1 Considerazioni introduttive 2 Il contributo dell'Unione europea alla definizione del concetto di Partenariato pubblico - privato 3 I caratteri di base del contratto di Partenariato pubblico – privato, tra vecchio e nuovo Codice dei contratti pubblici 4 Gli istituti rientranti nel genus Partenariato pubblico - privato considerazioni e problematiche 5 L'accordo amministrativo come strumento di Partenariato pubblico - privato

 

 

 

1       Considerazioni introduttive

L'entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici ha consentito al  Partenariato pubblico – privato di acquisire un'importanza superiore rispetto al recente passato. L'atteggiamento del legislatore nei confronti del tema, a paragone con quello manifestato nella precedente versione del Codice, risulta essere profondamente cambiato.

Nell'ambito del d. lgs. 163/2006 l'attenzione dimostrata si era rivelata piuttosto limitata data la presenza di un'unica disposizione[1] dedicata al contratto di Partenariato; una disposizione dal valore definitorio e da inquadrarsi, probabilmente, nell'ottica di un percorso di valorizzazione della tematica solamente agli inizi. Un percorso che, ad oggi, ha trovato un primo importante sbocco con l'introduzione di una parte del Codice, la quarta, specificamente dedicata all'argomento.

 

2 Il contributo dell'Unione europea alla definizione del concetto di Partenariato pubblico - privato

La definizione del contratto di Partenariato pubblico – privato all'interno del Codice dei contratti pubblici affonda le sue radici nel copioso lavoro di sviluppo portato avanti, nel corso degli ultimi anni, da parte delle istituzioni comunitarie. La volontà dell'Unione europea di dedicarsi alla definizione del concetto di Partenariato e all'individuazione degli strumenti in esso ricompresi è legata a diverse ragioni. Tra le principali può essere, anzitutto, richiamata la consapevolezza di come il contesto socio – economico, sempre più caratterizzato da restrizioni di bilancio e dalla volontà di limitare l'intervento dei poteri pubblici, spinga verso un crescente uso degli strumenti collaborativi tra settore pubblico e privato[2]. Il coinvolgimento di quest'ultimo implica, allo stesso tempo, la disponibilità di un quadro giuridico chiaro e completo, in grado di attrarre il maggior numero possibile di investimenti. Ed è proprio questa la seconda ragione che ha spinto il legislatore comunitario a concentrarsi sulla tematica in commento. Paragonata ad altri contesti ordinamentali, la mancanza dei due requisiti appena citati con riferimento al quadro normativo costituirebbe una situazione definita come “incresciosa”, bisognosa di un adeguato intervento di riordino e completamento[3].

Il "Libro Verde relativo ai Partenariati Pubblico – Privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni"[4] ha costituito una prima, concreta risposta a tale bisogno. Mediante tale comunicazione la Commissione europea ha affrontato un'operazione ricognitiva dei diversi istituti collaborativi pervenendo ad una serie di indicazioni inerenti la materia.

In primo luogo si è provveduto a fornire un inquadramento di base del concetto di Partenariato; secondo la Commissione al suo interno confluirebbero tutte quelle  "forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio". Alla luce di tale definizione sono state, poi, individuate le caratteristiche principali del contratto di Partenariato pubblico – privato; in particolare è stato evidenziato come, al fine di rientrare nella definizione, debbano ricorrere una durata relativamente lunga della collaborazione, modalità di finanziamento del progetto in tutto o in parte garantite dal settore privato, talvolta tramite relazioni complesse tra i diversi soggetti (con la possibilità comunque che una quota di tale finanziamento provenga dal settore pubblico), un ruolo importante rivestito da parte dell'operatore economico (con il partner pubblico impegnato in attività di definizione degli obiettivi e di controllo circa il relativo raggiungimento), una ripartizione dei rischi tra i diversi soggetti, col partner privato chiamato a sopportare rischi solitamente a carico di quello pubblico. Parallelamente a tale operazione ricognitiva la Commissione ha delineato due macro categorie con le quali classificare le diverse forme di Partenariato; si tratterebbe, rispettivamente, del Partenariato contrattuale e di quello istituzionalizzato. Nella prima categoria rientrerebbero quelle forme collaborative basate su una relazione convenzionale tra soggetto pubblico e soggetto privato; le forme rientranti nella seconda categoria, invece, sarebbero basate sulla creazione di un soggetto terzo, distinto dai due partner e appositamente finalizzato allo svolgimento di attività condivise dai partner stessi.

Per completare l'analisi del contributo comunitario alla definizione del genus Partenariato pubblico – privato non può, inoltre, tralasciarsi l'importante lavoro di definizione di una disciplina della contrattualistica pubblica armonica e completa. Le direttive 2014/23/CE, 2014/24/CE e 2014/25/CE costituiscono non solo un importante fattore di novità in relazione al recepimento nel Codice dei contratti pubblici nel suo complesso; con riferimento al contratto di Partenariato pubblico – privato, infatti, non può non essere sottolineato come l'introduzione di una normativa specificamente dedicata alle concessioni amministrative sia risultata determinante ai fini dello sviluppo del Partenariato stesso. Tale disciplina assurge a sostrato di base delle diverse tipologie contrattuali in esso rientranti. Il contratto di concessione costituisce, pertanto, non solo un semplice esempio di Partenariato pubblico – privato ma anche un vero e proprio paradigma di quest'ultimo. Depone favorevolmente nei confronti di tale conclusione il rinvio della disciplina di tutti i contratti che il legislatore ha citato nell'ottavo comma dell'art. 180[5] a quella dell'istituto concessorio.

 

3  I caratteri di base del contratto di Partenariato pubblico – privato, tra vecchio e nuovo Codice dei contratti pubblici

L'individuazione delle caratteristiche del contratto di Partenariato pubblico – privato ha visto il legislatore adottare come riferimento fondamentale il contributo dell'Unione europea in materia. Prima il d. lgs. 163-2006 ed oggi il d. lgs. 50-2016 sono stati, infatti, ispirati dai contenuti del Libro Verde.

L'attenzione al tema del Partenariato, nel d. lgs. 163-2006, aveva trovato una sua concretizzazione essenzialmente nell'art. 3 comma 15 ter. Il legislatore, in questo frangente, assumeva un approccio “prudente” al tema limitandosi a parlare di contratto di Partenariato pubblico – privato nella sezione dedicata alle definizioni e focalizzandosi su quattro caratteristiche fondamentali. In primo luogo quella dell'oggetto del contratto, consistente in “una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio”. Il rapporto collaborativo tra settore pubblico e settore privato avrebbe potuto, in sostanza, riguardare ciascuna delle diverse fasi di realizzazione di un progetto inerente un'opera o un servizio pubblico. Un secondo importante fattore consisteva, poi, nel finanziamento del progetto, secondo il legislatore “totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse”. Il contributo del settore privato risultava, sotto questo aspetto, fondamentale dovendo garantire quell'adeguato quantitativo di risorse di cui, sulla base di quanto in precedenza visto in relazione alle posizioni del legislatore comunitario, il settore pubblico non disponeva (e di cui non disporrebbe tuttora). Abbinato, poi, al tema del finanziamento vi era quello dell'allocazione dei rischi, da doversi gestire “ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”; emerge qui con grande chiarezza il fatto che ci si sia appoggiati fortemente al contributo normativo di matrice comunitaria inerente l'argomento.

Tralasciando l'aspetto della durata relativamente lunga del progetto, richiamata dal Libro Verde con riferimento alle caratteristiche del rapporto di Partenariato, il legislatore italiano inseriva all'interno del Codice tutti gli indici di riconoscimento in precedenza individuati dalla Commissione, con un'importante aggiunta relativa agli esiti che l'uso di tali indici potrebbe consentire di raggiungere. A titolo puramente “esemplificativo”, infatti, veniva attribuita la qualifica di contratto di Partenariato alla concessione di lavori e di servizi, alla locazione finanziaria, al contratto di disponibilità, alla finanza di progetto, alle società miste e, da ultimo, all'affidamento a contraente generale laddove il corrispettivo per la realizzazione dell'opera fosse in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi.

