TAR Lazio, Roma, SEZ. III, ordinanza 3 ottobre 2016, n. 10012

Il TAR Roma ha rimesso alla Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali relative alla compatibilità con il diritto europeo dell’istituto del c.d. soccorso istruttorio a pagamento, disciplinato dagli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs n. 163/2006.
i) La prima (che muove dalla astratta possibilità per gli stati membri di prevedere l’onerosità del soccorso istruttorio) afferisce alla compatibilità con il diritto europeo della disposizione di cui all’art. 38, comma 2 bis, del previgente Codice, nella parte in cui non è prevista la possibilità di graduare l’entità della sanzione pecuniaria in rapporto alla gravità dell’irregolarità riscontrata.
ii) La seconda ha, invece, una portata per così dire “radicale”: essa riguarda, infatti, la possibile incompatibilità con i principi europei di parità di trattamento, massima partecipazione e libera concorrenza della previsione di cui all’art. 38 comma 2 bis, laddove tale disposizione ha ritenuto di caratterizzare il soccorso istruttorio quale istituto ‘oneroso’ per i concorrenti. 
In altri termini, l’onerosità del soccorso istruttorio, pur se inerente ad irregolarità essenziali, potrebbe non essere compatibile con il diritto europeo. 
 
 
 
 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 4301 del 2016, proposto da MA.T.I. SUD S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale capogruppo/mandataria del costituendo RTI con GRADED S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Federico Liccardo (C.F. LCCFRC62E14F839G) con domicilio eletto presso l’avv. Lucrezia Riccio in Roma, piazza Martiri di Belfiore, 4;

contro

Società Centostazioni S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Nicola Marcone (C.F. MRCNCL59P21H501M), con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, piazza dell'Orologio, 7;

nei confronti di

China Taiping Insurance Co Ltd, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso Lucia (C.F. LCULNS79M08G273D), con domicilio eletto presso Studio Legale Lucia in Roma, via Emanuele Filiberto, 100; 

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

- della nota prot. n. 2951 del 16.3.2016 con la quale la Commissione di gara, nominata nell’ambito della procedura aperta per l’affidamento dell’appalto avente ad oggetto “attività integrate di manutenzione ordinaria e straordinaria del servizio di energia presso i complessi immobiliari delle stazioni ferroviarie facenti parti del network Centostazioni S.p.a.” (indetto con bando spedito alla GUUE in data 8.1.2016) ha irrogato alla ricorrente, ai sensi dell’art. 38 comma 2-bis del d.lgs. 163/2006, la sanzione pecuniaria di Euro35.000,00;

- del verbale del 24.3.2016 relativo alla seduta all’esito della quale la Commissione di gara, respinta l’informativa formulata dalla ricorrente ex art. 243 bis d.lgs. n. 163 del 2006, ha confermo la sanzione già irrogata;

- della nota prot. n. 3499 del 30.3.2016 con la quale Centostazioni S.p.a. ha diffidato la ricorrente al pagamento dell’importo oggetto della sanzione entro il termine di sette giorni, pena l’escussione della cauzione provvisoria;

- nonché degli altri provvedimenti eventualmente connessi a quelli espressamente impugnati.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Centostazioni S.p.a. e di China Taiping Insurance Co Ltd;

Visto l'art. 267 del TFUE;

Visto l'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


La vicenda all’esame del Collegio.

La società Centostazioni S.p.a. (facente parte del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a.), con bando di gara spedito alla G.U.U.E. in data 8 gennaio 2016, indiceva la procedura aperta finalizzata all’affidamento delleattività integrate di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché del servizio energia presso i complessi immobiliari delle stazioni ferroviarie facenti parte del network Centostazioni S.p.a.”, per un periodo di 36 mesi, per l’importo complessivo presunto (al netto dell’IVA) di Euro 170.864.780,81 (di cui Euro 15.127.558,47 per oneri di sicurezza). L’appalto era diviso i quattro lotti geografici (sud, centro sud, centro nord e nordovest, centro nord e nordest) da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il punto VI.3, lett. w) della Sezione VI del bando di gara (doc. 1 pag. 17 del fascicolo di Centostazioni S.p.a.) prevedeva testualmente che: Ai sensi e per gli effetti dell’art. 38, comma 2-bis e 46, comma 1 ter del d.lgs. 163/2006 e s.m., la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale relative agli elementi e/o alle dichiarazioni rese in gara anche da parte di soggetti terzi, in base alla legge e/o alla documentazione di gara, dovranno essere sanate su richiesta dell’Ente aggiudicatore nei termini all’uopo indicati e nel rispetto della citata norma; in difetto, il concorrente sarà escluso dalla gara in relazione al lotto interessato dalla richiesta di integrazione e/o regolarizzazione. In caso di richiesta di quanto sopra, il concorrente è altresì tenuto al pagamento in favore dell’Ente aggiudicatore, secondo le modalità indicate dall’Ente aggiudicatore stesso, di una sanzione pecuniaria di importo pari a:

per il lotto 1: 35.000 euro;

per il lotto 2: 35.000 euro….”.

Il disciplinare di gara al punto 1.1., lett. A) (doc. 2, pag. 4, del fascicolo di Centostazioni S.p.a.) individuava, tra i documenti che ciascun concorrente doveva inserire nella busta n. 1, destinata alla documentazione amministrativa, “la dichiarazione di partecipazione (…) attestante, tra l’altro, la forma singola o aggregata con la quale l’impresa partecipa a ciascun lotto della gara ed inoltre il lotto cui l’impresa partecipa; la successiva lett. G) (doc. 2 cit.) prevedeva invece che qualora l’offerta fosse stata presentata da un raggruppamento temporaneo non ancora formalmente costituito, il concorrente doveva presentare apposita dichiarazione contenente l’impegno, in caso di affidamento del lotto, a conferire mandato speciale collettivo con rappresentanza all’impresa da indicare nominativamente, qualificata capogruppo”; la clausola in esame specificava anche che tale dichiarazione dovrà essere sottoscritta da tutte le imprese che costituiranno il raggruppamento temporaneo….nelle persone dei rispettivi soggetti muniti di poteri idonei. Qualora un concorrente partecipi a più lotti in forma diversa, dovrà essere presentata una dichiarazione di impegno…per ciascun lotto cui il concorrente partecipa…Dalla predetta dichiarazione di impegno a conferire mandato…nonché dal predetto mandato collettivo…deve chiaramente evincersi la tipologia di raggruppamento temporaneo”.

