Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2019, n. 2534

1. L’utilità finale che l’operatore economico intende conseguire attraverso il giudizio avverso gli atti della procedura di aggiudicazione è l’affidamento dell’appalto, quale che sia il provvedimento impugnato e, nel caso di atto diverso dall’aggiudicazione, quale che sia l’utilità strumentale immediatamente perseguita (nel caso, ad esempio, dell’impugnazione dell’esclusione è la riammissione alla procedura); passaggio necessario, a tal fine, è comunque l’eliminazione dell’aggiudicazione ad altro concorrente. Siccome, poi, tale eliminazione non consegue per caducazione automatica dall’annullamento di un atto prodromico in quanto i vizi di questo si riverberano sul provvedimento di aggiudicazione in via derivata, qualora il giudizio sia stato instaurato nei confronti di un atto della procedura che precede l’aggiudicazione, l’impugnazione di questa si rende necessaria per procurarsi l’utilità avuta di mira.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8744 del 2018, proposto dalla Del Vecchio s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Parisi e Marcello Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, 

contro

l’Azienda Regionale Centrale Acquisti s.p.a. - Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Catia Carla Gatto, e con questa elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 229, presso lo studio dell’avvocato Giuliano M. Pompa,
l’Asst - Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini, l’Asst Fatebenefratelli Sacco, l’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, l’Asst Melegnano e della Martesana, l’Asst Santi Paolo e Carlo, la Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico e l’Agenzia di Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti non costituiti in giudizio, nonché 

nei confronti

del Consorzio del Bo s.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Orazio Abbamonte e Maria Filosa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, 

per la riforma

della sentenza del Tar Lombardia, sede di Milano, sez. IV, n. 1855 del 27 luglio 2018, che ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società Del Vecchio avverso la propria esclusione dal lotto 1 della gara “ARCA_2017_041 Appalto specifico per l'affidamento del servizio di Manutenzione Impianti elevatori”, disposta durante la seduta del 4 aprile 2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Azienda Regionale Centrale Acquisti s.p.a. - Regione Lombardia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio del Bo s.c.a.r.l.;

Visto il ricorso incidentale, depositato dal Consorzio del Bo s.c.a.r.l. il 28 novembre 2018;

Vista la memoria depositata dalla Del Vecchio s.r.l. in data 27 febbraio 2019;

Vista la memoria depositata dalla Arca s.p.a. in data 21 novembre 2018;

Vista la memoria depositata dal Consorzio del Bo s.c.a.r.l. in data 23 novembre 2018;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’Azienda Regionale Centrale Acquisti s.p.a. - Regione Lombardia (d’ora in poi, Arca) ha bandito una gara telematica suddivisa in cinque lotti. Il lotto 1 ha ad oggetto il servizio di Manutenzione Impianti elevatori a servizio dei presidi sanitari di ASST Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini/Cto, ASST Fatebenefratelli Sacco, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, ASST Melegnano e Della Martesana, ASST Santi Paolo e Carlo, Fondazione IRCSS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico e ATS della Città Metropolitana di Milano.

Nella seduta del 4 aprile 2018 la Commissione, procedendo in autotutela a seguito di ricorso (n. 585 del 2018) proposto dal Consorzio Del Bo s.c.ar.l. (d’ora in poi, Consorzio), ha escluso dalla gara l’aggiudicataria Del Vecchio s.r.l. per mancata indicazione, nell’offerta formulata, dei costi della manodopera ai sensi dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016.

La Del Vecchio ha impugnato detta esclusione dinanzi al Tar Lombardia, sede di Milano, che – riuniti i ricorsi proposti dalla Del Vecchio e dal Consorzio – con sentenza della sez. IV, n. 1855 del 27 luglio 2018, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il primo ricorso e ha dichiarato improcedibile il secondo ricorso.

3. La Del Vecchio ha impugnato la citata sentenza n. 1855 del 2018 con appello notificato 29 ottobre 2018 e depositato il 5 novembre 2018, deducendo l’illegittimità dell’esclusione.

4. Con ricorso incidentale, depositato il 28 novembre 2018, il Consorzio ha affermato che la Del Vecchio avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara non solo per non aver indicato il costo della manodopera (omissione che ha valenza formale e sostanziale), ma anche per ulteriori motivi, che erano stati dedotti nel ricorso n. 585 del 2018, dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con l’impugnata sentenza n. 1855 del 27 luglio 2018.

