Relazione al Convegno organizzato dalla Presidenza del Consiglio – Commissario Straordinario per la Ricostruzione post-sisma 2016 e dall’U.N.A.E.P. presso il Senato della Repubblica il 16 gennaio 2024, intitolato: “IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI: IL PRIMO BILANCIO DI UN SEMESTRE DI NOVITÀ E CRITICITÀ”.

 

Avv. Marco Giustiniani, Responsabile dell’Ufficio del Consigliere Giuridico della Presidenza del Consiglio – Commissario Straordinario per la ricostruzione post-sisma 2016. Consigliere Giuridico presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo

 

1. Premessa; 2. Parametri di valutazione dell’efficacia del nuovo codice; 3. Vecchi codici e nuovo codice; 4. La deroga come strumento legislativo per rispondere all’emergenza; 5. Il rapporto del nuovo codice con le deroghe: il sistema speciale sisma; 6. Il rapporto del nuovo codice con le deroghe: il pnrr e il pnc; 7. Considerazioni conclusive

 

1. PREMESSA

 

Il compito che mi è stato assegnato in vista di questo Convegno è quello di svolgere una analisi dei primi sei mesi di applicazione del nuovo Codice dei contratti pubblici e della sua efficacia, con particolare riferimento al rapporto con le principali discipline speciali nate con l’allora Codice (d.lgs. n. 50/2016) e ancora oggi vigenti:

 

(i) quella inerente all’attuazione degli investimenti finanziati con il PNRR e il PNC; e

 

(ii) quella per la ricostruzione delle aree del Centro Italia colpite dagli ultimi grandi terremoti del 2016 e 2017;

 

e all’esito di questa analisi, azzardarmi a formulare un giudizio, un primo bilancio.

 

Tuttavia, per compiere una analisi di questo tipo occorre porsi una domanda in via preliminare: come si misura (o anche come si individua il metro di misura) dell’efficacia di una nuova disposizione o di un intero corpus normativo? Così da verificare – sia in sede di prima applicazione sia in chiave prospettica – se il nuovo Codice sia in grado, più di quanto avvenuto in passato, di consentire un rapido passaggio dalle “norme ai cantieri”, come ci ha ricordato il Commissario Straordinario.

 

 

 

2. PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL NUOVO CODICE

 

Il primo parametro che ci viene in mente – al pari di quanto già fatto in via amministrativa, dato poi rimbalzato su organi di stampa – non potrebbe non essere il numero di gare lanciate dall’entrata (reale) in vigore delle nuove norme rispetto al periodo immediatamente precedente (nel nostro caso il confine è il 1 luglio 2023). Tuttavia, tale parametro non sarebbe del tutto discretivo in quanto facilmente influenzabile dal fattore “U”: ossia il fattore Uomo che è fisiologicamente restio ai cambiamenti.

 

Il risultato, quindi, sarebbe tendenzialmente e quasi automaticamente negativo. Palesando così – almeno all’apparenza – una inefficacia dell’impatto del nuovo apparato normativo.

 

Del resto, questo vale sia per l’attuale Codice, ma anche per i due precedenti. Infatti, anche nel 2006 e nel 2016 si registrò una considerevole flessione delle gare lanciate nei primi mesi di vigenza, flessione che corrispondeva a una impennata del periodo esattamente antecedente; con il caso limite che si registrò nella notte tra il 18 e il 19 aprile del 2016 quando entrò in vigore il d.lgs. n. 50/2016 e alcune gare ‘spedite’ dalle stazioni appaltanti alla Gazzetta Ufficiale il giorno prima del 18 aprile (e quindi strutturate secondo il Codice del 2006) vennero pubblicate qualche giorno dopo generando così uno iato temporal-normativo che necessitò di un intervento dell’allora Presidente dell’ANAC per mettere ordine.

 

A ciò si aggiunga che - nel caso del d.lgs. n. 36/2023 - l’effetto di c.d. partenza al rallenty è stato ulteriormente incrementato dall’immediato avvio del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti che ha limitato drasticamente i centri di imputazione qualificati a lanciare le gare per l’acquisizione di commesse pubbliche.

 

Occorre, pertanto, cambiare prospettiva e individuare un diverso parametro. In quest’ottica potrebbe essere più idoneo assumere come parametro il numero delle deroghe (o delle modifiche) di cui necessita il nuovo corpus normativo (o che si ritengano necessarie) affinché lo stesso risulti concretamente applicabile al sistema sin da subito e così misurare in concreto la capacità delle nuove disposizioni di intervenire positivamente nei meccanismi di realizzazione di opere pubbliche e di acquisizione di beni e servizi da parte delle PP.AA.