L'individuazione di una griglia di caratteri del contratto di Partenariato, assieme alla regolamentazione dei singoli istituti in esso rientranti contenuta nella parte II[6], ha costituito una buona base di partenza. Il contributo fornito dal legislatore con la prima versione del Codice non può essere definito diversamente. L'interesse dimostrato nei confronti del tema si era, in quel frangente, concretizzato nella definizione delle basi per i suoi futuri sviluppi. Non solo, infatti, si riscontra l'assenza di un adeguato approfondimento dei caratteri peculiari del contratto di Partenariato pubblico – privato ma anche l'adozione di scelte sistematiche che tradiscono un'attenzione ancora insufficiente; basti pensare all'assenza di un vero e proprio raccordo tra l'art. 3, comma 15 ter e la parte seconda del Codice, priva di qualsiasi riferimento al concetto. Le due componenti appaiono, in un certo senso, “slegate”.

A distanza di alcuni anni gli esiti della maturazione del Partenariato pubblico - privato diventano evidenti grazie ad una nuova riflessione legislativa che ha condotto ad importanti risultati. Non può tacersi come, anche in quest'occasione, lo stimolo allo sviluppo del tema sia pervenuto dal contesto comunitario data l'attuazione delle tre direttive citate in precedenza. L'approccio del legislatore italiano al tema del Partenariato pubblico – privato si caratterizza, nell'ambito del nuovo Codice, sia per una maggiore completezza dell'aspetto definitorio sia per un attento lavoro di sistematizzazione della materia, confluita nella quarta sezione del Codice stesso. Il mantenimento di una norma dal valore descrittivo quale l'art. 3, comma 1, lettera eee) costituisce solo il preludio ai successivi approfondimenti[7]. Approfondimenti consistenti in norme dal tenore esemplificativo delle caratteristiche peculiari del contratto di Partenariato in generale e inerenti anche gli istituti che, secondo il legislatore, risulterebbero idonei a rientrare nel novero di tale definizione. Scelte da rimarcare se confrontate con quanto evidenziato in  riferimento al d. lgs. 163/2006.

Sulla base di queste considerazioni si può, quindi, procedere nell'analisi delle soluzioni adottate dal legislatore nella nuova versione del Codice.

In primo luogo, con riferimento all'oggetto del contratto, si riscontra la presenza di un ampliamento del novero delle possibili prestazioni a carico dell'operatore economico. A quanto già in precedenza elencato il legislatore affianca l'operazione di trasformazione dell'opera oggetto del contratto, unitamente alla progettazione di fattibilità tecnica ed economica e alla progettazione definitiva delle opere o dei servizi connessi. Quest'ultimo aspetto costituisce, in realtà, un approfondimento di quanto già precedentemente incluso nel precedente Codice. La progettazione di fattibilità nonché la progettazione definitiva costituiscono, inoltre, oggetti di contratto sui quali il legislatore avrebbe compiuto una piccola “forzatura”, suscitando alcune perplessità in parte della dottrina[8]. La legge delega al Codice, infatti, non contemplerebbe, se non a titolo di eccezione, le ipotesi di affidamento della progettazione all'esecutore dell'opera nonché di appalto integrato. Tuttavia, come sottolineato da altra parte della dottrina, l'ipotesi del contratto di Partenariato pubblico - privato potrebbe costituire un'eccezione[9] alla luce della presenza in capo all'esecutore di molteplici profili di rischio[10]. A completamento di quanto poc'anzi visto vi è, inoltre, la definizione di un ulteriore aspetto quale quello dei ricavi di gestione dell'operatore economico. Nel 2006 il legislatore non si era occupato di puntualizzare in cosa consistesse la “contropartita” dell'operatore economico ma solo di stabilire che il finanziamento dell'operazione di Partenariato dovesse essere a carico di quest'ultimo in maniera totale o parziale. Nella nuova versione del Codice dei contratti pubblici viene espressamente asserito come “i ricavi di gestione dell'operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall'ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna”[11]; il tutto, per altro, contemplando anche l'aspetto del recupero degli investimenti e dei costi sostenuti dall'operatore economico, anch'essi dipendenti da quanto ottenuto mediante lo sfruttamento dell'opera ovvero fornitura del servizio[12]. Il contributo della stazione appaltante alla realizzazione del progetto di Partenariato non viene, comunque, escluso dal legislatore. Assumendo una soglia massima pari al trenta per cento del costo dell'intervento complessivo viene riconosciuta la possibilità che il soggetto pubblico versi un canone all'operatore economico a fronte della disponibilità dell'opera ovvero della fornitura di un servizio, canone il cui importo può variare alla luce di alcune variabili ma che deve in ogni caso mantenersi proporzionale al valore netto degli investimenti, dei costi e dei ricavi dell'operatore privato. Il legislatore si preoccupa, infatti, del mantenimento di un equilibrio economico – finanziario dell'operazione di Partenariato, assurgendo tale equilibrio a presupposto fondamentale per un'adeguata ripartizione dei rischi. Anche a tal proposito l'atteggiamento è assolutamente più preciso e mirato rispetto al 2006. Rinunciando ad un semplice rinvio alla normativa comunitaria in materia la scelta è quella di definire più puntualmente in cosa tale ripartizione debba consistere. In capo all'operatore economico graverebbero, oltre che il rischio di costruzione, anche quello di disponibilità, di domanda di servizi resi per il periodo di gestione dell'opera (quest'ultimo nel caso di attività redditizia verso l'esterno), nonché i rischi derivanti da fatti non imputabili all'operatore economico. Non può, da ultimo, non evidenziarsi come nel 2016 il legislatore si preoccupi di evidenziare come la durata del contratto di Partenariato sia determinata in funzione dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento; la lunga durata del rapporto viene, quindi, implicitamente richiamata mediante tale formulazione.

A completamento dell'inquadramento generale del contratto di Partenariato un cenno merita la puntualizzazione di come l'aggiudicazione del contratto abbia luogo sulla base delle procedure ad evidenza pubblica, anche mediante dialogo competitivo. La scelta del partner privato avrebbe luogo attraverso una valutazione “a tutto tondo”, inerente profili economico – finanziari di vario genere (rapporto domanda – offerta, sostenibilità del progetto, valutazione dei rischi)[13]; una scelta caratterizzata da valutazioni mutuate dagli ordinamenti di common law, in cui lo studio delle variabili socio -  economiche risulta piuttosto sviluppato[14].

Il lavoro compiuto dal legislatore, rispetto al Codice precedente, si caratterizza per una maggiore precisione e completezza nella definizione degli aspetti peculiari del contratto di Partenariato. Quest'ultimo, come già anticipato, può oramai essere considerato a tutti gli effetti come un genus all'interno del quale andranno poi collocate le varie species consistenti sicuramente nella finanza di progetto, nella concessione di costruzione e gestione, nella concessione di servizi, nella locazione finanziaria di opere pubbliche, nel contratto di disponibilità; risultano queste le tipologie contrattuali direttamente incluse nella categoria del Partenariato. A tale elencazione il legislatore ha, inoltre, aggiunto un'importante clausola di apertura grazie alla quale risultano idonee a rientrare nel genus tutte le tipologie contrattuali dotate delle caratteristiche sinora esposte. Una clausola dal peso specifico piuttosto importante in virtù dell'ulteriore valore innovativo aggiunto alla normativa del Codice; grazie ad essa, infatti, si garantirebbe la continua evoluzione degli strumenti di Partenariato, sia contrattuali sia istituzionali[15].

Non può non rilevarsi come, ad una lettura delle tipologie contrattuali direttamente contemplate dal legislatore nell'ambito del genus, rispetto alla precedente versione del Codice manchino l'affidamento a contraente generale e la società mista. Se da una parte la presenza di una clausola di apertura a qualsiasi altro istituto recante le caratteristiche su esposte costituisce, in ogni caso, un'importante garanzia, dall'altra non può non essere evidenziata la mancanza dell'unico esempio di Partenariato “istituzionale”; una scelta, questa, dovuta alla necessità di attenersi ai contenuti delle direttive comunitarie inerenti il partenariato “contrattuale”. Per entrambe le fattispecie, comunque, ulteriori osservazioni verranno svolte con riferimento all'analisi dei singoli strumenti collaborativi.

