T.R.G.A. Trento, sez. I, 15 marzo 2016, n. 148

1. Non è ammissibile l’impugnazione con motivi aggiunti del provvedimento del Segretario Generale del Tribunale amministrativo con il quale si chiede al ricorrente, in un ricorso avverso una procedura di aggiudicazione, d’integrare il pagamento del contributo unificato. Esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare in quella del giudice tributario, le eventuali contestazioni in ordine all'operato impositivo del predetto organo amministrativo che vanno considerate di natura tributaria. (1)

 (1)Conforme T.A.R. Campania - Napoli, sez. I, 4.5.2016,  n. 2212; T.A.R. Sicilia - Catania, sez. III, 11.2.2016,  n. 401; in senso contrario T.R.G.A. Trentino-Alto Adige - Trento, sez. I, 29.1.2014, Ordinanza n. 23

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Nel giudizio introdotto con il ricorso 58/2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da Orizzonte Salute studio infermieristico associato, in persona del legale rappresentante pro tempore, assistito e difeso dall'avv. M. Carlin, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via S. Maria Maddalena 12;

contro

l’Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, in persona del legale rappresentante pro tempore, assistita e difesa dall'avv. R. De Pretis, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via ss. Trinità 14;
e, limitatamente ai quarti motivi aggiunti,
la Presidenza del consiglio dei ministri, in persona del presidente pro tempore,
l’Amministrazione della giustizia, in persona del ministro pro tempore,
l’Amministrazione dell'economia e delle finanze, in persona del ministro pro tempore,
il Segretario generale pro tempore della Giustizia amministrativa,
il Segretario generale pro tempore del T.R.G.A. – sede di Trento, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, domiciliataria ex lege;

nei confronti di

con l’eccezione dei quarti motivi aggiunti, D. & F. Care - associazione infermieri professionali, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum, limitatamente al quarto ricorso per motivi aggiunti:
il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Trento, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Maccaferri, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Grazioli 27;
il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Firenze, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. G. Viciconte, con domicilio eletto in Trento, via Grazioli 62, presso lo studio dell’avv. P. Corona;
il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Orestano, Dore e Ziotti, con domicilio eletto in Trento, via Lunelli 48, palazzo Onda, presso lo studio dell’avv. A. Tita;
la Camera degli avvocati amministrativisti, in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentata e difesa dagli avv. ti Rossi, Marascio, Martinelli, Papponetti, Togna, Grappelli e Leonardo, con domicilio eletto in Trento, via Grazioli 27, presso lo studio dell’avv. M. Maccaferri;
la Camera amministrativa romana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Tedeschini, Malinconico, Leozappa, Lattanzi e Valorzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Trento, via Calepina 65;
la Società italiana degli avvocati amministrativisti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti F. e E. Lubrano, con domicilio eletto in Trento, via Grazioli 62, presso lo studio dell’avv. P. Corona;
l’Associazione dei giovani amministrativisti - A.G. Amm., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Leccisi e D'Auria, con domicilio eletto in Trento, Via Cavour N. 34 presso lo studio dell’avv. G. Ceola;
il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori - Codacons – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Giuliano e Rienzi, con domicilio presso la Segreteria del T.R.G.A., sede di Trento, ex art. 25 c.p.a.;
l’Associazione dei consumatori cittadini europei, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Giurdanella e Gallo, con domicilio presso la segreteria del T.R.G.A., sede di Trento, ex art. 25 c.p.a.;
Medical Systems S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Damonte e Carlin, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Trento, Via s. Maria Maddalena 12;

per l'annullamento:

quanto al ricorso principale:

a) quanto al ricorso principale, depositato il 14 marzo 2013:

- della deliberazione 14 dicembre 2011, n. 24, del Consiglio di amministrazione dell'Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, avente a oggetto dell'affidamento all'Associazione infermieristica D & F Care dell’incarico per la fornitura di prestazioni professionali presso l’Azienda stessa, per la gestione del servizio infermieristico del terzo piano;

- della deliberazione 21 dicembre 2012, n. 35, del Consiglio di amministrazione dell'Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, recante la proroga dell'affidamento della gestione del servizio infermieristico all'Associazione infermieristica D & F Care;

b) quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 9 maggio 2013:

- in parte qua, della determinazione 25 marzo 2013, n. 61, del direttore dell'Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, avente a oggetto l’affidamento del servizio infermieristico da svolgere presso il terzo piano dell’Azienda stessa – provvedimento a contrarre, con l’allegato capitolato speciale e la lettera d’invito

c) quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 3 giugno 2013:

- della determinazione 2 maggio 2013, n. 80, del direttore dell'Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, avente a oggetto la gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico sub b) – sospensione dell’ apertura delle offerte;

