Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2020, n. 4311

L’impugnazione della lex specialis per violazione delle norme in tema di valorizzazione dei beni culturali, ed in particolare dell’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004, non attiene al merito, ma è di mera legittimità. Non è infatti dedotta l’illegittima utilizzazione della concessione integrata, profilo effettivamente riservato alla valutazione tecnica dell’amministrazione, ma la non corretta utilizzazione del modello concessorio prescelto con attribuzione di prevalenza al servizio complementare di biglietteria.

 

L’affidamento dei servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti di cui all’art. 117 costituisce, in principio, una concessione di servizio pubblico di valorizzazione, mentre l’esternalizzazione dei servizi complementari di biglietteria, pulizia e vigilanza dà luogo ad un appalto di servizi : e mentre la concessione consiste nel trasferimento a terzi soggetti, a loro onere, di un’attività in principio propria dell’amministrazione, l’appalto è uno strumento contrattuale a prestazioni corrispettive attraverso il quale l’amministrazione si procura utilità di cui non dispone.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1384 del 2020, proposto da
Consorzio Arte'M Net, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Maria Iaccarino, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giovanni Pesce, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Bocca di Leone, 78;

Parco Archeologico di Paestum, Polo Museale della Campania, non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Società Cooperativa Culture, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Orlando, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Antonietta Favale in Roma, via Virginio Orsini, 19;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, n. 31 del 2020, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a., della società cooperativa Culture, nonchè del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.-l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Stefano Fantini e considerato presente, ai sensi dell’art. 4 del d.-l. 30 aprile 2020, n. 20, per le parti l’avvocato Orlando;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Il Consorzio Arte’m Net, gestore uscente, ha interposto appello nei confronti della sentenza 9 gennaio 2020, n. 31 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Salerno, sez. I, che ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il suo ricorso avverso il bando con cui Consip s.p.a. in data 26 ottobre 2018 ha indetto, per conto del Mi.B.A.C.T., la procedura di “gara aperta per affidare in concessione i servizi di biglietteria, bookshop ed assistenza alla visita presso il Parco Archeologico di Paestum”, avverso il disciplinare ed il capitolato tecnico, il provvedimento in data 31 gennaio 2019 di nomina della Commissione di gara, nonché avverso il provvedimento di aggiudicazione del 10 giugno 2019 in favore della società cooperativa Cultura, chiedendo altresì la pronuncia di inefficacia della convenzione ove intervenuta.

Oggetto della concessione integrata (ai sensi dell’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) è anzitutto il servizio di biglietteria che include ed accorpa il servizio aggiuntivo di assistenza alla visita, qualificato dal disciplinare come “prestazione principale”, mentre il servizio aggiuntivo di bookshop viene qualificato come “prestazione secondaria”.

Con il ricorso in primo grado il Consorzio Arte’m Net, risultato quarto graduato, dietro al R.T.I. Opera Laboratori Fiorentini ed al R.T.I. Munus, ha impugnato la lex specialis, gli atti del procedimento ed il provvedimento di aggiudicazione, deducendone l’illegittimità nell’assunto che la gara sarebbe stata bandita in assenza di una reale programmazione dell’attività di valorizzazione, e comunque procedendo ad un mero affidamento del servizio di biglietteria, erroneamente ritenuto prevalente, per valore, sui servizi aggiuntivi, con correlata selezione del concessionario in funzione esclusiva del fatturato per i servizi di biglietteria e lamentando, ancora, il vizio di composizione della commissione giudicatrice.

2. - La sentenza appellata ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso. In particolare, rilevata l’infondatezza del motivo volto a censurare l’assenza della programmazione per la valorizzazione anche in ragione della mancata inclusione nella gara dei siti di Velia e Santa Maria Capua Vetere, e dichiarati inammissibili i motivi volti a contestare la struttura della procedura di gara e le modalità di remunerazione del concessionario, ha respinto la censura sulla composizione della commissione giudicatrice, sia con riguardo ai profili dell’esperienza che dell’assenza delle cause di incompatibilità.

