Corte dei Conti, Sezioni riunite, sentenza 16/2019/EL del 22 maggio 2019

Ai fini dell’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico”, non è sufficiente la sussistenza di meri indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di membri del C.d.A., ma richiede una attenta verifica se, nel caso concreto, sussistono le condizioni richieste dall’art. 2, lett. b) del TUSP. In tal senso assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali finalizzato a verificare se le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie sono in grado di influire sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale”.

Le norme di diritto positivo contenute nel TUSP circoscrivono in modo rigoroso la nozione di “controllo pubblico”, disponendo che la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di “comportamenti univoci o concludenti”, ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie e da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.

  1. Il caso.

La sentenza in commento trae origine da una deliberazione della Sezione regionale di controllo per le Marche, che accertava la mancata attuazione delle disposizioni di cui all’art. 11 commi 2 e 3 del d.lgs. n. 175/2016 - relativo alla composizione dell’organo di amministrazione nelle società a controllo pubblico - in capo ad una società quotata e partecipata da più enti locali, il cui consiglio di amministrazione risultava composto da nove membri.

La società - e con essa gli enti che costituivano parte della compagine sociale - aveva violato il disposto normativo che impone di nominare un amministratore unico o, in via eccezionale e previa delibera motivata, un consiglio di amministrazione composto da massimo 5 membri.

La Sezione di controllo motiva l’accertamento sul presupposto che la menzionata società potesse pacificamente essere qualificata come “a controllo pubblico”, secondo le disposizioni contenute nel TUSP.

Sul punto, sostiene il Giudice contabile delle Marche che la Pubblica Amministrazione che esercita il controllo andrebbe considerata come soggetto unitario anche laddove vi siano più enti con autonome partecipazioni. Il controllo potrebbe essere considerato “congiunto” anche a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato, in virtù di un’interpretazione estensiva delle fattispecie di cui all’articolo 2359 c.c. ed in coerenza con la ratio della riforma, volta al contenimento della spesa e all’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche.

Insorgeva avverso la deliberazione la società partecipata, assumendo, viceversa, che la ripartizione delle quote societarie era tale che nessuna determinazione - incluse le modifiche riguardanti la composizione dell’organo di amministrazione - potesse essere assunta senza la partecipazione e il consenso del socio privato, sicché era da escludere la sussistenza del controllo pubblico e pertanto non trovava applicazione la stringente disciplina prevista dalla legge in materia di governance.

Le Sezioni riunite, ribaltando la deliberazione impugnata, accolgono il ricorso in base alla considerazione che, nel caso in esame, la frammentazione delle quote di partecipazione in capo ad una pluralità di amministrazioni – benché maggioritaria - impedisca di configurare il controllo pubblico, in assenza di coordinamento.

La sentenza pertanto opera una ricostruzione dell’istituto delle società a controllo pubblico, delineandone il perimetro ai fini dell’applicazione delle disposizioni introdotte dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.

 

  1. Inquadramento giuridico

Come anticipato, il nodo centrale analizzato nella sentenza in commento - già oggetto di discussione in dottrina e giurisprudenza - è rappresentato dalla possibilità di configurare il controllo anche in situazioni in cui la quota pubblica, benché maggioritaria, non sia detenuta da un unico ente, ma sia frammentata in capo ad una pluralità di amministrazioni.

Il Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, comunemente noto come “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” ha introdotto una disciplina differenziata e via via più restrittiva basata sulla distinzione tra “società a partecipazione pubblica” e “società a controllo pubblico”, definendole in rapporto di species/genus.

Per le seconde, in ragione della maggiore presenza di capitale pubblico, sono stabilite disposizioni stringenti in materia di organizzazione e gestione (art. 6), organi di amministrazione e controllo (art. 11), controllo giudiziario, quotazione delle azioni e così via.

Il termine “controllo”, sebbene ricorra con significativa frequenza nel corpo del TUSP, è impiegato per indicare situazioni giuridiche molto differenti. Esso è definito, in via generale, dall’art. 2 lett. b) come “la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile”, con la precisazione che  può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.

La lett. m) dell'art. 2 stabilisce poi che, per società a controllo pubblico, si intendono le «società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)».

Il richiamo alla nozione codicistica è essenziale a determinare l’ambito di applicazione della norma. Ai sensi dell’art. 2359 c.c., infatti, assumono rilevanza tre forme di controllo: il controllo interno di diritto, configurabile quando la società controllante dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria della controllata; il controllo di fatto interno, configurabile nell’ipotesi in cui la società controllante esercita un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria della controllata, pur non disponendo maggioranza dei voti; il controllo di fatto esterno, derivante da particolari vincoli contrattuali tra le società.

La norma, pertanto, non pone come condizione unica e imprescindibile la circostanza che il socio pubblico disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea, ben potendo egli qualificarsi come controllante anche in virtù dell’esercizio di un’influenza dominante di fatto sull’assemblea e sulle determinazioni da essa adottate.

L’art. 2359 c.c., tuttavia, non contempla le relazioni aggregative riconducibili alla fattispecie del controllo congiunto, di tal ché, il citato art. 2 b) – al fine di estendere l’applicabilità della norma - espressamente menziona il caso in cui più amministrazioni, pur non disponendo singolarmente di quote significative, possano comunque esercitare un’influenza dominante laddove agiscano congiuntamente.

Non è chiaro, tuttavia, se il potere di incidere sulle decisioni societarie – esercitando dunque la maggioranza numerica complessiva - debba derivare necessariamente da un accordo, ovvero se sia sufficiente un comportamento concludente e non coordinato, qualificabile in termini di controllo plurimo disgiunto.

La norma si limita infatti a stabilire che la disciplina in materia di società a controllo pubblico si applica anche laddove - in virtù di norme di legge, statutarie o parasociali - sia richiesto il consenso unanime di tutte le parti che detengono il controllo ai fini delle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale.

  1. Orientamenti interpretativi

Il dettato normativo non è sufficiente a delineare esattamente il perimetro della società a controllo pubblico, sicché sono state avanzate diverse ipotesi ermeneutiche, volte a precisare la portata della norma, a fronte delle implicazioni operative che essa determina in relazione alla governance delle società.

Si analizzeranno di seguito i contributi al dibattito offerti dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, dalla Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche presso il Ministero dell’economia e delle finanze, nonché dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Il Consiglio di Stato è intervenuto sul punto proponendo un’interpretazione di controllo congiunto piuttosto estesa. Con parere del 4 giugno 2014, n. 1804, che rappresenta il più autorevole approdo giurisprudenziale nell’argomento che si sta trattando, il Supremo giudice amministrativo ha esaminato la questione ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di quote di genere.

Rileva il Collegio che il controllo societario ex art. 2359 può ritenersi unitariamente realizzato da più amministrazioni pubbliche quando: a) gli organi decisionali della società controllata sono composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni; b) le pubbliche amministrazioni congiuntamente — grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli — dispongono della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitano congiuntamente sulla società un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con esse; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.

Viceversa, non è sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale, essendo tale elemento - da solo considerato - estraneo all'art. 2359 c.c., che riguarda le due ipotesi del «socio sovrano » e del « socio tiranno », in cui chi esercita il controllo è il dominus della società. Concetto che certo non può dirsi integrato allorquando le pubbliche amministrazioni, pur avendo la maggioranza del capitale, agiscano separatamente.

Nel medesimo parere, il Consiglio di Stato ha precisato inoltre che la nozione pubblicistica di controllo pubblico va in ogni caso calata all’interno della fattispecie civilistica di controllo societario, affinché possa dirsi integrato il controllo sulla società da parte di una pluralità di soggetti pubblici, ciascuno dei quali non si trovi in alcuna delle situazioni contemplate dall’art. 2359 c.c.

La pronunzia è stata ripresa dalla Giustizia contabile[1], che ha abbracciato l’interpretazione estensiva propugnata dal giudice amministrativo ritenendo che la società può essere definita a controllo pubblico pur in presenza di partecipazioni pubbliche plurime e non coordinate, anche affinchè il carattere frazionato delle quote non possa essere strumentalmente utilizzato per sottrarsi alla disciplina del TUSP.

Tale interpretazione sarebbe – a parere della giurisprudenza - più coerente con le intenzioni del legislatore che ha dettato discipline di dettagliato diversificate a seconda delle modalità di partecipazione pubblica e via via più stringenti quando tale partecipazione sia idonea a condizionare le decisioni sociali gestionali e strategiche della società.

Un ulteriore tentativo di fare chiarezza sul punto è stato offerto dall’ANAC, che ha affrontato la questione con deliberazione n. 1134 dell’8 novembre 2017, volta all’aggiornamento delle “linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte della società e degli enti di diritto privato controllate e partecipate da pubblica amministrazione”.