Il Consorzio ha quindi riproposto tali motivi, assorbiti dal giudice di primo grado, deducendo che la Del Vecchio avrebbe dovuto essere esclusa per aver modificato - in corso di gara e dietro richiesta della Commissione - la proposta originariamente formulata per uno dei parametri di valutazione (“Riduzione dei tempi di realizzazione delle etichette e sistemi di comunicazione (inferiore a 10 giorni)”; in subordine, se non l’esclusione, la Del Vecchio avrebbe comunque dovuto ricevere, per il parametro in questione, un punteggio pari a zero, corrispondente all’offerta iniziale, invece che cinque punti attribuiti dalla Commissione. Ove fosse stato correttamente attribuito il punteggio, il Consorzio si sarebbe aggiudicato la gara, essendosi questa conclusa con 4,33 punti di vantaggio della società Del Vecchhio.

5. Si è costituita in giudizio l’Azienda Regionale Centrale Acquisti s.p.a. - Regione Lombardia, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello principale.

6. Il controinteressato Consorzio Del Bo, con memoria depositata il 28 novembre 2018 ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per omessa impugnazione dell’aggiudicazione medio tempore intervenuta. Nel merito ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

7. L’Asst - Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini, l’Asst Fatebenefratelli Sacco, l’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, l’Asst Melegnano e della Martesana, l’Asst Santi Paolo e Carlo, la Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico e l’Agenzia di Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano non si sono costituite in giudizio.

8. Alla camera di consiglio del 29 novembre 2018, su accordo delle parti l’esame dell’istanza di sospensione cautelare della sentenza del Tar Milano sez. IV, n. 1855 del 2018 è stata riunita al merito.

9. Alla pubblica udienza del 14 marzo 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, la Del Vecchio s.r.l. ha impugnato la sentenza della sez. IV, n. 1855 del 27 luglio 2018 del Tar Lombardia, sede di Milano, che – riuniti i ricorsi proposti dalla stessa Del Vecchio avverso la propria esclusione dalla gara e dal Consorzio del Bo s.c.ar.l. avverso l’originaria aggiudicazione della gara alla Del Vecchio (poi annullata in autotutela), ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il primo ricorso e ha dichiarato improcedibile il secondo. Il Consorzio ha proposto appello incidentale deducendo un ulteriore ragione che avrebbe dovuto portare all’esclusione della Del Vecchio, che si aggiunge a quella posta a base dell’annullamento dell’aggiudicazione.

2. Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dal controinteressato Consorzio Del Bo, sul rilievo che l’appellante Del Vecchio s.r.l. ha impugnato in primo grado la propria esclusione dalla gara, disposta in data 9 aprile 2018, ma non anche la successiva aggiudicazione della stessa al Consorzio dell’1 agosto 2018.

L’eccezione è fondata.

E’ principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa che il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara precedenti l’aggiudicazione – normalmente il provvedimento che ne ha disposto esclusione – è tenuto ad impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2018, n. 4304; V, 28 luglio 2015, n. 3708; V, 4 giugno 2015, n. 2759, V, 9 marzo 2015, n. 1185; V, 17 maggio 2012, n. 2826) a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Ciò in ragione del carattere inoppugnabile del provvedimento finale, attributivo dell’utilitas all’aggiudicatario (Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006 n. 2846). Fermo restando, quindi, l'onere di impugnazione immediata dell'esclusione - quale atto endoprocedimentale di carattere direttamente ed autonomamente lesivo - rimane altresì fermo l'onere del concorrente escluso di estendere il gravame anche al provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l’indizione della gara, ovverosia l'atto di approvazione della graduatoria finale

L’aggiudicazione al Consorzio è sopravvenuta alla conclusione del giudizio di primo grado e non è stata impugnata. Lo conferma la stessa Del Vecchio nella memoria del 27 febbraio 2019, affermando la non necessità dell’ulteriore gravame dal momento che tale aggiudicazione si porrebbe in rapporto di consequenzialità immediata, diretta e necessaria con l’esclusione, con la conseguenza che dall’accoglimento dell’appello principale, e dunque dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento di autotutela, deriverebbe l’effetto diretto della caducazione dell’aggiudicazione.