 

Il rapporto sarebbe ovviamente calcolato in maniera inversamente proporzionale:

 

(i) maggiori saranno il numero delle deroghe (modifiche) intervenute nel lasso di tempo preso come riferimento; minore sarà l’efficacia delle nuove disposizioni;

 

(ii) minori saranno tali deroghe, maggiore invece l’efficacia.

 

Tale parametro si sposa, peraltro, perfettamente con il punto di visuale da cui mi è stato domandato di procedere a questa osservazione. Ossia quello dei due maggiori ‘settori’ degli investimenti in opere e servizi pubblici che hanno necessitato dell’introduzione di deroghe e modifiche in vigenza del vecchio Codice: i.e. l’attuazione del PNRR/PNC e la ricostruzione post-sisma.

 

 

 

3. VECCHI CODICI E NUOVO CODICE

 

Prima di avviare l’analisi vera e propria devo premettere una doverosa confessione per onestà intellettuale nei confronti di chi ascolta.

 

io sono nato professionalmente esattamente 20 anni or sono con ancora in vigore la Legge Merloni, i decreti legislativi del 1995 sugli appalti di servizi e su quelli nei settori esclusi e il d.P.R. del 1994 sulle forniture;

sono stato un vero e proprio fanatico del Codice De Lise del 2006; un codice strutturato in modo semplice, chiaro, in grado di spiegare una materia così complessa anche a un giurista alle prime armi quale ero; un codice, tuttavia, rovinato dalla miriade di interventi emendativi (per lo più di natura chirurgica e senza un logico filo rosso che li legasse) sul testo succedutisi nei successivi 10 anni;

sono stato invece stato molto più freddo nell’accogliere il Codice del 2016; lo trovavo più complicato nella lettura, forse anche troppo sovrastrutturato, in alcune parti superfetato (e ciò in contrasto con il divieto di gold plating invece correttamente richiamato tra i principi informatori in sede di delega), e - in fin dei conti - troppo focalizzato sulla concorrenza come fine, anziché sulla concorrenza come mezzo per il raggiungimento del risultato;

oggi, infine, è rivampata la passione per questo terzo Codice dei contratti pubblici. Un testo auto-esecutivo e auto-sufficiente, strutturato sulla falsa riga dello scheletro del così vecchio e sempre così moderno codice civile (Libro, Parte, Titolo, Capo, Articolo), con disposizioni condensate in articoli di lunghezza contenuta, a cui sono anteposti i principi che focalizzano finalmente la disciplina dei contratti pubblici non alla mera concorrenza, bensì al risultato che (anche) attraverso la concorrenza si persegue.

 

 

 

 

4. LA DEROGA COME STRUMENTO LEGISLATIVO PER RISPONDERE ALL’EMERGENZA

 

Stabiliti parametro e punti di visuale, passiamo ora all’analisi.

 

È, purtroppo, oramai acquisito a fattor comune che uno dei maggiori problemi della rallentata crescita dell’Italia negli ultimi trent’anni sia rappresentato dal deficit infrastrutturale e dai tempi troppo dilatati per la realizzazione di opere pubbliche cardinali. Tale stato patologico che oggi sta attraversando una delle sue fasi acute è, tuttavia, il frutto di una cronicizzazione dovuta a due principali fattori, tra loro in parte connessi:

 

l’incertezza, la ‘magmaticità’ e comunque la pesantezza dell’architettura legislativa sugli appalti pubblici, con la conseguente ‘paura della firma’ dei funzionari amministrativi;

l’eccessiva burocratizzazione del sistema.

Tale situazione è stata generata – anche e soprattutto – da una superfetazione dell’attività del legislatore in materia, richiamata più dall’esigenza del momento e dalla singola emergenza, piuttosto che da una visione di insieme.

 

Citando una nota Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, in Europa si interviene legislativamente sugli appalti pubblici una volta ogni dieci anni, in Italia dieci volte (e forse anche di più, aggiungo io) in un anno.

 

La ‘modifica’ legislativa, l’emendamento al testo originario e poi al testo a sua volta modificato, hanno rappresentato il maggiore dei sintomi della patologia che ha caratterizzato i dieci anni di vigenza del Primo Codice degli appalti (il d.lgs. n. 163/2006). L’emendamento al testo alla ricerca della norma perfetta ha generato un testo non più concreto ed efficace in sede applicativa.