Anche la delibera si schiera a favore della tesi più estensiva, precisando che rientrano tra le società a controllo pubblico anche quelle a controllo congiunto, riferendosi all’ipotesi in cui il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. è esercitato da una pluralità di amministrazioni, senza null’altro specificare.

Si osserva, tuttavia, che l’ANAC interviene sul tema in via incidentale, ovvero al solo fine di circoscrivere la portata della disciplina in materia di anticorruzione e trasparenza e, pertanto, tale definizione è rilevante ai soli fini dell’applicabilità delle misure previste dalle linee guida. La base normativa cui fa riferimento l’Autorità è dunque del tutto diversa e non postula necessariamente una nozione di controllo coincidente con quella rilevante ai fini dell’applicazione della normativa contenuta nel TUSP.

Inoltre, si osserva che l’orientamento espresso dall’Autorità è coerente con le finalità pubbliche cui essa è preposta e con l’azione di lotta alla corruzione tenacemente propugnata sin dalla sua istituzione, volta ad ampliare il novero dei destinatari delle misure di trasparenza ad ogni soggetto che conti al proprio interno una presenza pubblica.

Da ultimo, si è espresso sul punto il Ministero dell’Economia e delle Finanze mediante l’ “Orientamento” diramato il 15 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 15 del TUSP, che riconosce alla Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche una specifica competenza a fornire indicazioni operative in materia di applicazione dello stesso d.lgs n. 175/2016.

In primo luogo, dalla lettura combinata delle lettere b) e m) dell’art. 2, d.lgs. n. 175/2016, è possibile ritenere che il legislatore del TUSP abbia voluto ampliare le fattispecie del “controllo”, prevedendo che lo stesso possa essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente, anche a prescindere dall’esistenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse. Inoltre, una ulteriore ipotesi di controllo congiunto si realizza quando “in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”. Rientra in tale fattispecie anche il caso dell’influenza interdittiva attribuita alla Pubblica Amministrazione, come nell’ipotesi del patto parasociale che attribuisce al socio pubblico un potere di veto.

Conclude il Ministero ritenendo che al controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione sulla società appaiono riconducibili anche le fattispecie in cui più Pubbliche Amministrazioni esercitano tale controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, anche a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato.

La quota detenuta dalle pubbliche amministrazioni, dunque, sarebbe espressione in ogni caso di un soggetto unitario, anche in assenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale.

A ben vedere, le osservazioni del MEF si inseriscono del medesimo solco delineato dalla menzionata giurisprudenza, ma tendono verso un’interpretazione più rigorosa e meno estensiva del controllo pubblico.

Tale impostazione, infatti, esclude che il controllo congiunto possa configurarsi nelle ipotesi di mera presenza di una partecipazione pubblica maggioritaria; da ciò discende che, in assenza di accordi formali, sarà necessario verificare caso per caso la sussistenza di comportamenti concludenti finalizzati ad esercitare l’influenza dominante, senza alcuna presunzione basata sul semplice dato numerico della quota pubblica.

    4. Le conclusioni della Corte dei Conti

Le Sezioni riunite della Corte dei Conti si pronunciano sulla portata normativa delle disposizioni contenute nel TUSP.

Una lettura sistematica e coordinata delle lettere b) e m) dell’art. 2 e delle ulteriori norme contenute nell’articolo 2359 c.c. consente di ricostruire la norma e l’intenzione del legislatore nel senso di allargare la nozione codicistica di controllo fino a comprendere non solo il controllo congiunto, ma finanche – in taluni casi - il controllo plurimo disgiunto.

Non può rientrare in tale nozione, però, l’ipotesi in cui più amministrazioni pubbliche - senza alcuna forma specifica di coordinamento - si trovino a detenere partecipazioni la cui somma corrisponde alla maggioranza del capitale sociale, non essendo tale circostanza sufficiente a incidere sulle decisioni dell’assemblea, né a costituire forme di veto da parte del socio pubblico.

Ove invero il legislatore avesse voluto estendere la nozione anche a tale fattispecie, lo avrebbe fatto direttamente ed espressamente, come in altre norme in materia di società pubbliche (si veda il caso del controllo analogo congiunto).

Dunque, l’accertamento della sussistenza dello status di società a controllo pubblico non può essere desunto da meri indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di membri del consiglio di amministrazione, ma richiede una precipua attività istruttoria volta a verificare se nel caso concreto sussistono le condizioni richieste dal testo unico in esame ai fini dell’esercizio dell’influenza dominante.

In tal senso assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali per verificare in che termini le pubbliche amministrazioni che detengono partecipazioni azionarie sono in grado di influire sulle decisioni finanziarie e gestionali e strategiche relative all’attività sociale.

In conclusione, la situazione di controllo non può essere presunta sulla base della presenza di una pluralità di enti e di comportamenti univoci e concludenti, ma deve risultare esclusivamente da norme di legge statutarie e da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie strategiche della società.

 

Sezione: SEZIONI RIUNITE

Esito: SENTENZA

Numero: 16

Anno: 2019

Data pubblicazione: 22/05/2019

Sentenza n. 16/2019/EL

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE

 

in speciale composizione composta dai seguenti magistrati: Mario PISCHEDDA Presidente Antonio CIARAMELLA Consigliere Anna Luisa CARRA Consigliere relatore Carmela MIRABELLA Consigliere Elena TOMASSINI Consigliere Pasquale FAVA Consigliere Giuseppe IMPARATO Consigliere ha emanato la seguente

S E NT E N Z A

 

Nei giudizi n. 633/SR/EL, n. 635/SR/EL e n. 636/SR/EL sui ricorsi proposti dalla Società M. M. S.p.A., in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. F. S., Prof. B. G. M., A. P. C., F. I. e G. B., elettivamente domiciliata in Roma, Via … per l’annullamento delle deliberazioni della Corte dei conti, Sezione di controllo per le Marche, n. 61/2018/VSG del 19 dicembre 2018, n. 68/2018/VSG del 20 dicembre 2018, n. 62/2018/VSG del 19 dicembre 2018;

Visti i ricorsi introduttivi dei giudizi;

visti i decreti del Presidente della Corte dei conti che hanno determinato la composizione del Collegio, la fissazione d’udienza e la nomina del relatore;

Esaminati i ricorsi e gli altri atti e documenti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 20 marzo 2019 il relatore, Cons. Anna Luisa Carra, il Prof. Avv. B. G. M. per la Società ricorrente e i rappresentanti del Pubblico Ministero, nelle persone del Vice Procuratore Generale Sergio Auriemma e del Vice Procuratore Generale Arturo Iadecola

 

F A T T O

1. Con deliberazioni n. 61/2018/VSG del 19 dicembre 2018, n. 62/2018/VSG del 19 dicembre 2018 e n. 68/2018/VSG del 20 dicembre 2018, la Sezione regionale di controllo per le Marche, nell’ambito delle verifiche sull’attuazione dell’art. 11 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che ha approvato il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), accertava che il consiglio di amministrazione di “M. M. S.p.a.”, da qualificarsi società a controllo pubblico in considerazione del possesso della maggioranza dei voti tanto in assemblea che in consiglio di amministrazione da parte di vari enti locali, era composto da nove membri, in violazione della disposizione sopra menzionata, che prevede di norma l’amministratore unico o, in via eccezionale e previa adozione di delibera motivata, un consiglio di amministrazione composto al massimo da 5 membri. Conseguentemente, la Sezione ritenendo che “trovano applicazione tutte le disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, ivi incluse quelle che disciplinano la composizione dell’organo di amministrazione” segnalava “l’esigenza che la società provveda a dare attuazione a quanto previsto dall’art. 11 cit.”, accertando che “la società M. M. Spa”, partecipata dal comune di Montelabbate (del. n. 61/2018) e dal comune di Vallefoglia (del. n. 62/2018) “ha omesso di dare attuazione alla disposizione di cui all’art. 11, c. 2 e 3, del D.Lgs. 175/2016 relativi alla composizione dell’organo di amministrazione”. Con riferimento al comune di Falconara marittima (del. n. 68/2018) la Sezione di controllo precisava, altresì, che “sia l’interpretazione letterale che la ratio sottesa alla riforma nonchè una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni citate, inducono a ritenere che la Pubblica Amministrazione, quale ente che esercita il controllo, sia stata intesa dal legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all’art.2359, comma 1, numeri 1),2) e 3) faccia capo ad una singola amministrazione o a più amministrazioni cumulativamente”; concludeva, infine, segnalando l’esigenza che le società partecipate dal comune di Falconara marittima (tra cui “M. m. S.p.a.”) procedessero “senza ritardo all’adozione di nuove deliberazioni assembleari” in linea con quanto disposto dalla disciplina normativa richiamata, raccomandando all’Ente di procedere alle “necessarie verifiche di legalità preliminarmente all’adozione di ulteriori deliberazioni assembleari da parte dei propri organismi partecipati”.