Le argomentazioni dell’appellante non sono condivisibili.

L’utilità finale che l’operatore economico intende conseguire attraverso il giudizio avverso gli atti della procedura di aggiudicazione è l’affidamento dell’appalto, quale che sia il provvedimento impugnato e, nel caso di atto diverso dall’aggiudicazione, quale che sia l’utilità strumentale immediatamente perseguita (nel caso, ad esempio, dell’impugnazione dell’esclusione è la riammissione alla procedura); passaggio necessario, a tal fine, è comunque l’eliminazione dell’aggiudicazione ad altro concorrente. Siccome, poi, tale eliminazione non consegue per caducazione automatica dall’annullamento di un atto prodromico in quanto i vizi di questo si riverberano sul provvedimento di aggiudicazione in via derivata, qualora il giudizio sia stato instaurato nei confronti di un atto della procedura che precede l’aggiudicazione, l’impugnazione di questa si rende necessaria per procurarsi l’utilità avuta di mira (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2019, n. 830; 16 luglio 2018, n. 4304).

Tale conclusione si estende anche al caso in esame in cui l’aggiudicazione della gara è stata disposta in conseguenza dell’esclusione dell’originaria aggiudicataria; anche in tale ipotesi, infatti, un’eventuale decisione di annullamento dell’esclusione non varrebbe a rimuovere anche l’aggiudicazione, che sarebbe affetta da un’invalidità ad effetto solo viziante e non caducante, e perciò non permetterebbe un reinserimento dell’escluso nella procedura, ormai esaurita ed inoppugnabile (Cons. St., sez. V, 28 luglio 2015, n. 3798).

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’appello principale consegue l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’appello incidentale.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dichiara: a) inammissibile l’appello principale; b) improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’appello incidentale.

Condanna l’appellante principale alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in € 2.000,00 a favore di ciascuna delle parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Guida alla lettura

Nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, l’appellante aveva proposto ricorso avverso il provvedimento di esclusione disposto nei suoi confronti mentre la Società appellata eccepisce l’inammissibilità dell’appello in quanto la stessa appellante non aveva impugnato l’aggiudicazione medio tempore intervenuta.

Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso in quanto “E’ principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa che il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara precedenti l’aggiudicazione – normalmente il provvedimento che ne ha disposto esclusione – è tenuto ad impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2018, n. 4304; V, 28 luglio 2015, n. 3708; V, 4 giugno 2015, n. 2759, V, 9 marzo 2015, n. 1185; V, 17 maggio 2012, n. 2826) a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse”.

La questione è quella del rapporto tra l’impugnazione del provvedimento di esclusione (che è un atto endoprocedimentale) e l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione (che è l’atto terminativo di tutto il procedimento).

Il Consiglio di Stato ritiene che la prima debba essere necessariamente seguita dalla seconda, in quanto il fine ultimo perseguito da chi impugna il provvedimento di esclusione disposto nei suoi confronti è, in prima battuta, quello di ottenere la propria riammissione alla procedura, ma in realtà è, sostanzialmente, quello di contestare l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione disposto a favore del concorrente individuato quale affidatario: non serve a nulla proporre un ricorso sostenendo di essere stati esclusi illegittimamente se poi non si sostiene anche – mediante un separato ed autonomo ricorso - l’illegittimità della determina di affidamento adottata in favore di altro concorrente.

Se la determina di aggiudicazione viene adottata quando è ancora pendente il ricorso proposto avverso il provvedimento di esclusione, non impugnare la determina stessa vuol dire che poi un eventuale accoglimento del ricorso non darebbe alcuna utilità pratica al ricorrente, in quanto la sentenza di accoglimento accerterebbe sì il diritto del ricorrente di essere ammesso a partecipare ma non priverebbe di effetti il provvedimento di aggiudicazione, il quale quindi continuerebbe ad esplicare tranquillamente i suoi effetti, con tutte le conseguenze del caso (ossia stipula del contratto ed esecuzione di quest’ultimo).