Tutta la documentazione, compresi dichiarazioni, certificati e licenze, dovevano essere resi ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa) secondo cui sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all'istanza, sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni (…) stati, qualità personali e fatti” attinenti alla persona del dichiarante (art. 46 d.P.R. n. 445 cit.) mentre, ai sensi dell’art. 48 del d.P.R. cit., 1. Le dichiarazioni sostitutive hanno la stessa validità temporale degli atti che sostituiscono. 2. Le singole amministrazioni predispongono i moduli necessari per la redazione delle dichiarazioni sostitutive, che gli interessati hanno facoltà di utilizzare.”

Le dichiarazioni dovevano essere accompagnate da una fotocopia del documento di identità o di un documento di riconoscimento equipollente.

Nella seduta del 16 marzo 2016 (verbale n. 2, doc. 8, pag. 3 fascicolo Centostazioni S.p.a.) la Commissione rilevava che, nell’ambito della documentazione presentata dal Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI) tra Ma.t.i. Sud S.p.a. e Graded S.p.a., la dichiarazione (prescritta dal punto VI.3, lett. w) del bando di gara e dal punto 1.1. del disciplinare) contenente l’impegno - in caso di aggiudicazione della gara per il lotto 2 - a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza all’impresa capogruppo (la stessa Ma.t.i. Sud), era priva della sottoscrizione del legale rappresentante della Ma.t.i. Sud S.p.a. (vedi la dichiarazione di impegno per il lotto 2, doc. 6 fascicolo Centostazioni).

Di conseguenza la Centostazioni S.p.a., con nota prot. 2951 del 16 marzo 2016 (doc. 1 del fascicolo di parte ricorrente, atto impugnato in questa sede), richiamando l’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici):

invitava il raggruppamento concorrente a produrre, entro il termine perentorio del 23.3.2016, la dichiarazione di impegno a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza all’impresa capogruppo, relativa al lotto 2 e sottoscritta in originale dal legale rappresentante dell’impresa Ma.t.i. Sud;

informava che, decorso inutilmente il suddetto termine, il RTI sarebbe stato escluso dalla gara;

invitava lo stesso al pagamento della sanzione pecuniaria, di importo pari a euro 35.000, ai sensi e per gli effetti dell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006;

fissava per il prosieguo delle operazioni di gara la seduta pubblica del 24 marzo 2016.

Con nota del 21 marzo 2016 (doc. 11 fascicolo Centostazioni) la società ricorrente trasmetteva la dichiarazione di impegno richiesta (per il lotto 2), sottoscritta dai legali rappresentanti di entrambe le società del costituendo RTI. Con la medesima nota l’odierna ricorrente chiedeva l’annullamento della sanzione pecuniaria irrogata, ritenendo che, nella specie, non sussistesse alcuna “mancanza, incompletezza e/o irregolarità essenziale della dichiarazione in esame poiché, a suo avviso, la lettera G) del punto 1.1. del disciplinare avrebbe imposto la necessità di una dichiarazione di impegno per ciascun lotto a cui il concorrente in RTI avesse partecipato, soltanto per il caso in cui il medesimo concorrente avesse partecipato ai distinti lotti “in forma diversa”. Tale circostanza non sarebbe stata sussistente nel caso di specie, in quanto la ricorrente aveva dichiarato di voler partecipare ai lotti nn. 1 e 2 nella medesima forma (RTI in forma mista con Ma.t.i. capogruppo), presentando una dichiarazione di impegno a conferire mandato collettivo con riguardo al lotto 1, completa di tutti i suoi elementi.

Con successiva nota prot. 3499 del 30 marzo 2016 (doc. 13 fascicolo Centostazioni), l’ente aggiudicatore diffidava la società ricorrente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 35.000,00, avvisando che in caso contrario avrebbe proceduto ad escutere la cauzione provvisoria.

Con ricorso a questo Tribunale amministrativo notificato in data 7 aprile 2016 la medesima società ha impugnato gli atti specificati in epigrafe, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare della relativa efficacia.

Si è costituita in giudizio, con memoria di costituzione depositata in data 29 aprile 2016, la Centostazioni S.p.a., contestando le deduzioni della ricorrente e ribadendo la piena legittimità della propria pretesa al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura richiesta (sanzione, al momento sospesa da questo Tribunale con ordinanza cautelare n. 2377 del 5 maggio 2016: ordinanza in cui il “fumus boni iuris” era esplicitamente ricondotto a questione pregiudiziale comunitaria, riferita al citato art. 38, comma 2 bis del d.lgs. n. 163 del 2006, il cui contenuto era riprodotto nel bando di gara).

In particolare, già nella predetta fase cautelare il Collegio poneva in dubbio la legittimità di una sanzione pecuniaria automatica di elevato importo e condizionante la partecipazione alla gara, non contemplata né direttamente né implicitamente dalle direttive comunitarie di riferimento.

Con atto depositato in data 13 giugno 2016, è intervenuta “ad adiuvandum”, a sostegno delle ragioni della ricorrente, la società “China Taiping Insurance (UK) Co Ltd”, società che ha rilasciato la polizza fideiussoria in favore della stazione appaltante, al fine di costituire la cauzione provvisoria a corredo dell’offerta.

In esito alla pubblica udienza, il 15 luglio 2016 è stato pubblicato il dispositivo della presente ordinanza, con cui si dispone rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per le ragioni che di seguito si espongono.

 

I motivi di impugnazione.

Con unico, articolato motivo di ricorso la società Ma.t.i. Sud ha chiesto l’annullamento della sanzione pecuniaria di €. 35.000,00, irrogata dall’ente aggiudicatore ex art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contrati pubblicirelativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, articolo di recente abrogato a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice , di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, emanato in attuazione delle direttive UE nn. 23, 24 e 25 del 2014, ma ancora applicabile alla data di svolgimento della gara in questione). Ad avviso della ricorrente mancherebbe il presupposto per l’irrogazione della sanzione in oggetto, costituito dall’essersi il concorrente reso responsabile di una “irregolarità essenziale”, nella predisposizione della documentazione propedeutica alla partecipazione alla procedura di gara.

