Cons. Stato, sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7246

1. E invero, nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, connotati rispetto ai quali – come detto – si palesa recessivo l’affidamento invocato dalla Società, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale n. 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.

 

2. La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4358 del 2010, proposto dalla Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luisa Londei, Andrea Manzi ed Ezio Zanon, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5,

contro

Panificio Restel di Zanvettor Nicola e L. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Antonelli, Maurizio Paniz e Domenico Sagui Pascalin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Antonelli in Roma, piazza Gondar, n. 22,

nei confronti

del Comune di Falcade, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Canal e Renzo Cuonzo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via di Montefiore, n. 22,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del Veneto, Sezione III n. 134/2010, resa tra le parti, concernente riduzione contributo a imprese commerciali.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Falcade e di Panificio Restel di Zanvettor Nicola e L. S.n.c., nonché l’appello incidentale proposto da quest’ultima;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 settembre 2019, il Cons. Carla Ciuffetti e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, Maria Antonelli e Renzo Cuonzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La società appellata aveva partecipato nel 2002 al bando indetto dalla Regione Veneto per il parziale finanziamento di costi di investimento delle imprese, chiedendo un contributo per “nuova costruzione di un fabbricato artigianale e lacquisto di nuova attrezzatura” (Documento unico di programmazione per gli interventi strutturali comunitari - Docup - obiettivo 2, 2000-2006, misura 1.4, arredo e accessibilità ai centri urbani a sostegno del piccolo dettaglio).

Con delibera della Giunta della Regione Veneto n. 1064, in data 11 aprile 2003, la società veniva inserita nella graduatoria dei progetti ammissibili al finanziamento per l’importo di € 56.604, salvo “rendicontazione e liquidazione degli importi spettanti” in relazione alle spese sostenute per i progetti ammessi.

Nel mese di giugno 2006 la Società trasmetteva le fatture delle spese sostenute e la descrizione analitica degli interventi realizzati al Comune di Falcade, che, a sua volta le trasmetteva alla Regione Veneto in data 23 giugno 2006, con nulla osta alla liquidazione del contributo di € 56.604.

In data 5 maggio 2008, la stessa Regione comunicava al Comune di Falcade che la documentazione presentata dalla Società non era conforme alle prescrizioni di cui al punto 19 del bando e chiedeva la trasmissione di ulteriore documentazione.

In data 1 luglio 2008, la Regione Veneto chiedeva al Comune di Falcade di emettere un nuovo nulla osta, in sostituzione del precedente, all’erogazione del contributo per l’importo di € 5.520, ribadendo la domanda di trasmissione di documentazione già effettuata in data 5 maggio 2008.

La stessa Regione restituiva poi alla Società, in data 8 maggio 2008, buona parte delle fatture da questa presentate, facendo presente che il bando non contemplava contributi per edifici di nuova costruzione, ma solo contributi per l’acquisizione di locali, che, in base alla norma n. 6 del Regolamento CE n. 1685/2000, dovevano già essere costruiti; nel caso di ristrutturazione e ampliamento dei locali il contributo sarebbe stato erogato solo in base alla spesa ammissibile per l’acquisto di attrezzature.

Il Comune di Falcade, in data 23 settembre 2008, in conformità alla richiesta della Regione Veneto, rilasciava il nuovo nulla osta alla liquidazione del contributo alla società, per l’importo di € 5.520, corrispondente al 15 % della spesa ritenuta ammissibile pari € 36.802, per “acquisto di nuova attrezzatura”.

I motivi ostativi all’accoglimento della domanda di contributo venivano comunicati dalla Regione Veneto alla Società in data 17 ottobre 2008, ai sensi dell’art. 10-bisdella l. n. 241/1990.

In data 13 febbraio 2009, la Direzione Commercio della Regione adottava il decreto impugnato in primo grado, con cui il contributo assegnato alla Società secondo la deliberazione giuntale n. 1064/2003 veniva ridotto da € 56.604 a € 5.520, per le sole spese di acquisto di nuove attrezzature.

2. Ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto l’oggetto della controversia riguardava i presupposti per il riconoscimento del contributo alla Società, il T.a.r. del Veneto ha accolto il ricorso presentato dalla Società avverso tale atto.

