1.L’attività regolatoria e di vigilanza dell’ANAC; 2.I precedenti casi di legittimazione ad impugnare; 3.La legittimazione attiva dell’ANAC, ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell’art.211 del Codice dei contratti pubblici; 4.Il Regolamento ANAC del 13.06.2018; 5.Considerazioni conclusive

1.Nell’attuale assetto normativo l’attività regolatoria dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che assume una valenza anche interpretativa, snodandosi sia attraverso l’adozione di linee guida, bandi-tipo e determinazioni a valenza generale, sia attraverso delibere di portata particolare, risulta interconnessa con la funzione cd. di “vigilanza preventiva” affidata alla stessa Autorità.

A fianco della vigilanza attivata d’ufficio o su segnalazione, hanno assunto particolare rilievo e incremento la cd. “vigilanza collaborativa” (una particolare forma di verifica preventiva a supporto ed affiancamento delle Amministrazioni, nella fase antecedente alla formale adozione dei provvedimenti inerenti le gare: cfr. Regolamento ANAC del 28 giugno 2017) e la “vigilanza speciale” (ad es., verifiche sugli interventi d’urgenza, monitoraggio lavori “Legge Obiettivo”, vigilanza su ATAC S.p.A., protocollo d’azione sottoscritto con ANAS S.p.A.), oltre che l’attività dell’Unità Operativa Speciale, per quanto concerne particolari eventi (EXPO 2015, Giubileo della Misericordia, sito Bagnoli-Caroglio, ricostruzione post sisma, Universiadi 2019, Expo 2020 Dubai).

Da ultimo, è stata riconosciuta all’ANAC  la legittimazione processuale attiva - da espletare con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato -, che fa da “cerniera” tra il perseguimento degli obiettivi di legalità e la garanzia del concreto ed effettivo rispetto dei principi del nostro ordinamento giuridico.

In particolare, l’articolo 211, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 e successive modifiche ed integrazioni,  prevede la legittimazione ad agire in giudizio dell’ANAC per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; mentre il successivo comma 1-ter prevede che l’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del Codice dei contratti pubblici, emette, entro sessanta giorni dalla notifica della violazione, un parere motivato nel quale indica specificatamente i vizi di legittimità, trasmettendolo alla stazione appaltante; se quest’ultima non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’Autorità può  presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al Giudice amministrativo.

2.La ratio della previsione normativa di tali ulteriori strumenti può essere prospettata in questi termini: premesso che le violazioni delle norme del Codice dei contratti pubblici, tra cui quelle sulla pubblicità e sulle procedure che garantiscono a tutti gli operatori l’accesso al mercato, nel rispetto della par condicio, si riflettono in una lesione del “principio di concorrenza” e considerato che l’Autorità è istituzionalmente preposta alla tutela di tale principio e, più in generale, di quelli che informato il settore degli appalti pubblici, ne discende che alla stessa possa riconoscersi la legittimazione processuale attiva.

Anche in sede penale, con riferimento a procedimenti riguardanti l’attività di alcune SOA, è stata ammessa la costituzione di parte civile di ANAC (cfr., ex multis, ordinanza resa nel procedimento n.11382/16), motivando nel senso che “Appare evidente come sia il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sia l’ANAC abbiano un interesse diretto ed immediato nel settore degli appalti pubblici nel quale sarebbero maturate le azioni delittuose di corruzione e falso nel rilascio di attestazioni di qualificazione per l’affidamento dei lavori pubblici….Con particolare riferimento all’ANAC, deve rilevarsi che il decreto legge n.90/2014 convertito in legge n.114/2014, sopprimendo l’AVCP e trasferendo le competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici all’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha ridisegnato la missione istituzionale di tale ente: questa può essere individuata nella prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi.

Pertanto, la circostanza che siano state avviate le procedure sanzionatorie previste dalla legge non esclude la possibilità dell’ANAC, quale ente incaricato normativamente della  tutela dell’interesse al corretto svolgimento delle attività nell’ambito dei contratti pubblici, di agire nel presente giudizio per rimuovere gli ostacoli al perseguimento dell’interesse affidatogli per legge, chiedendo il risarcimento dei danni subiti in conseguenza delle condotte illecite contestate agli imputati, come detto, chiamati a rispondere a vario titolo di diversi episodi di corruzione e falso nel rilascio di attestazioni di qualificazione per l’affidamento dei lavori pubblici da parte dell’ […], società esercente la funzione di certificazione mediante l’adozione delle attestazioni di qualificazione ai sensi del DPR 34/2000”.

