Consiglio di Stato, sez. III, 20 gennaio 2020, n. 452

L’impresa colpita da interdittiva antimafia può stipulare contratti con i privati, essendo i limiti introdotti dell’art. 89, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 applicabili solo quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione.

Con la pronuncia dello scorso 20 gennaio la III Sezione del Consiglio di Stato si è soffermata sull’utilizzabilità della documentazione antimafia nei rapporti tra privati.

In punto di fatto nella specie l’informativa era stata resa a seguito di una richiesta di informazioni proveniente da Confindustria Venezia, nell’ambito di un Protocollo di legalità, per la conclusione di contratti di rilevanza privatistica.

La Sezione ha premesso che il comma 1 dell’art. 83, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia (di cui all’art. 84) prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e i subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, degli enti e delle aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e delle società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché dei concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice dei contratti pubblici.

Si tratta dunque di soggetti pubblici.

Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata.

Quanto all’utilizzabilità dell’informativa nei rapporti tra privati la Sezione ha chiarito che l’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede il potere del Perfetto il quale interviene quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione; orbene, trattasi di una espressa previsione di legge che in tali casi conferisce un specifico potere di verifica al Prefetto.

Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede.

Tale vuoto normativo non può certo essere colmato, nella specie, dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell’Interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo quanto statuito dall’Adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato “in odore di mafia” contragga con una parte pubblica.

Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, d.lgs. n. 159 cit. che, prima della novella introdotta dall’art. 4, d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato.

Ciò chiarito, la Sezione ha però rappresentato che il d.lgs. n. 218 cit. sembra aver aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi antimafia, il cui complesso di norme mira a isolare le imprese vicine agli ambienti della criminalità organizzata, togliendo loro la linfa data dai guadagni, con l’esclusione dal settore economico pubblico, in particolare nella contrattualistica, e dai finanziamenti pubblici.

Dunque, a parere dei Giudici del Supremo Consesso amministrativo occorre interrogarsi se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia - che sta portando in modo tangibile i suoi risultati - non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati.

Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggetto di valutazione del Collegio, permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che non a caso lo stesso Consiglio di Stato ritiene pietra angolare del sistema normativo antimafia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), in presenza di una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente.

L’interrogativo che la Sezione ha posto si fonda sulla considerazione che le condotte infiltrative mafiose nel tessuto economico non solo sono un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè, quel “fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la dignità e il valore della persona” (v., per tutte, Corte cost. 7 dicembre 2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari” stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato.

E, su questo terreno, non vi è dubbio che il devastante impatto della infiltrazione mafiosa si manifesta nei rapporti tra privati come in quelli tra privati e P.A.

Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione antimafia, esso davvero riposa, come accennato, nella dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale – e non a caso – opera come limite alla stessa attività di impresa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o – secondo un clima assiologico di tipo ascendente – in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, potrebbe allora essere valutata dal Legislatore allo scopo di restituire compiutezza piena ad un aspetto del Codice su cui certo non può intervenire il Giudice in via interpretativa.

 

LEGGI LA SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4268 del 2019, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Luppi, Alberto Luppi e Jacopo D’Auria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dei predetti legali, in Roma, via P.G. da Palestrina, n. 47;

contro

l’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, il Ministero dell’interno e l’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

il Prefetto della Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

nei confronti

della Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

della Confindustria, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, -OMISSIS- del 13 novembre 2018, non notificata, che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento del Prefetto di Brescia, con il quale è stata emessa una informazione interdittiva antimafia nei confronti della società ricorrente.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, del Ministero dell’Interno e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione;

Vista la memoria difensiva della -OMISSIS- del 12 settembre 2019;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. In data 29 settembre 2017, la -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-), dedita allo svolgimento di attività di -OMISSIS-, ha ricevuto un’informazione antimafia interdittiva, emessa dalla Prefettura di Brescia il 26 settembre 2017.

Tale provvedimento muove dal presupposto della riconducibilità della società appellante al signor -OMISSIS-, da un giudizio di pericolosità sociale di quest’ultimo e da un’evidente capacità dello stesso di influenzare le scelte della società, considerato, in particolare, il legame di convivenza -OMISSIS-, intercorrente con la signora -OMISSIS-, la quale detiene interamente le quote della società -OMISSIS- che, a sua volta, è detentrice del 70% delle quote della -OMISSIS-. Il restante 30% delle quote della -OMISSIS- appartiene ad -OMISSIS-, -OMISSIS- della signora -OMISSIS-.