La ricorrente ammette che la dichiarazione di impegno di cui al punto VI.3), lett. w) del bando di gara (e al punto 1.1. del disciplinare di gara), presentata per il lotto n. 2, non recava la sottoscrizione del legale rappresentante della capogruppo Ma.t.i. Sud S.p.a. (cfr. doc. 6 fascicolo Centostazioni S.p.a.). Tale vizio tuttavia, a suo avviso, sarebbe privo di qualsiasi rilevanza nel caso di specie, afferendo ad una dichiarazione che non sarebbe stato necessario allegare, in quanto la lettera G) del disciplinare prescriverebbe che l’impegno a conferire mandato collettivo alla capogruppo di un raggruppamento temporaneo di imprese, non ancora costituito, dovrebbe sottoscriversi per ciascun lotto oggetto di partecipazione, solo nel caso in cui il costituendo RTI partecipi a ciascuno “in forma diversa”.

Nella specie, sostiene la ricorrente, non si manifesterebbe questa eventualità, in quanto il costituendo raggruppamento tra Ma.t.i. Sud e Graded S.p.a. ha dichiarato di partecipare ai lotti nn. 1 e 2 nella medesima forma: forma mista con assunzione del ruolo di capogruppo da parte della Ma.t.i. e uguale ripartizione delle prestazioni con riguardo ai due lotti. Di qui la conclusione che sarebbe stata necessaria una sola dichiarazione di impegno, di fatto presentata per il solo lotto 1, ma valida anche per l’altro lotto (n. 2) a cui il costituendo raggruppamento intendeva partecipare. Stante la situazione sopra rappresentata, come emergente dagli atti di gara, la mancanza della sottoscrizione in contestazione, costituirebbe mera irregolarità formale, rispetto alla quale non potrebbe trovare spazio alcuno il potere sanzionatorio della stazione appaltante.

Afferma invece la parte resistente che la mancanza della sottoscrizione necessaria nella dichiarazione di impegno relativa al lotto 2, da parte della società indicata come futura capogruppo del RTI da costituire, renderebbe la dichiarazione stessa affetta da “irregolarità essenziale”, tale da dover ritenere la stessa, in assenza di integrazione,“tamquam non esset” e in quanto tale soggetta, ai sensi del citato art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, al soccorso istruttorio e al pagamento della sanzione. Aggiunge Centostazioni S.p.a. che, essendo mancata la dichiarazione di impegno a costituire il raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) relativo al lotto 2, è carente la prescritta esplicitazione della ripartizione delle attività oggetto di affidamento (lavori e servizi) tra le imprese partecipanti: ripartizione necessaria anche per la verifica del possesso dei rispettivi requisiti di qualificazione, richiesti dalla “lex specialis”.

Queste ultime considerazioni appaiono condivisibili, non potendo presumersi a priori la duplice valenza della dichiarazione resa per il solo primo lotto e – non rilevando nemmeno, nel caso di specie, l’ulteriore problematica riferita all’applicabilità della sanzione, in caso di rinuncia del soggetto partecipante alla gara (avendo la ricorrente aderito al soccorso istruttorio e prodotto le documentazioni mancanti) – le uniche ragioni difensive prospettabili riguardano la compatibilità della norma sopra citata, nel testo applicabile ratione temporis, con il diritto comunitario e segnatamente con l’art. 51 della direttiva 2004/17/CE, il quale ammette che “l’Amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli 45 e 50. Quanto sopra, senza formalmente prevedere alcuna forma di sanzione pecuniaria o altra erogazione patrimoniale a carico dell’operatore economico, che sia incorso in omissioni dichiarative o incompletezze documentali.

 

La disciplina del “soccorso istruttorio” nell’ordinamento nazionale, secondo l’art. 38, comma 2 bis del previgente Codice dei contratti pubblici.

Il Collegio ritiene che la norma introdotta nell’ordinamento nazionale – in base alla quale la regolarizzazione, ottenuta a seguito di soccorso istruttorio, implica necessariamente una comminatoria di sanzione, “in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro (il cui preciso importo deve essere previamente fissato dalle stazioni appaltanti) - susciti in effetti dubbi di compatibilità con i principi di proporzionalità, tassatività delle cause di esclusione, trasparenza delle procedure, massima partecipazione e massima concorrenza.

La norma, in primo luogo, non contempla, la possibilità di graduare la sanzione in ragione della gravità dell'irregolarità commessa o in relazione alle singole fattispecie escludenti, contemplate nel comma 1 dell' art. 38 (tenuto conto, peraltro, che tali fattispecie incidono tutte sull'affidabilità morale dell'impresa), in ragione del fatto che, in ogni caso, la sanzione è correlata unicamente alla categoria dell'essenzialità, non per mancanza dei requisiti sul piano sostanziale, ma per incompletezza ed irregolarità della relativa attestazione.

La sanzione è comminata, inoltre, esclusivamente al soggetto le cui dichiarazioni sono carenti e devono essere integrate e/o regolarizzate, anche nel caso di presentazione dell'offerta da parte di RTI (che non costituisce soggetto diverso dai concorrenti) sia esso costituendo o costituito. La sanzione deve essere comminata anche all'impresa ausiliaria (in ipotesi di avvalimento) qualora la stessa produca una dichiarazione ex art. 38 carente (dichiarazione che deve essere prodotta ai sensi dell'art. 49, comma 2, lettera c) del Codice).

In caso di mancata regolarizzazione degli elementi essenziali carenti, la stazione appaltante procederà all'esclusione del concorrente dalla gara.

Ratio giustificatrice della norma sarebbe quella di garantire la serietà delle domande di partecipazione e delle offerte presentate dalle imprese partecipanti, responsabilizzando dette imprese partecipanti nella predisposizione della documentazione di gara.