Ciò in quanto, in forza del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il giudice investito del ricorso contro l’esclusione non può pronunciare anche sull’eventuale illegittimità dell’aggiudicazione.

Tale principio – noto anche come “principio del dispositivo” – è stabilito dall’art. 34 del D.lgs. 104/2010 (d’ora in poi “CPA”), a norma del quale il Giudice accoglie il ricorso “nei limiti della domanda”.

Egli, quindi, non può concedere al ricorrente un beneficio superiore a quanto richiesto.

Si tratta, quindi, di vedere se, nell’ambito del CPA, si possano individuare norme dalle quali risulti che in realtà vi sono dei casi in cui il Giudice, nonostante il disposto dell’art. 34, può estendere gli effetti della pronuncia di accoglimento del ricorso anche ai provvedimenti adottati dalla stazione appaltante in tempo successivo a quello che è stato oggetto del ricorso stesso.

Ad esempio, l’art. 121 comma 1 del CPA prevede quanto segue: “Il giudice che annulla l'aggiudicazione dichiara l'inefficacia del contratto”.

E tale inefficacia viene dichiarata “in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto”.

Se si guarda con attenzione ai termini usati dal legislatore, sembrerebbe che la pronuncia di inefficacia del contratto – a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento dell’aggiudicazione – consegua non già ad una apposita, specifica, istanza della parte ricorrente, bensì ad un’autonoma valutazione del Giudice, il quale decide in tal senso non in base ad una precisa “domanda” del ricorrente, esplicitata nelle conclusioni del ricorso, ma in considerazione (“in funzione”) delle osservazioni formulate da quest’ultima. Al Giudice il ricorrente ha chiesto di annullare l’aggiudicazione: ebbene, il Giudice, oltre che accogliere il ricorso, stabilisce poi di dichiarare inefficace il contratto e lo fa perché ritiene – considerate le “deduzioni”, ossia le argomentazioni (e non le “conclusioni”) del ricorrente -  che l’interesse finale perseguito con il ricorso sia quello di veder privato di effetti il contratto (la cui stipula ha costituito la parte terminale di tutta la procedura), ovvero l’atto negoziale successivo all’aggiudicazione ed esecutivo di quest’ultima.  

Allo stesso modo, l’art. 122 del CPA prevede quanto segue: “il giudice che annulla l'aggiudicazione stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta”.

Anche in questo secondo caso (che è residuale rispetto alla casistica dell’art. 121) la declaratoria di inefficacia del contratto consegue non già ad una precisa ed apposita istanza della parte ricorrente bensì ad una discrezionale valutazione che tiene conto dell’ interesse di quest’ultima (“interessi delle parti”), il quale non necessariamente deve essere stato esplicitato mediante la formulazione di una specifica “domanda”.

Pertanto, non pare essere poi così inattaccabile il principio affermato dal Consiglio di Stato, secondo cui il concorrente che abbia impugnato il provvedimento di esclusione emanato ai suoi danni deve necessariamente impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto.

Infatti, in base ad un’analisi attenta delle espressioni contenute negli artt. 121 e 122 del CPA, la declaratoria di inefficacia del contratto sembra essere pronunciata dal Giudice come conseguenza automatica dell’accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento dell’aggiudicazione, e quindi a prescindere da una specifica istanza di parte: la finalità perseguita dal ricorrente è, naturalmente, quella di ottenere l’inefficacia del contratto, e quindi deve considerarsi implicita (in re ipsa) nel suddetto ricorso, il quale rappresenta soltanto un mezzo per raggiungere il fine ultimo, che è appunto quello di evitare che il contratto inizi a produrre effetti.

Per la stessa ragione, allora, il Giudice il quale accolga il ricorso proposto avvero il provvedimento di esclusione del concorrente dovrebbe considerare pressochè automatica la pronuncia di annullamento dell’aggiudicazione: anche in tal caso, infatti, è del tutto naturale (in re ipsa) che la finalità perseguita dal ricorrente è quella di ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione che dovesse venire eventualmente disposta a favore di un altro concorrente, e quindi di assicurarsi il rifacimento ex novo della procedura. 