3.- Con il ricorso in appello il Consorzio Arte’M Net ha criticato la sentenza di primo grado deducendo l’omessa pronuncia sulla censura di violazione degli artt. 111, 114 e 115 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’illegittimità della lex specialis nella misura in cui non promuove la valorizzazione dei beni culturali, realizzando un mero affidamento di servizi di vendita, lamentando altresì l’erronea determinazione del valore della concessione, nonché l’illegittima composizione della Commissione giudicatrice.

4. - Si sono costituiti in resistenza il Mi.B.A.C.T., la società cooperativa Culture, nonchè la Consip chiedendo la reiezione del ricorso in appello; Consip e la società cooperativa Culture hanno altresì riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., le eccezioni, non esaminate, di inammissibilità svolte in primo grado, ed argomentate nella considerazione che è contestata l’impostazione della gara, frutto di scelte ampiamente discrezionali poste in essere dall’amministrazione per la valorizzazione del parco archeologico, e comunque per carenza di interesse, in ragione della mancata tempestiva impugnazione del bando, e, relativamente all’aggiudicazione, nella considerazione che la ricorrente è risultata quarta graduata.

5. - All’udienza dell’11 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità riproposta dalle parti appellate, nell’assunto che la contestazione della gara impinga nel merito tecnico delle valutazioni rimesse all’amministrazione e nella considerazione della carenza di interesse.

L’eccezione è infondata.

Anzitutto l’impugnazione della lex specialis per violazione delle norme in tema di valorizzazione dei beni culturali, ed in particolare dell’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004, non attiene al merito, ma è di mera legittimità. Non è infatti dedotta l’illegittima utilizzazione della concessione integrata, profilo effettivamente riservato alla valutazione tecnica dell’amministrazione, ma la non corretta utilizzazione del modello concessorio prescelto con attribuzione di prevalenza al servizio complementare di biglietteria.

Quanto poi, alla carenza di interesse, posto che non si tratta di clausola escludente, avendo la ricorrente potuto partecipare alla gara, giova ricordare il consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui il bando va impugnato unitamente al provvedimento lesivo da parte dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara o, quanto meno, manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4; V, 16 marzo 2020, n. 1867).

Nemmeno si può negare in capo alla ricorrente, che ha partecipato alla gara di cui contesta la lex specialis, così acquisendo una posizione differenziata, l’esistenza di un interesse strumentale alla ripetizione del procedimento di gara con una nuova disciplina (così Cons. Stato, V, 9 novembre 2018, n. 6325). E’ consolidata, al riguardo, la giurisprudenza nel ritenere che anche la terza o quarta graduata abbia interesse a svolgere censure che tendono ad invalidare l’intera procedura, poiché attraverso di esse è coltivato un interesse diverso da quello dell’aggiudicazione, sub specie strumentale alla riedizione dell’intera gara (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2020, n. 83).

2.- Il primo motivo di appello deduce l’omessa pronuncia sulla censura di violazione, da parte del bando, del principio di valorizzazione dei beni culturali e dei livelli minimi uniformi, affermati dal combinato disposto degli artt. 112 e 114 del d.lgs. n. 42 del 2014, in ragione dell’assenza di un progetto di valorizzazione del sito oggetto di gara, per la mancata considerazione dei siti minori di Velia e di Santa Maria Capua a Vetere e comunque per una drastica riduzione dei servizi aggiuntivi.

Deduce l’appellante che i servizi aggiuntivi costituiscono un importante strumento di valorizzazione, rispetto ai quali il servizio di biglietteria, al pari di quello di pulizia o di vigilanza, costituisce un mero servizio strumentale, senza valenza sul piano della valorizzazione, che può essere gestito in forma integrata con i servizi aggiuntivi, fermo restando che questi ultimi sono chiamati a svolgere il ruolo di servizio principale. Per l’appellante, è dunque erronea la statuizione di insindacabilità delle scelte in ordine alle modalità di valorizzazione, atteso che l’amministrazione non ha proposto alcun progetto culturale (tanto più necessario tenendo conto della separazione di Paestum dai siti minori, comportante un forte impoverimento dei contenuti della nuova concessione, limitata al solo servizio di bookshop).

