Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 20 febbraio 2020, n. 6

Gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie e, in particolare, l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge

L’Adunanza plenaria, in conformità all’orientamento tradizionale, ha affermato che sussiste la legittimazione a proporre ricorso, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, in capo a tutte le associazioni, anche se sprovviste di legittimazione espressa in via legislativa, purché rispondano a determinati criteri. I criteri richiesti sono costituiti dall’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell’associazione e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell'attività dell'associazione[1].

Il Codice del consumo, d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, non prevede espressamente che le associazioni a tutela dei consumatori siano abilitate ad esperire azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo. Tuttavia, tale mancata espressa previsione non implica un’assenza di legittimazione ovvero, in positivo, una legittimazione limitata a proporre solo le azioni espressamente previste dal legislatore.

La circostanza che la cura dell’interesse pubblico generale (ad es. all’ambiente) sia rimessa all’amministrazione non toglie che essa sia soggettivamente riferibile, sia pur indistintamente, a formazioni sociali, e che queste ultime, nella loro dimensione associata, rappresentino gli effettivi e finali fruitori del bene comune della cui cura trattasi. Le situazioni sono infatti diverse ed eterogenee: l’amministrazione ha il dovere di curare l’interesse pubblico e dunque gode di una situazione giuridica capace di incidere sulle collettività e sulle categorie (potestà); le associazioni rappresentative delle collettività o delle categorie invece incarnano l’interesse sostanziale, ne sono fruitrici, e dunque la situazione giuridica della quale sono titolari è quella propria dell’interesse legittimo, id est, quella pertinente alla sfera soggettiva dell’associazione, correlata a un potere pubblico, che, sul versante processuale, si pone in senso strumentale ad ottenere tutela in ordine a beni della vita, toccati dal potere riconosciuto all’amministrazione[2].

Ritiene l’Adunanza Plenaria che la circostanza che il legislatore sia intervenuto espressamente a disciplinare, in ambito processual-civilistico[3], un caso di legittimazione straordinaria per la tutela di interessi collettivi non può certamente leggersi come l’epilogo di un generale percorso di delimitazione soggettiva della legittimazione degli enti associativi e di tipizzazione delle azioni esperibili in ogni e qualsiasi altro ambito processuale, come, nello specifico, quello amministrativo. Piuttosto essa rappresenta il definitivo riconoscimento della rilevanza giuridica degli interessi nella loro dimensione collettiva, persino in un ambito, quello civilistico, in cui non viene in rilievo l’esercizio di un potere suscettibile di concretizzarsi in atti autoritativi generali lesivi, impugnabili a mezzo dell’azione demolitoria secondo la traiettoria già tracciata dalla giurisprudenza amministrativa, ma in cui piuttosto assumono importanza anche i temi della disparità di forza contrattuale, dell’asimmetria informativa, dell’abuso di posizione dominante. Temi, questi ultimi, connotati da una dimensione eccedente la sfera giuridica del singolo e da situazioni giuridiche omogenee e seriali di una vasta platea di consumatori, espressamente qualificate come “diritti fondamentali” dalla legge, anche nella loro dimensione collettiva (art. 2 Codice dei consumatori).

Questo processo di espansione delle posizioni giuridiche verso una dimensione collettiva in ambito civilistico consente di spostare avanti la soglia di tutela, affrancandola dal vincolo contrattuale individuale, e di conferire alla stessa una caratteristica inibitoria idonea a paralizzare, ad un livello generale, gli atti e i comportamenti del soggetto privato “forte” suscettibili di ripercuotersi pregiudizievolmente sui diritti collettivi fondamentali dei consumatori.

Interessando posizioni giuridiche paritarie, seppur asimmetriche, è chiaro che tale processo non avrebbe potuto inverarsi senza l’emersione positiva di situazioni giuridiche collettive e la tipizzazione delle azioni giuridiche esperibili da parte di un soggetto – quello a base associativa e con funzioni rappresentative– che non sia parte dei rapporti giuridici instaurandi e instauratisi tra il soggetto “forte” e i singoli consumatori.

Non è così nei rapporti di diritto pubblico, in cui le posizioni non sono connesse a negozi giuridici, e trovano piuttosto genesi nell’esercizio non corretto del potere amministrativo, tutte le volte che esso impatti su interessi sostanziali (cd. “beni della vita”) meritevoli di protezione secondo l’apprezzamento che ne fa il giudice amministrativo sulla base dell’ordinamento positivo.

La cura dell’interesse pubblico, cui l’attribuzione del potere è strumentale, non solo caratterizza, qualifica e giustifica, nel diritto amministrativo, la dimensione unilaterale e autoritativa del potere rispetto agli atti e ai comportamenti dell’imprenditore o del professionista - nel diritto civile invece subordinati al principio consensualistico - ma vale anche a dare rilievo, a prescindere da espliciti riconoscimenti normativi, a posizioni giuridiche che eccedono la sfera del singolo e attengono a beni della vita a fruizione collettiva della cui tutela un’associazione si faccia promotrice sulla base dei criteri giurisprudenziali della rappresentatività, del collegamento territoriale e della non occasionalità.


[1]L’Adunanza Plenaria era sta stata investita con ordinanza del Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2019, n. 7208, del seguente quesito: se alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento, fermo il generale divieto di cui all’art. 81 c.p.c., possa ancora sostenersi la sussistenza di una legittimazione generale degli enti esponenziali in ordine alla tutela degli interessi collettivi dinanzi al giudice amministrativo, o se sia piuttosto necessaria, a tali fini, una legittimazione straordinaria conferita dal legislatore.

[2]   In senso opposto, Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2016, n. 3303, secondo cui è dubbia, in radice, la tenuta attuale della tradizionale impostazione basata sulla collettivizzazione dell’interesse diffuso a mezzo dell’associazionismo spontaneo.

[3] Articoli 139 e 140 del Codice del consumo (oggi trasposti nel nuovo titolo VIII bis del libro quarto del codice di procedura civile, in materia di azione di classe, dalla legge 12 aprile 2019, n. 31). Per l’Adunanza Plenaria detti articoli riguardano altro ambito processuale e non possono essere letti nell’ottica di un ridimensionamento della tutela degli interessi collettivi nel giudizio amministrativo, come riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa.