipendono dal tipo di effetto.

La morte di una persona fisica produce: apertura della successione (art. 456 cod. civ.), estinzione del vincolo coniugale, e del reato (art. 150 cod. pen.) ed altro.

Ciascuna ipotesi incide su rapporti diversi, e quindi su differenti posizioni soggettive; patrimoniali, nel primo caso, miste nel secondo e non patrimoniali nel terzo.

Del pari, se il provvedimento pregiudica interessi di tipo generale (e che non devono esser definiti in quantità patrimoniali), il soggetto leso ha azione di annullamento. Se, come effetto congiunto, produce un decremento del patrimonio, il titolare ha una diversa posizione e tutela (in passato neppur l’aveva), e potrà chiedere – per scelta di legge, allo stesso Giudice – il risarcimento, ai sensi di una norma del codice civile (art. 2043).

Nel primo caso, la posizione è definita interesse; volendosi consentire al giudice di incidere sull’atto (potere annullatorio), onde porre rimedio ad un pregiudizio evitabile con la sua eliminazione. Nel secondo, il danno può ripararsi col diverso metodo del ristoro patrimoniale, tipico del diritto civile e che non richiede ingerenze del Giudice sull’attività autoritativa, ma solo un giudizio di illegittimità del provvedimento, presupposto per il risarcimento.

Il quale si traduce in obbligazione pecuniaria, salvo marginali casi di risarcimento in forma specifica (art. 2058 cod. civ.), ancora più marginali nei confronti delle Amministrazioni pubbliche.

Principi coerenti con la scelta oggi confluita nel citato art. 12 c.p.a., dove un collegio arbitrale può decidere dei danni, ma non certo annullare i provvedimenti. Un diritto soggettivo può aver tutela nel lodo, un interesse legittimo solo nella sentenza del G.A., che può eliminare il pregiudizio eliminando l’atto che lo produce.

L’idea che le due diverse pretese confluiscano nella stessa posizione soggettiva di mero interesse sembra esclusa anche dalla originaria relazione tra loro, che il Consiglio di Stato aveva definito in termini di necessaria presupposizione (tesi della pregiudiziale amministrativa): il danneggiato doveva ottener prima l’annullamento dell’atto lesivo, per potere poi – anche se con lo stesso ricorso – chiedere il risarcimento. Le due richieste hanno quindi, in questa ottica, oggetto diverso, anche sul piano processuale; e si svolgono davanti allo stesso Giudice solo per scelta legislativa, in omaggio al principio di concentrazione, ed in attuazione del nuovo principio risultante dall’art. 111 cpv. della Costituzione, come integrato dalla legge costituz. 23/11/1999 n. 2 (“ragionevole durata” del processo).

Il codice del processo amministrativo sovverte la regola della “pregiudiziale” (già disattesa dalla Sezione siciliana del Consiglio di Stato), prevedendo all’art. 30 la autonoma proponibilità della domanda risarcitoria; il che rafforza l’idea della diversa situazione soggettiva su cui il danneggiato fonda la sua pretesa.

La quale ha come presupposto la illegittimità dell’atto o comportamento, che il Giudice dovrà quindi affermare (o negare), ma che resta oggetto di poteri (soltanto) cognitori, per necessità assegnati ad ogni livello di giurisdizione, se si vuol garantire la tutela del cittadino.

 

§ 3) LA EVOLUZIONE LEGISLATIVA

Gli indicati principi erano già presenti nella Legge Abolitrice (L. 20 marzo 1865, n.2248), il cui art. 4 regolava le pretese verso la P.A. consentendo ai tribunali di “conoscere degli effetti dell'atto”, ma non di revocarlo o modificarlo.

La duplicità di effetti, e quindi di situazioni soggettive e delle modalità di tutela, nasce insieme al diritto amministrativo, e si consolida dopo la legge del 1889, che istituì la IV sezione del Consiglio di Stato.

La normativa anteriore al 2000 non consentiva però di valorizzare la distinzione in tema di arbitrato; pur in assenza di specifiche norme, il diritto vivente lo considerava comunque inammissibile, se la controversia spettava alla giurisdizione amministrativa. Il Giudice regolatore della giurisdizione affermava infatti: Il potere giurisdizionale degli arbitri, in quanto trova fondamento nella volontà delle parti di derogare convenzionalmente alla competenza del giudice civile, sussiste solo nell'ambito della giurisdizione di quest'ultimo. Ne consegue che non possono essere deferite al giudice privato controversie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordinario per essere la materia deferita al giudice amministrativo, sia come giurisdizione generale di legittimità, sia come giurisdizione esclusiva. (Cass. sez. un. 12 luglio 1995 n. 7643); la precedente sentenza ivi richiamata (Cass. sez. un. 11 aprile 1990 n. 3075) riporta gli argomenti che escludevano l’arbitrato: a) l'uno attiene alla funzione propria del compromesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è sostitutivo od equivalente della giurisdizione ordinaria e quindi deroga convenzionalmente alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria; b) l'altro pone l'accento sugli effetti giuridici che si verificano allorché determinate materie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale in relazione ai diritti soggettivi delle parti, i quali subendo necessariamente le conseguenze che sono connesse all'intimo intreccio con gli interessi legittimi, perdono o riducono la loro disponibilità, onde non sono più suscettibili di essere compromessi in arbitri.

Il limite si era formato entro un sistema che escludeva la risarcibilità, a tutela di una amministrazione-autorità, i cui interessi (a non pagare i danni) dovevano prevalere sui diritti privati, quali riconosciuti dalle leggi civili. Ed è stato una prima volta derogato, ma solo per la materia degli appalti pubblici, in attuazione dei principi comunitari (L. 19 febbraio 1992, n. 142 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee): l’art. 13 (oggi superato e assorbito dalla più generale regola della risarcibilità, contenuta nell’art. 7 L. 205/2000, sopra citato al § I, 4° cpv.) stabiliva al 1° comma I soggetti che hanno subìto una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici … possono chiedere …il risarcimento del danno.

L’attenuazione del principio di autoritarietà ha trovato una compiuta espressione legislativa proprio in tale art. 7, in armonia con la più ampia tendenza espressa dalla legge sul procedimento (L. 8 agosto 1990 n. 241), emanata in immediata successione temporale.

Non a caso dunque la stessa legge n. 205/2000 introduceva, con l’art. 6, una innovativa estensione dell’arbitrato rituale, sovvertendo il principio di esclusività della giurisdizione amministrativa, sulle situazioni soggettive lese da attività autoritativa. L’art. 6 cpv. enuncia una regola assai chiara: Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto, regola poi trasfusa nell’art. 12 del c.p.a.

Lo stesso Codice inserisce la domanda di risarcimento del danno ingiusto “per inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo” nella giurisdizione esclusiva del G.A. (art. 133 lett. a) n. 1). Il riferimento ad una sola ipotesi di inerzia si spiega con l’esigenza di ribadire la tutela per questo specifico caso di risarcibilità, introdotto dallo stesso Codice, all’art. 30, 4° comma; poiché la natura di diritto soggettivo della pretesa risarcitoria costituisce da sempre, per ogni altra ipotesi, una regola pacifica (sopra, § 1). La particolare attenzione per questa ipotesi emerge anche da norme successive, che hanno valorizzato l’esigenza di tempestività delle risposte amministrative: in particolare, il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 (semplificazione), che ha inserito nell’art. 2 della L. 241/1990 i commi da 9 bis a 9 quinquies.

 

§ 4) LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE

I principi sin qui esposti non hanno trovato specifico riscontro; in particolare nella giurisprudenza di legittimità (non sono noti approfondimenti di dottrina, sul punto).

Di sicuro non vi è una frequenza di controversie, su di una questione che – al di fuori di un giudizio per nullità del lodo – ha modesti risvolti pratici.

Da un lato, la giurisdizione è interamente affidata al G.A., che si chieda annullamento o risarcimento.

Dall’altro, i termini per agire sono scanditi dal c.p.a., il cui art. 30 prevede (3° comma) un termine di decadenza di centoventi giorni, ove si chieda solo il risarcimento.

La rilevanza del problema (diritto o interesse) emerge soltanto se la controversia è compromessa, e risolta dall’arbitro rituale.

Questo è accaduto, in una vicenda che merita di essere analizzata, anche per la sua (finora) unicità.