Il primo giudice ha ritenuto che, se “di regola, quando lannullamento ex officio’ riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico (tanto più se latto è in contrasto con il diritto comunitario) non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto lautorità emanante ad agire in via di autotutela, tuttavia, alla luce delle circostanze del caso concreto, con riferimento, in particolare, allistruttoria svolta nel 2003 e finalizzata alla ammissibilità delle spese ai fini della assegnazione dei contributi, e al lungo lasso di tempo trascorso tra assegnazione del contributo e decreto impugnato, è plausibile affermare che nel corso degli anni si sia formato, in capo alla ricorrente, un ragionevole e concreto affidamento sulla liquidazione e sul pagamento del contributo in misura corrispondente all'importo assegnato”. Secondo il T.a.r., “la Regione avrebbeperlomeno dovuto dare conto, nellatto impugnato, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato, avuto riguardo allesigenza di salvaguardare la posizione soggettiva del privato che, confidando nella spettanza di un contributo commisurato ad una spesa ammissibile di € 377.000, aveva nel frattempo realizzato e completato i lavori di costruzione del fabbricato”.

Il T.a.r. ha quindi disposto l’annullamento del decreto impugnato, “fatti salvi gli ulteriori atti adottati dallAmministrazione” e, considerando tale annullamento idoneo a soddisfare l’interesse della società, non si è pronunciato sull’istanza della ricorrente di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

3. A seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del decreto impugnato in primo grado, con decreto dirigenziale n. 141 in data 23 settembre 2010, è stata disposta la riduzione del contributo alla Società per lo stesso importo stabilito dal decreto annullato e la relativa somma è stata liquidata in data 24 febbraio 2009.

Il decreto dirigenziale n. 141/2010 è stato quindi impugnato dalla società davanti al T.a.r. per il Veneto che, con sentenza n. 936/2017, ha accolto il motivo di ricorso relativo all’incompetenza del dirigente ad adottare un atto di modifica di una determinazione della Giunta regionale. Tale pronuncia è stata confermata in sede di appello (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2018, n. 5754).

Il successivo ricorso della società per l’ottemperanza della sentenza n. 936/2017 è stato respinto dal T.a.r. per il Veneto con sentenza n. 244, in data 25 febbraio 2019. A motivo del rigetto, il T.a.r. ha evidenziato che la sentenza per la cui ottemperanza si agiva era priva di effetti conformativi; inoltre la questione della spettanza del contributo doveva ritenersi ancora sub iudice,essendo ancora pendente il presente appello. Tale sentenza è stata impugnata dalla società con ricorso n. R.G. 2949/2019, tuttora pendente.

4. Con il presente appello, la Regione Veneto, in punto di fatto, sottolinea che, solo a seguito dell’acquisizione della documentazione per il tramite del Comune di Falcade, in data 23 giugno 2006, la competente Direzione regionale aveva potuto rilevare che alcune spese sostenute dalla società riguardavano la “nuova costruzione di un fabbricato”, fattispecie non prevista né dal bando di finanziamento né dalle disposizioni normative europee di riferimento (art. 6, par. 1, reg. CE 1685/2000 in materia di ammissibilità delle spese riguardanti le operazioni cofinanziate dai fondi strutturali europei).

Nel merito, la Regione Veneto deduce l’erroneità e la contraddittorietà della sentenza impugnata in quanto essa statuisce: da un lato, che, quando la pubblica amministrazione annulla in autotutela un atto da cui deriva un esborso di denaro pubblico non occorre “una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico” alla base dell’annullamento, “tanto più se latto è in contrasto con il diritto comunitario” (come nel caso di specie); dall’altro, che, visto il lasso di tempo trascorso tra la data della delibera giuntale n. 1064/2004 e l’adozione del decreto impugnato, che aveva portato la Società a confidare nella liquidazione del contributo inizialmente determinato, la Regione Veneto avrebbe “perlomeno dovuto dare conto nellatto impugnato della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato”.

Deduce la Regione che, per giurisprudenza consolidata, la revoca-decadenza del contributo pubblico erroneamente erogato costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti al proprio bilancio per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici; nella fattispecie non era configurabile un obbligo di specifica motivazione, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa, quando sussista un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato. Inoltre, poiché la Regione aveva trasmesso con nota in data 23 aprile 2003, al Comune il “protocollo di lavoro” in cui era riportata la norma n. 6 del Reg. CE n. 1685/00, la medesima Società poteva sapere che la costruzione di nuovi locali non poteva essere ammessa alla contribuzione oggetto del bando.