Può essere osservato, tuttavia, che in tal modo quello che è stato concepito come un beneficio in favore delle imprese, si tramuterebbe in un disincentivo alla partecipazione alle gare pubbliche, poiché esporrebbe i concorrenti al rischio di vedersi comminare sanzioni pecuniarie consistenti (il cui importo può arrivare fino a 50.000,00 euro) come mera conseguenza dell’incompletezza o della irregolarità documentale (a prescindere dalla loro intenzione di avvalersi del soccorso istruttorio). Sarebbe inoltre incentivata una sorta di “caccia all’errore” da parte delle amministrazioni appaltanti, in direzione sicuramente opposta a quella perseguita dal legislatore. L’esigenza di responsabilizzare i partecipanti alle gare, nella predisposizione della documentazione occorrente, non dovrebbe infatti trasmodare in una misura vessatoria ed afflittiva per gli stessi, che potrebbe in ultima analisi tradursi in più limitata partecipazione e compressione della concorrenza, soprattutto per le imprese di minori dimensioni, in possesso di limitata liquidità. Non a caso, il soccorso istruttorio a pagamento è stato fortemente ridimensionato nel nuovo codice (d.lgs. n. 50/2016), adottato in attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE (sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, pubblicato in Gazz. Uff., S.O., 19 aprile 2016, n. 91). Quest’ultimo prevede infatti, all’art. 83, comma 9, che: Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarita' essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all'articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all'offerta tecnica ed economica, obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 5.000 euro……. La sanzione e' dovuta esclusivamente in caso di regolarizzazione

Il nuovo testo normativo non può, tuttavia, ricevere direttamente applicazione nella fattispecie all’odierno esame del Collegio, atteso che la procedura concorsuale in questione è stata bandita ben prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016.

Va però evidenziato che, notoriamente, il principio di primazia del diritto europeo impone di interpretare la normativa interna in modo conforme a quella euro-unitaria anche in corso di recepimento. La direttiva 2014/24/UE, invero, è stata adottata il 26 febbraio 2014 e, secondo quanto disposto dall’art. 92, entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 17.4.2014, doveva essere recepita negli ordinamenti interni, ai sensi dell’art. 90 della medesima direttiva, entro il 18 aprile 2016.

Pertanto, benché non ancora recepita nell’ordinamento italiano, la nuova Direttiva era stata già approvata ed era entrata in vigore nel sovraordinato ambito europeo, nel momento in cui veniva introdotto l’istituto di cui al comma 38, comma 2-bis, del Codice del 2006, per effetto del già citato Decreto Legge n. 90 del 24 giugno 2014 (art. 39). In quanto dotata di giuridica rilevanza la nuova Direttiva, pur non rivestendo efficacia “self executing” in merito alla configurazione dell’istituto del soccorso istruttorio all’interno di ciascun Stato membro, pone tuttavia in capo ai giudici nazionali un vincolo di interpretazione delle norme di legge interne conforme ai principi ed agli obbiettivi imposti dalla direttiva in corso di recepimento, in modo tale da non pregiudicarne la realizzazione. Fermo restando che deve trattarsi di “interpretazione conforme”, concetto che non può essere inteso in termini tali da stravolgere il significato letterale delle disposizioni dettate dal legislatore italiano.

Per quanto di interesse nelle presente sede si rammenta che:

la Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici prevede all’art. 59, paragrafo 4, secondo capoverso, la possibilità di integrare o chiarire i certificati presentati relativi al possesso sia dei requisiti generali sia di quelli speciali, senza il pagamento di alcuna sanzione;

nell’articolo 84 della medesima direttiva si legge che: “l’offerente al quale è stato deciso di aggiudicare l’appalto dovrebbe tuttavia essere tenuto a fornire le prove pertinenti e le amministrazioni aggiudicatrici non dovrebbero concludere appalti con offerenti che non sono in grado di produrre le suddette prove. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche avere la facoltà di richiedere in qualsiasi momento tutti i documenti complementari o parte di essi se ritengono che ciò sia necessario per il buon andamento della procedura”;

inoltre l’’art. 56, comma 3, specificamente dedicato al tema in esame, prevede che:Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza”;

la direttiva 2014/24/UE, dunque, non subordina l’esercizio del soccorso istruttorio al pagamento di alcuna sanzione pecuniaria, ma solamente all’osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza.

A questo punto, prima della puntuale illustrazione della questione interpretativa che si intende sottoporre a codesta Ecc.ma Corte Europea di Giustizia, il Collegio ritiene opportuno riassumere i tratti salienti del soccorso istruttorio delineato dal più volte citato art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 (norma abrogata dal nuovo Codice dei contratti pubblici approvato dal d.lgs. n. 50 del 2016, ma applicabile “ratione temporis” alla fattispecie al vaglio di questo Tribunale).

Detto istituto, in via generale, risulta pienamente conforme al diritto europeo dei contratti pubblici, ai quali, invero, pienamente si ispira, quale specifica declinazione dei principi fondamentali del “favor partecipationis” e della massima concorrenza. Non a caso la possibilità di invitare l’impresa concorrente a produrre le dichiarazioni o i documenti richiesti dal bando di gara omessi è chiaramente ammessa sia dall’art. 51 della previgente direttiva 2004/18/CE (secondo cui “L'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a50”), che dall’art. 56, comma 3, della nuova direttiva 2014/24/UE (disposizione che, in termini più dettagliati così testualmente dispone: “3. Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza.”).

La peculiarità della disposizione italiana che oggi si sottopone al vaglio della Corte si ravvisa invece nella circostanza che essa ha inteso introdurre, secondo una modalità costante e automatica, una “sanzione pecuniaria”(come espressamente la definisce l’art. 2-bis dell’art. 38 del Codice del 2006, così come oggi fa l’art. 83, comma 9, del nuovo Codice) che l’impresa concorrente è tenuta a versare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore, per il solo “fatto” di avere omesso la produzione di una o più dichiarazioni, complete degli elementi contenutistici (e degli allegati eventualmente richiesti) necessari ad attestare il possesso di un requisito sostanziale.

Alla luce di quanto sopra esposto, i tratti salienti della sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, comma 2-bis, d. lgs. n. 163 del 2006, possono così riassumersi:

trattasi di obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro predeterminata dalla stazione appaltante;

la relativa quantificazione deve essere operata al momento del bando, con adeguata esplicitazione, nei documenti di gara, dell’ammontare del dovuto, con scelta ampiamente discrezionale del “quantum”, che va da un minimo dell’1 per mille ad un massimo dell’1 per cento del “valore della gara”; il limite massimo assoluto è di euro 50.000,00;

la norma non sembra autorizzare (e, comunque, non prevede) alcuna graduazione tra un minimo ed un massimo edittale, nel senso che la sanzione pecuniaria, una volta determinata, resta fissa (non riducibile né incrementabile), è onnicomprensiva e va obbligatoriamente applicata ad ogni fattispecie di “irregolarità essenziale”,senza che sia possibile per la stessa amministrazione distinguere e graduare la sanzione rispetto a fatti più o meno gravi o tra diversi livelli di “colpa” addebitabili al candidato in relazione alla sua mancanza (si deve riflettere sul fatto che la “colpa” va accertata in concreto, in relazione alla maggiore o minore chiarezza espositiva dei documenti di gara, con riguardo all’adeguata puntualità delle prescrizioni formali e documentali che la stazione appaltante fissa nella “lex specialis”); deriva da quanto precede che il medesimo importo sarà dovuto (ad esempio) tanto nel caso di un’unica dichiarazione essenziale omessa (ad es. ex art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006), quanto nel caso in cui siano assenti plurime dichiarazioni della medesima natura (ad es. attinenti ai requisiti di moralità professionale), quando tutte erano doverose stante la loro riferibilità ai diversi esponenti aziendali dotati di poteri di amministrazione/rappresentanza (i quali, com’è noto, possono anche essere molto numerosi nelle organizzazioni societarie complesse).