Con atto del 22 dicembre 2014, il signor -OMISSIS- ha venduto le proprie quote della ricorrente alla -OMISSIS-, cessando da ogni carica rivestita in entrambe le società.

Nel provvedimento interdittivo, a sostegno del pericolo di condizionamento mafioso della società -OMISSIS-, è stata, in particolare, richiamata un’informazione interdittiva antimafia del 2 ottobre 2014, emessa dalla Prefettura di Milano, nell’ambito dei lavori per l’-OMISSIS-, nei confronti della società -OMISSIS- -OMISSIS-, riconducibile al signor -OMISSIS-. Tale provvedimento ha attribuito un giudizio prognostico di qualificata e concreta sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa nei confronti della società, alla luce del profilo criminale del signor -OMISSIS-. È stata, inoltre, richiamata la richiesta della Procura di Brescia di disporre la misura di prevenzione patrimoniale della confisca e del sequestro di beni del signor -OMISSIS-, nonché della società -OMISSIS-.

Il Tribunale di Brescia, in composizione collegiale, con decreto del 26 luglio 2016, proc. -OMISSIS-, ha escluso il ricorrere dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione.

L’informativa emessa dalla Prefettura di Brescia nei confronti della -OMISSIS- era stata richiesta, in data 15 dicembre 2016, da Confindustria Venezia nell’ambito di un Protocollo di legalità sottoscritto tra Confindustria e il Ministero dell’interno in data 10 maggio 2010. Tale richiesta era scaturita dall’istanza di una impresa privata che, ai fini della stipula di un contratto privato estraneo a qualsiasi procedimento o provvedimento pubblico, aveva proposto domanda di attivazione del Protocollo chiedendo le verifiche antimafia sui propri fornitori, anche se non avevano aderito a detto Protocollo.

Il Ministero, con circolare del 14 febbraio 2014, n. 11001/119/7(4), ha informato le Prefetture della sottoscrizione di un atto aggiuntivo al Protocollo di legalità del 10 maggio 2010, concluso con Confindustria in data 22 gennaio 2014, attraverso il quale il Ministero ha dichiarato la propria volontà di superare l’eliminazione (ad opera dell’art. 4, d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218), nell’art. 87, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2001, della possibilità di richiedere informative antimafia da parte di soggetti privati.

In data 3 gennaio 2018 è stato comunicato alla società il provvedimento dell’Anac, prot. -OMISSIS-, con il quale è avvenuta l’annotazione dell’interdittiva nel casellario informatico dell’Autorità.

2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, la società ha impugnato il provvedimento prefettizio con cui è stata emessa l’informazione interdittiva antimafia, i provvedimenti da questa richiamati e, in particolare, il Protocollo di legalità sottoscritto tra il Ministero dell’interno e Confindustria del 10 maggio 2010 e l’Atto aggiuntivo al Protocollo del 22 gennaio 2014. Con successivo ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato il provvedimento dell’Anac, con il quale è stata disposta l’annotazione dell’interdittiva nel casellario informatico dell’Autorità.

Avverso tali atti, la -OMISSIS- -OMISSIS- ha, in particolare, dedotto:

a) la carenza di potere del Prefetto, nonché la violazione dei principi di tipicità e specialità dei poteri amministrativi, determinati dall’emissione di una informazione interdittiva, fuori dai casi previsti dalla legge, in violazione di diritti di rilevanza costituzionale, presidiati da una riserva di legge, non superabile da un Protocollo d’intesa, il quale presuppone, per la sua applicazione, l’adesione volontaria delle imprese sottoposte al controllo;

b) l’illegittimità della richiesta e dell’emissione di un’interdittiva antimafia da parte di un soggetto privato – non rientrante tra i soggetti autorizzati ex art. 83, d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice antimafia) – per la stipula di contratti privatistici, alla luce anche della modifica normativa di cui all’art. 4, d.lgs. n. 218 del 2018 (che ha novellato l’art. 87 del Codice antimafia) e della relazione che l’ha ac-OMISSIS-ta, che avrebbe ricordato che la comunicazione antimafia può essere prodotta esclusivamente nei confronti dei soggetti elencati nell’art. 83, commi 1 e 2, del Codice antimafia, i quali hanno natura pubblicistica;

c) l’illegittimità dell’emissione di una informazione antimafia, in un procedimento avviato per l’emanazione di una comunicazione antimafia, nei casi in cui non si rilevi – ai sensi dell’art. 88 del Codice antimafia – la “sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67”;

d) l’illegittima riconducibilità della società ricorrente al signor -OMISSIS-;

e) l’inconsistenza dell’asserito pericolo di infiltrazione mafiosa, pronunciato nei confronti del signor -OMISSIS-, e dunque, la carenza di istruttoria e di motivazione, alla luce dell’esito delle indagini della Procura della Repubblica e dei giudizi penali, riguardanti lo stesso signor -OMISSIS-;

f) l’illegittimità dell’annotazione dell’interdittiva nel casellario informatico dell’Anac.

3. Con sentenza -OMISSIS- del 13 novembre 2018, il Tar Brescia ha rigettato l’atto introduttivo del giudizio ed i successivi motivi aggiunti, ritenendoli infondati.

Nello specifico, ha tra l’altro evidenziato che il nuovo sistema delle cautele antimafia, di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, ha inteso prevenire le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche non solo nei rapporti tra privati e Pubblica amministrazione, ma anche solo tra privati, delineando un “deciso superamento della summa divisio fra attività interfaccianti logiche economiche pubblico-privato ed attività meramente privatistiche”.

4. La citata sentenza -OMISSIS- del 13 novembre 2018 è stata impugnata con appello notificato il 7 maggio 2019 e depositato il successivo 20 maggio, riproducendo, sostanzialmente, le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

Nello specifico, sono dedotte le seguenti doglianze:

a) Violazione degli artt. 4, 25, 27, 35, 41, 111, 117 Cost. - Violazione del combinato disposto degli artt. 6 e 18 della CEDU, ratificata con l. n. 848 del 1955 - Violazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 84, 87, 88, 88-bis, 91, 94, 97, d.lgs. n. 159 del 2011, degli artt. 12 e 14 preleggi e degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990 - Omissione di pronuncia - Insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il Tar avrebbe errato nel ritenere che il legislatore abbia superato la divisione fra attività pubblico-private e le attività esclusivamente privatistiche, consentendo anche ai soggetti privati la possibilità di richiedere l’interdittiva antimafia. Il presupposto prefettizio, nell’emanazione del provvedimento interdittivo sarebbe, al contrario, sempre il rapporto pubblico-privato, che si estenderebbe oltre i casi di appalto, fino all’attività autorizzatoria latamente intesa, ma non potrebbe mai prescindere da un’attività amministrativa. La conclusione del primo giudice si porrebbe, in un’ottica abrogatrice del dettato normativo, che individuerebbe in modo tassativo i soggetti legittimati a richiedere e a ricevere la documentazione antimafia.

Erroneamente, inoltre, il primo giudice ha ritenuto che l’art. 89-bis del Codice antimafia avrebbe introdotto l’ampliamento dei poteri delle Prefetture e il superamento del numero chiuso dei destinatari del provvedimento, ove, per contro, tale articolo ribadirebbe la circoscrizione della platea dei possibili destinatari.

Il Tar avrebbe esaminato la natura e la portata dei Protocolli di legalità, alla luce del settore degli appalti pubblici e del diritto europeo in materia d’appalti, profili asseritamente estranei all’oggetto del giudizio, caratterizzato da rapporti esclusivamente privatistici.

b) Omissione di pronuncia. Violazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 84, 88, 89-bis, d.lgs. n. 159 del 2011.

Erroneamente il Tar avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla possibilità per il Prefetto di emettere un’informazione antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, fuori dai casi dettati dagli artt. 89-bis e 88, comma 2, del Codice antimafia.

c) Omissione di pronuncia. Violazione degli artt. 4, 25, 27, 35, 41, 111, 113, 117 Cost. e degli artt. 6 e 18 della CEDU, ratificata con l. n. 848 del 1955. Violazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 84, 87, 88, 88-bis, 91 e 97, d.lgs. n. 159 del 2011, dell’art. 14 preleggi e degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990. Insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il primo giudice avrebbe erroneamente omesso di valutare la concretezza e l’attualità dei fatti, menzionati nel provvedimento interdittivo, che avrebbero condotto ad un fondato giudizio circa l’esistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa nella società ricorrente e avrebbe ignorato i giudizi penali di assoluzione e archiviazione di tutte le denunce a carico del signor -OMISSIS-, le quali avrebbero smentito tutti gli elementi indizianti, che la Prefettura ha posto come base del proprio provvedimento.

d) Violazione del combinato disposto dell’art. 213, d.lgs. n. 50 del 2016, degli artt. 80, 81, 83, 91, d.lgs. n. 159 del 2011, dell’art. 14 delle preleggi e degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990. Violazione degli artt. 12 e 14 delle preleggi.

