CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, SENTENZA DEL 26 SETTEMBRE 2019 (C - 63/18)

Subappalto – limite quantitativo alla quota subappaltabile – compatibilità con il diritto europeo

Con la sentenza in rassegna, la Corte di Giustizia europea è tornata ad esprimersi sulla compatibilità con il diritto europeo della normativa italiana sul subappalto, e in particolare sull’imposizione di un limite generale alla quota di prestazioni subappaltabili. 
Il tema non è nuovo, poiché già sotto la vigenza delle precedenti Direttive europee, la Corte di Giustizia aveva ritenuto le limitazioni quantitative al subappalto, poste a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, contrarie alla normativa europea (sent. Wrocław – Miasto na prawach powiatu - C‑406/14).

La questione era poi stata attenzionata dalla Commissione Europea, che aveva avviato una procedura di infrazione contro l’Italia (procedura di infrazione n. 2018/2273) rilevando come i limiti assoluti e generali alle prestazioni subappaltabili a terzi dall’affidatario di un appalto pubblico - stabiliti nell’originaria versione dell’art. 105 del D.lgs. n. 50/2016 nel 30% dell’importo massimo del contratto, poi ampliato al 40% dal D.L. n. 32/2019, c.d. “sblocca cantieri” - fossero contranti con lo spirito e la ratio delle Direttive europee (ed in particolare con gli artt. 63, par. 2 della Direttiva 2014/24/UE e 79, par. 3 della Direttiva 2014/25/UE e 38, par. 2, della Direttiva 2014/23/UE), che considerano il subappalto uno strumento utile a favorire la massima partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici.

Con la sentenza in commento, la Corte d Giustizia conferma i dubbi di legittimità dell’impostazione nazionale, disattendendo sul punto la posizione del Governo italiano. Quest’ultimo aveva in particolare sostenuto in giudizio che gli Stati membri fossero liberi di prevedere, nel proprio diritto interno, disposizioni più rigorose rispetto a quelle previste dalla normativa europea in materia di subappalto, e che, nel diritto interno, la limitazione del ricorso al subappalto era giustificata alla luce delle particolari circostanze storiche, economiche e sociali presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi: limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale avrebbe reso il coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno appetibile per le associazioni criminali, prevenendo per tal via il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche a tutela dell’ordine pubblico. La Corte ha disatteso la preoccupazione del Governo, ricordando come, da un lato il diritto italiano già prevede numerose misure interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali, dall’altro che l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto attraverso più efficaci forme di controllo.

Alla luce delle suddette considerazioni, a Corte ha ritenuto quindi preminente, nel bilanciamento degli interessi, quello alla massima partecipazione delle PMI, realizzata anche attraverso una forma più libera di accesso al subappalto.