Il secondo motivo, che può essere esaminato congiuntamente al primo, costituendone sviluppo argomentativo, torna a lamentare la circostanza per cui la lex specialis oggetto di gravame individua il servizio di biglietteria come prestazione principale, con assorbimento del servizio aggiuntivo di assistenza alla vendita e con l’attribuzione di carattere meramente secondario al servizio di bookshop, e censura la statuizione di inammissibilità per insindacabilità della decisione amministrativa, nell’assunto che il motivo dedotto in primo grado lamentava la violazione di legge, ed anzi proprio la distorsione della valorizzazione, per come disciplinata dagli artt. 111 e ss. del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il terzo motivo, che si pone su di un piano concorrente, contesta poi l’erronea determinazione del valore dei servizi dedotti nella concessione integrata, non risultando economicamente prevalente il valore del servizio di biglietteria, che deve essere determinato sul ricavo del concessionario (c.d. aggio) al netto della quota riversata all’amministrazione, e non sull’importo del totale incassato dal concessionario medesimo, secondo quanto stabilito dall’art. 167 del d.lgs. n. 50 del 2016; in tale prospettiva, volta a contestare la qualificazione del servizio di biglietteria quale prestazione principale, il valore dell’aggio risulta inferiore al valore del bookshop. Tale erronea valutazione della prestazione principale porta con sé l’individuazione di criteri selettivi illegittimamente orientati ad individuare operatori esperti nelle attività di biglietteria, in danno degli operatori qualificati nell’offerta dei servizi aggiuntivi.

L’appello è fondato, essendo fondate nel merito le doglianze espresse nei suoi motivi: il che assorbe ogni contestazione circa l’omessa pronuncia.

Il trait d’union dei tre motivi riguarda l’ambito contenutistico proprio della concessione integrata di cui all’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.

Il tema del rapporto tra concessione di servizi aggiuntivi ex art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004 e appalto dei restanti servizi (tra cui quello di biglietteria) è già trattato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19; Cons. Stato, V, 7 dicembre 2017, n. 5773): se ne ribadiscono qui le conclusioni, con particolare riferimento alle doglianze del caso di specie.

Giova premettere, per chiarezza di esposizione, che nella sistematica del Codice dei beni culturali e del paesaggio i “servizi per il pubblico” (servizi di assistenza culturale e di ospitalità attivati presso i luoghi e gli istituti della cultura), fino al d.lgs 26 marzo 2008, n. 62 chiamati “servizi aggiuntivi”, possono essere gestiti in maniera indiretta, in ragione del rinvio che l’art. 117 fa all’art. 115 (Forme di gestione) del d.lgs. n. 42 del 2004 quando afferma che «la gestione dei servizi medesimi è attuata nelle forme previste dall’articolo 115». In tale ipotesi l’affidamento da parte dell’amministrazione ad imprese private dei servizi aggiuntivi assume la forma giuridica della concessione di servizio pubblico; il che vale, nulla ostando al riguardo, anche quando il procedimento di gara sia svolto dalla Consip, o meglio alla stessa “delegato” in forza di quanto previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 78 del 2015 e della successiva convenzione tra Ministero e Consip.