L’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici legittima e giustifica l’intervento in giudizio dell’ANAC, nei diversi ambiti e rivestendo differenti posizioni, che trovano un compendio nella tutela dell’interesse pubblico di ci risulta per legge affidataria.

Nel secondo caso, introdotto dal comma 1-ter, l’impugnativa in questione viene invece configurata come extrema ratio nelle ipotesi in cui, nonostante le contestazioni mosse dall’Autorità, i soggetti su cui la stessa esplica il potere di vigilanza, si rifiutassero di modificare gli atti illegittimi in modo conforme alle osservazioni effettuate dall’Autorità.

Ciò al fine di evitare una tutela “zoppa”, non pienamente effettiva e satisfattiva. Non si vuole incentivare un protagonismo processuale dell’Autorità. L’attribuzione della legittimazione processuale attiva – alle condizioni e con i limiti previsti – collima, non collide con i compiti istituzionali alla stessa affidati.

D’altra parte non mancano i precedenti in ambito di ipotesi speciali di legittimazione attiva.

Con l’art.35 del D.l. n. 201/2011 (Decreto salvaItalia), convertito, con modificazioni, dalla Legge n.214 del 2011, il legislatore ha riconosciuto  all’Autorità garante della concorrenza e del mercato un ruolo centrale ampliandone i poteri, mediante l’introduzione, nella Legge n.287/2010, dell’art.21bis che conferisce all’Autorità la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti di regolamenti, atti amministrativi generali e provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione, che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.

In particolare, l’Autorità, se ritiene che una Pubblica Amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle suddette norme, procede preliminarmente all’emanazione di un parere motivato, nel quale indica alla stessa  gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se l’Amministrazione non si conforma, nei 60 giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i 30 giorni successivi.

Il Consiglio di Stato ( sez. IV, 28.01.2016, n.323) ha evidenziato che il ricorso in questione deve essere preceduto, a pena di inammissibilità, da un parere motivato diretto all’Amministrazione interessata.

La richiamata previsione non costituisce certo un unicum nel nostro sistema.

Si consideri il potere riconosciuto già nel 1997 al Ministero delle Finanze di impugnare, per qualsiasi vizio di legittimità, davanti agli Organi di giustizia amministrativa regolamenti comunali in materia di entrate tributarie (art.52, comma 4, del d.lgs. n.446/1997).

La Banca d’Italia e la CONSOB, inoltre, sono state da tempo legittimate ad impugnare le deliberazioni o gli atti delle società vigilate adottati in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria (artt.14, 62, 110, 121 e 157 del d.lgs. n.58/1998), mentre l’art.6 della Legge n.168/1989, richiamato dall’art.2, comma 7, della Legge n.240/2010, ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca uno specifico potere di impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si fossero adeguati ai propri rilievi di legittimità.

L’art.36 del D.l. n.1/2012 ha poi attribuito all’Autorità di regolazione dei trasporti la legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale, davanti al TAR del Lazio, in materia di “servizio taxi”.

Le disposizioni sopra riportate hanno dato luogo, soprattutto in dottrina [i], ad ampio dibattito, evidenziandosi, innanzitutto, la difficoltà di postulare che la legittimazione a ricorrere da parte di un’Autorità si possa giustificare richiamando i tradizionali parametri della titolarità di un interesse legittimo e dell’interesse personale, concreto ed attuale, a rimuovere la lesione di una situazione giuridica soggettiva.

Perplessità sono state sollevate da chi ha chiarito che è proprio la natura e la funzione attribuita all’Autorità che porta ad escludere la possibilità che un soggetto deputato alla regolamentazione in un determinato settore possa assurgere a titolare di una pubblica funzione giurisdizionale, da taluni paragonata a quella del P.M. nel processo penale.

D’altra parte, è stato evidenziato il rischio di un sostanziale mutamento del tradizionale giudizio amministrativo in giurisdizione di “diritto oggettivo”.