- della determinazione 21 maggio 2013, n. 87, del direttore dell'Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, avente a oggetto la gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico sub b) – riavvio della procedura per apertura delle offerte;

d) quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 giugno 2013:

- della determinazione 23 maggio 2013, n. 94, del direttore dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, avente a oggetto l’aggiudicazione, a trattativa privata, del servizio infermieristico sub b)

- degli allegati nn 1 e 2 alla deliberazione 61/2013, impugnata sub b)

- dell’elenco delle ditte invitate alla procedura di gara;

e) quanto al quarto ricorso per motivi aggiunti, depositato il 2 luglio 2013:

- del provvedimento 5 giugno 2013, a firma del segretario generale pro tempore del T.R.G.A. di Trento avente ad oggetto “Contributo unificato. Invito al pagamento”,

- della circolare 18 ottobre 2011 del Segretario generale della giustizia amministrativa;

- della circolare 11 maggio 2012 del Ministero della Giustizia.

nonché per il risarcimento del danno subito.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino", dei Ministeri della giustizia e dell’economia, della Presidenza del consiglio, e del Segretariato della giustizia amministrativa;

Viste le memorie difensive;

Vista la sentenza 6 ottobre 2015 della Corte di giustizia dell’unione europea, V Sezione, nella causa C 61/14;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 il cons. avv. A. Gabbricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. Lo studio infermieristico associato Orizzonte Salute svolge, con i professionisti che ne fanno parte, prestazioni a pagamento per soggetti pubblici e privati: in tale qualità, esso ha inizialmente impugnato la deliberazione 21 dicembre 2012, n. 35, del Consiglio di amministrazione dell’Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino" di Levico Terme - in sostanza, una casa di riposo - insieme alla deliberazione 14 dicembre 2011, n. 24, dello stesso organo.

1.2.1. La deliberazione 24/11 aveva affidato a un’altra associazione infermieristica, la D. & F. Care, “l'incarico per la fornitura di prestazioni infermieristiche professionali” – che, negli atti successivi della vicenda, verrà più linearmente qualificato “servizio di assistenza infermieristica”– per l’anno 2012 (come già nel 2011), con un compenso lordo orario diurno feriale di € 25,00 e di € 27,00 per il festivo e lo straordinario.

1.2.2. La deliberazione 35/2012 aveva prorogato, per una tariffa oraria generalmente ridotta di un euro, il servizio a D. & F. Care dal 1 gennaio al 30 giugno 2013, con la giustificazione che era in corso la predisposizione del bando per la gara, da svolgere mediante trattativa privata, per la copertura, secondo una più estesa formulazione, “del servizio per la fornitura di prestazioni infermieristiche professionali per la gestione del servizio infermieristico del 3° piano per l'anno 2013”.

1.3.1. Orizzonte Salute ha censurato per vizi propri la sola deliberazione 35/2012, per violazione degli artt. 42 e 43 della l.r. 21 settembre 2005, n. 7, ed eccesso di potere sotto vari profili, tra cui, prioritariamente, il difetto di presupposti e la violazione del principio del favor partecipationis.

1.3.2. La proroga equivarrebbe invero in un affidamento diretto, consentito, secondo le norme ora citate, soltanto per i contratti fino a € 36.000,00 per cui il servizio in questione, di costo complessivo pari a € 71.681,00 avrebbe invece imposto un confronto concorrenziale; né l’Azienda avrebbe fornito le ragioni che avrebbero giustificato l’affidamento diretto, anziché la procedura concorrenziale.

1.4.1. Con ordinanza cautelare 18 aprile 2013, n. 44, questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare proposta, imponendo all’Amministrazione di bandire una gara entro 30 giorni; ma l’Azienda, ancor prima, con la determinazione 25 marzo 2013, n. 61, del proprio direttore, aveva senz’altro avviato la gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico.

1.4.2. La deliberazione, in particolare, aveva stabilito di procedere alla scelta del contraente mediante trattativa privata, previo confronto concorrenziale tra almeno cinque persone o ditte, scelte discrezionalmente fra quelle in possesso dei requisiti necessari: e così, in particolare, le associazioni infermieristiche, ovvero gli studi infermieristici associati, che fossero “accreditati” presso il Collegio provinciale degli infermieri professionali assistenti sanitari vigilatrici d'infanzia (IPASVI) territorialmente competente, a garanzia “del possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente per l'esercizio professionale e rispetto dell'impegno professionale come definito dal Codice Deontologico, dal profilo professionale e dalla normativa vigente”.

1.5.1. Orizzonte Salute, con i primi motivi aggiunti, ha impugnato tale prescrizione, che automaticamente la escludeva dalla procedura di gara: infatti, almeno all’epoca, essa non aveva ottenuto presso il Collegio IPASVI di Trento l’accreditamento, per il quale era richiesto, tra l’altro, che tutti i componenti dell’associazione fossero infermieri professionisti, mentre lo statuto dell’associazione ricorrente consentiva espressamente che non possedessero tale qualifica il suo presidente e due componenti del consiglio direttivo.

1.5.2. Secondo la ricorrente sarebbero stati anzitutto violati i principi di massima partecipazione e di concorrenza, nonché gli artt. 42 e 43 della l.r. 7/2005 già citati; la deliberazione sarebbe inoltre viziata da eccesso di potere sotto vari profili, sul rilievo che la clausola limitativa sarebbe irragionevolmente discriminatoria nei confronti di Orizzonte Salute, non potendo essere posta in dubbio la relativa qualificazione, in quanto gli infermieri ad essa associati devono essere iscritti al competente albo professionale, sia pure con le deroghe prima ricordate.

1.6.1. Intanto, l’ordinanza cautelare 44/2013 era stata comunque appellata, e per questo il direttore dell’Azienda con la deliberazione 2 maggio 2013, n. 80, aveva sospeso la procedura di gara, per poi riavviarla con la determinazione 21 maggio 2013, n. 87, dopo che il giudice d’appello aveva, del tutto prevedibilmente, dichiarato improcedibile l’appello, stante l’indizione della gara, disposta con la ricordata deliberazione 61/2013.

1.6.2. Tuttavia, la ricorrente ha ritenuto necessario impugnare con i secondi motivi aggiunti anche la deliberazione 87, sul presupposto che la decisione di riavviare la procedura confermasse la precedente deliberazione 61/2013, e, con questa, pure la precedente determinazione n. 80.

1.6.3. Anzitutto, il nuovo ricorso contiene le stesse censure del precedente, sul presupposto che la decisione di riavviare la procedura confermerebbe la precedente deliberazione 61/2013; inoltre, si sostiene che la decisione di riavviare il procedimento eluderebbe la pronuncia emessa nel giudizio cautelare, e insieme, anche quella del giudice d’appello.

1.7.1. La gara si concludeva con la deliberazione 23 maggio 2013, n. 94, del direttore dell’Azienda, che aggiudicava il servizio a D. & F. Care: provvedimento impugnato con i terzi motivi aggiunti, che l’hanno censurata per invalidità derivata, oltre che per difetto di motivazione.

1.7.2. Il Collegio si è pronunciato sulla nuova istanza cautelare, riferibile a tutti i motivi aggiunti, con la nuova ordinanza 20 giugno 2013, n. 76, con la quale ha sospeso l’efficacia dell’aggiudicazione, nonché della clausola escludente, ed ha imposto d’esaminare l’offerta che la Orizzonte Salute aveva comunque presentato.

1.8.1. In esecuzione dell'ordinanza, l’Azienda esaminava l’offerta di Orizzonte Salute nella seduta pubblica del 24 giugno, e poiché questa era uguale a quella di D&F Care, l’Azienda chiedeva a entrambe di presentare un’offerta migliorativa.

1.8.2. Entrambe le concorrenti aderivano alla richiesta, e l'offerta D&F Care risultava la migliore, con un corrispettivo orario pari, per le prestazioni diurne feriali a € 17,97 e, per le prestazioni diurne festive, notturne e straordinarie, a € 17,98, per un costo complessivo di € 94.354,00 e un ribasso di 29,35% rispetto alla base d’appalto (analoga a quella degli anni precedenti): e l’Azienda aggiudicava perciò il servizio alla controinteressata con determinazione 28 giugno 2013, n. 126.

1.8.3. Tale provvedimento non è stato impugnato da Orizzonte Salute, la quale ha poi riconosciuto che il terzo ricorso per motivi aggiunti era divenuto improcedibile, ma non i precedenti, per i quali chiede tuttora una decisione di merito, come per il successivo quarto ricorso per motivi aggiunti, di oggetto affatto distinto e che sarà esaminato oltre.

2.1.1. Ebbene, per quanto riguarda il ricorso principale, l’Amministrazione resistente ha eccepito, tra l’altro, la sua irricevibilità per tardività del deposito: l’eccezione è fondata.

2.1.2. Invero, l’ultima notificazione del ricorso si è perfezionata sabato 23 febbraio 2013, mentre il deposito è avvenuto giovedì 14 marzo 2013, e dunque diciannove giorni dopo: e se il termine ordinario per il deposito è di trenta giorni (art. 45 c.p.a.), non v’è tuttavia dubbio che qui si applichi la dimidiazione dei termini, di cui all’art. 119, II comma, c.p.a..