2. Con i ricorsi in epigrafe, notificati mediante il servizio postale alla Procura generale in data 1 febbraio 2019 (G. 633), 8 febbraio 2019 (G.635) e 13 febbraio 2019 (G.636) e ritualmente depositati in segreteria, “M. M. S.p.a.” chiede l’annullamento delle citate deliberazioni della Sezione di controllo delle Marche n. 61/2018 del 19 dicembre 2018, n. 68/2018 del 20 dicembre 2018 e n. 62/2018 del 19 dicembre 2018, per la violazione degli artt. 2 e 11 d.lgs. n. 175 del 2016. In particolare, la Società riferisce di avere avuto comunicazione delle citate deliberazioni: in data 2 gennaio 2019, dal comune di Montelabbate, per la delibera n. 61, in data 17 gennaio, dal comune di Falconara marittima per la delibera n. 68 e in data 14 gennaio 2019, dal comune di Vallefoglia per la delibera n. 62.

Preliminarmente, la ricorrente afferma di essere legittimata ad agire e di avere interesse all’impugnazione delle prefate deliberazioni, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 39 del 2014, che riconosce la facoltà di ricorrere agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale previsti dall’ordinamento, a garanzia dei principi degli artt. 24 e 113 Cost., laddove le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti abbiano effetti non meramente “collaborativi” bensì “imperativi” o “inibitori”. Aggiunge la ricorrente che gli artt.11 e 124 del Codice di giustizia contabile hanno espressamente attribuito alle SS.RR. in speciale composizione la competenza a decidere in unico grado i giudizi “nella materia di contabilità pubblica nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo” e che le disposizioni dettate dal legislatore in tema di coordinamento della finanza pubblica rientrano pacificamente nella materia della “contabilità pubblica” (SS.RR. in sede di controllo n. 54/2010). Infine, poiché la Sezione di controllo delle Marche, nel trasmettere ai comuni interessati le rispettive deliberazioni li ha invitati a sollecitare l’adeguamento da parte di “M. M. S.p.a .” alle disposizioni dell’art. 11 TUSP ed ha trasmesso anche al MEF gli atti deliberativi in questione, la Società afferma di avere interesse a ricorrere in quanto, laddove dovesse essere tenuta ad ottemperare a tali disposizioni di legge, vedrebbe compromessi i propri equilibri all’interno del Consiglio di amministrazione.

Nel merito, i ricorsi affidano ad un unico motivo la censura delle deliberazioni impugnate, ovvero la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 11 del decreto legislativo n. 175 del 2016, nella misura in cui la Sezione di controllo inserisce nel perimetro delle “società a controllo pubblico”, ai sensi del predetto art. 2, anche la “M. M. S.p.a.”, ritenendo sufficiente – al fine di condizionare l’andamento gestionale complessivo della Società – il semplice possesso da parte dei soci pubblici della maggioranza delle azioni e dei voti in Consiglio di amministrazione.

In particolare, la ricorrente, dopo aver illustrato le vicende societarie della “M. M. S.p.a.”, contesta la mancata valorizzazione, da parte della Sezione marchigiana, ai fini della valutazione dell’effettivo condizionamento dell’andamento gestionale, di un patto parasociale stipulato il 28 luglio del 2015 di durata quinquennale e, quindi, tuttora vigente, che rende essenziale il voto dei consiglieri nominati dal socio privato (H. S.p.a.) per tutte le operazioni principali; a proprio favore cita, inoltre, quanto affermato, sul punto, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con delibera del 6 settembre 2007 in relazione all’operazione di fusione per incorporazione di “M.” in “A. Multiservizi”, ovvero, che pur in presenza di partecipazioni pubbliche, poiché l’assetto statutario prevedeva la maggioranza qualificata di 6 consiglieri su 7 per l’approvazione del budget annuale preventivo e del piano industriale, oltre che per la designazione dei componenti degli organi sociali delle società controllate e/o partecipate, la Società sarebbe stata “soggetta al controllo congiunto di H. e del Comune di Pesaro, in quanto in assenza del voto favorevole di almeno uno dei consiglieri nominati da tali soggetti, le predette decisioni del CdA non potrebbero essere adottate”. In secondo luogo, la ricorrente precisa che a seguito delle operazioni di fusione con “M.”, ritiene arduo supporre la presenza di un controllo pubblico quando la maggioranza relativa, pari al 46,2% del capitale sociale è detenuta proprio dal socio privato “H. S.p.a.”, a fronte del 25,3% posseduto dal Comune di Pesaro, dell’8,61% detenuto dalla Provincia di Pesaro e Urbino e di partecipazioni pulviscolari (tra lo 0,0003% e il 2,4%) detenute da diversi comuni (tra i quali quelli destinatari delle deliberazioni impugnate) e da due unioni montane. Tale ripartizione preclude, infatti, ogni modifica statutaria (comprensiva anche dello stesso mutamento del numero dei componenti del Consiglio di amministrazione) senza la partecipazione e il consenso di “H. S.p.a.”, la quale può, in questo modo, esercitare una posizione di blocco, ai sensi dell’art. 13 dell’attuale Statuto, il quale espressamente dispone che “l’Assemblea straordinaria sarà validamente costituita e validamente delibererà, in prima, seconda e terza convocazione con una presenza e con una maggioranza superiore all’85%del capitale sociale”. Ad escludere la sussistenza del “controllo pubblico” la ricorrente sottolinea il diritto di veto dei consiglieri espressione del capitale privato per decisioni essenziali per il funzionamento della società (quali le operazioni di acquisizioni e dismissioni di attività, il conferimento e la modifica dei poteri dell’amministratore delegato, l’approvazione del budget annuale) dal momento che occorre il voto favorevole di otto consiglieri su nove, laddove “H. S.p.a.” ha diritto ad esprimerne quattro. Infine, la ricorrente precisa che sia la determinazione dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) n. 1134 del 20 novembre 2017, che l’Orientamento del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) espresso in data 15 febbraio 2018, richiamati dalla Sezione di controllo per le Marche, pur avendo adottato un’interpretazione estensiva dell’art. 2 TUSP rispetto alla nozione civilistica di “società a controllo pubblico” disciplinata all’art. 2359 c.c., hanno ritenuto, comunque, che il controllo pubblico si possa avere in presenza di più amministrazioni pubbliche che operano congiuntamente, circostanza non sussistente nel caso della M. M. S.p.a., laddove non solo non è presente il coordinamento tra i soci pubblici ma, soprattutto, le decisioni (non ultima quella del numero dei componenti del C.d.a.) vengono assunte esclusivamente con il voto determinante del socio privato “H. S.p.a.”

3. Con distinte memorie depositate in data 8 marzo 2019, la Procura Generale chiede il rigetto dei ricorsi rilevando, in via pregiudiziale, sia la tardività, sia l’assenza di entrambe le condizioni dell’azione. Con riferimento alla tardività, la Procura rileva, per tutti e tre i ricorsi, che sono stati notificati oltre il trentesimo giorno dalla comunicazione via PEC delle deliberazioni impugnate, rispettivamente, ai comuni di Montelabbate, Falconara marittima e Vallefoglia. Trattandosi di impugnazione ai sensi dell’art. 11, comma 6, lettera e) del codice di giustizia contabile, ovvero “conseguente alle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo” ne è prevista la proposizione, ex art. 124 primo comma, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla “conoscenza legale” della delibera impugnata: il dies a quo da prendere in considerazione per il computo di detto termine non potrebbe che coincidere con la comunicazione via PEC effettuata dalla Sezione di controllo ai sopracitati comuni, in quanto unici soggetti direttamente interessati dalle predette deliberazioni. Privo di pregio, ad avviso della Procura generale, sarebbe quanto affermato dalla ricorrente circa le date in cui ha effettivamente avuto conoscenza delle delibere in esame, ovvero a seguito della trasmissione delle stesse dai rispettivi comuni. Accedendo a tale interpretazione, infatti, si vanificherebbero le esigenze di stabilità e certezza dell’azione amministrativa ritenute prevalenti dal Legislatore che, invece, ha previsto per l’impugnazione di questo tipo di deliberazioni un termine perentorio breve di soli trenta giorni: tale tesi, peraltro, trova conforto, per converso, nella disposizione di cui al comma 2 dell’art. 124 del codice prevista per gli altri tipi di ricorso (ovvero diversi da quelli di cui al comma 1) che “sono proponibili finché l’atto oggetto del giudizio produce effetti giuridici e sussista interesse all’impugnativa”. Con riferimento al solo ricorso iscritto al n. 635 S.R./EL la Procura generale eccepisce, altresì, l’inammissibilità per difetto di notifica ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.g.c. nei confronti della Sezione regionale di controllo per le Marche, essendo stata disposta, invero, presso la “Procura regionale presso la Sezione di controllo delle Marche”, organo distinto dalla Sezione di controllo: poiché il codice di rito prevede che la notifica debba essere effettuata entro trenta giorni, a pena di inammissibilità, tanto alla Procura generale che alla Sezione che ha emesso la deliberazione impugnata, ancorché a fini conoscitivi, ne deduce la violazione della norma con la conseguente inammissibilità del ricorso. In via subordinata, laddove il Collegio non dovesse ritenere che la ricorrente sia incorsa nella decadenza, l’organo requirente chiede la fissazione di un termine affinché la stessa provveda alla rituale notifica alla Sezione di controllo.