Più precisamente, l’affidamento dei servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti (di cui all’art. 117, comma 2) costituisce, in principio, una concessione di servizio pubblico di valorizzazione, mentre l’esternalizzazione dei servizi complementari di biglietteria, pulizia e vigilanza dà luogo ad un appalto di servizi : e mentre la concessione consiste nel trasferimento a terzi soggetti, a loro onere, di un’attività in principio propria dell’amministrazione, l’appalto è uno strumento contrattuale a prestazioni corrispettive attraverso il quale l’amministrazione si procura utilità di cui non dispone. Infatti, per costante giurisprudenza (in termini Cass., SS.UU., 27 maggio 2009, n. 12252; SS.UU., 9 dicembre 2015, n. 24824), la qualificazione in termini di concessione dell’affidamento della gestione a terzi dei servizi aggiuntivi è conforme alla definizione delle direttive europee, oltre che coerente con la struttura dei suddetti servizi: con questa particolare concessione, l’amministrazione trasferisce il diritto di gestire il servizio in favore dei visitatori/utenti dietro pagamento di un canone. Sussistono altresì i caratteri del servizio pubblico di valorizzazione dei beni culturali in presenza : a) della titolarità del servizio in capo all’amministrazione; b) della destinazione dello stesso alla soddisfazione di esigenze della collettività; c) della predisposizione, da parte dell’amministrazione, di un programma di gestione, con obblighi di condotta e livelli qualitativi vincolanti per il privato; d) del mantenimento da parte dell’amministrazione dei corrispondenti poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento.

L’affidamento dei servizi di biglietteria (oltre che di pulizia e vigilanza), che possono integrare la suddetta concessione, sarebbe invece da solo configurabile come appalto di servizio pubblico, rilevando l’assunzione da parte dell’amministrazione della veste di acquirente dal privato anche a favore di terzi individuati, di determinate “utilitates” contro il pagamento di un corrispettivo.

Appare comunque chiaro, anche nella sistematica del d.lgs. n. 42 del 2004, posto che le disposizioni dell’art. 117 sono contenute nel “Titolo II”, attinente alla “fruizione e valorizzazione”, come la disciplina dei servizi aggiuntivi rinvenga il proprio fondamento di razionalità proprio nell’obiettivo di garantire una migliore fruizione dei beni culturali, garantendo in tale modo anche un ritorno economico per l’amministrazione.

La controversia in esame, come premesso, riguarda l’affidamento in concessione dei servizi di biglietteria, bookshop e assistenza alla visita presso il Parco Archelogico di Paestum, e dunque enuclea una fattispecie di concessione integrata dei servizi aggiuntivi con quelli complementari, prevista dall’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, e poi meglio specificata quale forma di “integrazione orizzontale” dall’art. 3, comma 5, del d.m. 29 gennaio 2008 (Modalità di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi della cultura).

In tale contesto è difficilmente sostenibile la legittimità di una concessione integrata avente ad oggetto, come si evince dalla tabella n. 1 dell’art. 3 del disciplinare di gara, quale prestazione principale, il servizio di biglietteria ed i servizi di assistenza alla visita e quale prestazione secondaria il servizio di bookshop, non foss’altro in quanto a ciò ha -può ritenersi coerentemente- corrisposto l’individuazione, quale requisito di capacità economico e finanziaria, del «fatturato specifico medio annuo per servizi di biglietteria riferito agli ultimi n. tre esercizi finanziari disponibili, ovverosia approvati, alla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, non inferiore a € 300.000 IVA esclusa». Infatti in tale modo si opera, sul piano dei contenuti e dei requisiti di capacità dei soggetti aspiranti alla partecipazione alla gara, uno spostamento del baricentro proprio della concessione, in termini tali da essere non compatibile con le enucleate finalità di valorizzazione dei beni culturali, alle quali è evidentemente estranea la gestione dei servizi di biglietteria alla stregua di quanto esposto, ed anche del contenuto suo proprio, consistente nelle «attività di emissione, distribuzione, vendita e verifica dei titoli di legittimazione all’ingresso degli istituti e luoghi della cultura […], nonché quelle di incasso e versamento degli introiti», secondo la definizione datane dall’art. 2, comma 1, del d.m. 11 dicembre 1997, n. 507.

La rilevanza preponderante, nascente dalle previsioni primarie in questione, dei servizi aggiuntivi rispetto a quello accessorio e strumentale di biglietteria è implicita anche nella lettera della norma, come dimostra la circostanza per cui l’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede come mera possibilità quella della gestione concessoria integrata, essendo la concessione propria dei soli servizi aggiuntivi, sì che questi ultimi, in caso di uso di tale strumento giuridico, che costituisce modalità di gestione finalizzata alla valorizzazione indiretta, non possono divenire né formalmente, né sostanzialmente accessori (in termini Cons. Stato, V, 7 dicembre 2017, n. 5773).