Dal punto di vista sistematico costituisce un dato sicuramente importante quello per cui, nella sezione dedicata al Partenariato pubblico – privato, sia stata collocata la disciplina di tutte le tipologie contrattuali citate dal legislatore. Emblematico in tal senso è il fatto che, contrariamente all'art. 3 comma 15 ter del 2006, tale elencazione sia stata inserita direttamente nella parte quarta; una scelta, probabilmente, più corretta e coerente con l'inserimento proprio in questa parte di tutta la normativa inerente l'argomento. Il tutto fatta eccezione per la disciplina delle concessioni la quale costituisce, assieme alla normativa inerente i contratti pubblici in generale, il sostrato di base del contratto di Partenariato. Anche dal punto di vista sistematico, quindi, si ricava la chiara volontà del legislatore di definire il genus in questione; una volontà, come già anticipato, probabilmente presente anche nel codice del 2006 ma concretizzatasi in un lavoro dal valore propedeutico a quanto compiuto successivamente. All'art. 3 comma 15 ter va riconosciuto, pertanto, un valore più programmatico che sostanziale nel momento in cui si proceda al paragone con quanto inserito nel codice del 2016.

 

4 Gli istituti rientranti nel genus Partenariato pubblico - privato considerazioni e problematiche

In via preliminare risulta utile e chiarificatore affrontare la questione per cui il contratto di appalto debba o meno rientrare nel Partenariato pubblico – privato. L'Unione europea ha, infatti, manifestato l'intenzione di inserire tale istituto all'interno del genus in qualità di esempio paradigmatico. Tuttavia, appare necessario inquadrare la situazione in tutt'altro modo, specie secondo la dottrina maggioritaria. La scelta sistematica di matrice europea viene criticata alla luce della mancanza di quelle caratteristiche necessarie all'inquadramento dell'istituto all'interno del Partenariato. Su tutte, probabilmente, spicca l'assenza di un finanziamento del progetto totalmente o parzialmente a carico della parte privata ma, allargando il campo visuale, è possibile riscontrare la mancanza di molti altri indici di riconoscimento; in tal senso è stato osservato come nel contratto di appalto manchi una condivisione di finalità, impegni e rischi, senza contare come la parte privata sia coinvolta unicamente nella fase di realizzazione (al più di progettazione), contrariamente alla necessità che ciò avvenga in tutte le fasi di esecuzione dell'intervento pubblico[16].

Con riferimento al contratto di concessione ci si trova di fronte non ad un semplice esempio di Partenariato ma ad un vero e proprio paradigma di quest'ultimo. Depone favorevolmente nei confronti di tale conclusione il rinvio della disciplina di tutti i contratti che il legislatore ha citato nell'ottavo comma dell'art. 180[17] a quella inerente tale istituto. La verifica della riconducibilità del contratto di concessione nel Partenariato pubblico – privato si presta ad essere svolta con una certa velocità e speditezza. Il legislatore ha incluso all'interno del genus tanto le concessioni di lavori quanto quelle di servizi. Per entrambe non sorgono problemi circa l'oggetto della collaborazione tra la stazione appaltante e l'operatore economico: l'affidamento dell'esecuzione di lavori ovvero della gestione di servizi costituiscono, certamente, un oggetto riconducibile tra le prestazioni dei contratti di Partenariato. Anche con riferimento all'elemento del finanziamento totalmente o parzialmente a carico dell'operatore economico si registra una perfetta compatibilità con i requisiti stabiliti nella parte quarta del Codice; il riconoscimento, eventuale, di un prezzo da parte della stazione appaltante costituisce unicamente uno strumento per raggiungere l'equilibrio economico – finanziario, aspetto necessario per qualunque contratto di Partenariato. Il tutto senza contare come tale prezzo (consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili) non possa, comunque, eccedere la soglia del trenta per cento dell'investimento complessivo[18]. L'equilibrio economico – finanziario necessario al perfezionamento del contratto di concessione costituisce, inoltre, elemento imprescindibile ai fini della sopportazione da parte del concessionario del rischio operativo legato alla gestione delle opere o dei servizi; il mantenimento di tale equilibrio può, per altro, implicare una revisione del piano economico – finanziario relativo al contratto al verificarsi di fatti non riconducibili all'operatore privato ed in grado di alterarne le prospettive economiche. Non sussistono dubbi nemmeno in relazione alla durata del contratto di concessione, limitata in funzione dei servizi o dei lavori richiesti ed in ogni caso non superiore al tempo necessario al recupero degli investimenti e ad una remunerazione del capitale investito dal partner privato; sotto quest'aspetto, infatti, giova evidenziare come la remunerazione derivi, oltre che dall'eventuale contributo pubblico, soprattutto dal diritto di gestione dell'opera o del servizio. Per il contratto di concessione non sorgono, pertanto, problematiche di sorta circa la sua riconducibilità nel Partenariato pubblico – privato. L'influsso del diritto comunitario in tal senso è risultato determinante grazie al superamento dell'iniziale caratterizzazione delle concessioni in termini di riserva di attività economiche ai pubblici poteri nonché al successivo inquadramento nell'ambito della figura dell'esercizio privato di funzioni e servizi pubblici. L'apporto garantito dal diritto comunitario avrebbe, invece, consentito di pervenire ad una “contrattualizzazione” delle concessioni (basti pensare al fatto che gran parte della copertura normativa era stata mutuata dalla regolamentazione inerente gli appalti) con conseguente maggiore facilità nella loro inclusione nel genus. In particolar modo possono essere richiamate la direttiva 93/37/CE, la comunicazione interpretativa del 2000 n.121/02, le direttive 17 e 18/2004 CE nonché le ultime direttive dell'anno 2014.

Il secondo strumento di Partenariato è quello della finanza di progetto, che la dottrina definisce come una modalità peculiare per giungere alla conclusione di una concessione. Non a caso tale concessione viene definita “da finanza di progetto” in virtù della fusione al suo interno di un'originale fase di scelta del contraente privato e di una fase contrattuale basata sullo schema concessorio. Il contratto di concessione, di per sé, viene stipulato ponendo a base di gara tutti i requisiti tecnici e funzionali dei lavori da eseguire ovvero dei servizi da fornire, con l'eventuale previsione aggiuntiva di livelli di qualità, di prestazione ambientale, di progettazione etc. La concessione cui si perviene mediante l'istituto della finanza di progetto prevede, invece, una dinamica alternativa per l'espletamento della fase di scelta del contraente privato. Il contributo della stazione appaltante, nella versione “base” dell'istituto, si limita allo svolgimento di uno studio di fattibilità inerente la realizzazione di un'opera inserita all'interno degli strumenti di programmazione approvati dalla medesima amministrazione; studio posto a base del bando di gara con la realizzazione del progetto, invece, ad opera dei partecipanti. Costituisce, inoltre, onere gravante su quest'ultimi quello di garantire la finanziabilità del progetto in tutto o in parte mediante capitali privati reperiti tramite il coinvolgimento di un istituto di credito o di una società di servizi iscritta nell'elenco generale degli operatori finanziari. Il discorso sulla finanza di progetto non può vertere, per ovvi motivi di affinità col contratto di concessione, sulla sussistenza dei requisiti stabiliti dal Codice per l'inserimento tra i contratti di Partenariato pubblico – privato. L'attenzione va concentrata, quindi, su un aspetto alternativo quale quello del diverso livello di propositività del promotore privato. La dinamica poc'anzi accennata, per cui il contributo dell'operatore economico avrebbe come oggetto la stesura del progetto definitivo sulla base dello studio di fattibilità realizzato dal partner pubblico, non costituisce l'unica soluzione possibile su cui basare la finanza di progetto. L'attuale art. 183, comma 15, prevede che, in alternativa, sia proprio l'operatore economico a presentare all'amministrazione aggiudicatrice delle proposte di realizzazione in concessione di lavori pubblici, proposte non contemplate dagli strumenti di programmazione approvati secondo la vigente normativa. Il progetto di fattibilità così realizzato può, tramite l'assenso della stazione appaltante[19], essere così posto a base di gara, con relativa possibilità di riconoscimento al promotore di un diritto di prelazione. Il diverso livello di propositività caratterizzante la finanza di progetto costituisce, già di per sé, un valore aggiunto in virtù della garanzia di una via ulteriore per lo sviluppo di progetti di opere non previsti dal partner pubblico[20].  Inoltre non può non evidenziarsi come la dottrina tenda a considerare l'ipotesi dell'art. 183, comma 15 come la massima espressione di Partenariato nell'ambito della finanza di progetto stessa[21].