5. L’istanza cautelare presentata dall’appellante è stata respinta da questo Consiglio (Cons. Stato, sez. V, ord. 17 giugno 2010, n. 2820) che ha ritenuto che “allo stato, lesecuzione della sentenza appellata non comporta il pregiudizio lamentato, giacché lannullamento è stato pronunciato salvi gli ulteriori provvedimenti della P.A.’”.

6. La società Panificio Restel di Zanvettor Nicola e L. ha presentato controricorso e appello incidentale con atto in data 11 giugno 2010.

6.1. In via principale, la Società ha chiesto il rigetto dell’appello presentato dalla Regione Veneto. Essa ha evidenziato che il “protocollo di lavoro” nel quale era contenuta la norma n. 6 del Reg. CE n. 1685/2000, era stata trasmessa solo al Comune e nel bando di essa non v’era traccia. In ogni caso una corretta interpretazione di detta norma non avrebbe potuto comportare l’esclusione del finanziamento dell’acquisto di nuovi immobili.

6.2. In via subordinata, con appello incidentale, la società deduce che erroneamente il T.a.r. aveva respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado, con il quale si censurava l’interpretazione della Regione della norma n. 6 del Reg. CE n. 1685/2000, nel senso di escludere l’erogabilità di contributi in caso di costruzione di immobili. Tale interpretazione si sarebbe posta in contrasto con la clausola di cui al punto 7 del bando: consentendo il cofinanziamento per l’acquisizione di locali di cui si prevedeva anche la ristrutturazione, la costruzione dei medesimi non poteva essere esclusa, dato che la ristrutturazione poteva essere effettuata anche attraverso la ricostruzione ex novodi immobile integralmente demolito. Comunque, una tale interpretazione avrebbe potuto promanare solo dall’organo politico elettivo in quanto esso, in sede di approvazione della graduatoria dei progetti cofinanziabili, aveva “dimostrato di condividere con la società appellata la stessa interpretazione della norma di cui al p. 7 del bando di gara”.

La Società ha poi reiterato la propria istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale per il caso di accoglimento dell’appello principale. La responsabilità deriverebbe dal fatto che la Regione Veneto avrebbe fornito, “nel bando di gara, indicazioni imprecise ed incomplete, nonché per avere adottato comportamenti esecutivi fuorvianti, in tal modo generando nella società appellata la ragionevole convinzione che la spesa da assumere per i lavori avrebbe potuto contare sul contributo pubblico di € 56.604,51”. La Società allega di aver subito un danno ingiusto pari a € 49.003,88, di cui alle seguenti voci:

- € 1.173,00 di spese per la relazione tecnica redatta per partecipare al bando sulla misura 1.4;

- € 600,00 di spese per la documentazione e la rendicontazione sostenute dopo l’assegnazione del contributo in base alla delibera giuntale n. 1064/2003;

- € 47.230,88 di maggiori interessi sostenuti sul finanziamento ipotecario di € 350.000,00, somma che avrebbe potuto non essere spesa se la Società avesse chiesto il finanziamento agevolato della misura 1.2, anziché il contributo della misura 1.4 Docup 2000/2006.

Con memoria in data 19 luglio 2019, la Società ha eccepito il difetto di interesse della Regione Veneto alla definizione dell’appello in quanto: il provvedimento impugnato sarebbe stato ormai superato dal decreto dirigenziale n. 141/2010, sopra richiamato; se l’appello principale fosse ritenuto fondato dovrebbe prevalere “laccoglimento del motivo di ricorso incidentale attinente alleccepito difetto di competenza del dirigente, essendosi sullo specifico punto pacificamente formato il giudicato”.

7. Si è costituito in giudizio il Comune di Falcade, con atto in data 15 maggio 2009, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

8. Preliminarmente il Collegio deve farsi carico dell’eccezione della Società appellata circa la carenza di interesse della Regione Veneto alla coltivazione dell’appello.

Tale eccezione è infondata. Infatti, il decreto dirigenziale n. 141/2010, in seguito annullato dal T.a.r. per il Veneto con la citata sentenza n. 936/2017 per incompetenza dell’atto dirigenziale ad incidere su deliberazione della Giunta regionale, non configura acquiescenza alla sentenza in epigrafe: di tale sentenza, impugnata dalla Regione Veneto, il decreto dirigenziale n. 141/2010 costituisce doverosa esecuzione, posta in essere dopo che l’istanza cautelare presentata in sede di appello era stata respinta (ord. n. 2820/2010, cit.).

