Tar Puglia – Lecce sez. I, sentenza n. 1051 29/06/2016

1. La ratio dell’istituto della revisione prezzi è quella di evitare che l’impresa, nei rapporti di durata, possa subire una modifica dei costi dei fattori produttivi necessari per l’espletamento del servizio tale da alterare il sinallagma contrattuale inizialmente esistente tra le parti; tale esigenza va, tuttavia, contemperata con quella del contraente pubblico alla prevedibilità dei propri esborsi futuri, obiettivo al quale tende il principio per cui gli indici FOI costituiscono, di regola, il limite massimo della revisione, salvo casi assolutamente eccezionali che compete all’impresa dimostrare.

2. E' legittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante, pur in assenza di qualsivoglia  istruttoria, applicando il suddetto indice di rivalutazione, riconosce all'impresa appaltatrice  l’importo massimo oltre il quale il compenso revisionale non può spingersi.

 

 

 

- omissis -

 

Gial Plast Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Mormandi, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, Via F. Rubichi 23;

contro

Comune di Ostuni, rappresentato e difeso dall'avv. Alfredo Tanzarella, con domicilio eletto presso Angelo Vantaggiato in Lecce, Via Zanardelli 7;

per l'annullamento

della determinazione n. 1569 del 10/09/2015 del Dirigente Settore Urbanistica, con la quale è stata approvata la revisione del canone relativo all'appalto quinquennale del Servizio di Igiene Ambientale nel territorio comunale; di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, ivi compresi: la relazione istruttoria del D.E.C. e, ove occorra, l'art. 5 del contratto d'appalto.

per l’accertamento

del giusto credito vantato dall’ATI ricorrente verso il Comune di Ostuni, nonché per la condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento delle somme dovute

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ostuni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 la dott.ssa Jessica Bonetto e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La ricorrente, affidataria del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani nel Comune di Ostuni, in forza del contratto di appalto sottoscritto in data 29 agosto 2012, ha agito in giudizio censurando la delibera indicata in epigrafe con la quale il Comune di Ostuni ha quantificato la revisione del canone d’appalto, spettante ai sensi dell’art. 115 del d. lgs. 163/2006 e dell’art. 5 del contratto di appalto.

In particolare la ricorrente ha eccepito alla controparte: 1) di avere fatto riferimento ai fini della revisione alle sole variazioni dell’indice Istat FOI, anziché provvedere all’istruttoria prevista dall’art. 115 del D. lgs. 163/2006 e, quindi, riconoscere all’istante la maggior somma spettante in considerazione delle peculiarità del caso concreto; 2) di non avere corrisposto all’ATI gli interessi per il ritardato pagamento dell’importo dovuto a titolo di revisione, nonostante la ricorrente ne avesse sollecitato il versamento già dal 20 maggio 2013.

Il Comune di Ostuni si è costituito eccependo l’infondatezza delle avverse doglianze e chiedendo, pertanto, il rigetto del ricorso.

All’esito del giudizio, sulla base dei consolidati principi giurisprudenziali, anche di questo Tar, nella materia di cui si discute, il ricorso va respinto per quanto riguarda il punto sopra evidenziato come sub 1), mentre va accolta la domanda sub 2) di riconoscimento degli interessi moratori, nei termini che si diranno in seguito.

Invero, quanto al primo profilo, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la liquidazione dell’importo dovuto a titolo di revisione, quantificabile con l’istruttoria menzionata nell’art. 115 del D. lgs. 163/2006, trova in ogni caso un limite invalicabile, salvo casi assolutamente eccezionali, nell’indice Istat FOI, sicché nulla può ulteriormente pretendere la ricorrente a tale titolo, avendole l’Amministrazione già riconosciuto l’importo massimo oltre il quale il compenso revisionale non può spingersi, salvo circostanze del tutto eccezionali non ravvisabili nel caso in esame (Tar Lecce sentenza n. 2424/2013).

A tal proposito, si è in particolare affermato che “la revisione non concede al contraente la possibilità di rinegoziare il corrispettivo per compensare gli aumenti dei costi a suo carico, ma solo di conseguire rimodulazioni agganciate alla rilevazione dei aumenti medi dei prezzi dei beni e dei servizi, cosicché solo in via eccezionale è possibile il ricorso a differenti parametri, ma nella ricorrenza di evenienze impreviste e imprevedibili, insussistenti all’atto della sottoscrizione del contratto e delle quali non era prevedibile l’avveramento “ (V.si: TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 23 settembre 2014, n. 2328; nello stesso senso: TAR Lazio, Latina, 11 marzo 2013, n. 215; Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2008 n. 3994).