Il primo giudice ha errato nel non considerare che l’annotazione dell’interdittiva nel casellario informatico dell’Anac non è diretta ad assolvere esigenze private, ma costituisce una banca dati dei contratti pubblici. La comunicazione richiesta da Confindustria non rientrerebbe tra le informazioni ascrivibili nel casellario.

5. Si sono costituiti in giudizio l’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, il Ministero dell’interno e l’Anac – Autorità nazionale anticorruzione, senza espletare alcuna difesa.

6. Il Prefetto della Provincia di Brescia non si è costituito in giudizio.

7. Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo non si è costituita in giudizio.

8. Confindustria non si è costituta in giudizio.

9. Alla camera di consiglio del 20 giugno 2019, fissata per la trattazione della istanza di sospensione cautelare della sentenza impugnata, su accordo delle parti la causa è stata rinviata al merito.

10. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Oggetto della controversia in esame è il provvedimento del Prefetto di Brescia, del 26 settembre 2017, con il quale è stata emessa una interdittiva antimafia (annotata nel casellario informatico dell’Autorità nazionale anticorruzione) nei confronti della -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-), il Protocollo di legalità sottoscritto tra il Ministero dell’interno e Confindustria in data 10 maggio 2010 e il successivo Atto aggiuntivo allo stesso Protocollo di legalità sottoscritto in data 22 gennaio 2014, nonché l’iscrizione della società nel Casellario informatico, disposta dall’Anac a seguito della emissione dell’interdittiva.

L’informativa è stata resa a seguito di una richiesta di informazioni proveniente da Confindustria Venezia, nell’ambito di un Protocollo di legalità, per la conclusione di contratti di rilevanza privatistica. Si fonda essenzialmente sulla riconducibilità della società appellante al signor -OMISSIS-, qualificato come vero dominus dell’impresa, convivente con la signora -OMISSIS-, la quale detiene interamente le quote della società -OMISSIS- che, a sua volta, è detentrice del 70% delle quote della -OMISSIS-. Il restante 30% delle quote della -OMISSIS- appartiene ad -OMISSIS-, -OMISSIS- della signora -OMISSIS-.

2. Il Collegio condivide la ricostruzione che il giudice di primo grado ha operato in ordine alla sussistenza dei presupposti che hanno portato all’adozione dell’interdittiva, nel senso di ritenere corrette le conclusioni alle quali è pervenuta la Prefettura di Brescia sulla sussistenza di un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa della società appellante.

La giurisprudenza consolidata della Sezione ha infatti affermato che il solo pericolo di infiltrazione mafiosa e, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento, possa fondare una misura cautelativa di carattere preventivo, quale è l’informativa. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza degli stessi ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. La verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata pertanto sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). Il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere dunque valutato con un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere plausibile il solo “pericolo” di infiltrazione mafiosa e non già l’infiltrazione consumata.

Il coacervo di elementi, evidenziati dalla Prefettura prima e dal Tar Brescia poi, rendono condivisibili le conclusioni alle quali il Prefetto è pervenuto.

Il capitale sociale della -OMISSIS- – che ha come attività prevalente l’esecuzione di lavori di -OMISSIS- – è detenuto per il 30% dal signor -OMISSIS-, che oltre alla carica di socio ricopre anche quella di amministratore unico, e per il 70% dalla società -OMISSIS- (alla quale le quote sono state cedute dal signor -OMISSIS- in data 22 dicembre 2014), le cui quote sono interamente detenute dalla signora -OMISSIS-, -OMISSIS- del signor -OMISSIS- e -OMISSIS- del signor -OMISSIS-, con il quale convive.

Evidente è dunque l’intreccio tra le due società.

A carico del sig. -OMISSIS- sono emerse criticità personali, di frequentazioni e precedenti di polizia.

E’ stato, infatti, sottoposto alla misura di prevenzione personale dell'Avviso orale, emessa dal Questore di Brescia il 3 ottobre 2012, "per i suoi comportamenti illeciti, mediante la commissione di quei reati che destano particolare allarme sociale in seno alla popolazione ed è solito frequentare [soggetti] della stessa indole delinquenziale".