 

Nell’arco di vigenza del Secondo Codice (il d.lgs. n. 50/2016) la patologia sintomatizzata dalla modifica è stata aggravata dall’insorgere di un’altra affezione: quella della ‘deroga’ legislativa.

 

In altre parole, alle modifiche al testo codicistico succedutesi sin da subito (a partire dal Comunicato Correttivo del 15 luglio 2016, a soli tre mesi dall’entrata in vigore, e dal massiccio intervento del primo decreto correttivo dell’aprile 2017, senza poi considerare gli ulteriori interventi generali di cui il decreto sblocca cantieri del 2019 ne è forse il massimo esempio), si sono aggiunte le c.d. deroghe per fronteggiare stati emergenziali o comunque eventi eccezionali che hanno reso ancora più evidente l’incapacità dell’impianto codicistico ordinario di rispondere alle esigenze della Nazione.

 

Il primo evento ha purtroppo coinciso con i terremoti che hanno colpito ampie aree (c.d. Cratere) delle Marche, del Lazio, dell’Abruzzo e dell’Umbria.

 

La risposta è stata rappresentata dall’ampio intervento operato con il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189. In tale sede è stata riconosciuto un consistente potere di deroga al nominato Commissario Straordinario (art. 2) anche in materia di contrattualistica pubblica al fine di consentire una rapida quanto compiuta ricostruzione (e poi riparazione) dei ‘territori’. Tali poteri sono stati via via specificati ed estesi con il d.l. n. 76/2020 (art. 11, per interventi di natura speciale), con il d.l. n. 77/2021 (art. 14-bis, per gli interventi finanziati con il PNC Sisma) e con il d.l. n. 3/2023.

 

In questi anni – limitando la nostra analisi ovviamente alla ricostruzione pubblica – a fronte di una dimostrata insufficienza degli strumenti messi a disposizione del d.lgs. n. 50/2016, il Commissario Straordinario è stato quasi costretto ad esercitare il proprio potere ordinamentale introducendo un elevato numero di deroghe alla normativa generale in materia di contratti pubblici.

 

Il secondo evento di shock del sistema è stato rappresentato dalla Pandemia da Covid-19 a cui ha fatto seguito il positivo cambio di visione a livello europeo che ha condotto all’iniezione di nuove risorse pubbliche nelle singole economie degli Stati Membri con il PNRR e (quanto all’Italia) con il PNC.

 

A livello di disciplina della contrattualistica pubblica, ciò ha generato di fatto l’esplosione dell’impianto codicistico. Infatti, con i c.d. decreti-legge Semplificazione (d.l. n. 76/2020) e Semplificazione-bis (d.l. n. 77/2021) e le loro successive modificazioni e proroghe si sono inserite talmente tante deroghe al sistema contratti pubblici con rinvii incrociati (e non sempre coordinati) tra loro da:

 

(i) per un verso – creare un sistema parallelo di affidamenti a seconda della fonte del finanziamento della singola commessa, con procedure amministrative speciali, deroghe a istituti vigenti e – persino – con un rito processuale a tripla specialità rispetto a quello ordinario delle cause dinanzi ai Tar;

 

(ii) per un altro verso, generare un caos applicativo vero e proprio.

 

Permettendomi una citazione del Presidente Caringella, in un seminario che abbiamo tenuto assieme quasi tre anni fa proprio a valle della approvazione del d.l. n. 77/2021, i continui interventi del legislatore nel settore dei contratti pubblici nel 2020, nel 2021 (e aggiungo io, nel 2022) hanno generato una vera e propria ‘balcanizzazione’ delle fonti in materia con la conseguente difficoltà anche solo del reperimento della disposizione vigente per la disciplina del caso concreto.

 

In effetti, sono stati proprio i continui emendamenti, le ripetute modifiche della regolazione settoriale (il più delle volte di natura chirurgica e privi come visto di una visione di insieme) e le plurime deroghe per rispondere a esigenze transeunti a generare quella incertezza applicativa negli operatori privati, ma soprattutto nelle amministrazioni, a cui è conseguito un sostanziale stallo del sistema. E ciò (anche e purtroppo) nella semplice individuazione delle norme applicabili alla singola gara.