Con riferimento alle condizioni dell’azione, la Procura generale evidenzia come gli unici soggetti legittimati ad agire, in quanto direttamente interessati dalle deliberazioni di controllo oggetto dell’odierna impugnativa siano, rispettivamente, i comuni di Montelabbate, Falconara marittima e Vallefoglia, assoggettati alle verifiche della Sezione di controllo e non già la Società ricorrente, titolare, al più, di un interesse di fatto – e non di diritto - ad ottenere una sentenza che impedisca al Comune di assumere le iniziative dirette a limitare il numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione, in conformità alle prescrizioni dell’art. 11 TUSP; tale interesse, peraltro, in quanto volto a paralizzare un adempimento di legge, non sarebbe neppure meritevole di tutela giuridica. Nel merito, l’Ufficio requirente ritiene i ricorsi infondati. Le delibere della Sezione di controllo, infatti, appaiono corrette in ordine alla verifica del rispetto delle disposizioni previste dal TUSP, emanate con il precipuo intento del riordino delle società a partecipazione pubblica in vista del conseguimento dell’obiettivo di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica. L’attività istruttoria svolta dalla Sezione ha accertato un dato di fatto, ovvero che la “M. M. S.p.a”, in forza delle modifiche statutarie intervenute nel 2017, risulta amministrata da un C.d.a. composto da nove membri, mentre l’art. 11 del TUSP prevede, di regola, l’amministratore unico, ovvero, laddove la società decida di derogare a tale disposizione, un C.d.a. composto da tre o cinque componenti, tuttavia con l’adozione di una specifica deliberazione motivata in relazione alla sussistenza di specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi. La Sezione ha accertato che tale atto deliberativo, in ogni caso, non risulta adottato e che la Società non ha adeguato il proprio assetto statutario alle disposizioni di legge. In ordine all’assoggettamento della predetta società al TUSP, la Procura generale ritiene che ai fini della qualificazione della “M. M. S.p.a.” quale “società a controllo pubblico” debbano essere tenute presenti le seguenti circostanze, tutte valorizzate nelle delibere impugnate: 1) l’art. 5 dello statuto prevede che la maggioranza del capitale sociale possa essere detenuta da soci di natura pubblica e, nel caso in esame, da ricerche effettuate dalla sezione marchigiana presso la CCIAA la maggioranza del capitale sociale appartiene a soci pubblici; 2) il C.d.a. è composto da nove membri di cui 5 nominati da soci pubblici che pertanto possiedono la maggioranza dei voti sia in consiglio che in assemblea. Privo di rilevanza nel presente giudizio sarebbe il riferimento al patto di sindacato del 28 luglio 2015, stipulato soltanto con il Comune di Pesaro e non con gli altri soci pubblici che, pertanto non hanno alcun vincolo giuridico. Inoltre, detto patto parasociale fa riferimento ad un C.d.a. composto da sette soci, ovvero diverso dall’attuale compagine societaria: del pari, non può essere utilmente richiamata la delibera AGCM n. 17316/2007, che si riferisce ad una situazione non corrispondente all’attuale assetto societario. Infine, la Procura generale sottolinea come “H. S.p.a” sia un soggetto solo formalmente privato ma, sostanzialmente si tratta di società quotata a controllo pubblico, essendo a sua volta controllata da vari comuni emiliani, detentori complessivamente del 48,5% del capitale sociale e legati tra loro da un patto di sindacato. Per tali ragioni l’organo requirente ritiene che le delibere impugnate siano meritevoli di conferma e, conclusivamente, chiede il rigetto del ricorso.

4. Nel corso della discussione orale, il patrocinante di “M. m. S.p.a.”, dopo aver depositato gli originali delle relate di notifica dei ricorsi ai sensi dell’art. 125, comma 3, del c.g.c., in ordine all’eccezione di tardività sollevata dalla Procura generale ha sottolineato come la questione sia strettamente connessa a quella della legittimazione ad agire, in quanto, se si riconosce quest’ultima, il termine per ricorrere non può che farsi decorrere dalla data della conoscenza legale della deliberazione impugnata, ai sensi dell’art. 124 C.g.c. Con riferimento all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Procura generale in relazione al ricorso iscritto al n. 635 per irregolare notifica alla Sezione di controllo, la ricorrente sottolinea che il c.g.c. dispone che la stessa avvenga “per fini conoscitivi” e non già per integrare il contraddittorio e, in tal senso, l’inammissibilità del ricorso andrebbe riferita solamente al difetto di notifica alla parte processuale che è il Pubblico Ministero. Non si oppone ad un rinvio per consentire la rinnovazione della notifica alla Sezione di controllo.  Nel merito, la ricorrente richiama la sentenza n. 8 del 2019 delle Sezioni riunite emessa in relazione ad analoga fattispecie e si sofferma, in particolar modo, sull’esistenza ed attualità dell’interesse a ricorrere da parte della “M. S.p.a.”, direttamente chiamata in causa dall’accertamento contenuto nella deliberazione della Sezione di controllo che, per la rilevanza dell’organo da cui promana, è idoneo ad incidere sugli assetti societari nella misura in cui, da una parte, vi attribuisce la qualificazione di “società a controllo pubblico”, con la conseguente applicazione di tutte le disposizioni previste nel TUSP n. 175 del 2016 che, ragionevolmente, potrebbero indurre i soci privati ad astenersi da investimenti nella Società e, dall’altra, è volta a sollecitare i comuni ad operare un coordinamento congiunto al fine di adottare una deliberazione modificativa del sistema di governance, con evidenti riflessi sugli equilibri societari. La Procura generale ha sottolineato l’esigenza che nell’esame delle questioni preliminari venga rispettato l’ordine di prospettazione delle eccezioni da parte dell’organo requirente, a meno che si faccia espresso riferimento alla “ragione più liquida” e, in tal senso, ha ribadito la necessità che il collegio si pronunci sulla tardività dei ricorsi in relazione alle norme del c.g.c. In ordine all’irregolare notifica alla Sezione di controllo del ricorso iscritto al n. 635/SR/EL ha ribadito che il codice prevede l’inammissibilità anche nell’ipotesi di difetto di notifica alla Sezione di controllo che, pur non essendo parte processuale, potrebbe spiegare atto d’intervento adesivo nel processo. Dovrebbe, peraltro, accertarsi se l’atto, recapitato all’indirizzo ove ha sede tanto la Procura regionale che la Sezione di controllo sia stato ricevuto da quest’ultima. Nel merito, ha ulteriormente argomentato in ordine alla sussistenza della condizione di società sottoposta a “controllo pubblico” di “M. m. S.p.a.”, secondo una lettura sistematica delle disposizioni dell’art. 2 e 11 del TUSP e dell’art. 2359 c.c. Soffermandosi su quest’ultima norma, ha ritenuto che la disciplina ivi contenuta possa essere estesa anche nell’ipotesi di controllo congiunto affidato a più di un socio: in particolare, ai sensi di quanto previsto ai n.1) e 2) dell’art. 2359 c.c. il “controllo di diritto” si rinviene tutte le volte in cui i soci possiedano la maggioranza dei voti, ovvero un’influenza dominante (“controllo di fatto”) nell’assemblea ordinaria, circostanza che, ad avviso del requirente, sarebbe sussistente nel caso di “M. m. S.p.a.” e da sola sufficiente per affermarne la sottoposizione al “controllo pubblico”. Al termine dell’udienza, il Collegio si è ritirato in camera di consiglio per la decisione.