Da queste considerazioni discende la non condivisibilità della appellata sentenza, la quale si è limitata a ritenere inammissibile il motivo nell’assunto che l’obiettivo della valorizzazione non costituisce un parametro di valutazione sindacabile dal giudice amministrativo, senza considerare che il thema decidendum era piuttosto quello della legittimità dell’accessorietà, nella concessione, dei servizi aggiuntivi di bookshop ed assistenza alla visita rispetto al servizio di biglietteria.

Ed infatti l’inversione dell’ordinario (cioè stabilito dalla norma) rapporto di accessorietà, oltre a non garantire l’efficace perseguimento della funzione della valorizzazione dei beni culturali, incide anche sul profilo causale della concessione, tramutandola in pratica in un appalto. Da ciò deriva che il tipo di concessione di servizi in questione di suo mai ammette che il servizio di biglietteria, quand’anche implicante un maggiore volume di incassi, possa ricevere, con il suo regime, prevalenza funzionale sui servizi aggiuntivi; e per conseguenza che ciò, in concreto, possa portare ad informare i requisiti di capacità economica e finanziaria, con l’effetto pratico di precludere la partecipazione di soggetti attivi in servizi aggiuntivi di bookshop e di editoria (ma senza che prima abbiano emesso biglietti per gli importi predetti).

Non solo: anche a tutto per un attimo concedere in senso opposto, nel caso qui in esame neppure appare dimostrato l’elemento di prevalenza economica del servizio di biglietteria, tale da “giustificare” la distorsione funzionale del modello della concessione di servizio pubblico. Infatti se il valore del servizio di biglietteria ammonta ad euro 10.320.821 e quello del servizio di bookshop ad euro 3.325.935, essendo l’aggio indicato come base d’asta dall’art. 3 del disciplinare di gara fissato al 18 per cento, anche senza ribasso risulta pari ad euro 1.857.747,78, che è valore inferiore a quello del bookshop.

Su altro piano si pone la norma di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 50 del 2016, che, effettivamente, nell’imporre l’indicazione nel bando del valore della concessione, lo parametra al fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione. Tale disposizione non rileva ai fini dell’identificazione del valore dei singoli servizi ricompresi in una concessione integrata, ma essenzialmente per l’oggettiva individuazione della disciplina selettiva concorrenziale applicabile (in funzione delle “soglie”).

Quanto all’assenza di un progetto di valorizzazione dei siti e dei servizi aggiuntivi, in violazione degli artt. 114 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004, va rilevato che l’annullamento della lex specialis per le ragioni sinora esposte rende non più utilizzabile, per incompatibilità logica, il progetto culturale predisposto dall’amministrazione, il quale appare peraltro generico, anche proprio per il fatto che non tiene conto delle ricadute della separazione del sito archeologico di Paestum dagli altri minori di Velia e di Santa Maria Capua Vetere, aree ricondotte alla competenza del polo museale della Campania.

Vale la pena aggiungere, con riguardo ai requisiti di capacità economica e finanziaria, che quelli prescritti dal punto 7.2 del disciplinare, basati sul solo fatturato realizzato nello svolgimento del servizio di biglietteria, sono sintomo evidente della distorsione funzionale dell’oggetto della procedura; in tale prospettiva risultano non rispettosi dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza oltre di continenza, affermati dall’art. 83, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016.

3. - L’accoglimento dei primi tre motivi di appello comporta di per sé l’annullamento della lex specialis di gara ed ha dunque efficacia assorbente.

Tale circostanza esime il Collegio dalla disamina del quarto motivo di appello che deduce l’illegittima composizione della Commissione incaricata di valutare le offerte tecniche, in ragione della mancanza dei criteri predeterminati di trasparenza e competenza dell’art. 216, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, in ragione della incompatibilità (dei commissari Lunardini e Cavallo), nonché, ancora, in ragione della mancanza di esperienza professionale (del commissario Cavallo e del presidente Agostini).