 

In estrema sintesi, l’unica certezza diviene l’emergenza specifica a cui rispondere trasformando in mera utopia l’obiettivo della stabilità della legge. Di fatto la balcanizzazione delle fonti si è in qualche modo sublimata nell’ergersi della deroga al rango di istituto. Da eccezione la deroga è divenuta regola e quindi le norme ordinarie si preferisce non abrogarle, bensì si sospendono attraverso l’introduzione di una fonte del diritto dichiaratamente transitoria, transeunte (appunto), ma che si rinnova ad ogni scadenza del proprio termine di efficacia.

 

I corollari della rappresentata instabilità di una disciplina in costante evoluzione (o involuzione) sono:

 

a) l’aver reso il procedimento di aggiudicazione (e successiva esecuzione) di un contratto pubblico una sorta di percorso a ostacoli, con conseguente incremento del timore di assunzioni di responsabilità da parte dei responsabili dei relativi procedimenti (la c.d. paura della firma); con il conseguente incremento del rischio di formazione di sacche di inefficienza amministrativa, terreno – questo, sì – fertile per la proliferazione di comportamenti illegali; e

 

b) la definitiva conclusione della inefficacia dell’apparato normativo rappresentato dal vecchio Codice del 2016.

 

 

 

 

 

5. IL RAPPORTO DEL NUOVO CODICE CON LE DEROGHE: IL SISTEMA SPECIALE SISMA

 

Passando al nuovo Codice, dunque, come si è posto il novellato apparato normativo rispetto alle principali eccezioni e deroghe che avevano caratterizzato il vecchio?

 

Partiamo dall’esperienza della Struttura Commissariale Sisma di cui porto qui una testimonianza diretta.

 

A fronte di una prima analisi del testo codicistico effettuata con il Commissario Straordinario e con i dirigenti della Struttura si è immediatamente concluso per la maggiore fruibilità e sfruttabilità delle nuove disposizioni rispetto a quelle del d.lgs. n. 50/2016.

 

In quest’ottica, tuttavia, avrebbero dovuto essere garantite due primarie esigenze che – di fatto – corrispondevano alle risposte alle seguenti domande:

 

a) cosa sarebbe accaduto del complesso delle deroghe al d.lgs. n. 50/2016 introdotte con le ordinanze commissariali negli ultimi 6 anni? In particolare, sarebbero decadute con l’abrogazione del vecchio Codice, in mancanza di un loro aggiornamento al nuovo Codice, una cadauna? Oppure – se confermate - avrebbero comportato un effetto trascinamento per cui nonostante l’entrata in vigore del nuovo Codice avrebbero comportato la perdurante applicazione del vecchio?

 

b) come si sarebbe potuta consentire una transizione senza soluzioni di continuità nell’attività di ricostruzione pubblica?

 

La risposta che ha inteso dare il Commissario Straordinario è stata in pressoché controtendenza alle prime linee interpretative – soprattutto di prassi – che si stavano formando tra giugno e luglio scorsi. La scelta è stata, infatti, quella di dare una totale fiducia al nuovo Codice.

 

Il criterio interpretativo basilare che è stato prediletto è stato quello che avrebbe consentito di applicare il nuovo Codice a tutti i contratti pubblici della ricostruzione, integrando lo stesso con le precedenti disposizioni derogatorie solo ove compatibili con quest’ultimo, quindi solo qualora le stesse si fossero rese ancora necessarie a fronte di un nuovo testo normativo che – come visto – era apparso immediatamente più semplificato e più fruibile.

 

L’atto principale in tal senso è stata la c.d. Ordinanza Ponte n. 145 del 28 giugno 2023. Con tale ordinanza il Commissario – valorizzando l’art. 226, comma 5, del d.lgs. n. 36/2023 – ha, per un verso e in una ottica di continuità, confermato la validità di tutte le deroghe approvate in vigenza del d.lgs. n. 50/2016; ma, per un altro verso, le ha contestualmente riferite – ove compatibili – alle corrispondenti disposizioni del d.lgs. n. 36/2023 o, in mancanza, ai principi desumibili da quest’ultimo.

 

Inoltre, è stato previsto che tutte le disposizioni contenute in precedenti atti del Commissario Straordinario (ordinanze, decreti, ecc.) in materia di contrattualistica pubblica avrebbero dovuto essere interpretate secondo i principi e i canoni ermeneutici elencati nel Titolo I della Parte I del Libro I del nuovo Codice.

 

In questo modo, il Commissario:

 

(i) ha di fatto aperto a una immediata applicazione del nuovo Codice;

 

(ii) ha subordinato – nei fatti – le precedenti deroghe alle nuove disposizioni del d.lgs. n. 36/2023 rendendo applicabili queste ultime (anche in presenza di una deroga) ove la nuova norma fosse più vantaggiosa;

 

(iii) ha limitato la c.d. ultrattività del d.lgs. n. 50/2016 ai soli procedimenti in corso secondo quanto stabilito dall’art. 226, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023.

 

Al contrario, si sono individuate esclusivamente due disposizioni del nuovo Codice che – se applicate sin da subito - avrebbero comportato uno stallo delle procedure di ricostruzione pubblica: gli artt. 62 e 63, ossia il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti.

 

Pertanto, con la medesima ordinanza n. 145 il Commissario Straordinario ha deciso di operare in deroga sospendendone l’applicazione, dapprima sino al 31 dicembre 2023, poi con la successiva Ordinanza n. 162 del 20 dicembre 2023, sino al 30 giugno 2024. La necessità era in questo caso evidente.

 

Il 18 agosto 2023 scadeva il termine per il lancio di oltre 1.500 gare di progettazione, a cui nel primo semestre del 2024 avrebbero fatto seguito altrettante gare di lavori pubblici per oltre 1 miliardo di investimento di risorse pubbliche. Se tali procedure avessero dovuto essere centralizzate nelle sole stazioni appaltanti o centrali di committenza qualificate ai sensi del nuovo sistema, non si sarebbe rischiato solo un blocco delle attività di ricostruzione nel Cratere del sisma, ma anche un blocco dell’operatività ordinaria di queste ultime stazioni appaltanti e centrali di committenza che avrebbero visto intasati i propri uffici gare dagli appalti ‘delegati’ e ciò in concomitanza – peraltro – con l’entrata in vigore di un nuovo corpus normativo (con tutte le difficoltà che ne discendono).

 

Di qui, dunque, l’opportuna decisione in ordine alla deroga. A cui ha fatto peraltro seguito un servizio di accompagnamento e consulenza delle stazioni appaltanti mediante la costituzione da parte del Commissario Straordinario di un team di giuristi dedicato alla risoluzione delle problematiche via via sollevate dalle stazioni appaltanti e la predisposizione di atti tipo (bandi, lettere di invito, ecc.) verificati con ANAC per agevolare le funzioni e le procedure di affidamento.

 

A valle della nota circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 12/13 luglio 2023, il Commissario Straordinario ha poi ulteriormente inteso chiarire l’ambito operativo della deroga in questione includendovi anche gli appalti finanziati con fondi PNRR o PNC sisma e gestiti dalla Struttura Commissariale, dagli USR e dai soggetti attuatori dell’area del Cratere; così contribuendo a sedare incertezze applicative meramente dovute alla fonte del finanziamento della commessa e non giustificate da altro se non dall’essersi accavallate in passato discipline derogatorie al d.lgs. n. 50/2016 per i contratti PNRR/PNC (sul punto si v. la circolare del 4 agosto 2023).

 

Tolto questo caso, le deroghe approvate con riferimento al nuovo Codice nel corso del primo semestre di applicazione sono state ridottissime e per lo più riguardanti le soglie degli affidamenti per alcuni specifici interventi; peraltro, problema questo recessivo rispetto al passato, stante l’elevazione delle soglie medesime e la maggiore autonomia riconosciuta alle stazioni appaltanti nel sottosoglia.

 

 

 

6. IL RAPPORTO DEL NUOVO CODICE CON LE DEROGHE: IL PNRR E IL PNC

 

Maggiormente complesso è stato il rapporto del nuovo Codice con la disciplina speciale per le commesse pubbliche finanziate con i fondi PNRR/PNC.

 

La problematica trovava la sua genesi nella non immediata esegesi di due disposizioni del d.lgs. n. 36/2023:

 

a) l’art. 226, comma 5, secondo cui: “Ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso”;

 

b) l’art. 225, comma 8, alla stregua del quale: “8. In relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC nonché dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018”.

 

In prima battuta, il Ministero delle Infrastrutture (con la citata circolare del 12/13 luglio 2023) ha optato per una interpretazione che sembrava indirizzarsi a privilegiare, tra le due disposizioni, quella contenuta nell’art. 225, comma 8. L’effetto era quello di ‘garantire’ una sostanziale ultrattività (rispetto alle procedure avviate successivamente al 1 luglio 2023) non solo delle disposizioni derogatorie del d.l. 77/2021, ma anche – per trascinamento – dei correlati istituti del d.lgs. n. 50/2016 e, di conseguenza, dello stesso vecchio Codice.