Già l’introduzione dell’articolo 21-bis nella L. n.287/2010 succitata, norma di portata eccezionale (con le implicazioni che ne derivano per ciò che concerne l’interpretazione  di “amministrazioni pubbliche”, ed i dubbi sull’estensione anche alle imprese pubbliche ed agli organismi di diritto pubblico), ha avuto delle innegabili e dirompenti implicazioni anche sul piano processuale: in dottrina si è ravvisato nella norma in questione un tentativo di oggettivizzazione del giudizio amministrativo, a presidio dell’interesse pubblico alla tutela della concorrenza e del mercato, in discontinuità con i principi generali che governano tradizionalmente il processo amministrativo, ed in specie con quello “dispositivo” e “dell’impulso di parte” (il Giudice si pronuncia solo sulla base dei motivi dedotti dal ricorrente, il quale può sempre rinunciare al ricorso; il quadro probatorio tiene conto delle istanze delle parti, salvo quel peculiare temperamento che consiste nel “metodo acquisitivo”).

Non si è  mancato di rilevare che il “principio di effettività della tutela giurisdizionale” di cui agli artt.24 e 113 Cost. si spiega sul piano funzionale solo se si parte dal presupposto che il processo serva a proteggere i singoli, anziché ad attuare la legalità in termini generali e assoluti.

D’altra parte, è anche vero che non mancano casi in cui il nostro ordinamento ammette, riconosce una sorta di “giurisdizione di diritto oggettivo”.

Si pensi ai ricorsi aventi ad oggetto i regolamenti: l’accoglimento del ricorso provoca l’annullamento del regolamento con effetti erga omnes,  altrimenti, visti i limiti del controllo svolto dalla Corte Costituzionale solo sulle leggi, i regolamenti andrebbero esenti da ogni sindacato giurisdizionale di legittimità.

Non sono mancate iniziative legislative poi non approdate all’esito conclusivo: nel corso dell’XI legislatura era stato discusso un disegno di legge governativo che conferiva al Prefetto, d’ufficio o su denuncia, il potere di proporre ricorso al TAR competente per l’annullamento di un atto illegittimo, sempre che l’ente locale, previamente diffidato, non avesse provveduto a revocare o modificare l’atto e sussistesse un interesse pubblico alla sua rimozione.

Inoltre, il D.l. n.54/1993, art.3, poi non convertito in tale parte, aveva attribuito al Procuratore regionale della Corte dei Conti il potere in via autonoma di proporre ricorso davanti al TAR avverso atti e provvedimenti delle PA, “in vista dell’interesse generale al buon andamento e all’imparzialità di esse, a tutela della legittimità dell’azione amministrativa” e che potesse altresì resistere e intervenire nei giudizi pendenti innanzi al TAR, nonché proporre appello.

Nel contrastare tali iniziative si era sottolineato in dottrina che tale giurisdizione, piena e sindacatoria, sarebbe stata assimilabile ad una funzione di controllo e suscettibile persino di sconfinare nel “merito dell’azione amministrativa”.

Si è detto che  il compito  immediato della giustizia amministrativa non è quello di assicurare obiettivi generali di giustizia, legalità o miglior cura dell’interesse generale in modo assoluto, capillare e totalizzante. Il suo compito è quello di  assicurare la protezione dei diritti ed interessi dei singoli, quando tali interessi abbiano raggiunto la soglia della situazione soggettiva tutelabile.

Si potrebbe però replicare che l’interesse legittimo, essendo quella situazione soggettiva che dialoga con il potere pubblico e con esso si confronta, si misura con un effetto giuridico che per sua natura ha pur sempre una portata generale e meta-individuale.  Non viene più in gioco un interesse legittimo ma è come se rilevasse un interesse più ampio alla realizzazione di un interesse pubblico generale, che sappiamo essere ammesso invece eccezionalmente nei casi di azione popolare e pressoché esclusivamente nel contenzioso elettorale.

D’altra parte, non possiamo non considerare che nel corso degli ultimi anni il processo amministrativo ha registrato l’ingresso di nuovi istituti, che hanno sicuramente inciso sui propri connotati, adattandolo ai processi evolutivi in atto.