2.1.3. Tale ultima disposizione, infatti, si applica tra l’altro ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (art. 119, I comma, lett. a): e se è palese che l’assistenza sanitaria per gli ospiti di una struttura comunitaria è un pubblico servizio, quali siano le locuzioni impiegate per descriverla, non v’è nemmeno dubbio che “concerne” il suo affidamento una deliberazione che dispone una proroga semestrale per un servizio in essere, a favore dell’attuale appaltante, e procrastini insieme la procedura di gara.

2.2. I primi motivi aggiunti sono improcedibili, come i terzi.

Essi, invero, sono diretti a contrastare la clausola che esclude Orizzonte Salute dalla gara, cui la ricorrente è stata ammessa con l’ordinanza cautelare 20 giugno 2013, n. 76, conseguendo così il bene auspicato, ed i cui effetti interinali, peraltro già esauriti appunto con l’ammissione, non è comunque necessario consolidare – o rimuovere - con una sentenza definitiva, poiché comunque la gara è stata definitivamente aggiudicata ad altro concorrente, sicché è inutile stabilire se Orizzonte Salute vi ha o meno partecipato validamente.

2.3.1. In ogni caso, ai limitati fini della soccombenza virtuale, e dunque con la cognizione sommaria che le è propria, i ripetuti primi motivi aggiunti appaiono infondati, e così pure i terzi, che censurano i provvedimenti impugnati per invalidità derivata dagli atti impugnati appunto con i primi motivi aggiunti.

2.3.2. Va invero riconosciuto, in termini generali, che le stazioni appaltanti possono fissare, nell'esercizio della loro discrezionalità, requisiti di qualificazione tecnica ed economica più rigorosi di quelli comunemente prescritti, purché non costituiscano un’irragionevole e arbitraria limitazione dell'accesso alla gara per le imprese presenti sul mercato, e sempre che ciò non contrasti con specifiche disposizioni di legge.

2.3.3. In questo caso, il requisito dell’accreditamento IPASVI si presenta ragionevole – poiché il suo possesso comporta che tutti gli appartenenti all’associazione possiedono un elevato standard di competenza professionale, anche per l’obbligo di aggiornamento - e proporzionato, perché conseguirlo non impone oneri particolari; né, d’altra parte, la ricorrente ha individuato norme primarie che contrastino con la richiesta del requisito medesimo per un’associazione professione – che non risulta essere, va sottolineato, la società di professionisti, di cui all’art. 10 della l. 12 novembre 2011, n. 183.

2.4. I secondi motivi aggiunti, per le ragioni già espresse (sopra § 2.2.) sono anch’essi improcedibili per sopravvenuta carenza d’interesse; ma sono anche inammissibili per carenza d’interesse, poiché con questi sono stati impugnati atti endoprocedimentali.

2.5. Palesemente infondata è poi la domanda risarcitoria, mancando qualsiasi prova di un danno ingiusto subito dalla ricorrente per effetto dei provvedimenti via via impugnati.

3.1. Dopo la presentazione dei terzi motivi aggiunti, il Segretario generale del T.R.G.A. di Trento ha comunicato alla Orizzonte Salute l’invito al pagamento 5 giugno 2013, in cui si rileva l’insufficiente pagamento del contributo unificato dovuto, riferito testualmente ai “motivi aggiunti”: per questi si chiede il versamento di un contributo pari a € 2.000,00 il quale non viene invece riferito al ricorso principale, per il quale già era stato evidentemente richiesto e versato l’importo di € 650,00.

5.2.1. Con i quarti motivi aggiunti, depositati il 2 luglio 2013, la ricorrente ha impugnato quest’ultima determinazione per violazione dell’art. 13, comma 6-bis, del DPR 115/2002, eccependo altresì l’illegittimità costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 81 e 97 Cost..

5.2.2. Con lo stesso ricorso sono state impugnate anche la circolare 18 ottobre 2011 del Segretario generale della giustizia amministrativa, e la circolare 11 maggio 2012 del Ministero della Giustizia, entrambe concernenti il pagamento del contributo unificato.

5.2.3. In riferimento a questi motivi aggiunti si sono costituite in giudizio anche le Amministrazioni statali intimate, eccependo il difetto di giurisdizione di questo giudice amministrativo, nell’assunto che il contributo unificato sarebbe una prestazione fiscale, per le cui controversie sarebbe competente il giudice tributario speciale, ovvero le commissioni tributarie; è stato inoltre eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia e del Ministero dell'economia e delle finanze; nel merito è stata contestata la fondatezza della pretesa azionata dalla ricorrente.