Un'ulteriore tipologia contrattuale prevista dal Codice dei contratti pubblici è quella della locazione finanziaria, contratto mediante il quale è possibile procedere alla realizzazione, acquisizione e completamento di opere pubbliche[22]. In relazione all'istituto in commento, sebbene incluso dal legislatore nell'ottavo comma dell'art. 180,  sorgono dubbi circa una riconducibilità nel genus del Partenariato pubblico – privato quanto meno al paragone con gli istituti sinora analizzati, i quali sembrano rientrarvi con maggiore naturalezza. I principali ostacoli ad una qualificazione certa del contratto come di Partenariato pubblico – privato sono, probabilmente, due: la definizione della locazione finanziaria come contratto di appalto[23] e le modalità di finanziamento del progetto. Il primo fattore, in realtà, potrebbe essere aggirato mediante il contestuale richiamo all'ottavo comma dell'art. 180[24] senza dimenticare come, in ogni caso, basarsi sul semplice profilo nominalistico costituirebbe scelta riduttiva. I maggiori problemi scaturiscono, invece, proprio dalla verifica dei requisiti che il legislatore stesso ha previsto per il contratto di Partenariato. Non sussistono dubbi, infatti, in ordine alla ripartizione dei rischi soprattutto a carico del soggetto realizzatore e/o del soggetto finanziatore; progettazione, costruzione, perizie suppletive, revisioni dei prezzi, caratteristiche tecniche del bene sono tutti aspetti in relazione ai quali i possibili rischi gravano alternativamente tra soggetto finanziatore e soggetto realizzatore. Il profilo problematico è insito, invece, nella componente della corresponsione dei canoni di locazione data la necessità di un finanziamento a carico del soggetto realizzatore. Nel caso della locazione finanziaria la corresponsione dei canoni a partire dal momento della consegna dell'opera implica che tale finanziamento non abbia luogo da parte del settore privato; verrebbe a mancare, dunque, uno degli elementi fondamentali per la collocazione del contratto in oggetto nel Partenariato pubblico – privato[25]. Probabilmente l'unica strada per individuare un possibile risparmio a vantaggio della stazione appaltante è quella di considerare come il reperimento e l'anticipo del capitale garantito dal partner privato ed il conseguente pagamento dilazionato da parte di quello pubblico consentano un migliore e più facile mantenimento dell'equilibrio finanziario dell'amministrazione. Tale soluzione potrebbe risultare forzata ed in ogni caso non del tutto in linea con la dinamica caratterizzante gli altri contratti di Partenariato pubblico – privato[26], per lo meno ragionando rigidamente in relazione al tema del finanziamento. Discorso diverso, invece, potrebbe essere fatto laddove per finanziamento a carico del soggetto privato si intendesse anche una modalità alternativa a quella del pagamento da parte di quest'ultimo, vale a dire quella di un anticipo del capitale. Sarebbe allora auspicabile una maggiore chiarezza del testo legislativo con riferimento alle diverse modalità con cui il finanziamento a carico del soggetto privato possa avvenire.

L'ultima tipologia contrattuale citata dal legislatore è quella del contratto di disponibilità. In relazione a tale tipologia contrattuale è possibile apprezzare come il genus del Partenariato pubblico – privato si caratterizzi per un elevato tasso di eterogeneità dal punto di vista delle modalità con cui pervenire al medesimo risultato conseguibile con altri strumenti collaborativi. Alla base di tale istituto vi è, infatti, la realizzazione di un'opera in un primo momento, e salvo diversi eventi, di proprietà del privato. La dinamica di tale tipologia contrattuale prevede, sulla scia di quanto avviene con la finanza di progetto, che l'opera venga realizzata da parte dell'operatore economico sulla base dello studio di fattibilità e dei requisiti indicati nel bando di gara. Il soggetto promotore assume, quindi, il rischio della costruzione e della gestione tecnica per il periodo di messa a disposizione dell'amministrazione aggiudicatrice, il tutto ovviamente salva la presenza di eventi in grado di alterare l'equilibrio economico – finanziario raggiunto mediante il contratto. In dottrina si ravvisa il convincimento per cui il contratto di disponibilità si risolva in un “freddo” rapporto cliente – fornitore (rispettivamente pubblico e privato) privo di una reale connotazione collaborativa[27]. Un'opinione che non si è del tutto sicuri di condividere in virtù di una certa affinità, dal punto di vista della dinamica di base, del rapporto in commento con la finanza di progetto[28].

Maggiore interesse suscitano, invece, le peculiarità del contratto di disponibilità rispetto alle dinamiche concessorie, cosa che non ha impedito al legislatore di annoverare lo stesso nel Partenariato pubblico – privato. I motivi vanno ricercati principalmente nel profilo attinente il finanziamento dell'opera. Per quest'ultima, infatti, viene in un primo momento previsto un finanziamento interamente a carico del soggetto promotore, con la stazione appaltante chiamata a versare un canone in corrispondenza dell'effettiva disponibilità. Sin qui la dinamica caratterizzante i contratti di Partenariato consta nel mantenimento da parte del soggetto promotore della proprietà dell'opera e nel versamento da parte dell'amministrazione dei canoni di disponibilità; la realizzazione avverrebbe su input della stazione appaltante, non chiamata al suo finanziamento ma solo al pagamento del suo sfruttamento.

A fronte di tale dinamica di base sussistono, però, altrettanti profili peculiari del contratto, con riferimento all'eventualità di un acquisto da parte della stazione appaltante. Tale eventualità suscita alcune perplessità. Le lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 188 prevedono che, in caso di acquisto da parte della stazione appaltante, quest'ultima possa riconoscere in corso d'opera “un contributo comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione” e, inoltre, un eventuale “prezzo di trasferimento, parametrato, in relazione ai canoni già versati e all'eventuale contributo in corso d'opera... al valore di mercato residuo dell'opera, da corrispondere al termine del contratto”.

Con riferimento al primo contributo si assisterebbe ad un superamento del venti per cento rispetto alla soglia prevista per il contributo pubblico da poter riconoscere all'operatore economico per la costruzione dell'opera. Nelle caratteristiche generali del contratto di Partenariato il legislatore fa riferimento al trenta per cento dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali garanzie pubbliche ed ulteriori meccanismi di finanziamento, mentre nel caso del contratto di disponibilità al cinquanta per cento del costo di costruzione. Si profilano, quindi, due strade da poter seguire. Una prima è quella di considerare il valore di costruzione e quello dell'investimento complessivo in termini paritetici; in tal caso verrebbe totalmente meno il requisito generale del finanziamento a carico del soggetto privato per un certo ammontare[29]. Una seconda strada consisterebbe, invece, nel considerare il solo costo di costruzione come soglia inferiore rispetto al quella dell'investimento complessivo; in tal modo la soglia del cinquanta per cento potrebbe andare a diminuire raggiungendo quel trenta per cento richiesto per il contratto di Partenariato. Quest'ultima appare, probabilmente, la soluzione più confacente al contesto ed in grado di eliminare un primo profilo di perplessità anche perché, come precisato dal legislatore, la corresponsione avviene in corso d'opera e quindi già in questa fase deve essere presente la volontà di procedere al successivo acquisto.

Altri dubbi scaturiscono, però, proprio dalla possibilità di un acquisto ad un prezzo calcolato detraendo i canoni corrisposti sino al termine del contratto e il canone versato in corso d'opera. Ora, che l'amministrazione possa corrispondere un prezzo ai fini del mantenimento dell'equilibrio economico è aspetto previsto dall'art. 180, sesto comma; quest'ultimo non chiarisce, però, se tale prezzo sia finalizzato ad un trasferimento della proprietà. Non possono, quindi, non manifestarsi perplessità in ordine al fatto che il legislatore avrebbe dovuto, quanto meno, precisare tale aspetto. Sembrerebbe, infatti, che la stazione appaltante non faccia altro che pagare l'intero valore dell'opera in parte in termini rateali ed in parte in due soluzioni (canone in corso d'opera e prezzo residuo), specie considerando che il contributo sub b), legato all'acquisto della stessa, viene riconosciuto in corso di realizzazione. In altre parole l'amministrazione appaltante manifesterebbe già al momento di conclusione del contratto la volontà di un acquisto.

