Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 11 aprile 2013, n. 1976

 

Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 11 aprile 2013, n. 1976

Presidente Volpe; Estensore Lotti

 

 

Vanno sottoposte all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:

1) se l’obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, d.l. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;

2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9 maggio 2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;

3) se il principio positivizzato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28 luglio 2011, data della sua pubblicazione.

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

A quasi due anni dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 13 del 2011, la V Sezione del Consiglio di Stato è ritornata sulla vexata quaestio dell’operatività dell’obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, deferendo ex novo all’Adunanza Plenaria una controversa procedura ad evidenza pubblica, nella quale la commissione giudicatrice aveva proceduto al compimento delle operazioni di gara, ivi comprese l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche dei partecipanti e la verifica della regolarità formale del loro contenuto, in seduta riservata.

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

Nell’ordinanza in commento, il Consiglio di Stato è nuovamente tornato sulla delicata questione di diritto relativa alla consistenza ed alla latitudine dell’obbligo, in capo alla stazione appaltante, di aprire le buste con le offerte tecniche in seduta pubblica, che sembrava definitivamente “accantonata” con il decisum dell’Adunanza Plenaria n. 13 del 2011, ma che è divenuta ancor più controversa a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 12 del decreto legge n. 52/2012.

Tale norma statuisce, ai commi 1 e 2, che la commissione aggiudicatrice, oltre che per l’apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e le offerte economiche, deve procedere in seduta pubblica anche per l’apertura di quelli contenenti l’offerta tecnica. Trattasi di un’opzione legislativa di significativo pregio, che tiene conto delle modalità concrete di svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica. Difatti, qualora la stazione appaltante abbia optato per il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l’offerta economica e quella tecnica sono intimamente connesse, in quanto la commissione giudicatrice dovrà tener conto non soltanto del ribasso percentuale (offerta economica), bensì anche della relazione illustrativa delle modalità con le quali il concorrente, in caso di aggiudicazione, eseguirà le prestazioni in oggetto (offerta tecnica). L’art. 12 altro non è che il recepimento, a livello positivo, di quanto statuito nel 2011 dal Consiglio di Stato in funzione nomofilattica.

Senonché, il sistema così delineato viene “intricato” dal comma 3, il quale ha disposto che “i commi 1 e 2 (ossia quelli con cui si è statuito positivamente l’obbligo di apertura in seduta pubblica delle buste contenenti l’offerta tecnica) si applicano alle procedure di affidamento per le quali non si sia ancora proceduto all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Pertanto, in contrasto con l’arresto pretorio dell’Adunanza Plenaria, sembrerebbe sussistere tale obbligo solo a partire dall’8 maggio 2012 e, di conseguenza, sarebbero fatte  salve le procedure anteriori in cui si sia già adempiuto all’apertura delle offerte tecniche in seduta segreta.

Il quadro normativo è stato ulteriormente “aggrovigliato” dalla disposizione transitoria risultante dalla legge di conversione n. 94 del 2012, la quale ha stabilito che l’obbligo di apertura in seduta pubblica de quo dovrà applicarsi “anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012”. Come rilevato ex professo dal Collegio giudicante, la disposizione è in palese conflitto con l’art. 12, comma 3, del D.L. n. 52/2012. Infatti, l’apposizione del termine “anche” consentirebbe alle stazioni appaltanti di correggere in itinere le modalità operative di procedimenti di gara preesistenti, optando per l’apertura in seduta pubblica anche laddove il bando avesse previsto diversamente.

Rebus sic stantibus, si sono creati due differenti filoni giurisprudenziali, entrambi menzionati nell’ordinanza in oggetto.

Secondo il primo orientamento, l’obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche deve ritenersi operativo solo per le gare indette dopo l’entrata in vigore dell’art. 12 del D.L. n. 52 del 2012 (ex plurimis, Cons. di Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2013, n. 4; Cons. di Stato, Sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714). Pertanto, la disposizione citata avrebbe natura “sanante” con riferimento alle procedure ad evidenza pubblica preesistenti, ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Invece, in ossequio al secondo indirizzo, la pubblicità delle sedute è ineludibile in quanto risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere consentito di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa (ex multis, Cons. di Stato, Ad. Plen., 28 luglio 2011, n. 13). In questo caso, dunque, l’art. 12 avrebbe una mera portata “ricognitiva” e non soggiacerebbe ad alcuna limitazione temporale.