 

D I R I T T O

1. Preliminarmente il Collegio riunisce i ricorsi per connessione, in quanto proposti dalla stessa parte e fondati sulle medesime doglianze, avverso tre diverse deliberazioni della Sezione di controllo delle Marche aventi analogo contenuto dispositivo.

2. In via pregiudiziale, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per tardività avanzata dalla Procura generale, in quanto gli atti introduttivi dei giudizi sarebbero stati notificati oltre il termine di trenta giorni dal deposito della deliberazione impugnata. L’eccezione è infondata. L’art. 11, c. 6, lett. e), del c.g.c attribuisce alle Sezioni riunite in speciale composizione, “nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica” la competenza a decidere in unico grado sui giudizi “nelle materie di contabilità pubblica, nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo”. L’art. 123 del Codice, al comma 2, lett. b), prevede che nei giudizi in unico grado innanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione il ricorso debba contenere, oltre che l’oggetto della domanda, anche l’indicazione dell’atto o del provvedimento impugnato e “la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza”. Infine, l’art. 124 del Codice, comma 1, dispone che “il ricorso avverso la deliberazione della sezione regionale di controllo è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla conoscenza legale della delibera impugnata (...)”. Il Collegio ritiene che le sopracitate disposizioni normative non consentano di ancorare il dies a quo del termine per proporre l’impugnazione alla data del deposito o pubblicazione della delibera impugnata o anche a quella della notifica via PEC al solo comune destinatario dell’attività di controllo, sì da far derivare una sorta di intangibilità erga omnes delle statuizioni in essa contenute decorso il termine di trenta giorni. Proprio in quanto si tratta di ricorsi ad istanza di parte e quest’ultima si individua con riferimento al contenuto dispositivo del provvedimento impugnato, il legislatore ha previsto che il ricorso debba contenere non solo la data di “notificazione” della deliberazione (che riguarda i soggetti individuati nell’atto quali destinatari della stessa) ma anche quella della sua “comunicazione” o “comunque della sua conoscenza”, con ciò intendendo ricomprendere anche le posizioni giuridiche soggettive di tutti coloro per i quali può riconoscersi la legittimazione ad impugnare ai sensi dell’art. 11, c. 6, lett. e), del c.g.c, ancorché non siano stati destinatari della notifica della deliberazione, ma ne abbiano avuto conoscenza in un momento successivo in forza di comunicazione o altra modalità. In tal senso è conducente l’affermazione di parte ricorrente che sottolinea la stretta connessione tra la legittimazione ad impugnare e il computo del termine dalla conoscenza della deliberazione. L’art. 124 del Codice, invero, impone al Collegio lo scrutinio e l’accertamento della “conoscenza legale” della deliberazione impugnata da parte della ricorrente ai fini del computo del termine di trenta giorni concesso a tutte le parti legittimate, tanto che siano state destinatarie dirette della notifica della deliberazione impugnata tanto che ne abbiano avuto conoscenza per successiva comunicazione o aliunde. Il Collegio ritiene che l’argomentazione sostenuta dalla Procura generale, che ravvisa quale prioritaria esigenza di certezza del diritto - voluta dal legislatore – quella di sottoporre ad un termine breve la possibilità di annullare e/o riformare le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo, sia priva di pregio e possa condurre ad esiti paradossali: infatti, così opinando, laddove la deliberazione della Sezione di controllo pervenga nella sfera di conoscenza di un soggetto diverso dall’ente locale destinatario oltre il trentesimo giorno dalla notificazione a quest’ultimo, si negherebbe, in radice, la stessa possibilità di impugnare, riconosciuta, invece, dall’art. 11 c.g.c. cit., a chiunque sia titolare di situazioni soggettive “conseguenti” alle deliberazioni di controllo, con l’ulteriore corollario che la platea dei soggetti posti in condizione di impugnare nei termini potrebbe dipendere unicamente dalla circostanza – di mero fatto – che la Sezione di controllo li abbia inclusi o meno tra i destinatari della notifica o comunicazione della deliberazione. Il Collegio, invero, ritiene che nel caso in ispecie i ricorsi siano tempestivi, in quanto risulta dalla documentazione versata in atti che sono stati notificati il trentesimo giorno dalla “conoscenza legale” delle delibere impugnate, trasmesse alla “M. m. S.p.a.” dai rispettivi comuni interessati. Con riferimento alla censura di inammissibilità per difetto di notifica alla Sezione di controllo delle Marche, sollevata dalla Procura Generale in relazione al ricorso iscritto al n. 635 (ma relativa, anche al ricorso iscritto al n. 636) il Collegio, verificato in punto di fatto che i ricorsi risultano notificati al civico n.2 di via Matteotti ove hanno sede tutti gli uffici della Corte dei conti della regione Marche ed acquisiti dall’addetto alla ricezione atti, ritiene che l’irregolarità della notifica per incertezza nell’individuazione della Sezione di controllo non determini l’inammissibilità dei ricorsi. L’art. 124 del c.g.c. prevede che il ricorso sia “proposto”, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla conoscenza legale della deliberazione impugnata e che sia notificato “nelle forme della citazione in ogni caso al Procuratore generale della Corte dei conti e, ai fini conoscitivi, alla sezione del controllo che ha emesso la delibera impugnata”; ciò comporta che il ricorso si intende “proposto” nelle forme della citazione esclusivamente con la notifica al Procuratore generale – controparte necessaria nel giudizio - e che, laddove il termine dei trenta giorni non risulti rispettato, consegue, per espressa disposizione di legge, la sanzione estrema dell’inammissibilità, in quanto volta a garantire il pieno rispetto del contraddittorio tra le parti. Il restante periodo del comma 1 dell’art. 124, unito con la congiunzione “e”, estende l’onere della notificazione alla Sezione di controllo che ha emesso la deliberazione impugnata solamente “ai fini conoscitivi”: il Collegio ritiene che la disposizione in esame vada interpretata nel senso che detta notifica non rientri tra i requisiti indefettibili per la “proposizione “ del ricorso né tampoco che la stessa debba essere effettuata “nelle forme della citazione”, in quanto la Sezione di controllo che ha emesso la deliberazione non è intimata quale “parte” nel giudizio né è chiamata a controdedurre al ricorso e neppure può ritenersi quale “controinteressato”, atteso che l’interesse pubblico nel processo è tutelato dalla Procura generale. Ne consegue, ad avviso del Collegio, che la sanzione dell’inammissibilità – ragionevolmente comminata per la violazione del termine perentorio di “proposizione” del ricorso nei confronti della controparte processuale – non possa estendersi anche alla violazione di una disposizione che per espressa volontà del legislatore risponde ad esigenze meramente conoscitive e, in definitiva, ad una ratio del tutto diversa e secondaria rispetto a quella di assicurare la garanzia dell’integrità del contraddittorio. In ordine alla richiesta avanzata dalla Procura generale in via subordinata, relativa alla fissazione di un termine per provvedere alla regolare notificazione alla Sezione regionale di controllo del ricorso iscritto al n. 635 - anche al fine di consentire un eventuale intervento adesivo - il Collegio ritiene che tale richiesta sia priva di concreta utilità ai fini del decidere e finirebbe per dilatare i tempi del processo, tenuto conto, altresì, che il rispetto della ragionevole durata dello stesso “impone al giudice di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti”(cfr. Cass. civ. II, n. 12515 del 21 maggio 2018).