In applicazione di tali principi la giurisprudenza ha, pertanto, ad esempio ritenuto non suscettibili di accoglimento le pretese revisionali dell’impresa relative all’aumento del costo del personale e del carburante “non potendosi qualificare in termini di eccezionalità l’aumento del costo del carburante e del personale, che era prevedibile al momento della stipula del contratto successivamente prorogate. Ne consegue che la variazione dell’aumento effettivo dei costi di tali fattori produttivi supererebbe i limiti dell’adeguamento del prezzo d’appalto (come ammesso e disciplinato dall’art.115 del codice degli appalti) e comporterebbe una sua illegittima rinegoziazione” (TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 23 settembre 2014, n. 2328).

Peraltro, tale conclusione trova la propria giustificazione nel fatto che se la ratio dell’istituto della revisione prezzi è quello di evitare che l’impresa, nei rapporti di durata, possa subire una modifica dei costi dei fattori produttivi necessari per l’espletamento del servizio tale da alterare il sinallagma contrattuale inizialmente esistente tra le parti, d’altro canto, vista anche la normale alea che caratterizza i contratti sinallagmatici, nel regolare l’ammontare del compenso revisionale non può non tenersi contestualmente in considerazione l’esigenza dell’altro contraente, quello pubblico, alla prevedibilità dei propri esborsi futuri, obiettivo al quale tende il principio per cui gli indici FOI costituiscono, di regola, il limite massimo della revisione, salvo casi assolutamente eccezionali che compete all’impresa dimostrare.

Pertanto, sulla base dei principi appena esposti, l’importo riconosciuto dal Comune di Ostuni alla ricorrente, a titolo di revisione prezzi, deve ritenersi esaustivo, con conseguente rigetto del ricorso sul punto.

Al contrario, va accolta la domanda articolata dall’ATI circa la corresponsione degli interessi moratori, avendo la ricorrente messo in mora l’Amministrazione a far data dal 20.05.2016, con conseguente irrilevanza delle censure operate in questa sede dal Comune circa l’inapplicabilità al caso in esame della c.d. mora automatica introdotta dal D. Lgs. 192/2012.

Quanto alla decorrenza degli interessi, questi spettano dalle singole scadenze, comunque successive al 20 maggio 2013, fino al saldo effettivo, al tasso stabilito dal D. lgs. 231 del 2002 nella formulazione in vigore al momento della sottoscrizione del contratto (29/08/2012) e, quindi, antecedentemente alle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 192/2012.

L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

- omissis -

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

 

Oggetto del giudizio in esame è la contestata legittimità del provvedimento di revisione del canone relativo al servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani. Principale motivo di contestazione è la pedissequa applicazione, da parte della stazione appaltante, dell’indice Istat FOI in assenza dell'attività istruttoria prescritta dall'art. 115 del D.lgs. 163/2006[1]

La clausola di revisione del corrispettivo dell'appalto trova applicazione con riferimento a tutti i contratti pubblici di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, i cui prezzi sono spesso soggetti a mutazioni nell’arco del tempo.

In linea generale l’art. 1664 del codice civile (onerosità o difficoltà dell’esecuzione) prevede che, se per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al 10% del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il 10%. Se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso.

L’istituto della revisione periodica dei prezzi, come invece disciplinato dall’art. 115 del D.lgs. 163/2006, costituisce una fattispecie normativa speciale e prevalente rispetto alla disciplina generale di cui al richiamato art. 1664 c.c.[2] Si tratta, in particolare, di un rimedio contrattuale la cui funzione primaria è quella di evitare che il corrispettivo subisca aumenti incontrollati nel tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto; solo in via mediata, esso tutela anche l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni[3].

Vista questa sua rilevante funzione pubblica, si ritiene che l'art. 115 del D.Lgs. 163/2006 abbia valenza di norma imperativa, che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, secondo il meccanismo di cui al combinato disposto degli artt. 1419 e 1339 del codice civile[4]. Diversamente, l’art. 106 lettera a) del nuovo Codice dei contratti pubblici sembrerebbe configurare la clausola di revisione come una facoltà, e non un obbligo[5].

La problematica di maggiore rilievo sottesa all'applicazione della clausola revisionale riguarda l'incertezza sul criterio da impiegare per la rivalutazione del canone spettante all’impresa, atteso che il procedimento disciplinato dal citato art. 115 (costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura) si è ben presto rivelato inattuabile per la lacuna legislativa determinatasi a causa della mancata elaborazione dei costi standardizzati previsti dall'art. 7, comma 4, lett. c) del D.lgs. 163/2006, tuttora in fase di predisposizione[6].  