Non si capisce perché tale “automatismo” possa venire a delinearsi in merito al rapporto tra annullamento dell’aggiudicazione ed inefficacia del contratto (artt. 121 e 122 del CPA) – ovvero tra l’atto conclusivo della procedura ed il contratto - e non possa invece sussistere in ordine al rapporto tra accoglimento del ricorso contro l’esclusione e determina di aggiudicazione, ossia tra l’atto endoprocedimentale ed il provvedimento finale.

Di conseguenza, nel caso di specie, il Giudice di primo grado, una volta accolto il ricorso avverso il provvedimento di esclusione, avrebbe dovuto (o, quanto meno, potuto) estendere gli effetti di tale accoglimento anche alla futura determina di aggiudicazione.

Tuttavia, alle considerazioni su esposte si potrebbe replicare quanto segue.

L’art. 34 comma 2 del CPA stabilisce che “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”. Quindi, il Giudice chiamato a decidere sul ricorso avverso il provvedimento di esclusione, non può decidere anche in merito alla sorte del futuro provvedimento di aggiudicazione: e ciò in quanto, appunto, la determina di aggiudicazione, non essendo stata ancora adottata al tempo in cui è stato accolto il ricorso avverso il provvedimento di esclusione, rappresentava, in quel momento, un “potere amministrativo non ancora esercitato”.

Peraltro, a parere di chi scrive, non va trascurato quanto prevede lo stesso comma 2 dell’art. 34 CPA, allorquando stabilisce che “il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento di cui all'articolo 29”.

Tale norma sancisce il principio per il quale il Giudice non può decidere su un vizio di legittimità del provvedimento che il privato avrebbe dovuto far valere mediante l’azione ordinaria di annullamento.

Da tale norma si ricava, a contrario, che, quando il privato non può esercitare l’azione di annullamento avverso il provvedimento conclusivo del procedimento (e non la può esercitare in quanto tale provvedimento è solo probabile ma non è ancora stato adottato), il Giudice chiamato a decidere su un ricorso avverso un atto endoprocedimentale può estendere gli effetti della propria pronuncia anche a quello che sarà l’atto conclusivo del procedimento, di modo che tale atto sia conforme al contenuto della pronuncia stessa. E ciò in quanto la sentenza che sancisce l’illegittimità dell’atto endoprocedimentale non può che avere, nei confronti della futura attività della PA (e quindi della futura determina conclusiva del procedimento), un “effetto conformativo”.

Un simile effetto avrebbe il pregio di evitare alla PA di adottare una determina (nel nostro caso, di aggiudicazione) contrastante con un precedente accertamento giudiziale di illegittimità dell’atto endoprocedimentale (nel nostro caso, il provvedimento di esclusione): una determina di questo tipo -  oltre ad assumere il carattere di un atto adottato in violazione del giudicato (caso che si verificherebbe nel caso in cui, avverso la sentenza che abbia deciso sul ricorso avverso l’esclusione, non sia stato proposto alcun ricorso), il che configurerebbe un’ipotesi, neanche tanto peregrina, di nullità ex art. 21 septies della Legge 241/90 – esporrebbe comunque la PA ad un (praticamente certo!) secondo ricorso da parte del ricorrente il quale abbia ottenuto l’annullamento dell’atto endoprocedimentale, con la conseguenza di un (a quel punto, pressoché certo!) annullamento, per via giurisdizionale, della determina stessa, con tutto quel che ne seguirebbe in termini di declaratoria di inefficacia del contratto ex artt. 121 e 122 CPA e senza trascurare l’eventualità di una condanna della stazione appaltante alle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 123 del CPA (ove il contratto non possa essere dichiarato inefficace oppure venga dichiarato inefficace solo parzialmente).

Quindi la norma contenuta nell’art. 34 comma 2 del CPA dovrebbe essere rivisitata nel senso di attribuire al Giudice, il quale abbia dichiarato illegittimo il provvedimento endoprocedimentale di esclusione, il potere di “conformare” tutti i successivi atti della procedura di appalto al contenuto di tale pronuncia: a meno che si continui a ritenere preferibile, in nome di una dogmatica concezione del principio della “domanda”, onerare il privato, vittorioso in ordine all’atto endoprocedimentale, dell’obbligo di inoltrare un nuovo ricorso avverso la determina di aggiudicazione, con tutti gli scenari sopra descritti.