Infatti l’annullamento della lex specialis comporta il travolgimento dell’intera gara, dunque anche dell’atto di nomina della Commissione, e la necessità della sua ripetizione, che non potrebbe svolgersi innanzi alla Commissione nella sua originaria composizione.

4.- Alla stregua di quanto esposto l’appello va accolto, e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

La complessità delle questioni giuridiche trattate integra le ragioni che per legge giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

Compensa tra e parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

La sentenza in commento trae origine da una vertenza avente ad oggetto la concessione integrata dei servizi di biglietteria e di assistenza alla visita relativi ad un Polo museale, ai sensi dell’art. 117, comma 3 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Nello specifico, nel bando e nel disciplinare di gara oggetto di contestazione, il servizio aggiuntivo di biglietteria e assistenza alla visita veniva testualmente qualificato come “prestazione principale”, mentre il servizio di bookshop di cui al comma 2 dell’art. 117 cit. veniva qualificato come “prestazione secondaria” di natura aggiuntiva.

La parte appellante - già ricorrente innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, che aveva in parte rigettato e in parte dichiarato inammissibile la domanda - impugnava la sentenza di primo grado contestando, tra l’altro, la legittimità del bando nella parte in cui configurava i servizi di bookshop e gli altri servizi di cui all’art. 117, commi 1 e 2 cit. come accessori rispetto al servizio di biglietteria.

Nel riformare la sentenza resa nel primo grado di giudizio, il Collegio precisa, in via preliminare, che la questione dell’accessorietà dei servizi non involge profili di merito sottratti al suo sindacato (come aveva erroneamente stabilito il TAR), ma attiene a profili di legittimità della lex specialis per violazione delle norme in tema di valorizzazione dei beni culturali, ed in particolare dell’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004.

In altri termini, il ricorrente non contestava la scelta dell’amministrazione di ricorrere ad un determinato modello di gestione dei servizi aggiuntivi, bensì la non corretta utilizzazione del modello concessorio prescelto in relazione al servizio di biglietteria, nella parte in cui quest’ultimo era qualificato come prevalente.

Al fine di fare chiarezza sul punto, il Collegio si sofferma sull’esegesi della disposizione di cui all’art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004, relativa ai servizi di assistenza culturale e di ospitalità attivati presso i luoghi e gli istituti della cultura.

I “servizi per il pubblico” di cui all’art. 117, per espressa previsione legislativa, possono essere gestiti sia in maniera diretta che in maniera indiretta, in ragione del rinvio all’art. 115 del d.lgs. n. 42 del 2004.

La scelta di esternalizzare o meno tali servizi è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione cui i beni pertengono, sulla base di valutazioni di opportunità e comparando la sostenibilità economico-finanziaria del progetto con le esigenze di migliore e più efficace valorizzazione del bene.

In linea generale, la gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, anche in forma consortile, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico.

La gestione indiretta è invece attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti.

La disposizione di cui all’art. 115, espressamente richiamata dall’art. 117 in relazione ai servizi aggiuntivi, dispone altresì che i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione siano regolati mediante contratto di servizio, nel quale sono determinati, tra l'altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti.

Nel contratto di servizio sono indicati i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene.

Il Collegio, per dirimere la vertenza, torna a specificare il rapporto e le differenze tra concessione di servizi aggiuntivi ex art. 117 comma 1 del d.lgs. n. 42 del 2004 e appalto di servizi complementari, richiamati dal comma 3 della medesima disposizione, soffermandosi sul rapporto di accessorietà nel contesto delle concessioni integrate.

In particolare, l’affidamento dei servizi aggiuntivi di cui all’art. 117 comma 1 costituisce una concessione di servizio pubblico di valorizzazione. E ciò accade anche quando il procedimento di gara sia svolto dalla Consip, o meglio sia alla stessa “delegato” in forza di quanto previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 78 del 2015 e della successiva convenzione tra Ministero e Consip.