Inoltre, va considerato che la questione del difetto di competenza del Dirigente comunale all’adozione dell’atto, diversamente da quanto avvenuto in relazione al successivo decreto n. 141/2010, non è stata specificamente dedotta dalla Società con il ricorso in primo in grado nel presente giudizio, essendosi la parte privata limitata a censurare l’interpretazione della norma n. 6 del Reg. CE n. 1685/2000, su cui si basava il decreto impugnato in primo grado, rilevando solo incidentalmente l’opportunità che di tale questione fosse investito l’organo politico che aveva adottato l’originaria delibera di ammissione a contributo (il che, con ogni evidenza, è tutt’altra cosa che denunciare sic et simpliciter l’incompetenza all’adozione del decreto impugnato).

9. Tanto premesso, l’unico motivo su cui fa leva l’appello principale è fondato e va accolto.

Il Collegio constata che, da un lato, la sentenza in epigrafe ha rilevato che: gli artt. 7 e 20 del bando prevedevano, rispettivamente, la contribuzione per “lacquisizione di locali” e l’osservanza delle regole della concorrenza comunitarie (articoli 87 e 88 del Trattato), con esclusione del finanziamento delle iniziative non previste da disposizioni comunitarie; che nel 2003 la Società era stata informata in modo dettagliato sulle iniziative ammissibili a contributo grazie al protocollo di lavoro trasmesso dalla Regione che indicava l’acquisto di beni immobili tra le spese ammissibili, specificando che doveva trattarsi di “edifici già costruiti e terreni su cui si trovano”, così riproducendo nei contenuti l’art. 6 del Reg. CE n. 1685/00; e che l’interpretazione di tale norma contenuta nell’atto impugnato doveva ritenersi corretta. D’altro lato, tuttavia, il T.a.r. ha ritenuto che l’atto impugnato avesse compromesso “aspettative consolidate della ricorrente a distanza di un lungo lasso di tempo, senza motivare minimamente – motivazione tanto più rafforzata quanto maggiore era il tempo trascorso dalla assegnazione del contributo - sulle ragioni di interesse pubblico da porre a base di una eventuale riduzione del contributo”.

Ad avviso del Collegio, una volta ritenuto che il bando e il protocollo di lavoro avessero assicurato una sufficiente conoscenza da parte della Società delle condizioni di ammissibilità alla contribuzione, doveva ragionevolmente escludersi un affidamento della stessa Società circa il carattere definitivo del contributo inizialmente riconosciuto, tale da imporre all’Amministrazione un particolare onere di motivazione a sostegno del recupero di quanto indebitamente riconosciuto a titolo di contributo.

Del resto, la delibera giuntale n. 1064/2003, nell’ammettere i soggetti ivi indicati a contribuzione, espressamente richiamava il protocollo di lavoro, faceva salva la successiva rendicontazione delle spese sostenute dai partecipanti al bando ed evidenziava che “in alcuni casi potrebbe verificarsi lipotesi di una decurtazione del contributo in corso di esecuzione delle opere e della relativa rendicontazione dal momento che in fase istruttoria non sussistevano elementi sufficienti (progetti preliminari, voci di spesa aggregate comprensive di interventi anche non riconosciuti dalla Misura comunitaria per le quali risultava impossibile scorporare le sole voci ammissibili) ad una puntuale determinazione della spesa ammissibile” (undicesima premessa, secondo periodo); con ciò veniva chiarita la provvisorietà della concessione del contributo e, quindi, una diversa determinazione in sede definitiva da parte dell’Amministrazione non avrebbe potuto far venire in rilievo alcuna violazione del principio dell’affidamento per effetto del decorso del tempo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2016, n. 942; id., sez. I, 27 giugno 2010, parere n. 2719 e Cons. giust. amm. reg. sic., 16 luglio 2019, n. 671).

Inoltre appaiono contraddittorie le affermazioni recate dalla sentenza in epigrafe, per cui, da un lato, si rileva che l’atto impugnato non recava alcuna motivazione in merito all’interesse pubblico concreto ad effettuare la riduzione del contributo da liquidare alla Società rispetto a quello che, anni prima, era stato ritenuto ammissibile; e dall’altro, si evidenziava che “quando lannullamento ex officio riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico (tanto più se latto è in contrasto con il diritto comunitario) non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto lautorità emanante ad agire in via di autotutela”.