Per sopperire a tale mancanza la giurisprudenza ha individuato un meccanismo destinato ad operare in via suppletiva, prevedendo che la revisione, dopo il primo anno di vigenza del contratto, debba essere operata facendo ricorso all’indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai ed  impiegati, c.d. indice F.O.I., mensilmente pubblicato dall’ISTAT[7]. In assenza di specificazioni da parte del legislatore, la periodicità del calcolo revisionale deve essere annuale  “... in quanto l'anno rappresenta il termine di riferimento sia per ciò che attiene alla durata del contratto, sia per ciò che concerne gli stanziamenti di bilancio necessari a far fronte ai pagamenti dovuti dalla p.a. agli appaltatori.”[8]

La stazione appaltante non è, tuttavia, esonerata dal dover compiere un’attività istruttoria tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale; l’indice  F.O.I. segna il limite massimo entro cui può svolgersi la discrezionalità amministrativa dell’ente e oltre il quale, salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa, l’ente stesso non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale[9]

A tal proposito, si è ritenuto in particolare che “… la revisione non concede al contraente la possibilità di rinegoziare il corrispettivo per compensare gli aumenti dei costi a suo carico, ma solo di conseguire rimodulazioni agganciate alla rilevazione dei aumenti medi dei prezzi dei beni e dei servizi, cosicché solo in via eccezionale è possibile il ricorso a differenti parametri, ma nella ricorrenza di evenienze impreviste e imprevedibili, insussistenti all’atto della sottoscrizione del contratto e delle quali non era prevedibile l’avveramento.[10]

In applicazione di tali principi, la giurisprudenza ha, pertanto, ritenuto inaccoglibili le pretese revisionali relative all’aumento del costo del personale e del carburante “… non potendosi qualificare in termini di eccezionalità l’aumento del costo del carburante e del personale, che era prevedibile al momento della stipula del contratto successivamente prorogato…Ne consegue che la variazione dell’aumento effettivo dei costi di tali fattori produttivi superebbe i limiti dell’adeguamento del prezzo d’appalto (come ammesso e disciplinato dall’art.115 del codice degli appalti) e comporterebbe una sua illegittima rinegoziazione.[11]

Analogamente, il Consiglio di Stato, in una controversia sulla revisione dei prezzi di un contratto di appalto per il servizio di igiene ambientale mediante l’applicazione del c.d. indice F.O.I. anziché con la specifica valutazione delle variazioni del costo dei fattori produttivi impiegati nell’appalto, ha affermato che “… a fronte della mancata pubblicazione da parte dell’ISTAT dei dati relativi all’andamento dei prezzi dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni pubbliche, la revisione dei prezzi d’appalto deve essere operata sulla base dell’indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati (indice “FOI”) mensilmente pubblicato dall’ISTAT. Dunque in questa particolare fase l’adeguamento del corrispettivo non potrebbe essere ancorato alle variazioni specifiche dei prezzi e dei costi delle componenti utilizzate dall’impresa appaltatrice.[12]  

Sulla scorta dei delineati principi la I sezione del Tar Lecce ha rigettato il ricorso rilevando che “la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la liquidazione dell’importo dovuto a titolo di revisione….trova in ogni caso un limite invalicabile, salvo casi assolutamente eccezionali, nell’indice Istat FOI, sicché nulla può ulteriormente pretendere la ricorrente a tale titolo, avendole l’Amministrazione già riconosciuto l’importo massimo oltre il quale il compenso revisionale non può spingersi, salvo circostanze del tutto eccezionali non ravvisabili nel caso in esame.[13]

Tale conclusione trova la propria giustificazione nel fatto che “se la ratio dell’istituto della revisione prezzi è quello di evitare che l’impresa, nei rapporti di durata, possa subire una modifica dei costi dei fattori produttivi necessari per l’espletamento del servizio tale da alterare il sinallagma contrattuale inizialmente esistente tra le parti, d’altro canto, vista anche la normale alea che caratterizza i contratti sinallagmatici, nel regolare l’ammontare del compenso revisionale non può non tenersi contestualmente in considerazione l’esigenza dell’altro contraente, quello pubblico, alla prevedibilità dei propri esborsi futuri, obiettivo al quale tende il principio per cui gli indici FOI costituiscono, di regola, il limite massimo della revisione, salvo casi assolutamente eccezionali che compete all’impresa dimostrare.”