Si consideri la class action  nei confronti della PA, che mira a sollecitare un controllo giudiziale, tramite iniziativa diffusa tra i singoli interessati, sui livelli di efficienza dell’amministrazione (l’istituto è disciplinato dal D.Lgs. n.198/2009, con la denominazione di “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari  di servizi pubblici”): l’attore utilizza una posizione individuale che sembra sganciarsi dalla solida consistenza giuridica dell’ “interesse legittimo” e del “diritto soggettivo”.

Rilievo assumono, sotto il profilo in esame,  anche le “sanzioni alternative” di cui all’ art.123 Codice del processo amministrativo. Si tratta di quelle sanzioni consistenti o nella riduzione della durata del contratto o in una sanzione pecuniaria, che vengono comminate anche ex officio dal Giudice amministrativo quando questi, pur avendo identificato delle violazioni gravi commesse dalla stazione appaltante, abbia ritenuto di conservare l’efficacia del contratto, per tutelare imperative esigenze di interesse generale. Ecco che riaffiora un “interesse metaindividuale”.

In tale mutato contesto hanno trovato ingresso, da ultimo, i casi di riconoscimento della legittimazione processuale attiva alle Autorità indipendenti sopra enucleati.

Se vogliamo individuare un filo conduttore tra tali istituti, possiamo coglierlo nell’introduzione di  forme di giurisdizione che mirano a tutelare posizioni non riconducibili a interessi soggettivamente pregnanti.

3.Una lettura costituzionalmente orientata delle norme di nuovo conio porta ad escludere lo sdoganamento di una giurisdizione amministrativa, assimilabile ad una funzione di controllo e suscettibile persino di sconfinare nel merito dell’azione amministrativa, compromettendo così i criteri generali della divisione dei poteri.

In particolare, con riferimento alla norma di cui al comma 1-ter dell’art.211 succitato, la previsione di un procedimento articolato, con la formulazione di un parere (che è auspicabile venga recepito dalla stazione appaltante), nonché la delimitazione degli atti impugnabili – ai sensi del comma 1-bis - e dell’ambito al quale ancorare la formulazione  di vizi di legittimità (“le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”),  senza impingere nel “merito dell’azione amministrativa”, inducono ad escludere che si sia al cospetto di un Pubblico Ministero di settore, nell’ambito del processo amministrativo.

D’altra parte, la legittimazione attiva delle Autorità indipendenti non può essere inserita nemmeno nell’ambito della rappresentanza processuale degli “interessi diffusi” che il legislatore ha riconosciuto, ad es. nel campo ambientale e degli interessi economici (Codice del Consumo).

Le Autorità, infatti, non fanno valere in giudizio situazioni giuridiche proprie, né sono assimilabili ad enti collettivi, in quanto non sono titolari di un interesse legittimo in senso proprio, potendo (e dovendo) attivarsi per la tutela e la realizzazione di un interesse generale (alla concorrenza o alla par condicio, trasparenza, concorrenza nel settore degli appalti pubblici ) che, per un verso, finisce per coincidere con una sommatoria di interessi di mero fatto ascrivibili alla collettività e, per un altro verso, restando comunque generico, non assume i caratteri di una situazione soggettiva strettamente imputabile ad un soggetto di diritto.

Giova ad un corretto inquadramento del potere di legittimazione attiva dell’ANAC, di recente introduzione, l’analisi del dettato normativo in commento.

Innanzitutto, i commi di interesse si collocano all’interno dell’art.211 rubricato “Pareri di precontenzioso dell’ANAC”, strumento con finalità deflettiva che ha registrato un notevole incremento negli ultimi anni (cfr. Relazione annuale ANAC 2017) ed ha subito un lifting nel recente D.Lgs. n.50/2016.

Nell’attuale Codice viene riconosciuto all’Autorità un ruolo rafforzato nel sostegno alla legalità e, in veste di “garante”, “arbitro” del sistema, ne vengono implementati e valorizzati gli  strumenti  di cui in parte era già stata dotata, sin dalla sua costituzione;  al fine di ridurre gli aspetti “patologici”, ci si concentra su quelli “fisiologici”, con un maggiore coinvolgimento dei soggetti interessati.