Il Consiglio di Stato, preso atto del contrasto giurisprudenziale e della contraddittorietà del substratum normativo tracciato dal legislatore, seppur propendendo nettamente per il secondo orientamento, ha ravvisato l’opportunità di sottoporre all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni:

1) se l’obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;

2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9 maggio 2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;

3) se il principio positivizzato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28 luglio 2011, data della sua pubblicazione.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

L’ordinanza in commento ha un’importanza basilare per gli operatori del diritto amministrativo, in quanto potrebbe consentire all’Adunanza Plenaria di mettere un punto (definitivo?) sulla questione della sussitenza o meno di un obbligo in capo alla stazione appaltante di procedere all’apertura pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche per le procedure ad evidenza pubblica precedenti all’entrata in vigore del D.L. n. 52 del 2012.

Nelle more del decisum dell’Adunanza Plenaria, potrebbe ipotizzarsi una propensione in senso favorevole all’orientamento c.d. “ricognitivo”, già prospettato dalla precedente Adunanza del 2011, con la conseguente applicazione della regola de qua anche alle gare indette prima dell’entrata in vigore del decreto legge citato, nonché a quelle bandite precedentemente alla pubblicazione della pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 28 luglio 2011.

E’ pur vero che l’orientamento “sanante” rivestirebbe un’utilità non trascurabile dal punto di vista della deflazione del contenzioso amministrativo, in quanto salvaguarderebbe procedure che, altrimenti, sarebbero travolte, ipso facto, per il mero mancato rispetto dei canoni di pubblicità dell’apertura delle buste, in assenza di qualsivoglia indizio circa la manomissione o l’occultamento delle stesse da parte della P.A., tuttavia numerosi altri argomenti propendono per quanto già sancito in via pretoria nel 2011. Infatti, alla luce del contradditorio quadro normativo delineato dal legislatore, l’indirizzo “ricognitivo” è certamente maggiormente rispettoso dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art. 97 Cost., di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., di trasparenza ex l. 241/1990, di pubblicità delle gare di cui all’art. 2, Codice dei Contratti Pubblici, nonché, non da ultimo, di par condicio tra i partecipanti alle procedure selettive.

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

F. Bartolini, Codice Amministrativo, CELT CasaEditriceLaTribuna, 2012; R. Galli, Corso di diritto amministrativo, V ed., Cedam, 2011; T.F. Massari, L’interpretazione del Consiglio di Stato sulle questioni inerenti l’apertura delle offerte tecniche, in questa Rivista.

 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

 

sul ricorso numero di registro generale 4183 del 2012, proposto da:

 

Cofely Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Mereu e Antonello Rossi, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Bruno in Roma, via Savoia, 31, int. 2;

 

contro

 

Olicar S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) con il Consorzio fra Cooperative di Produzione e Lavoro Cons. Coop., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via di Ripetta, 142;

 

RTI - Cons Coop;

 

nei confronti di

 

Provincia di Cagliari, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Simonetta Garbati, con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

 

per la riforma

 

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA, SEZIONE I, n. 00332/2012, resa tra le parti, concernente affidamento appalto per la gestione degli impianti termici degli edifici scolastici di proprietà della provincia di Cagliari.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Olicar S.p.A., in proprio e quale mandataria del detto RTI, e della Provincia di Cagliari;

 

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Mereu, Rossi, Ferrari e Manzi, per delega dell'Avv. Garbati;

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sez. I, con la sentenza n. 332 del 28 marzo 2012, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Olicar S.p.A., annullando la determinazione del Dirigente Settore Edilizia della Provincia di Cagliari n. 198 del 22 settembre 2011, nonché gli atti della procedura di gara nei limiti di cui in motivazione e il verbale di esecuzione anticipata del contratto dell’8 novembre 2011, intervenuto tra Provincia di Cagliari e l’appellante Cofely Italia S.p.A; ha, invece, rigettato le domande di risarcimento del danno proposte dalla Olicar S.p.A. e il ricorso incidentale proposto dall’appellante Cofely Italia S.p.A..

 

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, quanto al ricorso incidentale, che il servizio di c.d. "gestione calore", oggetto dell’affidamento alla Cofely Italia S.p.A. da parte del Comune di Rivoli, deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'ente affidante, non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza; esso, infatti, non viene reso direttamente alla collettività, ma è fornito alle strutture gestite dall'ente proprietario, traducendosi in un servizio di supporto o strumentale ad una diversa attività principale; appare evidente, infatti, la diversità con il servizio di pubblica illuminazione delle strade comunali, la cui utilità si rivolge all’intera comunità di riferimento e che consente di qualificarlo come servizio pubblico locale.

 

Ne deriva, per il TAR, che esso non costituisce presupposto per l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 23-bis del d. l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, e delle preclusioni ivi previste.