5.2.4. Questa Sezione, con l’ordinanza collegiale 19 gennaio 2014, n. 23, superate le eccezioni preliminari, ha rimesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea di stabilire pregiudizialmente se i principi fissati dalla direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 89/665/CEE e successive modifiche e integrazioni, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi), i quali hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici; la stessa ordinanza ha così disposto la trasmissione degli atti alla Corte, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e la sospensione del presente giudizio.

5.2.5. La Corte ha deciso sulle questioni sollevate con la sentenza 6 ottobre 2015 nella causa C 61/14, assumendo una posizione articolata.

5.2.6. Anzitutto, ha disposto che l’articolo 1 “della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”.

5.2.7. Nella seconda statuizione, la stessa Corte ha affermato che “L’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso”.

5.2.8. Tuttavia – e questo appare l’unico profilo di qualche significato innovativo – “nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento”.

Pertanto – e le prossime affermazioni acquisteranno specifico rilievo sulla questione di giurisdizione, poco oltre affrontata in questa sentenza – “Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi”.

5.3.1. Orizzonte Salute ha poi riassunto la causa innanzi a questo giudice, il quale, riconsiderata la precedente decisione, alla luce dei successivi apporti difensivi, e della sentenza della Corte, deve accogliere l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle Amministrazioni resistenti.

5.3.2. Invero, la precedente ordinanza 23/2014, dopo aver riconosciuto che il contributo unificato è un tributo, fonda, ciò nonostante, la giurisdizione del giudice amministrativo sul fatto che l’avviso di pagamento presenta un contenuto tecnico-discrezionale.

Ora, ciò è indubbio, ma lo è altrettanto che questo non basta a negare la giurisdizione delle commissioni tributarie, ed insieme ad affermare quella del giudice amministrativo; né la competenza del T.A.R. può essere desunta dal tenore letterale della sentenza della Corte, segnatamente da quanto essa sostiene nel capo sopra riprodotto al § 5.2.9.

5.4.1. Invero, non pare dubbio a questo Collegio come le statuizioni, espresse nella decisione della Corte e prima riprodotte al citato § 5.2.9, vadano correlate e intese coerentemente con la pertinente disciplina primaria, sostanziale e processuale, dell’ordinamento nazionale, ponendo anzitutto l’attenzione sulla natura del contributo unificato, dettagliatamente disciplinato dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

5.4.2. Tale obbligazione ex lege è invero, secondo la costante giurisprudenza, un tributo: per tale è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 11 febbraio 2005, n. 73, ne ha sottolineato la qualità di prestazione fiscale, istituita a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch'essi su procedimenti giurisdizionali (imposta di bollo e tassa di iscrizione a ruolo).

5.4.3. Tale conclusione è stata poi confermata dalla Corte di cassazione (così Cass. s.u. 17 aprile 2012, n. 5994; id. 5 maggio 2011, n. 9840, e sia pure incidenter tantum, già in Cass. s.u. 8 febbraio 2008 nn. 3007 e 3008, mentre Cass. 22 settembre 2015, n. 18732, ribadisce che il valore indicato all’atto del pagamento del contributo è “rilevante ai soli fini fiscali”), la quale ha altresì concluso che, da tale qualificazione, discende come le controversie, riguardanti il contributo – e, dunque, ben oltre la specifica questione oggetto di causa - rientrano nella giurisdizione del giudice tributario, che si estende, giusta art. 2 del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, come sostituito dall'art. 12, II comma della l. 28 dicembre 2001, n. 448, su tutte le controversie, aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, con riguardo ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo (Cass. 21 ottobre 2015, n. 21483; Cass. s.u. 19 novembre 2007, n. 23832).

5.5.1. Secondo quanto stabilito dal citato d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, all’art. 9, I comma, “è dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile … nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall'articolo 13”: e quest’ultimo, in particolare, al comma 6 bis, determina i contributi, differenziati per rito, oggetto e valore, dei ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, con la specificazione che, per ricorsi, “si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”; mentre il seguente art. 14 definisce le regole per i pagamenti e per la determinazione del valore della lite.

5.5.2. A sua volta, il successivo art. 15 affida al funzionario – che, per il Tribunale amministrativo è di norma il segretario generale – di verificare l'esistenza della dichiarazione della parte in ordine al valore della causa oggetto della domanda e della ricevuta di versamento, e se l'importo risultante dalla stessa è diverso dal corrispondente scaglione di valore della causa; controlli che vanno rinnovati “ogni volta che viene introdotta nel processo una domanda idonea a modificare il valore della causa”, come si può appunto verificare nel caso di presentazione di motivi aggiunti: e (art. 16, I comma) “in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato si applicano le disposizioni di cui alla parte VII, titolo VII, del presente testo”.