I commi 1-bis e 1-ter sono stati aggiunti dall’art.52-ter, comma 1, D.L. 24 aprile 2017, n.50, convertito, con modificazioni,  dalla Legge 21 giugno 2017, n.96; mentre è stato abrogato  dall’art.123, comma 1, lett. b), D.Lgs. 19 aprile 2017, n.56 l’originario comma 2 dell’art.211, che consentiva all’ANAC, nel caso in cui riteneva sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura gara, di invitare la stazione appaltante, mediante “atto di raccomandazione” (impugnabile innanzi agli Organi della giustizia amministrativa),  ad agire in autotutela e a rimuovere gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni, pena l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, posta a carico del dirigente responsabile.

La specifica collocazione sistematica, il superamento della previsione da ultimo citata e l’introduzione dei due commi in esame inducono a qualificare i nuovi poteri affidati dal legislatore all’ANAC come espressione della funzioni di vigilanza e di soggetto terzo, garante del rispetto della normativa vigente nel settore dei contratti pubblici, nonché della finalità deflattiva del contenzioso, individuabile in relazione al comma 1-ter.

La prima ipotesi è limitata alla “impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante”, nei casi in cui appaiono viziati per violazione delle norme in materia di contratti pubblici.

Anche la standardizzazione della documentazione di gara può essere letta in un’ottica deflattiva, comportando una semplificazione procedurale, una progressiva riduzione dei costi relativi allo svolgimento della gara, e soprattutto l’abbattimento del contenzioso amministrativo. Con la codificazione dei bandi-tipo il legislatore ha consentito all’Autorità di intervenire nella fase prodromica allo svolgimento delle procedure di gara, predisponendo non più e non solo modelli a carattere settoriale.

In tale ottica non può che apparire coerente il potere di impugnare i bandi e gli altri atticon valenza generale e/o riguardanti contratti di forte impatto.

La seconda ipotesi di esercizio del potere di impugnazione  è più articolata, essendo preceduta da una fase procedimentale, che si sostanzia nell’emanazione di un parere motivato, in cui vengono individuati in maniera specifica i vizi di legittimità riscontrati (ie. “gravi violazioni del Codice dei contratti”).

La ratio che ispira la previsione in commento può ritenersi pervada anche il differente istituto del “soccorso istruttorio”, in un’ottica di pronto intervento, emendativo di eventuali vizi e/o errori nell’espletamento delle attività amministrativa, senza dovere attendere un intervento giurisdizionale.

Si tratta di una sollecitazione all’esercizio del potere di autotutela amministrativa, la quale raggiunge il suo scopo allorquando l’Amministrazione si conforma al parere.

Tra le due figure previste dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n.241/1990 sarà la seconda a venire in rilievo. Nel caso in cui non sia possibile emendare i vizi, senza annullare in toto l’atto, la PA dovrà appurare se esistono i requisiti prescritti dalla legge per un legittimo esercizio dei poteri di “annullamento d’ufficio” (considerando anche la data di emanazione dell’atto, gli effetti prodotti, il coinvolgimento delle posizioni soggettive di terzi, l’affidamento ingenerato).

Se i requisiti non sussistono e la Pubblica amministrazione, valutando le peculiarità della fattispecie specifica, giunge alla determinazione di non annullare in autotutela, rispettando l’obbligo di pronunciarsi motivatamente, in tal caso l’Autorità potrà proporre ricorso?

La norma in commento è congegnata in modo tale che non vi è automatismo tra mancata conformazione al parere ed azione dell’Autorità: può presentare il ricorso.

Lo stesso Regolamento adottato dall’ANAC prevede, all’art.10, che “L’ufficio competente, preso atto delle azioni intraprese dalla stazione appaltante ovvero della mancata conformazione della medesima al parere, rimette al Consiglio dell’Autorità la decisione sulla proposizione del ricorso avverso l’atto che si assume illegittimo”.

Ma vi è un ulteriore profilo che  merita attenzione: in via generale, l’avvio del potere di autotutela decisorio non è obbligatorio, a seguito della presentazione di una istanza di un soggetto esterno. Proprio per questo si ritiene sia da escludere che il privato possa autonomamente  contestare alla Stazione appaltante  la violazione di norme sui contratti pubblici (“surrogandosi” all’Autorità) provocando l’obbligo di pronunciarsi per la PA e magari, per questa via, garantirsi una impropria riapertura del termine di impugnazione che fosse già scaduto, magari predisponendo un’azione contro l’eventuale silenzio.