 

Passando al ricorso principale, il TAR ha evidenziato che doveva essere accolto il primo motivo del ricorso introduttivo, proposto in via subordinata dalla ricorrente in primo grado, con il quale si deduceva la violazione del principio di pubblicità delle sedute di gara dedicate alle operazioni di verifica del contenuto delle buste relative alle offerte tecniche presentate dai concorrenti; infatti, dal verbale di gara n. 1 della seduta svoltasi il 20 aprile 2011, in forma pubblica, risulta che la commissione di gara si è limitata a verificare la correttezza formale e il confezionamento dei plichi, nonché la correttezza formale del confezionamento delle buste interne contenenti l’offerta tecnica, mentre le successive sedute dedicate alla apertura ed esame delle offerte tecniche si sono svolte in forma riservata.

 

L’appellante contestava la sentenza del TAR, riproponendo nella sostanza le tesi del ricorso incidentale proposto in primo grado e confutando le argomentazioni relative all’apertura della busta contenente l’offerta tecnica avvenuta non in seduta pubblica.

 

Si costituivano l’Amministrazione intimata ed il controinteressato chiedendo il rigetto dell’appello; il controinteressato riproponeva le domande non esaminate in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a..

 

Ritiene il Collegio che il primo motivo d’appello sia infondato.

 

L’appellante ha censurato la sentenza del TAR nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso incidentale dalla stessa formulato, volto a lamentare l’illegittimità della condotta serbata dalla Commissione di gara in quanto non ha disposto l’esclusione dell’ATI appellata per violazione dell’art. 23-bis, comma 9, D.L. n. 112/2008 e dell’art 113, comma 6, d.lgs. n. 267/2000; l’ATI appellata sarebbe titolare di affidamenti diretti di servizi pubblici locali, che, ai sensi della normativa sopra citata, avrebbero dovuto comportare l’applicazione del divieto di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.

 

Per questo Collegio il TAR sardo ha del tutto correttamente ed esaustivamente rigettato il motivo di diritto brevemente richiamato, rilevando la non applicabilità della previsione citata al caso di specie in ragione della non qualificabilità in termini di servizio pubblico locale degli affidamenti di cui le società odierne appellate sono destinatarie (servizio di gestione degli impianti termici degli edifici scolastici).

 

Il TAR ha correttamente definito la categoria dei servizi pubblici locali ed escluso, in applicazione dei principi generali dallo stesso richiamati in sentenza, che nella stessa possa essere assunto il servizio di gestione calore negli immobili pubblici.

 

È importante, infatti, non confondere il servizio pubblico con l'appalto pubblico di servizi, nel quale è l'Amministrazione che si procura il servizio; si tratta in altre parole di attività strumentali che non possono identificarsi con l'erogazione di un servizio pubblico.

 

Nel primo caso (servizio pubblico) la prestazione viene erogata direttamente all'utente, nel secondo si sviluppa un moto opposto poiché è l'Ente il primo beneficiario dell'attività economica svolta.

 

Il Codice dei contratti pubblici fornisce la definizione dei due istituti (cfr. art. 3, commi 6 e 11): l'appalto pubblico è sostanzialmente identico a quello previsto dall'art. 1655 del c.c., ossia è un contratto a titolo oneroso concluso in forma scritta, avente per oggetto un facere e nel quale sono rinvenibili due parti (Amministrazione e operatore economico, chiamato a svolgere un'attività a favore della prima dietro corrispettivo); la concessione di servizi è un contratto simile all'appalto, fatta eccezione per il corrispettivo che consiste nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

 

La dottrina tradizionale aveva in passato elaborato 4 criteri di distinzione tra concessione e appalto:

 

a) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio contrapposta al carattere negoziale dell'appalto;

 

b) la natura surrogatoria dell'attività svolta dal concessionario, chiamato a realizzare compiti istituzionali dell'Ente; l'appaltatore compie attività di mera rilevanza economica nell'interesse del committente pubblico;

 

c) l'effetto accrescitivo della concessione, che attribuisce al privato una capacità estranea alla sua originaria sfera giuridica;

 

d) il trasferimento di potestà pubbliche al concessionario (organo indiretto dell'amministrazione); l'appaltatore esercita le prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico.

 

La dottrina più recente ha rilevato che, nell'evoluzione della disciplina, il modulo concessorio è frequentemente sostituito da altri titoli (anche convenzionali) di affidamento del servizio, per cui l'attenzione si focalizza sulla diversità dell'oggetto dei contrapposti istituti.

 

L'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'Ente pubblico, mentre la concessione contempla un articolato rapporto trilaterale che coinvolge l'amministrazione, il concessionario e gli utenti, con prestazioni rivolte in via immediata a questi ultimi, a carico dei quali è posto il corrispettivo.