Si potrebbe ipotizzare come quest'ultimo, il contributo ed il prezzo corrisposto vadano considerati come fattori a sé stanti rispetto alla realizzazione e alla  disponibilità per la durata contrattuale. In altre parole il Partenariato pubblico – privato consisterebbe in un primo momento nella realizzazione e nel godimento dell'opera da parte della stazione appaltante; in un secondo momento in un acquisto che, non considerando i canoni di disponibilità già versati ed il contributo di cui alla lettera b), avverrebbe ad un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato. Il riconoscimento a tale soluzione di un certo tasso di veridicità potrebbe, indubbiamente, eliminare molti profili di dubbio. Tuttavia permangono perplessità relativamente al fatto che disponibilità e successivo acquisto appaiono entrambi come aspetti già nei piani della stazione appaltante, il che farebbe venir meno ogni possibilità di interpretazione positiva. Tale contemporanea permanenza di finalità implicherebbe di considerare unitariamente tutti i corrispettivi versati dall'amministrazione, a diverso titolo ma con all'orizzonte comunque l'acquisto finale; il superamento del trenta per cento della soglia massima di contribuzione pubblica avrebbe senz'altro luogo. Ai fini di una completa accettazione di tale interpretazione sarebbe, quindi, auspicabile un'esplicitazione della possibilità di manifestare la volontà di acquistare l'opera oggetto del contratto già nella fase di realizzazione, ad un prezzo più vantaggioso rispetto a quello di mercato; per far ciò sarebbe altrettanto utile separare, dal punto di vista sistematico, le tre tipologie di contributo mantenendo i canoni di godimento separati dal contributo in corso d'opera e dal prezzo. Un aspetto al momento assente dato che tutte le voci citate vengono considerate come corrispettivo del contratto di disponibilità all'art. 188, primo comma[30]. In alternativa, come già visto per la locazione finanziaria, la soluzione andrebbe ricercata nel considerare quello del finanziamento a carico del soggetto privato come un requisito più elastico di quanto appaia dalla lettura del Codice dei contratti pubblici, concependolo cioè anche in termini di anticipo dei capitali e conseguente pagamento in forma dilazionata; una soluzione, quest'ultima, pur sempre garante di un vantaggio economico per il partner pubblico.

Esaurita l'analisi dei contratti direttamente rientranti, secondo il legislatore, nel genus del Partenariato pubblico – privato è possibile ora passare ad un vaglio di compatibilità dei due istituti in precedenza inclusi nell'art. 3, comma 15 ter, ed ora invece espunti dall'art. 180, ottavo comma: l'affidamento a contraente generale e la società mista.

Per la verità la prima tipologia contrattuale risulta essere comunque inclusa nella parte quarta del Codice dei contratti pubblici. Tuttavia, tale scelta potrebbe essere legata alla sola presenza di una dinamica collaborativa in virtù della quale la stazione appaltante si avvale delle prestazioni di un soggetto “dotato di di adeguata capacità organizzativa, tecnico – realizzativa e finanziaria”[31] ma che, allo stesso tempo “liquida l'importo delle prestazioni rese e prefinanziate dal contraente generale con l'emissione di un certificato di pagamento esigibile alla scadenza del prefinanziamento secondo le previsioni contrattuali”[32]. Come avvenuto per il contratto di disponibilità si ripropone nuovamente la problematica per cui, in realtà, la stazione appaltante è costituita da un soggetto che commissiona una determinata opera, si avvale delle competenze tecniche dell'aggiudicatore, non sopporta i rischi della realizzazione ma, in definitiva, sopporta il finanziamento. Alla luce di tali considerazioni, quindi, risulterebbe corretta la scelta di non includere la tipologia contrattuale in commento nell'art. 180, ottavo comma; tuttavia quella di includerla comunque nella parte quarta appare dubbia. Il sesto comma dell'art. 180 non esclude, infatti, la corresponsione di un prezzo ai fini del raggiungimento dell'equilibrio economico – finanziario dell'operazione di Partenariato; tuttavia tale prezzo, unitamente alle altre forme di contribuzione pubblica, non deve superare il trenta per cento dell'investimento complessivo. La previsione poc'anzi riportata in relazione alla remunerazione del contraente generale suscita, invece, la sensazione che il prezzo riconosciuto superi di gran lunga tale soglia.

Un istituto non incluso nel Codice dei contratti pubblici ma costituente uno strumento di Partenariato pubblico - privato è quello della società mista. Contrariamente alla scelta del legislatore di includere quest'ultima nel genus nella precedente versione del Codice dei contratti pubblici attualmente, invece, si registra una sua assenza nell'art. 3, comma 1, lettera eee) del Codice stesso. La scelta in questione risulta dettata dalla necessità di attenersi all'applicazione dei contenuti delle direttive comunitarie oggetto di applicazione del Codice e, quindi, unicamente alla parte contrattuale e non anche istituzionale del Partenariato pubblico - privato. Tuttavia il modello della società mista rientra indubbiamente nel novero degli strumenti collaborativi. A conferma di tale assunto depongono non solo la presenza dei requisiti necessari ad un suo inquadramento nel genus ma anche la previsione di cui all'art. 4, comma 2, lettera c) del d. lgs. 175/2016[33]. La società mista costituisce, dunque, a tutti gli effetti un esempio della categoria del Partenariato istituzionale di cui, probabilmente, andrebbe collocato anche solo un semplice riferimento nella norma definitoria del contratto di Partenariato pubblico – privato del nuovo Codice. Il modello della società mista, infatti, costituisce una peculiare modalità collaborativa frutto della sintesi tra la dinamica di scelta del socio privato secondo le logiche della contrattualistica pubblica e la costituzione di un soggetto societario ex novo a capitale misto. Il tutto con l'obiettivo di coinvolgere tale soggetto in un contratto come ad esempio quello di concessione[34].

Partendo da quest'ultimo assunto si evince chiaramente il potenziale responso positivo a seguito di un vaglio della società mista alla luce dei requisiti del contratto di Partenariato pubblico - privato. Un aspetto in particolare, però, necessita di essere puntualizzato, vale a dire quello della prevalenza del capitale societario a favore del soggetto pubblico o privato. Come già più volte ricordato la quota di partecipazione massima all'investimento complessivo da parte del settore pubblico non può superare il trenta per cento; va da sé, quindi, che a rientrare nel genus del Partenariato pubblico – privato saranno solo quelle società dove la partecipazione pubblica non superi tale quota. Una soluzione già possibile antecedentemente alla recente riforma della pubblica amministrazione[35] ma, ad oggi, oggetto di ulteriori conferme. Il d. lgs. 175-2016, tra gli altri aspetti, si occupa specificamente del tema della società mista. In virtù di quanto in esso previsto la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento, mentre non vengono individuati limiti nel massimo per questa[36]. Anche l'aspetto della durata della partecipazione privata alla società viene contemplato in perfetta sintonia con il relativo appalto o concessione per l'affidamento o esecuzione dei quali la società sia stata costituita[37]. Il discorso inerente la società mista non presenta, quindi, alcun punto problematico in ordine alla riconducibilità di tale schema nel genus Partenariato pubblico – privato.

 

5 L'accordo amministrativo come strumento di Partenariato pubblico – privato

Le considerazioni svolte in precedenza con riferimento al Partenariato pubblico – privato e alla grande eterogeneità che caratterizza tale genus contrattuale suggeriscono di ampliare l'angolo visuale circa gli istituti in grado di rientrare al suo interno.

Suscita interesse, in particolare, affrontare un'analisi inerente il grado di compatibilità tra l'istituto dell'accordo amministrativo disciplinato dall'art. 11 della legge 241-90 e il genus del partenariato Pubblico – privato. In dottrina si rinvengono, infatti, opinioni contrastanti circa una qualificazione dell'istituto in questione in termini di Partenariato[38]. L'analisi della giurisprudenza inerente l'accordo ex art. 11 consente, tuttavia, di far emergere alcuni casi di collaborazione tra settore pubblico e settore privato finalizzata alla realizzazione di opere destinate al soddisfacimento del pubblico interesse ed attuata proprio mediante l'uso di questo strumento.