Con la sentenza n. 64 del 7 gennaio 2016, le Sezioni Unite della Cassazione si occupano di una lite riguardante la nullità di un lodo ex art. 829 n. 1 cod. proc. civ., dichiarata dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza 3 giugno 2013 n. 2331. La clausola compromissoria ineriva ad un “Accordo di programma” stipulato tra diverse amministrazioni, e con l’adesione di un privato (Interporto Sud Europa s.p.a.), che aveva attivato il procedimento arbitrale nei confronti degli stipulanti.

Le SS.UU. riportano, ed in sostanza fanno proprio (punto 2, 2° cpv. della motivazione), l’argomento della Corte territoriale, che ha dichiarato “la nullità di entrambi i lodi [era impugnato anche il lodo parziale], essendo la controversia devoluta al giudice amministrativo”.

Nella motivazione non è cenno alla nuova normativa sull’ambito della competenza arbitrale (vedi il § precedente); sicchè il fondamento della decisione può solo intuirsi dal fatto che quella procedura era governata dalle regole anteriori, come estesamente descritte sopra, al cap. 3°, prima parte.

All’inizio della narrativa, la sentenza 64/2016 riporta che la domanda agli arbitri era stata introdotta “sulla base della clausola compromissoria contenuta nell'art. 23 dell'Accordo di Programma del 2-4-1996”. E le regole applicabili alle procedure arbitrali son quelle vigenti al momento in cui è stipulato il compromesso.

Ciò in applicazione del principio di irretroattività, sancito dall’art. 11, comma 1, disp. sulla legge in generale, approvate col cod. civ.; perché sia garantito l’affidamento dei contraenti sulle regole applicabili allorché il contratto dovrà avere esecuzione. Nello specifico, la regola è confermata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 che, nel modificare l’art. 806 cod.proc.civ. (art. 20), con norma transitoria (art. 27, comma 3) stabilisce “la disposizione si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto.” Quest’ultima norma va letta come espressione di un principio, applicabile in particolare alla successione di norme in tema di arbitrati.

Sorprende tuttavia che, nell’esercizio di una funzione nomofilattica, e trattando di nozioni fondamentali, peraltro poco esplorate proprio in punto di giurisdizione arbitrale, le SS.UU. omettano di dare un esplicito chiarimento; su quale regola abbiano applicato, se quella (di fonte giurisprudenziale: vedi inizio del § 3) precedente al 2000, o quella (di legge: art. 6 L. 205/2000) sopravvenuta.

Né il chiarimento avrebbe avuto un significato eccedente (obiter dictum), data l’esigenza di fornire comunque un criterio sulla collocazione temporale della vicenda; nata sotto il vigore di una, e definita sotto il vigore di altra, tra due norme che la regolano in modo antitetico.

La sentenza in esame richiama invero una propria ordinanza (n. 12725 del 2005 resa su domanda per regolamento di giurisdizione, proposta dalla stessa società che ha adito gli arbitri, dando luogo alla controversia de quo), con cui è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la domanda era volta “all'accertamento della violazione, da parte della Regione, delle pattuizioni contenute nell'accordo di programma del 2-4-1996”. Riaffermando così il (superato) principio di incompatibilità della giurisdizione arbitrale, per gli affari di competenza del G.A.

L’ordinanza aveva infatti ricondotto la tipologia dell’atto agli accordi ex art. 11 L. 241/90; presente “l’esercizio di una funzione pubblica”, ne consegue l’attribuzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del G.A. “qualunque sia la materia che ne costituisce oggetto” (ivi, pag. 12). Anch’essa ignorando il già vigente art. 6 L. 205/2000

La omessa considerazione (da parte di entrambe le decisioni delle SS.UU.) delle due norme, sopra citate (§ 3, penult. cpv.), ed in particolare dell’art. 12 del c.p.a., da tempo vigente al momento della pronuncia conclusiva, può indurre ad interpretazioni erronee, quasi fossero norme di dubbia applicazione; infatti, solo attraverso una indagine sul fatto (data della clausola compromissoria) ed una interpretazione in diritto (applicazione della legge vigente al momento in cui la clausola è stipulata), può trarsi la corretta regola sulla compatibilità della giurisdizione arbitrale; e quindi sulla nullità o validità del lodo.