 

Ciò consente di individuare un'ulteriore differenza in relazione ai soggetti tenuti al pagamento: normalmente nell'appalto di servizi è l'Amministrazione che compensa l'attività svolta dal privato, mentre nella concessione di servizio il costo grava direttamente sugli utenti.

 

Anche la giurisprudenza comunitaria, nel ricercare gli elementi peculiari per qualificare un contratto come appalto o concessione di servizio pubblico, ha posto l'accento sulla natura dei destinatari, per cui nell'appalto le prestazioni sono rese a favore dell'Amministrazione committente che si fa carico del corrispettivo, mentre nella concessione il servizio è erogato a favore di una comunità potenzialmente indistinta di utenti che paga la relativa tariffa.

 

Nella fattispecie le prestazioni richieste al privato gestore sono rivolte a vantaggio dell'Amministrazione, e non in modo diretto e generalizzato a favore della collettività locale.

 

Infatti, la fornitura di combustibile, la conduzione e gestione degli impianti termotecnici, l'esercizio degli impianti per il raffrescamento estivo, la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché l'esecuzione degli interventi di riqualificazione e di adeguamento alle normative vigenti sono prestazioni indirizzate alle strutture gestite dall'Ente (scuola ed uffici), trattandosi di un servizio di supporto (o strumentale) ad una diversa attività principale.

 

Il cittadino (uti singuli), ovvero la collettività, non beneficiano del "calore" esclusivamente in quanto tale, ma perché contemporaneamente fruiscono di altri servizi (principali) erogati dall'Ente competente, quali l'attività amministrativa, la pubblica istruzione, etc..

 

Tali conclusioni sono confermate dalla circostanza che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato è assunto direttamente dall'Amministrazione, configurandosi un rapporto bilaterale tra committente ed appaltatore.

 

In definitiva non può revocarsi in dubbio che il servizio definito di "energia/gestione calore", oggetto della gara di cui è causa, debba qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza.

 

In sintesi, per questo Consiglio, la natura di servizio pubblico locale va riconosciuta alle attività destinate a rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale e con assunzione del rischio di impresa da parte del gestore (cfr., di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 1° aprile 2011, n. 2012).

 

Peraltro, il servizio energia non costituisce una produzione di beni o attività rivolti a fini sociali e di promozione economica, non potendo rinvenirsi nella mera gestione del calore per gli edifici pubblici alcuna finalità sociale e promozionale.

 

In virtù di quanto sopra, è evidente che il richiamo al citato articolo 23-bis, effettuato dall’appellante, deve ritenersi del tutto inconferente.

 

Inoltre, la tesi secondo cui il divieto di partecipazione alle gare sussiste anche per i soggetti cui è affidata la gestione degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali a prescindere dalla qualificazione che voglia attribuirsi a detta funzione, in quanto per la prima volta formulata nel presente grado di giudizio, è inammissibile in applicazione del divieto dei nova in appello, espressamente sancito dall’art. 104 c.p.a..

 

Per quanto riguarda il motivo d’appello relativo all’apertura della busta contenente l’offerta tecnica avvenuta non in seduta pubblica, il Collegio evidenzia che la Commissione (come si evince dal verbale di gara n. 16 del 30 agosto 2011 – doc. 2 ricorrente fasc. I grado), ha proceduto alle operazioni di gara, avvenute durante le sedute di cui ai verbali da n. 2 a n. 15, in seduta riservata, compresa l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche di tutti i partecipanti e la verifica della regolarità formale del loro contenuto.

 

In relazione a tale questione di diritto, che è stata ritenuta dirimente dai primi Giudici ai fini del decidere, il Collegio ritiene che si possano generare contrasti giurisprudenziali e che, quindi, sia opportuno deferire la controversia all’esame dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a..

 

Secondo un primo e recente orientamento, infatti, l'obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche deve ritenersi operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art.12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, che per la prima volta lo ha imposto, atteso che il principio di pubblicità delle gare, enunciato dall'art. 2, codice contratti pubblici, non è suscettibile di applicazione incondizionata a ogni fase delle procedure selettive (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4 gennaio 2013, n. 4; Consiglio di Stato, sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714).

 

Per contro, il Collegio osserva, da un lato, che secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 28 luglio 2011, n. 13), in materia di gare pubbliche, e con specifico riferimento alle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, la "verifica della integrità dei plichi" non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili "ex post" una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.