5.5.3. Si tratta, per vero, degli artt. 247 segg., il primo dei quali dispone che, per la riscossione del contributo unificato, “l'ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso il magistrato dove è depositato l'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo unificato”.

A sua volta, il seguente art. 248 dispone che, nei casi di cui all’articolo 16, “entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo, l'ufficio notifica alla parte, … l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione dell' articolo 13, con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese”; segue poi il rinvio alla disciplina della riscossione mediante ruolo.

5.5.4. Va ora ricordato che il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio (ex multis, Cass. trib. 5 dicembre 2014, n. 25756; id. 20 febbraio 2013, n. 4145) e, tra gli atti impugnabili, tassativamente elencati dall’art. 19, I comma, del ripetuto d.lgs. 546/1992 (secondo il successivo III comma, infatti, “Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente”) vi è anche “l’avviso d’accertamento del tributo”, categoria nel cui ambito evidentemente rientra, per il suo contenuto e scopo, se non per la denominazione formale, l’invito previsto dal ripetuto art. 248, solo in presenza del quale sussiste una pretesa tributaria attuale, suscettibile di essere contrastata, in un termine decadenziale, innanzi al giudice competente.

5.5.5. Va perciò condivisa e seguita la più recente giurisprudenza, per cui “l'invito al pagamento del contributo unificato, contenendo le modalità di calcolo del tributo e la calendarizzazione dei pagamenti, costituisce una vera e propria liquidazione del tributo dovuto che incide sulla situazione patrimoniale del contribuente” ed è dunque suscettibile d’impugnazione (T.A.R. Puglia – Bari, I, 18 dicembre 2015, n. 1649); d’altro canto, “Posto che la competenza a determinare la debenza e la quantificazione del contributo unificato spetta alla Segreteria Generale del Tribunale che deve valutare, anche alla luce del dictum della Corte di Giustizia sez. V sent. 6/10/2015, la sussistenza del presupposto impositivo … le contestazioni che parte ricorrente intende opporre all'operato impositivo dell'organo amministrativo preposto alla determinazione di tale contributo rivestano natura tributaria e quindi esulano dalla cognizione del giudice amministrativo, per rientrare in quella del giudice tributario” (T.A.R. Sicilia – Catania, III, 28 gennaio 2016, n. 295).

5.6.1. A questo punto, traendo le conclusioni di quanto sin qui esposto, il Collegio ritiene, all’esito di un più approfondito esame rispetto a quello espresso nella citata ordinanza n. 23 del 2014, meramente funzionale alla rimessione alla Corte di Giustizia, che il “giudice nazionale”, cui la sentenza della Corte si riferisce, altri non può essere che il giudice tributario.

Lo stesso giudice comunitario, del resto, non si occupa della disciplina interna che regola la giurisdizione in subiecta materia: questione di cui, del resto, non è stato neppure investito, e opportunamente, poiché se alla disciplina comunitaria spetta tracciare l'obiettivo da conseguire, è competenza del legislatore nazionale stabilirne il relativo procedimento, sia pure nel rispetto dei principi di equivalenza, efficacia e proporzionalità.

5.6.2. È, dunque, il giudice tributario che può “dispensare” - termine evidentemente atecnico – dal pagamento del tributo, e lo può fare nell'unica forma prevista dall'ordinamento positivo interno – in armonia con il quale la sentenza della Corte va letta – e cioè mediante l'annullamento dell'atto d'accertamento fiscale, la cui competenza spetta al dirigente amministrativo del Tribunale, senza che sia possibile ricorrere ad altre procedure prive di base normativa.

5.6.3. Il Collegio riconosce che una diversa interpretazione che attribuisse a questo giudice la competenza a pronunciarsi sulla misura del contributo dovuto dopo un atto d'accertamento, presenterebbe l'indubbio vantaggio di accelerare la definizione della questione, e di affidarla al giudice della controversia principale, e, dunque, per ciò stesso particolarmente preparato.

5.6.4. Peraltro, a ciò osta, oltre alle previsioni finora considerate, ed alla loro interpretazione, appunto la mancanza di una norma positiva interna che fondi una siffatta competenza; all’opposto, ex art. 2, III comma, del d. lgs. 546/1992, “Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione”, compresa dunque quelle relative all’ampliamento del giudizio amministrativo, cui inerisce il contributo controverso.