Con l’aggravante, che neppure la sentenza impugnata (App. Napoli 3 giugno 2013 n.2231) si pone un problema di successione delle leggi; sicché la conferma della Cassazione non include, neppure per traslato, il doveroso chiarimento, alla luce dello Jus superveniens. Il Giudice territoriale si limita a rilevare che la controversia spetta al G.A., in quanto le posizioni dei privati, “coinvolti nella attuazione degli accordi di programma stipulati tra enti pubblici …siano affievolite, essendo gli accordi espressione di poteri pubblicistici nei loro confronti” (pag. 11). Pur riconoscendo che si versa in caso di giurisdizione esclusiva (e quindi sui diritti), ai sensi dell’art. 35, comma 1, D. Lgs. 31/3/98 n. 80, ha poi dichiarato la nullità dei lodi (parziale e definitivo) impugnati, ed affermato, anche in dispositivo, la giurisdizione del Giudice Amministrativo.

 

§ 5) LA RILEVANZA DEL PROBLEMA

Dalle descritte decisioni, che pure nella sostanza attengono alla evoluzione normativa in tema di giurisdizione arbitrale, non è dato ricavare espresse certezze sui nuovi ambiti di utilizzabilità delle clausole compromissorie; esigenza certo non marginale, dato l’espandersi di ipotesi negoziali, dove l’Amministrazione si accorda col privato, per realizzare finalità pubblicistiche; e dove le parti assumono reciprochi obblighi, seppur finalizzati ad un risultato che deve esser coerente con lo specifico interesse pubblico. Capitolo che si iscrive a supporto della nuova concezione di un diritto privato della pubblica amministrazione, riguardante estesi ambiti dell’agire pubblico; con collocazione sistematica intermedia tra il diritto amministrativo e civile.

Anche il nuovo Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 18/04/2016 n.50) ribadisce tale tendenza, e riprende figure convenzionali, sempre più utilizzate, specie per operazioni di elevato livello economico; ad esempio, il «contratto di partenariato pubblico privato», previsto all’art. 3, lett. eee).

Correlativamente, cresce l’importanza dell’arbitrato, come mezzo di soluzione più rapida delle controversie, altrimenti affidate ad un sistema che – a tacer d’altro – prevede tre gradi di giudizio; anche qui, il D. Lgs. 2/2/2006 n. 40 ha dettato un riordino della materia, a sottolinearne l’attualità.

Definire l’ambito di applicabilità dell’arbitrato è dunque compito essenziale; in difetto di chiarezza si rischiano, con la nullità del lodo, pregiudizi drammatici, e pesantemente incidenti sulla efficienza e credibilità del sistema Giustizia.

 

§ 6) LA IPOTESI DI SOLUZIONE

Nel nostro caso, e nonostante il silenzio della Corte sul problema esaminato, può invocarsi la chiarezza delle norme su riportate (§ 3, penultimo cpv.), sì da pervenire alle seguenti conclusioni.

A regime, l’art. 6 L. 205/2000 (riportato al § 3, penult. cpv.) non lascia dubbi né sull’ambito della regola, né sulla sua valenza innovativa.

Resta solo da collocare nel tempo la vicenda arbitrale.

Una clausola compromissoria successiva al 10 agosto 2000, data di entrata in vigore dell’art. 6, deve considerarsi legittima anche se ha ad oggetto la tutela di diritti soggettivi, affidati alla giurisdizione esclusiva del G.A.; se invece antecedente (come nel caso deciso dalle SS.UU. nella sentenza n. 64 sopra indicata) la clausola è nulla, se la controversia, ancorché fondata su diritti soggettivi, sia affidata a quella giurisdizione.

In altri termini, dopo quella norma, poi riprodotta nell’art. 12 del c.p.a., è ammessa la scelta tra giurisdizione arbitrale e amministrativa, ma solo per i diritti (inclusa ogni pretesa risarcitoria); gli interessi legittimi trovano tuttora esclusiva tutela dal G.A.. Se invece la clausola è anteriore, e le questioni compromesse, pur attenendo a diritti, sarebbero di competenza del G.A., la clausola resta nulla, con conseguente nullità del lodo.

Il riferimento cronologico al momento in cui si perfeziona (data del consenso, ex art. 1326 cod. civ.) la clausola compromissoria ci pare confermato dagli argomenti sopra esposti (§ 4, cpv. 5).

            Cagliari, 16 gennaio 2017