 

La pronuncia della Plenaria, dunque, interpreta il sistema normativo preesistente ricavandone la regola per la quale si richiede immancabilmente l’apertura della busta contenente l’offerta tecnica in seduta pubblica, senza alcun distinguo in ordine alla natura dell’appalto e/o in merito alle peculiarità dell’offerta tecnica, in quanto sancisce principi generali applicabili a qualsivoglia procedura di gara da aggiudicarsi con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

Dall’altro lato, in relazione all'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, il Collegio rileva che tale disposizione, dopo avere stabilito, in termini identici a quanto statuito dalla Plenaria cit., che "la Commissione apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti", nella disposizione transitoria contenuta nel comma 3 ha disposto che "I commi 1 e 2" (cioè quelli con cui si è statuito positivamente l’obbligo di apertura in seduta pubblica delle buste contenenti l’offerta tecnica) "si applicano alle procedure di affidamento per le quali non si sia ancora proceduto all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche alla data di entrata in vigore del presente decreto"; pertanto, solo dall’8 maggio 2012 vi sarebbe stato tale obbligo.

 

Tuttavia, la disposizione transitoria risultante dalla conversione disposta con la l. 6 luglio 2012, n. 94 ha stabilito che la prescrizione in questione, comportante appunto l’apertura in seduta pubblica delle offerte tecniche, si applica "anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012".

 

Pertanto, si deve ritenere, la precisazione viene ad avere una valenza esattamente contraria rispetto a quella che era presente nell’originario comma 3 dell’art. 12 del D.L. n. 52/2012.

 

Infatti, con l’apposizione del termine "anche" si precisa che il precetto così intervenuto legittima le stazioni appaltanti a correggere le modalità operative applicando la norma anche ai procedimenti di gara preesistenti (ad esempio in ipotesi in cui il bando disponesse diversamente), rendendo evidente che il precetto normativo "nuovo" in realtà non innova in alcun modo il tessuto normativo preesistente, ma semplicemente si limita a positivizzare una regola già ricavabile dal sistema ed enunciata, infatti, dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria.

 

Evidentemente, dunque, secondo quest’altro indirizzo, il precetto non è riportato in termini innovativi e, quindi, trova continuità rispetto a quanto già sancito in via pretoria.

 

Peraltro, la diversa interpretazione della norma citata accolta dalla citate pronunce della IV e della III sezione di questo Consiglio comporterebbe alcuni inconvenienti non secondari.

 

Infatti, laddove venisse ravvisata una sanatoria delle situazioni antecedenti al 9 maggio 2012 ove le buste contenenti l’offerta tecnica fossero state aperte in seduta segreta, si potrebbe riconoscere sia una violazione del principio di ragionevolezza, ascrivibile all’art. 3 della Cost., poiché si ricollegherebbe la predetta sanatoria ad un evento del tutto casuale od episodico, vale a dire l’avvenuta (o meno) apertura della busta da parte dell’Amministrazione alla citata data del 9 maggio 2012; sia una violazione dell’art. 97 della Costituzione, norma di principio dalla quale la stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria ha attinto per ricavare la regola della necessaria apertura dell’offerta tecnica in seduta pubblica.

 

Senza contare che si finirebbe per dedurre la sussistenza di una sanatoria e, quindi, la retroattività di una norma che, nella sua formulazione letterale, non contiene in realtà alcun precetto che possa essere inequivocabilmente letto ed interpretato sulla falsariga seguita dalle citate sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, 4 gennaio 2013, n. 4 e sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714.

 Pertanto, si devono sottoporre all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:

 

1) se l’obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;

 

2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9 maggio 2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;

 

3) se il principio positivizzato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28 luglio 2011, data della sua pubblicazione.

 

Per quanto riguarda la riproposizione, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., delle domande non esaminate dal Giudice di prime cure relative all’illegittimità degli atti impugnati per violazione dei principi di segretezza, intangibilità e non conoscibilità delle offerte (per omessa verbalizzazione delle cautele osservate dalla Commissione giudicatrice ai fini della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche successivamente all’apertura delle relative busta), la stessa non può essere qui decisa, dipendendo dalla soluzione che la Plenaria intenderà adottare sui quesiti proposti.

 

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il primo motivo d’appello si deve ritenere infondato; la restante controversia deve essere, invece, devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria, affinché siano definite le segnalate questioni, aventi carattere di massima.

 

Le spese di lite verranno regolate con la decisione definitiva.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), rimette l’esame della controversia all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a..

 

Spese al definitivo.

 

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

Carmine Volpe, Presidente

 

Carlo Saltelli, Consigliere

 

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

 

Antonio Amicuzzi, Consigliere

 

Doris Durante, Consigliere