In merito alla “ratio” giustificatrice della disposizione, istitutiva della sanzione pecuniaria in esame, essa è ravvisabile: da un lato, nell’esigenza di responsabilizzare le imprese, inducendole a condotte ispirate a serietà e puntualità nella predisposizione dei documenti necessari alla partecipazione alla procedura competitiva; dall’altro, nell’esigenza di indennizzare il seggio di gara, mediante un corrispettivo economico, per l’aggravio ed il prolungamento procedimentale ai quali è stato costretto, per svolgere il supplemento di istruttoria resosi necessario per colmare le lacune.

Come sopra brevemente anticipato, il Collegio nutre dubbi consistenti sul fatto che l’applicazione della disciplina del “soccorso istruttorio a pagamento”, sancita dall’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 (norma, come già rilevato, abrogata dal nuovo Codice Appalti, ma pienamente applicabile alla fattispecie all’odierno vaglio), sia in contrasto con il diritto comunitario, per molteplici ragioni.

 

La questione oggi posta al vaglio della Corte di Giustizia ai sensi dell'art. 267 del TFUE e dell'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Preliminarmente, si deve in effetti considerare che la sanzione pecuniaria, sebbene di importo percentuale variabile (da un minimo dell’1 per mille, ad un massimo dell’1% del “valore della gara”), può assumere in concreto entità economica assai elevata, in funzione, oltre che del valore della gara, della scelta ampiamente discrezionale che l’amministrazione aggiudicatrice può assumere entro l’ampio “range” ammesso dal legislatore italiano, tra il limite minimo e il limite massimo consentiti. Certamente l’importo è di notevole rilievo economico nel caso di specie in cui la sanzione pecuniaria determinata (in generale) ed irrogata (in concreto) dall’ente aggiudicatore è di Euro 35.000,00.

Orbene, pur non costituendo (almeno in via diretta) il pagamento della sanzione pecuniaria condizione per poter continuare la gara (dal momento che la partecipazione è condizionata soltanto all’integrazione / regolarizzazione dei documenti e delle dichiarazioni che l’impresa concorrente vorrà disporre), è facile osservare che, nei casi in cui l’importo della sanzione sia di notevole impatto economico, essa costituisce certamente un condizionamento rispetto alla scelta del concorrente di proseguire o meno la gara (aderendo alle richieste documentali della stazione appaltante), soprattutto ove si tratti di un operatore economico non particolarmente dotato sul piano economico – patrimoniale (piccole e medie imprese, nei casi più frequenti). In altri termini, il confronto tra i costi certi (che possono ammontare a diverse decine di migliaia di euro) e i benefici incerti (“chances” di conseguire l’affidamento, in una procedura dall’esito del tutto incerto) è tale da porre l’impresa concorrente in una condizione oggettivamente problematica nell’adozione della scelta più razionale e potenzialmente tale da indurla a “desistere”. Ciò costituisce un’indubbia criticità dell’istituto in rapporto al principio fondamentale della massima concorrenza nell’ambito dell’Unione Europea il quale postula la necessità che sia perseguita al massimo grado la partecipazione dei potenziali pretendenti in una procedura di affidamento, imponendo a ciascuno Stato membro di rimuovere (non certo di introdurre) ostacoli potenziali ed effettivi alla libertà di concorrenza, anche e soprattutto nel primario settore degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture. E’ alla luce di tale principio che va letto l’art. 45 della Direttiva 2004/18 (di cui l’art. 38 del Codice del 2006 costituisce il recepimento), nel senso che le cause di esclusione connesse alla “situazione personale del candidato e dell’offerente” (nel precedente assetto normativo ma anche nell’attuale, in verità) debbono essere riconducibili alle previsioni di cui all’articolo 45 citato, senza ingiustificate estensioni a fattispecie ad esso estranee e debbono avere natura tendenzialmente sostanziale (mancanza di uno o più requisiti previsti) e non formale. Appare del tutto estranea a questo quadro di principio l’imposizione di un rilevante onere economico quale condizione di partecipazione alla gara o, più propriamente, quale elemento perturbatore, idoneo a condizionare le scelte dell’operatore economico in rapporto ad una specifica procedura competitiva.

Precisamente, l’art. 45 della Direttiva 18, al paragrafo 1, prevede che “ai fini dell'applicazione del presente paragrafo, le amministrazioni aggiudicatrici chiedono, se del caso, ai candidati o agli offerenti di fornire i documenti di cui al paragrafo 3 e, qualora abbiano dubbi sulla situazione personale di tali candidati/offerenti, possono rivolgersi alle autorità competenti per ottenere le informazioni relative alla situazione personale dei candidati o offerenti che reputino necessarie”. Nel successivo paragrafo 3 si prevede che “le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente che attesta che l'operatore economico non si trova in nessuna delle situazioni di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b), c), e) e f) quanto segue: a) per i casi di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b) e c), la presentazione di un estratto del casellario giudiziale o, in mancanza di questo, di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa del paese d'origine o di provenienza, da cui risulti che tali requisiti sono soddisfatti”.

Il più volte citato art. 51 ( “documenti e informazioni complementari”), di cui il “soccorso istruttorio” è diretta espressione, prevede che “l'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a50”.