3. Sempre in via pregiudiziale, il Collegio ritiene di dover respingere l’eccezione sollevata dalla Procura generale (giudizi nn. 633-636) e di affermare la legittimazione di “M. m. S.p.a.” ad impugnare le deliberazioni della Sezione di controllo in epigrafe innanzi a queste Sezioni riunite in speciale composizione, in forza dell’art. 11, lett. e), c.g.c., secondo il quale detto organo, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, decide in unico grado sui giudizi “nelle materie di contabilità pubblica, nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo”. Queste Sezioni riunite hanno qualificato tale norma come “una clausola ricognitiva elastica di fattispecie riconducibili alla materia della contabilità pubblica e oggetto di cognizione, in sede di controllo, da parte delle articolazioni regionali della Corte dei conti” (Corte conti, SS.RR. spec. comp., 15 dicembre 2017, n.44) ed hanno ritenuto conseguentemente ammissibile, in base ad essa, l’impugnazione di deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo non riconducibili alle categorie individuate puntualmente dalle altre previsioni dell’art.11 e, segnatamente, dalle lett. a) e d) (cfr. Corte conti SS.RR. spec. comp. 20 febbraio 2018, n.7), purché rientranti nella “materia della contabilità pubblica”. Nelle fattispecie all’odierno esame, non appare revocabile in dubbio la riconducibilità a detta materia delle disposizioni del TUSP in tema di riordino delle società pubbliche e di governo delle società a partecipazione pubblica, trattandosi di norme emanate proprio nell’ottica del contenimento della spesa pubblica. Con riferimento alla legittimazione ad impugnare da parte della Società ricorrente il Collegio osserva, inoltre, che né l’art. 11 né gli art. 123 e seguenti del c.g.c. circoscrivono tale legittimazione in capo a soggetti specificamente determinati, dimodoché deve applicarsi il principio secondo il quale la legittimazione sussiste in quanto la parte che agisce in giudizio affermi la lesione di un proprio diritto o interesse, cui l’accoglimento della domanda consentirebbe di porre rimedio (art. 7, comma 2, c.g.c. che rinvia ad art. 100 c.p.c.). Il Collegio richiama, sul punto, le ulteriori argomentazioni dispiegate nella recente sentenza di queste Sezioni riunite n. 8 del 2019 che riconducono alla giurisdizione esclusiva in materia di contabilità le deliberazioni adottate dalle Sezioni regionali di controllo, in quanto atti emessi nell’effettivo esercizio del potere di controllo attribuito alla Corte dei conti, che sono “non sindacabili da parte di altro giudice diverso dalle Sezioni riunite della stessa Corte in speciale composizione” (SSRR 12/2016, 2/2013, 6/2013). “Dall’impossibilità che le deliberazioni della sezioni regionali di controllo possano essere sindacate da un giudice diverso dalla stessa Corte dei conti, discende che deve ammettersi la legittimazione attiva a ricorrere avverso un asserito non corretto esercizio della funzione di controllo, anche da parte di tutti coloro che, pur non avendo partecipato al procedimento di controllo, dall’esito dello stesso fanno discendere lesioni di situazione giuridiche soggettive delle quali sono titolari, a meno che tali lesioni conseguano a vizi propri dei conseguenziali atti dell’autorità amministrativa. Ove venisse negata tale legittimazione, si dovrebbe necessariamente ammettere, pena la violazione dell’art. 24 Cost., la possibilità per questi soggetti di adire un diverso plesso giurisdizionale, con la conseguenza che attraverso l'impugnazione degli atti amministrativi conseguenti all'esito del controllo, si avrebbe indirettamente un sindacato sulle deliberazioni di controllo da parte di un giudice sfornito di giurisdizione”. (...) “Infine, va precisato che la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 14.05.2009, n. 11194; Cass. 10.05.2010, n. 11284; Id, 27.06.2011, n. 14177), ha più volte ribadito che la sussistenza della legittimazione ad agire – intesa come titolarità del potere di promuovere un giudizio – è determinata in base alla domanda prospettata dall’attore, indipendentemente dall’effettiva titolarità del diritto vantato. Infatti, la condizione per ottenere una pronuncia giudiziale è semplicemente l’idoneità astratta della situazione soggettiva attiva ad essere tutelata nel giudizio, del tutto diversa dall’accertamento in concreto della titolarità della medesima, che appartiene al merito della causa” (Cfr. SS.RR spec. comp. n. 8/2019/EL). Il Collegio, pertanto, ritiene che il riferimento alla società partecipata tanto nella motivazione che nel dispositivo della deliberazione sia diretto (e non indiretto come invece affermato dalla Procura Generale) e costituisca elemento sufficiente per ritenere sussistente e comprovato il diritto di M. M. S.p.A. di agire in giudizio.

4. Con altra eccezione processuale la Procura generale (con riferimento ai ricorsi iscritti ai nn. 633 e 636) afferma la carenza di interesse ad agire da parte della ricorrente in quanto l’esigenza di evitare eventuali iniziative necessitate dei Comuni, tese alla riduzione del numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione, è un interesse di fatto e indiretto che non può trovare immediata tutela in sede processuale. L’eccezione è infondata. Il Collegio ritiene di doversi soffermare sulla sussistenza, in capo a “M. m. S.p.a.” dell’interesse all’impugnazione, specie a fronte delle più articolate argomentazioni dispiegate all’odierna udienza dalla ricorrente a seguito della lettura della motivazione della sentenza n. 8 del 2019, al fine di rivisitare il percorso argomentativo seguito da queste stesse Sezioni riunite nella predetta decisione, vertente su fattispecie analoga a quelle in esame. In estrema sintesi, in quest’ultima sentenza, pur affermandosi la legittimazione ad impugnare, è stato ritenuto che l’interesse concreto e attuale a ricorrere potesse sussistere solo in presenza di un oggettivo fatto lesivo del diritto del ricorrente di cui si chiede la rimozione mediante l’intervento del giudice, senza il quale l’interessato subirebbe un danno: in tal senso sono state differenziate le conseguenze lesive per i destinatari o per i soggetti comunque coinvolti dalle deliberazioni emesse in relazione alle varie tipologie di controllo esercitato dalle sezioni regionali, ritenendo che nel caso di “M. S.p.a.”, a fronte di una deliberazione di natura c.d. collaborativa, inidonea di per sé ad incidere direttamente sugli assetti societari, la tutela giurisdizionale si potrà esplicare nei confronti degli eventuali, futuri, provvedimenti emessi dall’ente locale, autonomamente motivati e per vizi propri di questi ultimi. La predetta pronunzia ha ritenuto che la Sezione regionale di controllo, in ordine al rispetto delle disposizioni e dei principi inseriti nel TUSP, non sia intervenuta direttamente sulle società ma solo sui Comuni controllanti con mere deliberazioni dichiarative avente funzione sollecitatoria nei confronti dei soggetti direttamente controllati e ne ha dedotto l’insussistenza di interesse concreto ed attuale alla impugnazione di tali tipologie di atti deliberativi, inidonei a ledere interessi apprezzabili, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso. L’odierno Collegio, melius re perpensa, ritiene di doversi discostare dalla conclusione cui è pervenuta la sentenza n. 8 del 2019, per le seguenti considerazioni. In primo luogo, l’affermazione secondo cui, nei ricorsi in esame, sussiste la legittimazione ad impugnare le deliberazioni delle sezioni regionali di controllo innanzi a queste Sezioni riunite in forza della giurisdizione esclusiva, in quanto nessun altro plesso giurisdizionale può sindacarne il contenuto, viene svuotata di significato se si nega alla società destinataria dell’accertamento di essere titolare di un interesse concreto alla pronuncia di merito sulla legittimità dello stesso, perché in tal modo si priva la ricorrente dell’effettività della giurisdizione. Infatti, se nessun altro giudice potrà sindacare nel merito il contenuto dispositivo della deliberazione di controllo laddove si assuma erronea o fuorviante, non sarà facile sottrarsi alle censure di violazione del precetto dell’art. 24 Cost. e di denegata tutela della parte ricorrente. Giocoforza, l’impugnativa sarà comunque rivolta avverso gli eventuali provvedimenti emanati dall’ente locale innanzi al giudice amministrativo che, indirettamente, riterrà di doversi pronunciare sul percorso argomentativo presupposto (la deliberazione della sezione di controllo) ancorché incidenter tantum; qualora, invece, dovessero essere sindacati comportamenti relativi all’assetto infrasocietario sarà in ogni caso l’A.G.O. a conoscere della causa ed a sindacare, sempre incidenter tantum, la deliberazione della Sezione di controllo quale atto presupposto. L’effettività della giurisdizione esclusiva, pertanto, è garantita dalla pronuncia nel merito, scrutinata alla luce della sussistenza dell’interesse ad agire di cui all’art.100 c.p.c., nella lettura della giurisprudenza della Corte di cassazione (Cfr. Cass. civ. SS.UU. sent. 16/02/2016, n. 2951; Cass. Civ. Sez. II, 24/01/2019, n. 2057). Lo snodo argomentativo dal quale l’odierno Collegio intende discostarsi, rispetto alla deliberazione n. 8 del 2019, attiene alla qualificazione delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo che accertano la mancata ottemperanza da parte di “M. m. S.p.a.” alle disposizioni del TUSP, ritenute meramente “collaborative” e aventi funzione “sollecitatoria” nei confronti dei comuni destinatari e, dunque, inidonee ad incidere direttamente sugli interessi societari, arrecandovi pregiudizio. Sul punto, queste Sezioni riunite ritengono di prendere le mosse dall’assetto generale dei plurimi poteri di controllo sulle società partecipate da enti pubblici attribuiti alle Sezioni di controllo della Corte dei conti dal d.lgs. n. 175 del 2016, a mente del quale vanno comunicate alla magistratura contabile le più rilevanti scelte organizzative e gestionali delle società o degli enti soci, quali quelle di costituzione o acquisto di partecipazioni (artt. 4, 5, 7 e 8), di quotazione in mercati regolamentati (art. 26, commi 4 e 5) di piani per il superamento di situazioni di crisi d’impresa (art. 14, comma 5), di congrua articolazione degli organi di amministrazione (art. 11, comma 3), etc., alcune delle quali riproducenti pregresse disposizioni normative (si rinvia, per esempio, all’art. 3, commi 27 e seguenti, della legge n. 244 del 2007). L’esito della ricognizione straordinaria delle partecipate, inoltre, da effettuare ai sensi dell’art. 24 TUSP, va comunicato, anche in caso negativo, con le modalità di cui all’articolo 17 del D.L. n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, alla banca dati gestita dal Ministero dell’economia e delle finanze ed alla struttura del medesimo Ministero competente per il monitoraggio sull’attuazione del testo unico (prevista dall’articolo 15), e reso disponibile alla “sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell’articolo 5, comma 4 (...) perché verifichi il puntuale adempimento degli obblighi di cui al presente articolo”. Le norme del testo unico non offrono ulteriori indicazioni circa natura, i parametri e l’esito del controllo attribuito alla Corte, destinataria della comunicazione di atti relativi agli assetti societari delle società a partecipazione pubblica in diverse ipotesi; tuttavia, appare conforme alla ratio delle surriferite disposizioni normative l’attribuzione alla magistratura contabile di un controllo successivo di legittimità sul provvedimento di ricognizione straordinaria delle partecipate; nelle altre ipotesi, in cui è previsto semplicemente l’invio alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti (come nel caso dell’art. 11, all’esame del presente giudizio), il Collegio ritiene che quest’ultima eserciti un controllo di regolarità/legittimità in ordine al rispetto delle disposizioni del TUSP, non qualificabile come mero “controllo collaborativo” che attiene a valutazioni sulla gestione, ma che legittima le Sezioni regionali ad emettere pronunce di accertamento il cui parametro è costituito da norme di legge. Tale interpretazione, peraltro, trova conferma nella recente giurisprudenza delle sezioni regionali di controllo che emettono, su tutto il territorio nazionale, deliberazioni di “accertamento” del rispetto o meno delle disposizioni del TUSP da parte delle società partecipate da enti locali o “a controllo pubblico”, essendo scaduto il 31 luglio 2017 il termine per l’adeguamento degli statuti nei casi previsti dalla legge. Orbene, una pronuncia della sezione di controllo di “accertamento” di non conformità a parametri normativi o di irregolarità, ancorchè non assistita da specifica sanzione di tipo inibitorio, proprio per l’autorevolezza dell’organo da cui promana – nell’ambito dell’esclusiva funzione di garanzia dell’ordinamento nelle materie di contabilità pubblica – non può ritenersi, ad avviso del Collegio, inidonea ad incidere sugli interessi societari coinvolti dalla deliberazione. In tal senso sono fondate le doglianze esposte dalla ricorrente nel corso dell’udienza che lamenta proprio il pregiudizio attuale (e non già ipotetico o futuro) recato alla “M. m. S.p.a.” dal riconoscimento di un vero e proprio status di società “a controllo pubblico”, che la rende assoggettabile alla complessa disciplina derogatoria delle disposizioni del codice civile in materia di società in tema di: a) disposizioni sulla governance di cui all’art. 11, cc. 1-3 e 4-15 (vincolo del numero dei componenti del consiglio di amministrazione, definizione di limiti al trattamento economico degli amministratori, regole sulla incompatibilità/inconferibilità degli incarichi); b) principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione (art. 6); c) disciplina delle crisi d’impresa (art. 14, cc. 2 e 3); d) regole sulla gestione dei rapporti di lavoro (art. 19, cc. 1-4); e) criteri in tema di trasparenza (art. 22). La sussistenza delle condizioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 175 del 2016, attiene anche alla definizione del perimetro delle società indirette, che sono quelle detenute da una pubblica amministrazione per il tramite di una società o di altro organismo a