In merito è chiaro l’indirizzo di questo Consiglio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per lAmministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti allErario per effetto di unindebita erogazione di contributi pubblici” quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, “essendo linteresse pubblico alladozione dellatto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato” (e plurimisCons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, nn. 2380 e 2381).

Alla stregua delle superiori considerazioni, s’impone l’accoglimento dell’appello principale.

10. L’appello incidentale, nella parte in cui è teso ad avversare l’interpretazione dell’art. 6 del Reg. CE n. 1685/00, è infondato.

L’interpretazione di tale norma adottata dalla Regione con l’atto impugnato, ritenuta corretta dal T.a.r., è strettamente aderente alla formulazione letterale della stessa norma, che prevede il riconoscimento del finanziamento per “edifici già costruiti”.

Al riguardo, oltre a richiamare quanto già rilevato sub 9 in ordine alle informazioni rese dall’Amministrazione ai soggetti richiedenti il contributo, può aggiungersi che in ogni caso la eventuale mancata conoscenza della norma suindicata (che riveste rango primario) non può certo essere addotta dall’originaria ricorrente a fondamento di un proprio legittimo affidamento.

10.1. L’impugnazione incidentale è invece fondata nella parte relativa all’istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, nei sensi e limiti appresso precisati.

E invero, nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, connotati rispetto ai quali – come detto - si palesa recessivo l’affidamento invocato dalla Società, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale n. 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.

La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.

A fronte di tale affidamento, non giova richiamare la suindicata clausola del bando in ordine alla provvisorietà della liquidazione del contributo ed alla circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato e anche ridotto in fase di rendicontazione, in quanto ciò ovviamente afferiva alla fase di verifica sull’esecuzione delle iniziative ammesse a contributo, e non certo a quella dell’ammissibilitàa monte delle domande.

La sussistenza nella specie della colpa dell’Amministrazione nell’aver ingenerato il suindicato affidamento (che, lo si ribadisce, attiene non al carattere doveroso della successiva riduzione del contributo ed alla relativa motivazione, ma alla condotta complessiva serbata dalla Regione) discende con evidenza dai rilievi che si sono fin qui svolti: perché, se non è scusabile per le ragioni evidenziate l’obliterazione dell’art. 6 del Reg. CE n. 1685/00 da parte della Società originaria ricorrente, a maggior ragione non può esserlo l’atteggiamento dell’Amministrazione procedente che tale norma avrebbe dovuto correttamente applicare ab initio.

10.2. Definita in tali termini la responsabilità della parte appellante principale, il quantumdel danno risarcibile, sotto il profilo del danno emergente, va determinato in relazione alle spese sostenute dalla Società proprio in relazione alla suddetta fase procedimentale successiva alla delibera giuntale n. 1064/2003, cui vanno dunque ascritte le spese sostenute per documentazione e rendicontazione, pari a€ 600,00.

Non possono esservi ascritte invece le spese sostenute per la relazione tecnica, pari a € 1.173,00, in quanto imputabili ad attività che la Società avrebbe dovuto comunque porre in essere fin dapprincipio per partecipare al bando, a prescindere dall’esito della domanda, e che attengono alla fase del procedimento precedente alla richiamata delibera giuntale.

Sotto il profilo del lucro cessante, il Collegio constata che la motivazione della richiesta di € 47.230,88, a titolo di maggiori interessi sostenuti sul finanziamento ipotecario di € 350.000,00, si fonda sull’ipotesi che tale spesa avrebbe potuto essere evitata partecipando al bando per il finanziamento agevolato sulla misura 1.2, anziché 1.4, del Docup 2000/2006. Tale pretesa è volta a configurare un danno da perdita della chancedi un altro finanziamento cui la Società ritiene che avrebbe potuto attingere.

Ma poiché dell’andi una tale occasione non vi è alcuna certezza, in merito può essere formulato solo un giudizio prognostico ex antein termini probabilistici e il quantumpuò essere liquidato in via equitativa nella misura di € 5.000,00.

11. Per quanto sopra esposto, il Collegio, fermo restando l’accoglimento dell’appello principale, ritiene che l’appello incidentale debba essere respinto per la parte in cui si deduce l’erroneità della sentenza impugnata quanto all’interpretazione della norma n. 6 del Reg. CE n.1685/2000 e invece accolto nella parte relativa all’istanza di risarcimento di danni per responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, con la condanna della stessa al risarcimento del danno nei confronti della Società per gli importi indicati sub10.2.