Un primo caso viene richiamato da una sentenza del TAR Molise[39] relativa alla risoluzione per inadempimento, ad opera del partner pubblico, di una convenzione inerente la realizzazione di un impianto eolico mediante una collaborazione con un partner privato. Nel caso di specie le obbligazioni a carico del primo consistono esclusivamente nella messa a disposizione dei propri terreni ovvero di terreni di proprietà privata, unitamente all'attivazione delle procedure necessarie all'installazione di anemometri prima e di impianti eolici in una fase successiva. La realizzazione degli impianti e la relativa loro gestione spettano al partner privato. Ricordando sempre che l'analisi viene condotta su casi antecedenti l'entrata in vigore del d.lgs. 50/2016 risulta piuttosto interessante apprezzare un certo grado di compatibilità con le caratteristiche da quest'ultimo richieste affinché un determinato istituto rientri nel novero degli strumenti di Partenariato pubblico – privato. L'assenza di contributi da parte della pubblica amministrazione, il finanziamento dell'opera a carico del privato (al quale spetteranno i proventi inerenti la gestione della stessa) e l'assunzione dei rischi relativi alla realizzazione e gestione dell'opera stessa lascerebbero presagire un'inclusione dell'accordo in questione nel genus. Costituirebbe, tuttavia, un ostacolo ad una piena inclusione dell'accordo all'interno del Partenariato la mancanza di una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla selezione del partner privato. Ad un primo sguardo sembrerebbe che un ipotetico bilanciamento tra i punti a favore di una classificazione in termini di Partenariato e quelli a sfavore possa pendere a favore dei primi. Tuttavia non può non essere lasciato alla giurisprudenza il compito dare una risposta a tale interrogativo.

Un secondo caso, risolto dal TAR Toscana[40], attiene ad una controversia collegata ad una convenzione urbanistica intercorsa tra il comune di Scandicci ed una serie di società private. La convenzione prevede la realizzazione ad opera del partner privato di una serie di unità abitative, da destinare alla rivendita a prezzi inferiori al valore di mercato, a fronte della corresponsione dei soli oneri di urbanizzazione a titolo di contropartita per il rilascio del permesso di costruire. Anche in questo caso l'attuazione di una forma di edilizia a metà strada tra il privato e il pubblico, finalizzata ad uno sviluppo del territorio equilibrato e sostenibile, costituisce obbiettivo che la pubblica amministrazione persegue sostanzialmente a “costo zero” a fronte del finanziamento e del recupero dell'investimento ad opera del partner privato; quest'ultimo si assume tutti i rischi relativi non solo alla realizzazione dell'opera ma anche ad un eventuale aumento dei costi di realizzazione degli immobili le cui cause non rientrino nel regime delle sopravvenienze stabilito dall'art. 1467 del Codice civile. La remunerazione dell'investimento privato sarebbe, nel caso di specie, garantita dalla rivendita delle unità immobiliari; un tale tipo di remunerazione non è tipizzato nel Codice dei contratti pubblici; tuttavia, pensando a contratti quali ad esempio quello di disponibilità (dove le logiche di remunerazione dell'investimento privato non coincidono con quanto previsto in termini generali nel Codice in riferimento al modello concessorio), tale perplessità potrebbe essere superata. Interessante è il notare come, per altro, l'accordo sostitutivo di provvedimento segua ad una procedura di selezione del partner privato che ha condotto alla stipula della convenzione col consorzio “Nuova Badia”, sicché sembrerebbero essere presenti tutti gli indici di riconoscimento di un'operazione di Partenariato pubblico – privato. Interessante, non caso, è anche il notare come lo stesso giudice amministrativo abbia qualificato tale convenzione in questi termini.

Ai due esempi qui riportati se ne aggiunge un terzo attinente un accordo inquadrabile, secondo il giudice amministrativo, tra gli strumenti di Partenariato pubblico – privato anche se in forma atipica[41]. Si tratta ancora una volta di una convenzione urbanistica avente come parti il comune di Mantova e la società IMI s.r.l.. L'accordo ha come oggetto la realizzazione di alcune autorimesse con cui consentire un migliore sfruttamento dell'immobile acquistato dal soggetto privato ed oggetto di ristrutturazione ai fini di una sua destinazione a struttura di vendita; in particolare si prevede la realizzazione, oltre che di posti auto pertinenziali, anche di un parcheggio a rotazione, costituente un'opera pubblica a tutti gli effetti. A tal fine sul Comune di Mantova grava l'impegno a concedere il diritto di superficie dell'area suddetta per un periodo di novant'anni.

Dalla sentenza in commento emergono alcuni interessanti spunti inerenti il tema della riconducibilità dell'accordo nel genus Partenariato. Il giudice amministrativo ha, infatti, esplicitamente qualificato la convenzione urbanistica come “forma atipica di partenariato pubblico – privato, disciplinata dai principi comunitari”. La sentenza risulta antecedente all'entrata in vigore dell'attuale Codice dei contratti pubblici; tuttavia il giudice amministrativo ha, comunque, fatto riferimento all'art. 3, comma 15 ter del d. lgs. 163/2006 che propone, anche se in forma più sintetica, contenuti affini a quanto previsto attualmente. Ed è proprio in virtù del confronto con tale disposizione che si è resa possibile una qualificazione dell'accordo come strumento atipico di Partenariato; la realizzazione di un'opera pubblica (il parcheggio a rotazione) e di un'opera privata ma di interesse pubblico (i posti auto pertinenziali) mediante tale istituto anziché una normale concessione e la presenza degli altri requisiti necessari deporrebbero in tal senso.

La sentenza fornisce, inoltre, un'importante indicazione relativa alla necessità di una procedura competitiva per l'assegnazione di lavori o servizi mediante accordi amministrativi, fattore in grado di costituire un ostacolo alla qualificazione degli accordi in termini di Partenariato pubblico – privato. Tuttavia, evidenzia il giudice amministrativo, “come sottolineato nella risoluzione del Parlamento europeo del 26 ottobre 2006 (punto 23) le direttive sugli appalti pubblici si applicano al partenariato pubblico – privato solo se la selezione del partner privato e l'aggiudicazione dei lavori o del servizio coincidono. Al di fuori di tale ipotesi la scelta di rivolgersi a un certo soggetto o a un altro ricade nella discrezionalità dell'amministrazione”. Tale aspetto costituisce la chiave di volta per consentire, al ricorrere anche della condizione suddetta, un inquadramento dell'accordo amministrativo nel Partenariato pubblico – privato, anche se in forma atipica[42].

 

6 Considerazioni conclusive

Alla luce delle considerazioni svolte è possibile stilare un bilancio in relazione allo stato evolutivo del contratto di Partenariato pubblico – privato.

Negli ultimi anni il tema ha vissuto un importante percorso di sviluppo. Grazie, soprattutto, ai numerosi stimoli forniti a livello europeo anche nel contesto ordinamentale italiano la riflessione ha, dapprima, ricevuto un primo impulso col Codice dei contratti pubblici nella versione del 2006 per poi vivere una fase di maturazione con l'attuale versione del medesimo Codice.

Il risultato, come anche asserito dal Consiglio di Stato, consiste nell'aver individuato  “un archetipo generale del partenariato pubblico – privato contrattuale... una disciplina quadro valevole oltre che per le figure tipizzate anche per figura atipiche”[43]; posizione, questa, condivisa anche a livello dottrinale[44]. Il legislatore ha delineato una disciplina di base per i diversi istituti rientranti nel genus sotto due aspetti. Da un lato, mediante il rimando alla parte terza del Codice, è stata adottata la disciplina della concessione come sostrato comune; i principi generali, le garanzie procedurali e i principali aspetti inerenti l'esecuzione delle concessioni costituiscono una disciplina applicabile, nei limiti della compatibilità, alle tipologie contrattuali contemplate dalla parte quarta del Codice. Quest'ultima, dall'altro lato, individua le caratteristiche comuni necessarie alla qualificazione di un certo istituto come contratto di Partenariato, determinando così in automatico il rinvio alla disciplina poc'anzi citata. Disciplina quadro cui vanno aggiunte, poi, le diverse caratteristiche tipiche delle varie forme collaborative.