controllo pubblico da parte della medesima (art. 2, co. 1, lett. g) (Cfr. deliberazione n. 23/SEZAUT/2018/FRG). Tale status di “società a controllo pubblico”, pertanto, è idoneo ad incidere direttamente nell’ambito degli equilibri societari laddove gli enti locali partecipati sono chiamati a rendere effettivo l’adeguamento della Società alle disposizioni surriferite in forza dell’accertamento operato dalla Corte dei conti, né può essere misconosciuto l’interesse “morale” della persona giuridica partecipata da enti pubblici a presentarsi agli altri operatori sul mercato quale società rispettosa delle leggi, laddove applicabili. Trattasi di un interesse a ricorrere non dissimile da quello riconosciuto dal legislatore in relazione all’impugnativa avverso l’inclusione negli elenchi Istat, in quanto il bene tutelato, in tali casi, è proprio la corretta attribuzione di uno status, in presenza di determinate caratteristiche economiche e/o organizzative, che comporta l’applicazione di un complesso di norme a tutela della finanza pubblica. L’interesse qualificato e attuale della “M. S.p.a.” ad essere esclusa dal novero delle “società a controllo pubblico” può essere raggiunto solo attraverso una pronuncia del giudice che, valutato il caso concreto, decida, nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva in unico grado, se l’accertamento operato dalla Sezione regionale di controllo abbia riconosciuto correttamente o meno, attraverso l’istruttoria svolta, il predetto status. Tanto è sufficiente, ad avviso del Collegio, ad integrare la sussistenza dell’interesse ad agire da parte di “M. S.p.a.”: “L'interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l'attore, senza che siano ammissibili questioni d'interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. civ. Sez. II, 24/01/2019, n.2057 cit.). Scrutinate e respinte le eccezioni pregiudiziali il Collegio affronta il merito della causa.