5.6.5. Se poi si volesse individuare tale disposizione nell'art. 1 della direttiva 89/665, quale interpretata dalla Corte, tale deroga sarebbe tre volte eccezionale, perché si riferirebbe soltanto al giudice amministrativo e non a quello ordinario, soltanto alla materia degli appalti, e non a tutte le altre che appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, e per le quali ben possono determinarsi questioni non dissimili; e soltanto agli appalti sopra soglia comunitaria, come si desume, a contrario, dai punti 52-54 della sentenza stessa (e l'appalto in esame è, se si guarda alla misura del tributo richiesto, al di sotto della soglia comunitaria, essendo stato richiesto quello per le controversie di valore fino a 200.000 euro).

5.6.6. Non vi sono peraltro ragioni adeguate a giustificare un simile evidente strappo ai principi ordinamentali, essendo comunque stabiliti nell’interesse del ricorrente/contribuente adeguati strumenti di tutela, sia amministrativa che giurisdizionale.

5.7.1. Invero, se per regola un atto di motivi aggiunti – che, secondo la definizione di cui all’art. 43, I comma c.p.a., introduce “nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte” – costituisce un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, ciò rappresenta una presunzione iuris tantum che ben ammette prova contraria, il cui onere grava dunque sul contribuente.

5.7.2. Questi potrà allora fornire al dirigente amministrativo adeguata giustificazione del fatto che tale ampliamento a suo avviso non sussiste (si pensi così al caso tipico, in cui, all’impugnazione dell’esclusione dalla gara, segua quella dell’aggiudicazione, ritenuta viziata soltanto per invalidità derivata; o all’impugnazione, in successione, dell’aggiudicazione provvisoria e definitiva, senza ampliare i motivi di ricorso; ben più difficile tale dimostrazione, quando si passi dall’impugnazione di un atto perché non dispone una gara, a quella delle regole specifiche della gara poi disposta); e l’agente della riscossione potrà accogliere la tesi dell’interessato, e non emettere alcun atto, o ritirare l’atto d’accertamento a suo tempo emesso, e rinunciare alla riscossione, o ancora disporre un eventuale rimborso.

5.7.3. Lo stesso dirigente potrà, a tal fine, valutare elementi acquisiti aliunde, e tra questi, anche la successiva decisione del giudice amministrativo sulla controversia cui il contributo si riferisce.

Infatti, se questo giudice, come si è detto, non può pronunciare direttamente sulla questione fiscale, che non appartiene alla sua giurisdizione, può comunque, con i suoi provvedimenti, fornire utili elementi per una valutazione, che comunque rimane affidata prima all’agente accertatore e poi, eventualmente, al giudice tributario stesso, senza ovviamente vincolare né il primo né il secondo.

6.1. Il quarto ricorso per motivi aggiunti è dunque inammissibile per difetto di giurisdizione, nella parte in cui esso impugna l’invito al pagamento 5 giugno 2013, a firma del segretario generale pro tempore del T.R.G.A. di Trento: la competenza va invece riconosciuta, anche ai sensi e agli effetti di cui all’art. 11 c.p.a., alla competente commissione tributaria provinciale.

6.2. Viceversa, il T.A.R. è astrattamente fornito di giurisdizione quanto ai due atti generali impugnati, che hanno un contenuto interpretativo della normativa primaria in materia di contributo unificato: essi rientrano cioè negli atti che le commissioni tributarie possono disapplicare, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, ma non annullare, spettando ciò al giudice competente (così l’art. 7, V comma, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546).

Peraltro, i quarti motivi aggiunti non contengono alcuna censura riferibile alle due circolari: sicché, la loro impugnazione va dichiarata senz’altro inammissibile, ex art. 40, II comma, c.p.a..

7.1. Resta così soltanto da decidere sulle spese di giudizio, come peraltro sollecitato dalla stessa ricorrente.

Ebbene, va anzitutto rammentato che, ex art. 92 c.p.c., le spese di lite seguono di norma la soccombenza, e possono essere compensate, parzialmente o totalmente, solo in caso di soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

7.2. Ebbene, tenuto conto di quanto sin qui esposto, e ferma l’improcedibilità accertata, e sussistente sin dal luglio 2013, la ricorrente è virtualmente soccombente: a) per irricevibilità nel ricorso introduttivo; b) per infondatezza nei primi motivi aggiunti; c) per inammissibilità nei secondi motivi aggiunti; d) per infondatezza nei terzi motivi aggiunti.

I quarti motivi aggiunti vanno dichiarati anch’essi inammissibili, in parte per difetto di giurisdizione, in parte per mancata specificazione delle censure; le domande risarcitorie sono infondate per carenza assoluta di prova.

7.3. In una siffatta situazione, e tenuto anche conto degli interessi coinvolti, si ritiene di porre a carico della ricorrente ed a favore dell’Azienda la somma complessiva di € 3.000,00 oltre accessori.

8. Infine, il Collegio – considerato in particolare il cospicuo divario tra il costo della prestazioni infermieristiche per gli anni 2011 e 2012, da una parte, e per l’anno 2013, dall’altra, in cui comunque l’Azienda ha disposto una procedura di gara - ritiene opportuno disporre la trasmissione della presente sentenza e del relativo fascicolo processuale – con l’esclusione dei quarti motivi aggiunti, e degli atti che vi ineriscono direttamente, inclusi gli interventi in giudizio – alla Procura regionale per il Trentino-Alto Adige, sede di Trento, della Corte dei conti, per le valutazioni di competenza.

P.Q.M.

Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso principale, nonché i primi secondi e terzi motivi aggiunti; dichiara inammissibili i quarti motivi aggiunti, secondo quanto precisato in motivazione.

Condanna la ricorrente Orizzonte Salute alla rifusione delle spese di giudizio in favore della resistente Azienda pubblica di servizi alla persona "San Valentino", che liquida in € 3.000,00, oltre accessori di legge; compensa integralmente le spese tra le altre parti costituite.

Manda alla Segreteria del T.R.G.A. di trasmettere copia della presente decisione, e del fascicolo processuale, nei limiti indicati in motivazione, alla Procura regionale per il Trentino-Alto Adige, sede di Trento, della Corte dei conti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio addì 25 febbraio 2016 con l'intervento dei signori magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente

Angelo Gabbricci, Consigliere, Estensore

Alma Chiettini, Consigliere

 

 

 

Guida alla lettura

Con la sentenza in commento, il T.R.G.A. di Trento, superando il suo precedente orientamento (cfr. Ordinanza n. 23 del 29.1.2014), ha accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalle Amministrazioni statali intimate, ritenendo che vada riconosciuta - in ragione della natura tributaria del contributo unificato - la competenza della commissione tributaria provinciale in materia di contributo unificato.

Il giudizio trae origine da un ricorso in materia di appalti. Nell’ambito di tale giudizio la ricorrente, dopo avere presentato il ricorso introduttivo e dopo avere pagato il relativo contributo unificato, presentava successivi ricorsi per motivi aggiunti impugnando da ultimo l'“invito al pagamento” dell’integrazione del contributo unificato già versato formulato dal Segretario generale. Il T.R.G.A. con Ordinanza n. 23/2014, dopo aver riconosciuto in un primo momento la propria giurisdizione, rimetteva la questione alla Corte di Giustizia, affinché stabilisse pregiudizialmente “se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici”.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sez. V, investita della questione, ha statuito con Sentenza 6.10.2015, in C-61/14 non solo che la normativa italiana in materia non contrasta col diritto comunitario, ma anche che spetta al giudice nazionale accertare se gli oggetti dei ricorsi per motivi aggiunti presentati siano “effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia già pendente” e, nel caso non lo siano, di “dispensare l'amministrato dall'obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi”.

Essendo stata riassunta la causa dalla ricorrente, i Giudici tridentini hanno dunque affermato la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo avuto riguardo al fatto che, data la natura di prestazione fiscale dell’obbligazione relativa al versamento del contributo unificato (cfr. Corte Cost., 11.2.2005, n. 73 e Cass. S.U. 17.4.2012, n. 5994), tutte le controversie concernenti i tributi di ogni genere e specie – con riguardo ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo – rientrano nella giurisdizione del giudice tributario (così Cass. 21.10.2015, n. 21483; Cass. S.U. 19.11.2007, n. 23832).

Infatti, secondo l’iter motivazionale della sentenza in commento, l’invito al pagamento deve essere assimilato agli avvisi di accertamento del tributo la cui impugnabilità innanzi alle commissioni tributarie è esplicitamente prevista dall'art. 19, comma l, del D.Lgs. n. 546/1992.

È poi degno di nota il fatto che il T.R.G.A. abbia poi ritenuto, seppure incidentalmente, che “se per regola un atto di motivi aggiunti (…) costituisce un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, ciò rappresenta una presunzione iuris tantum che ben ammettere prova contraria”. Il contribuente potrà quindi fornire al dirigente amministrativo adeguata giustificazione circa il fatto che l’oggetto dei motivi aggiunti dedotti non sia effettivamente distinto da quello del ricorso principale e non costituisca ampliamento considerevole della controversia già pendente. Conseguentemente, l’agente della riscossione potrà accogliere o meno la tesi del contribuente tenuto conto anche degli eventuali pronunciamenti del giudice amministrativo sulla controversia cui il contributo si riferisce.

Ne deriva dunque che il giudice amministrativo, sebbene non competente a pronunciarsi direttamente sulla questione fiscale, potrà comunque fornire elementi utili per la valutazione dell’agente accertatore e, eventualmente, del giudice tributario.