Nella categoria dei servizi aggiuntivi rientrano i servizi di assistenza alla visita e bookshop previsti dal comma 2.

Viceversa, i servizi di biglietteria, pulizia e vigilanza - richiamati dal comma 3 ai fini della gestione integrata - sono di natura complementare e la loro esternalizzazione dà luogo ad un appalto di servizi.

La qualificazione giuridica delle diverse categorie rispecchia un differente contenuto delle obbligazioni e dei rapporti con l’amministrazione: la concessione consiste nel trasferimento a terzi soggetti, a loro onere, di un’attività in principio propria dell’amministrazione; viceversa l’appalto è uno strumento contrattuale a prestazioni corrispettive attraverso il quale l’amministrazione si procura utilità di cui non dispone.

Ulteriori caratteri che differenziano i servizi pubblici di valorizzazione dei beni culturali rispetto all’appalto di servizi complementari sono la titolarità del servizio in capo all’amministrazione, cui spettano i poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, la destinazione dello stesso alla soddisfazione di esigenze della collettività e l’esistenza di un contratto di servizio contenente gli obblighi di condotta e livelli qualitativi nella gestione del servizio.

Tali caratteristiche non si riscontrano nel servizio di biglietteria, che andrà pertanto qualificato come appalto di sevizi, ove l’amministrazione assume la veste di acquirente, a favore di terzi, di determinate “utilitates” da un soggetto privato, contro il pagamento di un corrispettivo.

Nel caso in esame, l’amministrazione aveva operato una gestione unitaria di servizi di natura promiscua, enucleando una fattispecie di concessione integrata dei servizi aggiuntivi con quelli complementari, specificata quale forma di “integrazione orizzontale”.

La scelta è stata operata in virtù del disposto di cui al comma 3 dell’art. 117, norma che prevede che “I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria”.

In tale contesto, tuttavia, era stata attribuita natura prevalente all’appalto di servizi complementari rispetto alla concessione di valorizzazione, facendo venir meno le finalità di valorizzazione dei beni culturali cui è preposto lo strumento di esternalizzazione prescelto.

Tale circostanza si rifletteva sulla tipologia di requisiti di capacità tecnica ed economico-finanziaria richiesti dalla lex specialis, “disegnati” sui servizi di biglietteria, con l’effetto pratico di precludere la partecipazione di soggetti attivi in servizi aggiuntivi di bookshop e di editoria e di favorire l’affidamento ad operatori qualificati nei soli servizi complementari di biglietteria.

In altri termini, l’amministrazione ha utilizzato la concessione integrata di valorizzazione di beni culturali - in via principale - al fine di acquisire delle utilità appartenenti alla sfera giuridica dell’appalto di servizi e pertanto estranee al principio di valorizzazione.

Lo strumento giuridico della concessione integrata, viceversa, deve avere come oggetto prevalente i servizi aggiuntivi, che non possono rivestire carattere accessorio, potendo includere gli appalti di servizi complementari come mera possibilità di gestione unitaria.

Nel caso in esame, invece, la stazione appaltante aveva eluso il principio di legge che individua la centralità di detti servizi – da assegnare mediante concessione – rispetto alle attività accessorie quali quelle di biglietteria e di vigilanza.

Conclude il Collegio statuendo che l’inversione dell’ordinario (cioè stabilito dalla norma) rapporto di accessorietà, oltre a non garantire l’efficace perseguimento della funzione della valorizzazione dei beni culturali - che rappresenta lo scopo centrale del sistema tracciato dal vigente Codice dei beni culturali - incide anche sul profilo causale della concessione, tramutandola in pratica in un appalto e rende il bando di gara illegittimo per violazione delle norme che disciplinano la valorizzazione dei beni culturali e che assegnano centralità ai servizi aggiuntivi rispetto a quelli, ad essi meramente accessori e strumentali, di biglietteria e vigilanza (in termini Cons. Stato, V, 7 dicembre 2017, n. 5773).