5. I ricorsi sono fondati e vanno respinte le richieste di rigetto avanzate dalla Procura generale. La Sezione di controllo, nelle deliberazioni impugnate, ha fondato l’accertamento nei confronti di M. m. S.p.a. dello status di società a controllo pubblico argomentando dalla circostanza che in base alle norme statutarie, ed in specie agli articoli 5 e 15, “i soci pubblici possiedono la maggioranza dei voti sia in assemblea che nel consiglio di amministrazione e possono in tal modo condizionare l’andamento complessivo della gestione della società”; ha inoltre ritenuto che “la frammentazione delle quote di partecipazione in capo ad una pluralità di amministrazioni non osti alla configurabilità del controllo pubblico” ed in tal senso ha richiamato l’atto di orientamento in data 15 febbraio 2018 della Struttura di controllo e monitoraggio prevista dall’articolo 15 del TUSP, la quale, al fine di enucleare la corretta nozione di società a controllo pubblico, ha affermato che detta nozione discende dall’esame del combinato disposto delle lettere b) e m) dell’art. 2, comma 1, evidenziandosi come “alla luce dello stesso deve ritenersi che il legislatore del TUSP abbia voluto ampliare le fattispecie del “controllo” talché, “in coerenza con la ratio della riforma volta all’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche e al contenimento della spesa, al controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione sulla società appaiono riconducibili non soltanto le fattispecie recate dall’art. 2, comma 1, lett. b), del TUSP, ma anche le ipotesi in cui le fattispecie di cui all’articolo 2359 c.c. si riferiscono a più Pubbliche Amministrazioni, le quali esercitano tale controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, pure a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato”, concludendo che “sia l’interpretazione letterale sia la ratio sottesa alla riforma nonché una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni citate, inducono a ritenere che la “Pubblica Amministrazione”, quale ente che esercita il controllo, sia stata intesa dal legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all’art. 2359, comma 1, numeri 1), 2) e 3), faccia capo ad una singola Amministrazione o a più Amministrazioni cumulativamente”. Ritiene il collegio che il richiamo alla nota di orientamento della struttura di controllo e monitoraggio non sia risolutivo, e che l’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico” non possa essere desunto dai meri indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di consiglieri nel C.d.A. ma richieda precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano le condizioni richieste dall’art. 2, lett. b) del TUSP. In altre parole, ai fini del decidere se “M. m. S.p.a.” possa definirsi o meno società a controllo pubblico ovvero semplicemente società a partecipazione pubblica, assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali per verificare in che termini le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie sono in grado di influire sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale”. Dalla documentazione versata in atti dalla ricorrente emerge che il capitale sociale di “M. m. S.p.a.” è attualmente detenuto dal socio privato “H. S.p.a.” per il 46,2 per cento, dal comune di Pesaro per il 25,3 per cento, dalla provincia di Pesaro e Urbino per l’8,6 per cento e per la restante parte da partecipazioni pulviscolari di un 32 gruppo di comuni delle Marche, tra cui si annoverano il comune di Montelabbate, il comune di Falconara marittima e il comune di Vallefoglia, interessati dalle deliberazioni impugnate. Dall’analisi dello statuto vigente emerge che la società è amministrata da un Consiglio di amministrazione composto da nove membri, compreso il Presidente, di cui due nominati dal Comune di Pesaro, uno dal comune di Urbino, uno dalla provincia di Pesaro e Urbino e uno da una serie di piccoli comuni del marchigiano, mentre i restanti quattro componenti sono espressione del socio privato “H. S.p.a.”(art.15); l’assemblea straordinaria che è richiesta per le modificazioni statutarie, delibera in ogni sua convocazione con la maggioranza superiore all’85 per cento del capitale sociale e, pertanto, il voto favorevole del socio privato “H. S.p.a.” è necessario per qualsiasi modificazione statutaria. Ciò comporta che, in assenza del voto favorevole dell’azionista privato, non possono essere modificati il numero dei componenti del Consiglio di amministrazione, l’attribuzione delle deleghe al consigliere nominato dall’azionista privato, il quorum di otto consiglieri su nove per l’adozione delle principali delibere del Consiglio di amministrazione (quali la designazione dei componenti degli organi sociali delle società controllate e/o partecipate; le proposte di fusioni, scissioni, incorporazioni in altre società; le proposte di modifica dello statuto; le operazioni di acquisizione, dismissione, conferimenti, scorpori di attività, rami aziendali; il conferimento e la modifica di poteri all’Amministratore delegato, scelto tra i soci non pubblici ai sensi dell’art. 21, l’approvazione del budget annuale preventivo e del piano industriale proposto dall’Amministratore delegato, la nomina dei consiglieri cooptati, l’attribuzione di compensi agli amministratori investiti di particolari cariche, la proposta di distribuzione di dividendi e riserve, la modifica ai contratti con le società degli asset). Già l’analisi dell’assetto statutario è da sola sufficiente ad escludere la concreta possibilità che tutti i soci pubblici possano incidere sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale” ai sensi dell’art.2, lett. b), TUSP, senza il consenso del socio privato “H. S.p.a.” e, conseguentemente, la decisione di ridurre il numero degli amministratori, come richiesto dalla Sezione di controllo delle Marche con le deliberazioni impugnate, non è nella disponibilità dei soci pubblici che necessitano all’uopo del consenso del socio privato. A tale quadro statutario si aggiunge l’esistenza di un patto parasociale sottoscritto in data 28 luglio 2015, con efficacia quinquennale, stipulato tra il socio privato “H. S.p.a.” e il comune di Pesaro, che insieme detengono oltre l’80% del capitale sociale, in base al quale per una serie di deliberazioni di rilievo societario è richiesto il voto favorevole di almeno un consigliere di ciascuno dei soci. Dalla situazione di fatto sopra esposta risulta evidente che, in base alla vigente disciplina normativa, non è configurabile alcun controllo da parte degli enti pubblici. Ed infatti l’art. 2, lettera m), del TUSP, definisce “«società a controllo pubblico» le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”e quest’ultima a sua volta definisce come “«controllo»: la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile” e precisa inoltre che “Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”. Si è già detto dell’impossibilità che il consenso unanime degli enti pubblici sia sufficiente per le “decisioni finanziarie e gestionali strategiche” e la circostanza che tutti i soci pubblici – pur volendo convergere verso una logica di riduzione dell’apparato amministrativo - non dispongano degli strumenti statutari per operare la riduzione del numero dei consiglieri senza il consenso del socio privato, ne costituisce la controprova. Quanto all’art. 2359 cod. civ. si osserva che le tre ipotesi ivi previste sono il cosiddetto controllo “di diritto” (“società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria”), quello cosiddetto di fatto (“le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria”) e quello cosiddetto esterno (“società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”). Né si potrebbe configurare il c.d “controllo pubblico congiunto”, ipotizzando una pluralità di enti controllanti. Al Collegio è noto l’orientamento giurisprudenziale formatosi antecedentemente all’emanazione del TUSP in relazione alla nozione pubblicistica di “controllo congiunto” (Cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 35 4 giugno 2014, n.1801) elaborata sulla scorta delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 rispettivamente sugli appalti pubblici e sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali che – secondo il Consiglio di Stato “va calata all’interno della fattispecie civilistica di controllo societario, affinché possa dirsi integrato il controllo sulla società da parte di una pluralità di soggetti pubblici, ciascuno dei quali non si trovi in alcuna delle situazioni contemplate dall’art. 2359 c.c.” Tuttavia, detta interpretazione giurisprudenziale estensiva delle disposizioni dell’art. 2359 che, invero, configura ben individuate ipotesi di controllo, operato da una società nei confronti di un’altra società, deve essere rivista alla luce delle successive norme di diritto positivo contenute nel TUSP che, ad avviso del Collegio, circoscrivono in modo più rigoroso la nozione di “controllo pubblico”. In particolare, l’art. 2, lett. b), al fine della configurabilità della nozione di “controllo”, introduce un’altra fattispecie, estranea alla nozione civilistica ex art.2359, affermando che “può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”; la successiva lettera m) dello stesso articolo rimanda per la definizione di “società a controllo pubblico” alle seguenti ipotesi: 1) la situazione descritta all’art.2359 c.c., che si verifica allorquando una società pubblica esercita il controllo di diritto in un’altra società, ovvero il controllo di fatto o contrattuale; 2) la situazione in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano il controllo ai sensi della lett. b), ovvero, quando in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali le decisione strategiche per la vita sociale richiedano il consenso unanime delle amministrazioni pubbliche che esercitano il controllo. Il Collegio ritiene che dalla lettura di siffatte disposizioni possano evincersi due rilevanti conseguenze, ai fini del giudizio di cui è causa: la prima attiene alla inapplicabilità delle disposizioni dell’art.2359 c.c., che in modo chiaro ed univoco individua fattispecie tipiche di controllo operato da una società nei confronti di un’altra società; la seconda è che la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di “comportamenti univoci o concludenti” ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie a da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società. Occorre sottolineare, peraltro, che nel TUSP non viene mai utilizzata l’espressione “controllo congiunto” (coniata dalla giurisprudenza amministrativa e che evoca la possibilità di accordi più o meno formali tra pubbliche amministrazioni) mentre è previsto il “controllo analogo congiunto” che si realizza tutte le volte in cui “l’amministrazione esercita congiuntamente ad altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”: laddove il legislatore avesse voluto intendere analoga modalità di azione fra pubbliche amministrazioni avrebbe usato identica terminologia. Peraltro, sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l’interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall’adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali. Infine, nessun pregio possono rivestire in questa sede le considerazioni della Procura generale in ordine alla circostanza che “H. S.p.a.”, in realtà, è anch’essa un socio pubblico, in quanto trattasi di una società quotata partecipata quasi interamente dai comuni di Bologna e Modena. L’art. 1, comma 5, del TUSP, come modificato dall’art 1, comma 721 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 dispone che “le disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera p), nonché alle società da esse controllate”; ne consegue che, ai fini che qui interessano, nella compagine societaria di “M. m. S.p.a.”, la società “H. S.p.a.” è configurabile quale persona giuridica di diritto privato. Acclarato che “M. m. S.p.a.” non ha le caratteristiche per essere annoverata tra le “società a controllo pubblico” e che alla stessa, conseguentemente, non si applicano tutte le disposizioni normative che richiedono, quale presupposto, detto status, trattandosi, semplicemente, allo stato degli atti, di società a partecipazione pubblica, discende come logica conseguenza l’accoglimento del ricorso e l’annullamento delle deliberazioni impugnate.

6. A chiarimento del dispositivo letto in udienza occorre precisare che l’annullamento delle deliberazioni 61/2018/VSG e 68/2018/VSG è limitato soltanto alla parte riguardante la società ricorrente, restando salve le statuizioni della stessa nei confronti delle società che non hanno proposto impugnazione.

7. Le spese possono ritenersi compensate alla luce dell’assoluta novità delle questioni giuridiche sottoposte a questo Collegio.

P. Q. M.

La Corte dei conti, a Sezioni riunite in speciale composizione, accoglie i ricorsi e per l’effetto annulla la deliberazione n. 61/2018/VSG del 19 dicembre 2018 e le deliberazioni n. 68/2018/VSG del 20 dicembre 2018 e n. 62/2018/VSG del 19 dicembre 2018.

Spese compensate.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 20 marzo 2019. Dispositivo letto in udienza

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE Anna Luisa Carra Mario Pischedda

Depositata in Segreteria in data 22 maggio 2019

Il Direttore della Segreteria Maria Laura Iorio


[1]Corte di Conti Liguria, Deliberazione n. 3/2018/PAR