La Legione Carabinieri Lombardia - Compagnia di -OMISSIS- - nella proposta, dell’8 febbraio 2012, di applicazione della misura di prevenzione del suddetto Avviso orale ha motivato facendo presente che si tratta di soggetto di riconosciuto rilievo nello scenario criminale del luogo. Pur lavorando, si predispone comunque al facile guadagno derivante da imprese di ampio respiro delittuoso. “Il suo spessore criminale, infatti, traspare fuori di ogni dubbio sia dai significativi pregiudizi penali, [...] sia dagli accertati e dimostrati contatti con personaggi di innegabile consistenza investigativa. [...] Ben introdotto in un contesto criminale di apprezzabile struttura, tiene proficue relazioni con pregiudicati [...] di sicuro interesse operativo residenti in -OMISSIS- e, soprattutto nel Sud Italia [ ...]".

In data 7 settembre 2011 il sig. -OMISSIS- è stato deferito dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, lesioni personali, estorsione e pure se nel luglio del 2013 il procedimento è stato archiviato, il comportamento tenuto nell’occasione è utile ad inquadrare il personaggio. Nella comunicazione di notizia di reato (n. -OMISSIS- del 10 settembre 2011), redatta dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- (BG), l’atteggiamento dallo stesso tenuto è stato qualificato come “tipicamente mafioso”, con minacce e segnali molto chiari nei confronti delle sue vittime.

E', inoltre, emerso un rapporto di contiguità con parenti e persone di origini calabresi appartenenti alla ndrangheta. E’ sufficiente sul punto ricordare che è -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-, personaggio di rilievo nell'ambito della criminalità calabrese radicata nella provincia di Brescia, contiguo al clan "-OMISSIS-", pluripregiudicato, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di dimora nel Comune di -OMISSIS- (BS). Dalle indagini svolte nel 2004 dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di Brescia è emerso il ruolo che avrebbe rivestito durante la latitanza e il periodo di detenzione del -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, teso ad assicurare la continuità dell'attività criminale e di controllo sul territorio.

A fronte di tale situazione non può rilevare l’intervenuta riabilitazione concessa nel febbraio 2015 dal Tribunale della Sorveglianza al signor -OMISSIS-, non essendo da sola in grado di rendere meno pesante il quadro indiziario a suo carico.

3. Peraltro, se è dunque condivisibile che in base ad una visione globale degli “indizi” individuati nell’interdittiva emessa dal Prefetto di Brescia si può ritenere “più probabile che non” la contiguità della società con la ndrangta, tuttavia deve convenirsi con l’appellante che tale provvedimento nel caso di specie non avrebbe potuto essere adottato.

E ciò perché il soggetto che ha chiesto la verifica alla Prefettura non è incluso tra gli enti indicati dall’art. 83, d.lgs. n. 159 del 2011. Nella specie la richiesta di rilasciare una comunicazione antimafia, rivolta il 15 dicembre 2016 alla Prefettura di Brescia, è stata effettuata da Confindustria Venezia, associazione privata, per la conclusione di contratti di rilevanza solo privatistica, in alcun modo connessi all’uso di poteri, procedimenti o risorse pubbliche. Il rilascio dell’informativa è stato possibile in virtù di un Atto aggiuntivo, sottoscritto il 22 gennaio 2014, ad un “Protocollo della legalità” sottoscritto dal Ministero dell’interno con Confindustria in data 10 maggio 2010 e poi rinnovato per un successivo biennio in data 19 giugno 2012. Di questi due atti - Protocollo e Atto aggiuntivo – la società -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- non è stata parte.

Una corretta lettura dell’art. 83, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 porta infatti a concludere nel senso prospettato dall’appellante.

Il comma 1, infatti, ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonchè i concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice die contratti pubblici.

Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata.

Aggiungasi, ed il rilievo è assorbente di qualsiasi altra considerazione, che tale documentazione può essere utilizzata solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il privato e non, come nella specie, nei rapporti tra privati.

E’ ben vero che la Sezione (2 settembre 2019, n. 6057; 2017, n. 565 e 2017, n. 1109 del 2017) ha affermato che le informazioni antimafia si applicano anche ai provvedimenti autorizzatori e alle attività soggette a s.c.i.a.. L’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione”. La Sezione ha quindi ritenuto che, per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia, e che il Comune ben possa, e anzi debba, verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto.

Si tratta però, pur sempre, di un potere di controllo o di un legame, prefigurato dalla legge, tra la Pubblica amministrazione e il privato.