 

[1] Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5. Nella parte richiamata l’art. 7 così dispone:  La sezione centrale dell'Osservatorio si avvale delle sezioni regionali competenti per territorio, per l'acquisizione delle informazioni necessarie allo svolgimento dei seguenti compiti, oltre a quelli previsti da altre norme: […]  c) determina annualmente costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali, facendone oggetto di una specifica pubblicazione, avvalendosi dei dati forniti dall'ISTAT, e tenendo conto dei parametri qualità prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999, n. 488; […]. Al fine della determinazione dei costi standardizzati di cui al comma 4, lettera c), l'ISTAT, avvalendosi, ove necessario, delle Camere di commercio, cura la rilevazione e la elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato. Gli elenchi dei prezzi rilevati sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, con cadenza almeno semestrale, entro il 30 giugno e il 31 dicembre […].

[2]  L'art. 115 del D.lgs. 163/06 ha un contenuto antitetico rispetto a quello dell’art. 1664 cod. civ., poiché riconosce il diritto alla revisione periodica dei prezzi per effetto del mero aumento dei costi, senza tener conto delle sue cause e senza alcun limite, e quindi anche in caso di aumenti inferiori al 10%, escludendo qualsiasi alea a carico dell’appaltatore; l’art. 1664 cod. civ. limita, invece, il riconoscimento di tale diritto alla differenza che eccede il 10% dell’aumento dei costi sopportati dall’appaltatore, per circostanze imprevedibili, lasciando a carico di quest’ultimo la corrispondente alea contrattuale.

[3]  Cfr. Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 2729 del 27.05.2014.

[4] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3994 del 20.08.2008 n. 3994, sez.V, sentenza n. 3373 del 16.06.2003, sentenza n. 2461 del 08.05.2002, sentenza n. 916 del 19.02.2003; Tar Campania – Napoli sez. VIII, sentenza n. 2673 del 14.05.2014, sez. II, sentenza n. 2086 del 13.04.2015.

[5] Art. 106 del D.lgs. 50/2016:  “……..I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi……..”. La norma fa salve le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 208/2015 (Legge stabilità 2016), che prevede la facoltà per l’appaltatore o il committente di chiedere una revisione nel caso di contratti di servizi e forniture ad esecuzione continuata o periodica che prevedono una clausola di revisione dei prezzi indicizzata al valore di beni indifferenziati, quando tale indicizzazione abbia determinato un aumento o una diminuzione del prezzo indicato al momento dell’offerta superiore al 10% e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale; in alternativa sono possibili la risoluzione del contratto o il recesso, senza che sia dovuto alcun indennizzo.

[6]  A tutt’oggi i costi standard non sono ancora stati determinati. Nelle more di tale determinazione, il comma 7 dell’articolo 9 del d.l. 66/2014 ha incaricato l’ANAC di fornire, a partire dal 1° ottobre 2014, attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici, un’elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e servizi, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, nonché di pubblicare sul proprio sito web i prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisti di tali beni e servizi. L’apposizione di una clausola di revisione dei prezzi può essere opportuna per evitare il rischio che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario su cui è avvenuta la stipula del contratto e il rischio per l’impresa di subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino nell’arco dell’esecuzione, che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.

[7] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3373 del 16.06.2003; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 7461 del 14.12.2006; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3994 del 20.08.2008; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 2786 del 09.06.2008; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3569 del 09.06.2009; Consiglio di Stato sez. VI, sentenza n. 3003 del 15.05.2009; TAR Puglia, Lecce sez. II,  sentenza n. 262 del 9.02.2012; TAR Puglia, Lecce sez. II, sentenza n. 1293 del 3.6.2013; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 2502 del 23.04.2014.

[8]  Cfr. TAR Puglia – Lecce sez. III, sentenza n. 898 del 07.07.2010.

[9] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 2052 del 23.04.2014; TAR Puglia - Lecce, sentenza n. 1600 del 26.06.2014; TAR Bolzano, sez. I, sentenza n. 215 dell’11.06.2013; TAR Puglia - Bari sez. I, sentenza n. 680 del 25.02.2012; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 2461 del 08.05.2002.

[10] Cfr., ex multis,TAR Sicilia – Palermo sez. III, sentenza n. 2328 del 23.09.2014; TAR Lazio - Latina, sentenza n. 215 dell’11.03.2013; Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3994 del 2.08.2008.

[11] TAR Sicilia – Palermo sez. III, sentenza  n. 2328 del 23.09.2014.

[12] Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3994 del 20.09.2008.

[13] Tar Puglia – Lecce sez. I, sentenza n. 2424 dell'11.12.2013