Sulla base di tali considerazioni può ribadirsi come, ad oggi, quello di Partenariato pubblico – privato costituisca un genus ampio nell'ambito del quale, potenzialmente, è in grado di rientrare una pluralità di istituti accomunati dai presupposti individuati a livello legislativo ma allo stesso tempo caratterizzati da dinamiche differenti. Il modello concessorio, tanto nella sua versione “originale” quanto in quella della finanza di progetto, costituisce un punto di riferimento importante; allo stesso tempo, però, anche ulteriori dinamiche collaborative fanno parte del genus grazie all'inclusione di tipologie contrattuali quali quelle del contratto di disponibilità, della locazione finanziaria ovvero dell'affidamento a contraente generale[45]. Ciascuna di esse, pur ricorrendo le medesime caratteristiche utili alla loro classificazione nell'art. 180, si caratterizza per un diverso modo di pervenire all'obbiettivo comune, perfettamente sintetizzato nell'art. 3, comma uno, lettera eee). Tra la dinamica concessoria e quelle delle ulteriori tipologie contrattuali contemplate a livello codicistico sussistono alcune differenze. Nel primo caso, infatti, il partner pubblico consegue il risultato consistente nella realizzazione di opere ovvero nella fornitura di servizi sostanzialmente a costo zero. Grazie, invece, alle ulteriori tipologie contrattuali il medesimo risultato viene conseguito attraverso modalità alternative che vedono il partner pubblico contribuire in maniera più fattiva alla realizzazione delle opere in virtù di un maggior impegno economico profuso; dal canto suo il partner privato mantiene il proprio contributo in termini di expertise tecnica garantendo, al contempo, non tanto una copertura integrale dell'investimento quanto un importante anticipo delle risorse necessarie al perseguimento dell'obiettivo.

Grazie, poi, all'introduzione di una clausola di apertura contenuta nell'ottavo comma dell'art. 180, il genus del Partenariato è in grado di accogliere qualsiasi altro istituto caratterizzato dalla presenza dei relativi indici di riconoscimento. La società mista, sebbene disciplinata altrove, costituisce un ulteriore esempio di collaborazione basata sulle dinamiche del contratto pubblico e su quelle mutuate dal modello societario e tipizzate a livello legislativo. Come già evidenziato quello della società mista costituisce un esempio di Partenariato pubblico – privato di natura istituzionale, un ulteriore strumento a disposizione dal partner pubblico laddove il contesto dell'operazione suggerisca l'uso di tale istituto.

A fronte di tali considerazioni è possibile, dunque, evidenziare come l'atteggiamento del legislatore italiano si caratterizzi per la volontà di compiere un deciso passo in avanti rispetto al passato rendendo il concetto di Partenariato parte integrante del  tessuto legislativo. Allo stesso tempo, però, quello di Partenariato pubblico – privato non può essere considerato come un vero e proprio contratto tipico data la presenza si di una disciplina quadro ma anche di tipologie contrattuali variegate e dotate ciascuna di un proprium caratteristico. Il tutto senza dimenticare la presenza di ulteriori riferimenti al genus nell'ambito di fonti diverse rispetto al Codice dei contratti pubblici[46].

Il risultato conseguito si pone, quindi, a metà strada tra lo svolgimento di un semplice lavoro ricognitivo, dal valore puramente programmatico e definitorio, e l'individuazione di una singola e specifica tipologia contrattuale rispondente al nome di Partenariato pubblico – privato. Un risultato differente rispetto a quelli raggiunti in altre esperienze europee quali, ad esempio, quella spagnola. A titolo di mero confronto risulta utile sottolineare come in tale contesto si sia optato per la creazione di un apposito istituto giuridico quale il contratto di collaborazione tra il settore pubblico e il settore privato (CPP)[47]. Tale modalità contrattuale costituisce un'aggiunta ai vari contratti di concessione di opere pubbliche e gestione di servizi pubblici. Naturale conseguenza di tale approccio è, quindi, quella di aver previsto un'apposita regolamentazione di tale modalità; il legislatore spagnolo evidenzia la necessità che il contratto di collaborazione pubblico – privato sia sottoposto ad una regolamentazione armonizzata di carattere amministrativo a prescindere dal suo valore. Il risultato di tale operazione sarebbe quello di aver creato un contratto del settore pubblico tipico, nominato e utilizzabile solo dalle amministrazioni pubbliche. Un contratto collocabile né all'interno della categoria dei contratti privati né, però, all'interno di quella dei contratti amministrativi ma dotato di una propria autonomia concettuale.

Paragonando la scelta del legislatore spagnolo a quella del legislatore italiano non può non evidenziarsi come il sistema da quest'ultimo delineato risponda, invece, all'adozione di un fattore chiave quale quello di “eterogeneità”. Nonostante il contributo fornito col nuovo Codice dei contratti pubblici, risulta evidente come la scelta del legislatore italiano non punti ad una tipizzazione piena del contratto di Partenariato. Certamente, la parte quarta del Codice costituisce un importante salto di qualità rispetto al passato. Tuttavia non può non essere evidenziato come l'approccio al tema del Partenariato non sia quello tipico di chi voglia individuare un'unica tipologia contrattuale. Se, inoltre, alle osservazioni sin qui svolte si aggiunge come anche dal punto di vista processuale non sussista una perfetta coincidenza a livello di caratteristiche di base il quadro diviene ancora più completo ed esemplificativo della volontà del legislatore italiano. La dottrina, ad esempio, ha evidenziato[48] come le controversie inerenti le varie forme di collaborazione risultino attribuite alla competenza di giudici diversi. Si è, in sostanza, optato per mantenere il tradizionale criterio di riparto della giurisdizione imperniato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi nonché sull'esercizio di potere da parte dell'amministrazione. Il tutto con la generale conseguenza per cui le controversie inerenti la fase antecedente all'instaurazione del rapporto rientreranno nella giurisdizione amministrativa mentre quelle inerenti lo svolgimento del rapporto di Partenariato rientreranno nella competenza del giudice ordinario.

Il quadro delineato consente, pertanto, di associare al genus “Partenariato pubblico – privato” il carattere dell'ampiezza e, soprattutto, dell'eterogeneità. Un'eterogeneità non di livello assoluto, data la presenza di caratteri di base comuni, ma pur sempre presente ed evidente.

Tale caratteristica può, alternativamente, essere interpretata come un valore aggiunto ovvero come un limite della ricostruzione legislativa italiana di Partenariato. Sotto quest'ultimo aspetto è indubbia la rinuncia alla creazione di un istituto giuridico a sé stante ed il mantenimento di un atteggiamento più generalista. E' altresì vero, però, che l'elevato numero di tipologie contrattuali in grado di rientrare nel concetto di Partenariato (sulla base delle caratteristiche di fondo tracciate dal legislatore) possa rappresentare un valore aggiunto[49]. Grazie, infatti, all'ampio ventaglio di opzioni a disposizione sarebbe possibile, di volta in volta, adottare lo strumento giuridico dotato delle caratteristiche più confacenti al singolo progetto dal punto di vista soggettivo ed oggettivo potendo, comunque, contare su una disciplina quadro universale, in grado di coprire buona parte del regime dell'istituto collaborativo prescelto.

 

[1]    Art. 3, comma 15 ter

[2]    Vedi in tal senso la "Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario", 2000/C 121/02

[3]    Parere del Comitato economico e sociale sul tema del “Rafforzamento del diritto delle concessioni e dei contratti di Partenariato pubblico – privato”, 2001/C 14/19

[4]    COM 2004 n. 327

[5]    Art. 179, comma 1, il quale effettua un ulteriore rinvio alle parti I, II, titolo I (tenendo conto dell'importo dei lavori da compiere), V e VI.