4. In attuazione del comma 1-quater dell’art.211, l’ANAC, in data 13 giugno 2018 ha adottato il Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 e successive modifiche ed integrazioni, tenendo conto del parere del Consiglio di Stato n.445/2018 del 4 aprile 2018.

In particolare, sono stati espressamente enucleati gli atti impugnabili, le fattispecie legittimanti il ricorso, il procedimento per l’emissione del parere motivato,  le modalità di proposizione del ricorso, nonché i rapporti con altri procedimenti dell’Autorità  e le forme di pubblicità delle relative delibere.

L’ANAC ha individuato, quali atti impugnabili ai sensi del comma 1-bis, oltre i contratti di rilevante impatto: i regolamenti e atti amministrativi di carattere generale, quali bandi, avvisi, sistemi di qualificazione degli operatori economici istituiti dagli enti aggiudicatori nei settori speciali, atti di programmazione, capitolati speciali di appalto, bandi-tipo adottati dalle stazioni appaltanti, atti d’indirizzo e direttive che stabiliscono modalità partecipative alle procedure di gara e condizioni contrattuali; provvedimenti quali delibere a contrarre, ammissioni ed esclusioni dell’operatore economico dalla gara, aggiudicazioni, validazioni e approvazioni della progettazione, nomine del RUP e della Commissione giudicatrice, atti afferenti a rinnovo tacito, provvedimenti applicativi della clausola di revisione prezzi e dell’adeguamento dei prezzi, autorizzazioni del Responsabile del procedimento e/o approvazioni di varianti o modifiche, affidamenti di lavori, servizi o forniture supplementari.

Per quanto riguarda il comma 1-ter, sono considerate “violazioni gravi” legittimanti l’emissione di un parere motivato e, in caso di mancato adeguamento, il ricorso al Giudice amministrativo, le seguenti: l’affidamento di contratti pubblici senza previa pubblicazione di bando o avviso, ove prescritta; l’affidamento mediante procedura diversa da quella aperta e ristretta fuori dai casi consentiti, e quando questo abbia determinato l’omissione di bando o avviso ovvero l’irregolare utilizzo dell’avviso di pre-informazione; atto afferente a rinnovo tacito dei contratti pubblici; modifica sostanziale del contratto che avrebbe richiesto una procedura di gara ai sensi degli artt. 106 e 175 del Codice; mancata o illegittima esclusione di un concorrente nei casi previsti dagli artt. 80 e 83, comma 1, del Codice; contratto affidato in presenza di una grave violazione degli obblighi derivanti dai Trattati; mancata risoluzione del contratto nei casi di cui all’art.108, comma 2, del Codice; bando o altro atto indittivo di procedure ad evidenza pubblica che contenga clausole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza.

Acquisita la notizia della violazione, nell’esercizio della propria attività istituzionale, ordinariamente d’ufficio (dando priorità nella valutazione alle segnalazioni trasmesse dall’Autorità giudiziaria amministrativa, dall’Avvocatura dello Stato, dal Pubblico Ministero, da ogni altra Amministrazione o Autorità Pubblica, ivi compresa quella giudiziaria ordinaria e contabile ),  o da parte di terzi, il procedimento si conclude con  l’emissione del parere motivato entro sessanta giorni dall’acquisizione della notizia (o dalla pubblicazione, per gli atti soggetti a pubblicità legale o notiziale).

Il parere è trasmesso alla Stazione appaltante, con contestuale assegnazione del termine (non superiore a sessanta giorni) entro il quale è invitata a conformarsi. Entro il medesimo termine viene informata l’Autorità in ordine alle azioni che la Stazione appaltante ha intrapreso.

Si specifica che l’Autorità non solo segnala “le violazioni riscontrate”, ma indica “i rimedi da adottare per eliminarle”.

Il ricorso, previa deliberazione del Consiglio dell’Autorità (o in casi d’urgenza previa decisione del Presidente, salvo ratifica), è proposto entro trenta giorni dalla ricezione della risposta ovvero dalla scadenza del relativo termine.