In nessun caso, in ambito europeo (tantomeno oggi dall’art. 56 della “nuova” Direttiva 2014/24/UE), è previsto il pagamento di una sanzione pecuniaria o di altro onere economico a carico dell’operatore economico che sia incorso in inadempienze dichiarative o documentali, per quanto “essenziali”, nel senso che non si possa prescindere dal documento o dalla dichiarazione omessi, ai fini della partecipazione alla gara. In questo quadro il pagamento della sanzione nei termini prescritti dal comma 2-bis dell’art. 38 costituisce una “particolarità”dell’ordinamento italiano, che non trova alcun appiglio nella normativa europea, nel senso di non essere da essa autorizzata né esplicitamente, né in via implicita. Ad avviso del Collegio vi è il serio dubbio che l’onere economico che il legislatore italiano ha inteso imporre sia in contrasto con i principi della Direttiva Appalti del 2004 (art. 2), come recepiti dal Codice italiano dei contratti pubblici del 2006 secondo cui “l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice” (art. 2, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, oggi abrogato ma pienamente applicabile alla vicenda per cui è causa).

Con riferimento all’entità ed alla modalità di quantificazione della sanzione pecuniaria in sé considerata (e, dunque, a prescindere dall’essere essa correlata oppure no alla scelta dell’impresa di sanare l’irregolarità, producendo la documentazione mancante) si pone seriamente (anche con specifico riguardo al caso affrontato nella presente causa) il dubbio della compatibilità della norma italiana con il principio di proporzionalità nell’ambito degli affidamenti pubblici. Si è già evidenziato nel precedente paragrafo 3.1. che la sanzione pecuniaria è stata concepita in termini unitari e onnicomprensivi. La stazione appaltante la deve determinare tra un minimo e un massimo e pubblicarla nel bando di gara. Tuttavia la disposizione legislativa, come si è visto, non autorizza l’Amministrazione a graduare la sanzione in rapporto alle diverse fattispecie ipotizzabili e ciò sia nel prevedere la sanzione in via generale “ex ante”, che nell’applicarla al caso concreto “ex post”. Sicché, in presenza di una singola “omissione essenziale”, così come nel caso di una pluralità di mancanze, carenze, irregolarità, il soccorso istruttorio, che dovrà comunque essere accordato (financo in caso di completa “ricostruzione” dell’intero plico destinato alla documentazione amministrativa), comporterà in entrambe le fattispecie una sanzione della stessa, identica misura.

Il rischio della “sproporzione” è dunque insito e strutturale nello stesso meccanismo normativo, giacché concepito in modo tale da non evitare (in generale) l’applicazione di sanzioni di misura uguale in relazione a fattispecie notevolmente diverse, sintomatiche di diversa gravità della condotta rispettivamente ascrivibile alle diverse imprese concorrenti.

La sproporzione che l’applicazione della norma può comportare (in via eventuale, ma sempre possibile) deve essere anche riferita alle attività di verifica che la commissione di gara è chiamata a compiere, all’interno del sub-procedimento di soccorso istruttorio che essa è tenuta ad attivare, una volta constatata una (o più) irregolarità essenziale. Si è già detto che la “ratio” dell’istituto è stata individuata, in via ricostruttiva, nell’aggravamento delle attività di verifica che la stazione appaltante è chiamata a compiere a causa dell’omissione del concorrente. In questa prospettiva la sanzione pecuniaria di cui al comma 2-bis dell’art. 38, è stata ri-definita da alcuni commentatori in termini di “indennizzo forfettario” in favore dell’Amministrazione per l’aggravio dell’attività amministrativa a cui è stata esposta, a causa delle inadempienze dell’operatore, incorso in “irregolarità essenziale”. La sanzione, si è detto, non avrebbe funzione afflittiva ma piuttosto favorirebbe il meccanismo concorrenziale, indennizzando forfettariamente l’Amministrazione per l’aggravio d’impegno che consegue al subprocedimento avviato con la richiesta d’integrazione documentale. Si è anche precisato che, in tal caso, non sarebbero applicabili le disposizioni di cui alla L. 24 novembre 1981 n. 689 (segnatamente l'art. 16 sulla riduzione ad un terzo della sanzione in caso di suo tempestivo pagamento), atteso che quest'ultima contiene una serie di principi che si riferiscono alle sanzioni - eminentemente pecuniarie - di natura afflittiva, e non a quelle aventi finalità riparatoria o ripristinatoria (questi ultimi argomenti sono stati sviluppati dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, nella sentenza n. 160 del 24 marzo 2016).

Ora è questa stessa “ratio” ad apparire non salda e sicura, né in armonia con il principio della proporzionalità, se si pensa che, nel caso concreto, l’aggravio di impegno può essere molto diversificato e, in certi casi, anche molto “soft”, se si pensa all’ipotesi di una singola dichiarazione, certamente necessaria (quindi “essenziale”) priva di una sottoscrizione o di un contenuto imprescindibili. In una a simile ipotesi la norma conduce al pagamento di un “indennizzo” del tutto sproporzionato a tutto vantaggio dell’Amministrazione (ed a discapito dell’impresa concorrente), per il compimento di un’attività istruttoria limitata e ben poco impegnativa. Una situazione del genere sembra ricorrere nel caso di specie dove, come visto, la Commissione di gara ha potuto osservare agevolmente l’omessa sottoscrizione della dichiarazione di impegno da parte del legale rappresentante della Ma.t.i. Sud S.p.a. e, senza particolari difficoltà, ha potuto invitare la società alla regolarizzazione, puntualmente avvenuta e verificata nell’arco di pochi giorni.

L’indennizzo forfettario da corrispondere all’Amministrazione ed il corrispondente costo che la ricorrente è obbligata a sostenere, nella specie pari ad Euro 35.000,00, appaiono oggettivamente esorbitanti in rapporto all’attività supplementare in concreto espletata. Ciò prova che, nelle sue concrete applicazioni, la norma sanzionatoria comporta il rischio di una ingiustificata sproporzione che il principio europeo di proporzionalità non sembra tollerare.

Anche il sub-procedimento di soccorso istruttorio, articolazione eventuale della procedura per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, infatti, non può considerarsi sottratto al principio di proporzionalità che informa di sé le procedure sottoposte ai vincoli derivanti dalle direttive europee in materia.