[6]    Dedicata ai “contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture nei settori ordinari”

[7]    Norma, per altro, ritenuta scarsamente coordinata con l'art. 2 comma 15 ter del precedente Codice (v. Di Cristina F., Il Partenariato pubblico privato quale “archetipo generale”, in Giornale di diritto amministrativo, 2016, 4, p. 483

[8]    De Nictolis R., Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2016, 5, p. 534

[9]    Come testimoniato, oltre che dall'art. 180, anche dall'art. 59, comma 1

[10]  Mari N., La disciplina del contratto di partenariato pubblico privato, in www.altalex.com

[11]  Art. 180, comma 2

[12]  Art. 180, comma 3

[13]  Art. 181, comma 3

[14]  Mari N., La disciplina del contratto di partenariato, cit.; Di Cristina F., Il Partenariato pubblico privato quale “archetipo generale”, cit., p. 485

[15]  Mari N., La disciplina del contratto di partenariato, cit.

[16]  Chiti M., voce Partenariato pubblico – privato, in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, X, p. 690;  Di Giovanni A., Il contratto di partenariato pubblico – privato tra sussidiarietà e solidarietà, Torino,, 2013, pp. 85ss; Di Pace R., Partenariato pubblico – privato e contratti atipici, Milano, 2006, p. 62; Cartei G.F., Le varie forme di partenariato pubblico – privato. Il quadro generale, in Feroni Cerrina G., Il Partenariato pubblico – privato. Modelli e strumenti, Torino, 2011, p. 9. Ad ulteriore conferma del concetto qui riportato può anche essere ricordato come in altri lavori inerenti l'argomento del partenariato il contratto di appalto semplicemente non viene considerato tra i gli istituti idonei a rientrare nella definizione (v. ad es. Mastragostino F. (a cura di), La collaborazione pubblico privato e l'ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato alla luce delle recenti riforme, Torino, 2011)

[17]  Art. 179, comma 1, il quale effettua un'ulteriore rinvio alle parti I, II, titolo I (tenendo conto dell'importo dei lavori da compiere), V e VI

[18]  Art. 165, comma 2

[19]  Che può comunque richiedere modifiche dello stesso al promotore.

[20]  Lugaresi N., Concessione di lavori pubblici e finanza di progetto, in Mastragostino F., La collaborazione pubblico privato e l'ordinamento amministrativo, cit., p. 614.

[21]  Di Giovanni A., Il contratto di partenariato pubblico – privato, cit., p. 103.

[22]  Art. 187

[23]  Art. 187, comma 1

[24]  Mastragostino F., I profili processuali comuni ai vari istituti, in Id., (a cura di), La collaborazione pubblico privato e l'ordinamento amministrativo, cit.). L'autore adotta come riferimento il vecchio codice i cui contenuti sotto questo aspetto sono compatibili con la nuova versione.

[25]  Di Giovanni A., Il contratto di partenariato pubblico – privato, cit., p. 110ss.

[26]  Una proposta di G. Cartei consisterebbe, invece, nel non considerare la locazione finanziaria nella sua interezza come contratto di partenariato; il solo leasing operativo, laddove le attività inerenti la disponibilità e manutenzione dell'opera risultano a carico del soggetto privato, si presterebbe maggiormente a rientrare nel concetto mentre altrettanto non potrebbe dirsi per quello finanziario in virtù di un'ancora maggiore vicinanza al contratto di appalto. v. Cartei G.F., Le varie forme di partenariato pubblico – privato, cit, pp. 7, 8)

[27]  Di Giovanni A., Il contratto di partenariato pubblico – privato, cit., pp.109 - 110. L'autrice evidenzia come nel contratto di disponibilità manchi la condivisione nell'individuazione dell'interesse comune e dal punto di vista progettuale nonché un'adeguata ripartizione dei rischi (completamente a carico del soggetto privato).

[28]  Laddove il privato scelga di aderire al contratto di disponibilità non si vede perché non si              possa ritenere che la condivisione dell'interesse abbia luogo; dal punto di vista progettuale invece non si ravvisa la necessità di una così forte condivisione anche col settore pubblico, chiamato infatti ad un ruolo di definizione degli obbiettivi nonché di controllo del raggiungimento degli stessi.

[29]  Tale interpretazione appare comunque la meno probabile dato che, come avvenuto ad esempio per le concessioni, il legislatore avrebbe potuto adottare la medesima dicitura dell'art. 180,comma 6 anche per il contratto di disponibilità.

[30]  Come già visto per la locazione di opere pubbliche, in alternativa, il contratto di disponibilità potrebbe esser fatto rientrare tra quelli di partenariato solo nel caso di mantenimento della proprietà da parte del soggetto privato.

[31]  Art. 194 , comma 1

[32]  Art. 194, comma 15

[33]  Tra le attività ricollegabili mediante la costituzione di società ovvero la gestione di partecipazioni viene, infatti, ricompresa anche la realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016”.

[34]  Il giudice amministrativo ha avuto modo proprio di avallare la sintonia tra società mista e modello concessorio. V. in tal senso Cons. St., sez.V, 1 luglio 2005, n. 3672 secondo cui "l'affidamento di un servizio pubblico ad una società mista, seppur costituente un modello apparentemente alternativo alla "concessione" (intesa nel senso stretto e formalistica di "provvedimento" costitutivo, traslativo o derivativo – costitutivo), a ben riflettere non si pone in radicale antitesi con il più generale e variegato fenomeno, in uno organizzatorio ed autoritativo, di tipo concessorio, qualora i tratti distintivi di quest'ultimo siano ricostruiti interpretando i dati del diritto interno al lume del formante comunitario". Tale tipo di partenariato pubblico – privato "altro non è che una concessione esercitata sotto forma di società, attribuita in esito ad una selezione competitiva che si svolge a monte della costituzione del soggetto interposto".

[35]  L'art. 1, comma 3 del d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533 stabilisce infatti soltanto che "l'atto costitutivo e lo statuto riservano all'ente promotore una partecipazione non inferiore al quinto del capitale sociale. Nel caso di più enti promotori, tale clausola riguarda almeno uno di essi".

[36]  Art. 17, comma 1, d. lgs. 175-2016

[37]  Art. 17, comma 3

[38]  Dugato M., Il partenariato pubblico – privato: origine dell'istituto e sua evoluzione, cit., p. 58. L'autore sostiene come lo strumento dell'accordo amministrativo, per quanto costituisca una forma collaborativa, rappresenti una modalità partecipata dell'azione stricto sensu amministrativa, in cui è l'amministrazione a giocare un ruolo attivo a fronte di un ruolo meno pregnante svolto da parte del soggetto privato. Di diverso avviso sono invece Benvenuti F., L'impatto del procedimento nell'organizzazione e nell'ordinamento, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, p.1732 e Arena G., Introduzione all'amministrazione condivisa, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, Padova, 1998, I, pp.171ss

[39]  TAR Molise, Campobasso, sez. I, sent. 16 dicembre 2010, n. 1552

[40]  TAR Toscana, Firenze, sez. I, sent. 27 novembre 2014, n. 1959

[41]  TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 21 agosto 2015, n. 1102

[42]  Nel caso di specie la convenzione urbanistica necessitava, pertanto, di essere modificata non costituendo il soggetto privato un partner necessario ai fini della realizzazione dell'opera pubblica, eseguibile e gestibile separatamente rispetto al recupero del fabbricato acquistato da IMI s.r.l.

[43]  Cons. St., comm. spec., parere 1 aprile 2016, n. 855. La posizione della giurisprudenza viene, inoltre condivisa dalla dottrina che, sino ad ora, si è occupata dell'argomento.

[44]  De Nictolis R., Il nuovo codice dei contratti pubblici, cit., p.534; Mari N., La disciplina del contratto di partenariato, cit.

[45]  Senza dimenticare gli interventi di sussidiarietà orizzontale il baratto amministrativo e la cessione di immobili in luogo di opere, anch'essi contemplati nella parte IV del codice.

[46]  Il riferimento va chiaramente compiuto in relazione all'istituto della società mista.

[47]  Legge n. 30 del 30 ottobre 2007

[48]  Cortese F., I profili processuali comuni ai vari istituti, in Mastragostino F. (a cura di), La collaborazione pubblico privato e l'ordinamento amministrativo, cit., pp. 120ss

[49]  Di Cristina F., Il Partenariato pubblico privato quale “archetipo generale”, cit., p. 487. L'autore considera la mancata definizione delle forme di Partenariato come uno dei tratti più innovativi e promettenti della nuova disciplina.