In ogni caso, lo spirare dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio o per l’emissione del parere motivato non pregiudica l’esercizio degli altri poteri istituzionali dell’Autorità.

Di rilievo è l’articolo 12 del Regolamento che disciplina i “Rapporti con altri procedimenti dell’Autorità”, prevedendo che l’esercizio dei poteri in questione determina la sospensione dei procedimenti di vigilanza, nonché dei procedimenti di precontenzioso preordinati all’emissione dei pareri non vincolanti, aventi il medesimo oggetto ed in corso, per tutta la durata del processo.

Diverso è il caso del precontenzioso preordinato all’emissione di parere vincolante, che non dà luogo all’esercizio dei poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter, mentre lo stesso parere è impugnabile ai sensi dell’art.120 c.p.a. e il Giudice, in caso di rigetto del gravame, valuta il comportamento della parte ricorrente, ai sensi dell’art.26 del c.p.a..

Attualmente si configura, dunque, un “doppio binario” nell’ambito dell’attività precontenziosa, a seconda della natura vincolante o meno che le parti intendano conferire al parere richiesto, con le conseguenze che ne derivano anche sotto il profilo processuale, come diffusamente enucleato dal Consiglio di Stato nel parere n.1920/2016 del 14.09.2016 sullo “schema di regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art.211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50”.

Il raggio d’azione è limitato alle “questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara” (che non siano già oggetto di esposti e procedimenti sanzionatori, in corso d’istruttoria presso l’Autorità) e il relativo procedimento  è snello, rapido e gratuito.

Il carattere vincolante conferisce natura provvedimentale e cogente al parere reso dall’ANAC, tant’è che ne è prevista l’impugnabilità; viceversa, il mantenimento del carattere facoltativo (come avvenuto, in via esclusiva, fino alla previsione dell’art.211 del nuovo Codice) rende in linea di massima non impugnabile l’atto, come acclarato dalla giurisprudenza amministrativa in più occasioni.

Peraltro, nell’attuale impianto normativo, nel valutare i requisiti reputazionali, si tiene conto anche dell’incidenza del contenzioso, sia in sede di partecipazione alle procedure di gara, che in fase di esecuzione del contratto, con conseguente ulteriore valorizzazione della vocazione paragiurisdizionale dell’istituto in questione.

Per completezza, lo schema di Regolamento correttivo in materia di precontenzioso e’ stato sottoposto di recente al parere del Consiglio di Stato che, all’esito dell’Adunanza del 29.05.2018 – con parere n.1632 del 26.06.2018 -, ha sospeso l’emissione del proprio parere, chiedendo ulteriori elementi e chiarimenti all’ANAC, non senza affrontare già comunque alcuni aspetti di rilievo.La Commissione ha, tra l’altro, suggerito di coordinare l’istituto  del precontenzioso con l’esercizio della legittimazione speciale introdotta dai commi 1-bis e 1-ter dello stesso art.211, alla luce di quanto previsto dal relativo Regolamento.

5.Le considerazioni espresse sembrano fornire alcune indicazioni di fondo. Alle Autorità indipendenti viene affidato il compito di garantire l’osservanza delle leggi e di impedirne la violazione. Il riconoscimento della legittimazione processuale attiva è proprio teso a rafforzare i poteri delle Autorità anche sul piano processuale, al fine di garantire l’osservanza delle norme poste a tutela degli interessi affidati alla cura delle stesse, da parte non solo dei privati, ma anche della Pubblica Amministrazione.

Il legislatore recentemente si è mosso nel solco della valorizzazione degli strumenti di intervento paragiurisdizionali (pareri, vigilanza collaborativa, determinazioni, segnalazioni, etc.). Dotare le Autorità – nei limiti normativamente previsti  – di legittimazione processuale attiva, senza però invadere il campo del “merito amministrativo”, non può che consentire un più adeguato ed effettivo raggiungimento degli obiettivi prefissati, anche mediante azioni volte al ripristino della legalità violata.

 


[i] F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, in www.giustamm.it, 30.01.2012; M.A. Sandulli, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art.21 bis L. 287 del 1990, in www.federalismi.it; A. Tonetti, L’Autorità di regolazione dei trasporti, in Giorn. Dir. Amm., 2012, 589 ss.