Per la particolarità delle questioni che sono emerse nella presente controversia ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando:

- accoglie l’appello principale;

- accoglie l’appello incidentale nella parte relativa all’istanza di risarcimento di danni e lo respinge per il resto;

- per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado limitatamente alla domanda di risarcimento danni, respingendolo per il resto, e condanna la Regione Veneto a corrispondere all’appellante incidentale la somma complessiva di euro 5.600,00 (cinquemilaseicento/00).

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Guida alla lettura 

Nella sentenza in esame la Seconda Sezione si occupa del comportamento della PA sanzionandolo in quanto ritenuto contrario ai principi di buona fede e correttezza.  Nel caso di specie, l’odierna appellata nel 2002 aveva partecipato ad un bando indetto dalla Regione Veneto per il parziale finanziamento di costi di investimento delle imprese, chiedendo un contributo pubblico. Nel 2003, con delibera della Giunta della Regione Veneto la società veniva inserita nella graduatoria dei progetti ammissibili al finanziamento, ottenendo dal Comune il nulla osta alla liquidazione del finanziamento per un determinato importo nel  2006. Nel 2008 la Regione Veneto chiedeva al Comune di emettere un nuovo nulla osta, in sostituzione del precedente, con l’erogazione del contributo per importo di valore nettamente inferiore.  Il Comune procedeva dunque al rilascio del nuovo nulla osta e successivamente venivano comunicati dalla Regione Veneto alla società i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di tale contributo, ai sensi dell’art. 10-bisdella l. n. 241/1990.

Nel 2009, la Direzione Commercio della Regione adottava il decreto con cui il contributo assegnato alla Società secondo la deliberazione giuntale veniva ridotto.

La società presentava ricorso avverso tale atto, accolto dal giudice di prime cure, secondo cui se di regola, quando l’annullamento ‘ex officio’ riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’autorità emanante ad agire in via di autotutela, tuttavia, alla luce delle circostanze del caso concreto, con riferimento, in particolare al lungo lasso di tempo trascorso tra assegnazione del contributo e decreto impugnato, è plausibile affermare che nel corso degli anni si sia formato, in capo alla ricorrente, un ragionevole e concreto affidamento sulla liquidazione e sul pagamento del contributo in misura corrispondente all'importo assegnato

La Regione Veneto, con l’appello in esame, deduce che, per giurisprudenza consolidata, la revoca-decadenza del contributo pubblico erroneamente erogato costituisce al contrario un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è sempre tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti al proprio bilancio per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici. 

La società presenta controricorso e appello incidentale in cui reitera la sua istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale. In particolare, ad avviso dell’appellata, la responsabilità deriverebbe dal fatto che la Regione Veneto avrebbe non solo fornito, nel bando di gara, indicazioni imprecise ed incomplete, ma anche avrebbe adottato comportamenti esecutivi fuorvianti, in tal modo generando nella società appellata la ragionevole convinzione che per i lavori avrebbe potuto contare sul contributo pubblico. 

La seconda Sezione accoglie l’unico motivo su cui fa leva l’appello principale. Ad avviso del Collegio, in continuità con l’indirizzo della giurisprudenza maggioritaria (explurimisCons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, nn. 2380 e 2381) la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in reipsaquando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato.

L’impugnazione incidentale è invece ritenuta fondata nella parte relativa all’istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale. Nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale, una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera. La disattenzione di tale comportamento amministrativo, è contrario, ad avviso del Collegio, ai canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire del contributo. E’ irrilevante, secondo il Consiglio di Stato, che il bando abbia definito come provvisoria la liquidazione del contributo o la circostanza stessa che quest’ultimo potesse essere rideterminato ed anche ridotto in fase di rendicontazione, in quanto ciò attiene alla fase di verifica sull’esecuzione delle iniziative ammesse a contributo, e non quella dell’ammissibilitàa monte delle domande. 

La sussistenza della colpadell’Amministrazione viene dunque riscontrata nell’aver ingenerato l’affidamento del privato, nonostante la presenza di una causa di esclusione che avrebbe dovuto essere applicata ab initio. Se l’ammissione era illegittima fin dal principio, era dovere della P.A. accorgersene immediatamente.