Nel motivare le conclusioni alle quali è pervenuta, la Sezione ha affermato che una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a., come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine all’attuazione della l. n. 124 del 1015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere n. 839 del 30 marzo 2016 del Consiglio di Stato sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.).

Il Legislatore ha quindi previsto il potere del Perfetto che interviene quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere di verifica al Prefetto.

Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede.

Tale vuoto normativo non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l'Adunanza plenaria, addirittura "incapacitanti"), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica.

Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, d.lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta dall’art. 4, d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato.

Della debolezza di una diversa conclusione, nell’attuale sistema normativo, sembra essere convinta la stessa Amministrazione che si è costituita nel presente giudizio con mero atto di stile, senza depositare alcuno scritto difensivo.

4. Preme peraltro al Collegio sottolineare che la conclusione qui indicata discende dalla doverosa applicazione di una disciplina normativa che non offre diversa lettura, pena la violazione – allo stato della legislazione vigente – del diritto alla attività economica tra privati, costituzionalmente garantita dall’art. 41, che definisce l’iniziativa economica privata come, appunto, “libera”.

Ciò però non esime il Collegio dal riflettere, alla luce dell’esperienza maturata dal Consiglio di Stato nella materia delle interdittive antimafia, sulle possibili conseguenze della novella del 2012 che – come doverosamente va applicata e interpretata – lascia alle imprese “più probabilmente che non” colluse o in contatto con le mafie la possibilità di operare nel settore privato, nel quale probabilmente è ancora più forte la capacità “persuasiva” delle minacce e della violenza fisica o psicologica, tipica della mafia, cosicché il potere fondato sulla forza economica tende a consolidarsi.

Sembra, in altri termini, che il d.lgs. n. 218 del 2012 abbia aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi antimafia, il cui complesso di norme mira ad isolare le imprese vicine agli ambienti della criminalità organizzata, togliendo loro la linfa data dai guadagni, con l’esclusione dal settore economico pubblico, in particolare nella contrattualistica, e dai finanziamenti pubblici.

Occorre dunque interrogarsi – e nulla più che un interrogativo “aperto” può provenire da questo Giudice – se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo tangibile i suoi risultati - non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati.

Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che non a caso questo Consiglio ritiene pietra angolare del sistema normativo antimafia (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), in presenza di una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente. In tal modo si riuscirebbe – chiudendo gli spazi che oggi esistono – da un lato ad emarginare completamente tali soggetti rendendoli vulnerabili nel loro effettivo punto di forza e, dall’altro, lasciare il mercato economico agli operatori che svolgono l’attività affidandosi esclusivamente al proprio lavoro nel rispetto delle regole.

L’interrogativo che la Sezione sta ponendo si fonda sulla considerazione che le condotte infiltrative mafiose nel tessuto economico non solo sono un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè, quel “fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la dignità e il valore della persona” (v., per tutte, Corte cost. 7 dicembre 2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari” stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato.

E, su questo terreno, non vi è dubbio che il devastante impatto della infiltrazione mafiosa si manifesta nei rapporti tra privati come in quelli tra privati e P.A.. Sempre, infatti, chi contratta e collabora con la mafia, per convenienza o connivenza, non è soggetto, ma solo oggetto di contrattazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).

Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione antimafia, esso davvero riposa, come accennato, nella dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale – e non a caso – opera come limite alla stessa attività di impresa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o – secondo un clima assiologico di tipo ascendente – in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, potrebbe allora essere valutata dal Legislatore allo scopo di restituire compiutezza piena ad un aspetto del Codice su cui certo non può intervenire il Giudice in via interpretativa.

Secondo la legge vigente, come già rilevato, l’impossibilità per un soggetto privato – quale è Confindustria – di chiedere al Prefetto la documentazione antimafia assume carattere assorbente di ogni altra considerazione, dovendosi condividere il primo motivo dell’appello.

5. Per tutte ragioni sopra esposte l’appello deve essere accolto, con conseguentemente annullamento dell’impugnata sentenza del Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, -OMISSIS- del 13 novembre 2018, e dell’interdittiva con conseguente annotazione dell’Anac, impugnate in primo grado.

La novità della materia controversa giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza del Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, -OMISSIS- del 13 novembre 2018, che annulla, accoglie il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante e di tutti i riferimenti che rendono possibile la riconducibilità allo stesso.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dei giorni 24 ottobre 2019 e 19 dicembre 2019.