Astraendo dal caso concreto, una misura sanzionatoria di notevole entità economica, prevista per sanzionare un’impresa concorrente per l’aggravio procedimentale da essa provocato, appare in generale una misura in contrasto con il principio di proporzionalità, stante la brevità del termine massimo (giorni dieci) entro cui la documentazione integrativa deve essere prodotta (il che comporta un prolungamento del termine di conclusione del procedimento per un tempo limitatissimo) e considerato che la misura appare eccessiva rispetto allo scopo prefissato, dal momento che è lo stesso interesse della concorrente, che aspira a vedere esaminata la propria offerta, a garantire (di regola) la tempestiva regolarizzazione documentale.

In ogni caso non sembra tollerato dal principio euro-unitario di proporzionalità che una sanzione pecuniaria per la semplice omissione di una sottoscrizione relativa ad una dichiarazione prescritta (ed “essenziale”) possa ammontare fino all’esorbitante importo di Euro 35.000,00.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 56 della Direttiva 2014/24/UE, “3. Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza”.

La nuova Direttiva, pertanto, nell’ammettere (anch’essa) il soccorso istruttorio, ne subordina espressamente la disciplina di recepimento alla “piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza”. Al riguardo, tuttavia, non sembra al Collegio che la disposizione abbia portata innovativa rispetto all’assetto scaturente dalla Direttiva del 2004 la quale, come già detto, già contemplava i due principi appena menzionati, puntualmente recepiti dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli appalti pubblici del 2006), ove si legge che l’affidamento dei contratti pubblici deve rispettare, tra gli altri, proprio i principi di parità di trattamento e trasparenza.

Ad avviso del Collegio, la possibilità, insita nella norma, di applicare la medesima sanzione, applicabile in ipotesi di grave difformità rispetto alle prescrizioni del bando (o del disciplinare) di gara, anche in caso di inadempienze dichiarative di limitata entità benché essenziali (può anche trattarsi, in concreto, della mancata sottoscrizione o produzione di una singola dichiarazione, prescritta in via imperativa dalla legge di gara), si pone in contrasto anche con il principio di parità di trattamento. In effetti, le considerazioni sopra svolte con riguardo alla violazione del principio di proporzionalità comportano, da altro punto di vista, un problema di compatibilità della norma nazionale con il principio di parità di trattamento nel rispetto del quale, per quanto sopra esposto, la legge nazionale di recepimento è tenuta a regolare il soccorso istruttorio. Può dirsi, in altri termini, che se l’istituto esprime il principio della massima concorrenza nella forma del “favor partecipationis” (nel senso che devono ammettersi a partecipare alle procedure competitive di affidamento, indette dalle amministrazioni aggiudicatrici, tutte le imprese che lo desiderino e che siano in possesso dei requisiti generali e di qualificazione prescritti, se necessario anche beneficiando di un termine supplementare per integrare o regolarizzare la documentazione di gara), esso trova comunque un limite nel principio di parità di trattamento, nel senso che tutte le imprese debbono essere poste nella medesima, paritaria situazione di poter usufruire del “beneficio”, alle medesime condizioni. Il comma 2-bis dell’art. 38 del Codice del 2006 inserisce nella disciplina interna un fattore di potenziale disparità di trattamento tra le imprese che del soccorso intendano avvalersi, per la semplice ragione che, per quanto sopra esposto, difformità molto diverse sul piano della gravità e, quindi, sintomatiche di inadempienze ora lievi ora, viceversa, importanti, subiscono la stessa identica sanzione unitaria e onnicomprensiva (come visto la norma non assegna alla stazione appaltante alcun potere di graduazione, consentendo ad essa soltanto di istituire una sanzione pecuniaria unica e onnicomprensiva). E’ noto che trattare in modo identico sul piano del rigore sanzionatorio condotte del tutto diverse sul piano della gravità oggettiva comporta, oltre che violazione del principio di proporzionalità, anche violazione dei principi di parità di trattamento e non discriminazione, i quali mirano ad impedire che le legislazioni interne degli Stati membri valutino in maniera diversa concorrenti che si trovino nella stessa situazione di irregolarità oppure in maniera uguale concorrenti che versino in condizioni connotate da un diverso grado di illegittimità, imponendo irragionevoli restrizioni all’accesso alle procedure di gara.

Una norma come quella in esame provoca un’ingiustificata sperequazione delle imprese in relazione ad un (implicito) presupposto di fatto - la disponibilità delle risorse economiche necessarie al pagamento della sanzione - che è del tutto estraneo e non incide affatto sulla moralità, professionalità e affidabilità delle imprese. Si può anzi osservare che tale “pre-requisito” danneggia gravemente le imprese che, in genere, partecipano ad un grande numero di procedure ad evidenza pubblica senza risultare aggiudicatarie di nessuna di esse, le quali possono essere disincentivate dal partecipare a gare future (con grave pregiudizio alla tutela della concorrenza). Il principio di concorrenza, com’è noto, è sancito dagli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e produce vincoli immediati in capo agli Stat membri. La misura prevista dall’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, in questa prospettiva, assume una portata anti-concorrenziale a specifico discapito delle imprese meno dotate sul piano economico-patrimoniale che, al contrario, sono quelle che andrebbero particolarmente promosse in un’ottica di piena realizzazione della concorrenza nell’ambito del mercato comune.

Ciò pone, di per sé, l’istituto in contrasto con il principio fondamentale della massima concorrenza nell’ambito dell’Unione Europea il quale postula, come già rilevato, la necessità che sia perseguita al massimo grado la partecipazione dei potenziali pretendenti all’affidamento di un contratto pubblico, imponendo a ciascuno Stato membro di rimuovere (non certo di introdurre) ostacoli potenziali ed effettivi alla libertà di concorrenza, anche e soprattutto nel primario settore degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture. Va altresì osservato che, sebbene l’esclusione dalla gara non possa mai direttamente dipendere dalla mancata corresponsione della somma intimata (potendo l’esclusione soltanto derivare dalla mancata produzione dei documenti entro il termine assegnato), la concreta disciplina dell’istituto comporta in verità che l’esclusione possa comunque derivare, in un secondo momento, dalla mancata integrazione della cauzione provvisoria nel frattempo escussa dalla stazione appaltante.

In conclusione, si rimettono alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione dell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. 12.4.2006, n. 163 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 45 e 51 della Direttiva 2004/18/CE ed ai principi di massima concorrenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione in materia di procedure per l’affidamento di lavori, servizi e forniture:

- se, pur essendo facoltà degli Stati membri imporre il carattere oneroso del soccorso istruttorio con efficacia sanante, sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, nel testo vigente alla data del bando di cui trattasi (…) laddove è previsto il pagamento di una “sanzione pecuniaria”,nella misura che deve essere fissata dalla stazione appaltante ( “non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria”), sotto il profilo dell’importo eccessivamente elevato e del carattere predeterminato della sanzione stessa, non graduabile in rapporto alla situazione concreta da disciplinare, ovvero alla gravità dell’irregolarità sanabile;

- se, al contrario, il medesimo art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 (sempre nel testo vigente alla data sopra indicata) sia contrastante con il diritto comunitario, in quanto la stessa onerosità del soccorso istruttorio può ritenersi in contrasto con i principi di massima apertura del mercato alla concorrenza, cui corrisponde il predetto istituto, con conseguente riconducibilità dell’attività, al riguardo imposta alla Commissione aggiudicatrice, ai doveri imposti alla medesima dalla legge, nell’interesse pubblico al perseguimento della finalità sopra indicata.

Ai sensi della «nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» 2011/C 160/01 (in G.U.C.E. 28 maggio 2011), vanno trasmessi alla Cancelleria della Corte, a cura della Segreteria della Sezione, mediante plico raccomandato, in copia i seguenti atti:

- testo degli artt. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 e 83 d.lgs. n. 50 del 2016 (quest’ultimo adottato in attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);

- gli atti impugnati con il ricorso di primo grado;

- il ricorso di primo grado con i relativi allegati (fascicolo di parte ricorrente);

- la memoria di costituzione e difensiva di Centostazioni S.p.a. con i relativi allegati (fascicolo di parte resistente);

- atto di intervento di China Taiping Insurance;

- le successive memorie difensive delle parti in causa;

- la presente ordinanza;

- il dispositivo già pubblicato;

- copia dell’ordinanza cautelare n. 2377 del 5 maggio 2016.

Il presente giudizio viene sospeso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, provvede come segue:

- rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea;

- dispone che, non appena pubblicata la motivazione alla base del presente dispositivo, la presente ordinanza, unitamente a copia degli atti di giudizio indicati in motivazione, sia trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;

- conferma la sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati come già disposta con l’ordinanza cautelare n. 2377 del 5 maggio 2016;

- dispone la sospensione del presente giudizio;

- riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese.

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Gabriella De Michele, Presidente

Achille Sinatra, Consigliere

Claudio Vallorani, Referendario, Estensore

 

 

 

Guida alla lettura

L’ordinanza in commento ha rimesso alla Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali relative alla compatibilità con il diritto europeo degli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs n. 163/2006, che, come noto, disciplinano l’istituto del c.d. soccorso istruttorio “a pagamento”.

La prima questione muove dal presupposto della astratta possibilità per gli stati membri di prevedere, per determinate ipotesi quali quelle relative ad “irregolarità essenziali”, l’onerosità del soccorso istruttorio.  

In questa prospettiva, il TAR solleva quindi dubbi di compatibilità europea dell’istituto per come disciplinato nel nostro ordinamento, nella parte in cui non è prevista la possibilità di graduare l’entità della sanzione in ragione della gravità dell’irregolarità riscontrata dalla stazione appaltante in sede di soccorso istruttorio.

Questa impostazione, infatti, apparirebbe innanzitutto in contrasto con il principio di proporzionalità, posto che anche le carenze meno gravi (seppure essenziali), che richiedono una attività istruttoria limitata da parte dell’amministrazione, rischiano di essere soggette a sanzioni esorbitanti (basti considerare che, nel previgente Codice, la sanzione pecuniaria poteva raggiungere il rilevante importo di 50.000 euro).

Inoltre, l’impossibilità di graduare l’entità della sanzione in ragione della gravità dell’omissione riscontrata rischia di determinare conseguenze in una qualche misura irragionevoli: potrebbero, infatti, essere soggette alla medesima sanzione carenze e omissioni molto diverse sul piano della gravità, con conseguente violazione di basilari principi eurounitari quali quelli di proporzionalità e parità di trattamento.

La seconda questione ha natura, per così dire, “radicale” riguardando la compatibilità o meno con il diritto europeo della natura onerosa dell’istituto del soccorso istruttorio. In sostanza, il TAR prospetta un possibile contrasto, rispetto alla disciplina europea, degli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs n. 163/2006.

In particolare, la previsione di una sanzione pecuniaria di importo consistente (con il previgente Codice, l’importo massimo della sanzione poteva arrivare a 50.000 euro) costituirebbe un disincentivo alla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica per le imprese che non abbiano solide capacità economico-patrimoniali, ponendosi così in contrasto con i principi europei di favor partecipationis e non discriminazione.  

Inoltre, le citate disposizioni potrebbero determinare la scelta delle medesime imprese di non proseguire nella procedura (qualora venga richiesta la regolarizzazione) all’esito di un’analisi dei costi certi (ammontare sanzione) e dei benefici incerti (conseguimento dell’appalto). Entrambi gli aspetti sembrano, dunque, porsi in contrasto con il principio di massima partecipazione, il quale invece imporrebbe agli stati membri di rimuovere gli ostacoli effettivi e potenziali alla libera concorrenza.

Il TAR evidenzia anche come la natura onerosa dell’istituto non troverebbe alcun riscontro nella disciplina europea; in particolare, l’art. 45 della direttiva 2004/18 (di cui l’art. 38 del d.lgs. n. 163 costituiva il recepimento) non farebbe alcun riferimento alla possibilità di prevedere oneri economici nel caso in cui sia necessario chiedere documenti o informazioni complementari ai concorrenti.

Vero è che l’ordinanza in commento si riferisce a fattispecie disciplinata dalla previgente disciplina europea (direttive del 2004) e nazionale (Codice del 2006); ma è altrettanto vero che la stessa riveste comunque profili di attualità.

Infatti, l’istituto del soccorso istruttorio “a pagamento” è stato confermato anche dall’art. 83, comma 9, del nuovo Codice del 2016, seppure con massimale della sanzione di gran lunga inferiore rispetto a quello previgente (5.000 euro invece di 50.000) e nonostante l’attuale disposizione appaia viziata da eccesso di delega per violazione dell’art. 1, lett. z), della legge n. 11/2016 (che aveva delegato al governo di regolamentare nel nuovo Codice l’integrazione documentale “non onerosa”, con ciò escludendo quindi la possibilità di confermare il c.d. soccorso istruttorio a pagamento).