 

Tale linea è stata confermata dalla risposta del MIT alla richiesta di parere n. 2153 del 19 luglio 2023 che ha specificato che “sulla base delle indicazioni di cui alla circolare MIT del 12.07.2023 si ritiene che il nuovo codice non trovi sostanzialmente applicazione” agli appalti PNRR e PNC.

 

Sempre sul punto, il legislatore è – invece – intervenuto parzialmente a chiarire il profilo inserendo un inciso all’art. 48, comma 3, del d.l. n. 77/2021, secondo cui per la realizzazione degli investimenti finanziati con fondi PNRR e PNC “trova applicazione l’articolo 226, comma 5, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (art. 24-ter d.l. 13 giugno 2023, n. 69, conv. in legge 10 agosto 2023, n. 103). In questo modo, il legislatore è parso offrire una sorta di interpretazione autentica apprezzando maggiormente l’art. 226, comma 5, rispetto alla deroga contenuta nell’art. 225, comma 8.

 

Il Ministero ha immediatamente colto l’indicazione legislativa dandone atto nella risposta alla richiesta di parere n. 2186 del 25 luglio 2023.

 

Tuttavia, si sono resi necessari due interventi della giurisprudenza per fare (definitiva?) chiarezza in ordine ai rapporti tra nuovo Codice e appalti PNRR e PNC.

 

Mi riferisco, in ordine temporale, alla sentenza del Tar Umbria, Sez. I, 23 dicembre 2023, n. 758 e alla sentenza del Tar Lazio, Roma, Sez. II-bis, 3 gennaio 2024, n. 134.

 

Il giudice amministrativo ha di fatto optato per un criterio interpretativo analogo a quello seguito dalla Struttura Commissariale già da giugno scorso per le proprie ordinanze in deroga: ossia privilegiare l’applicazione del nuovo Codice e non trasporre nel nuovo sistema i vecchi istituti del d.lgs. n. 50/2016 solo perché richiamati nelle disposizioni derogatorie del d.l. n. 77/2021 (o nelle altre disposizioni speciali correlate).

 

Di qui, dunque, il Tar Lazio ha rilevato – con riferimento alla previsione di cui all’art. 225, comma 8, del Codice – che “essa si limita a stabilire la perdurante vigenza delle sole norme speciali in materia di appalti PNRR (tra cui gli artt. 47 e ss. d. l. n. 77/21) ma non anche degli istituti del d. lgs. n. 50/16 in esso sporadicamente richiamati; la contraria opzione ermeneutica, seguita dalla circolare del MIT del 12/07/23 (richiamata dalla “premessa” del disciplinare di gara), collide con il ricordato disposto del comma 2 dell’art. 226 d. lgs. n. 36/23, che sancisce l’abrogazione del d. lgs. n. 50/16 a decorrere dal 01/07/23 senza alcuna eccezione, e con il comma 5 della medesima disposizione, secondo cui “ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso”.

 

Il Tar Umbria è stato ancora più chiaro e:

 

(i) dopo aver enucleato nei termini esatti la problematica: “anche successivamente all’entrata in vigore (rectius: all’acquisto dell’efficacia) delle disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, alle procedure di affidamento di contratti finanziati con le risorse del PNRR continuano senz’altro ad applicarsi le norme derogatorie e, comunque, speciali di cui al d.l. n. 77/2021, come convertito, in forza della specifica previsione di cui all’art. 225, co. 8, del nuovo codice. Rimane però il problema se, per quanto non derogato o comunque non diversamente disciplinato dal d.l. n. 77/2021, alle suddette procedure debba applicarsi il d.lgs. n. 36/2023, secondo la regola generale di cui all’art. 226, co. 2, del nuovo codice, o, per una sorta di effetto di trascinamento, la fonte derogata dalle succitate disposizioni del d.l. n. 77/2021, ovvero il d.lgs. n. 50/2016”;

 

(ii) l’ha sciolta correttamente valorizzando l’applicazione dell’art. 226 del nuovo Codice e più in dettaglio “Secondo il collegio, il problema da ultimo evocato deve essere risolto applicando l’art. 226 del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, il quale, dopo aver sancito l’abrogazione del d.lgs. n. 50/2016 dal 1 luglio 2023 e la sua residua applicazione «esclusivamente ai procedimenti in corso» (commi 1 e 2), stabilisce al comma 5 che «ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 del 2016, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso». Al di là delle disposizioni di cui al d.l. n. 77/2021 e delle altre fonti espressamente richiamate dall’art. 225, co. 8, del d.lgs. n. 36/2023, applicabili anche alle procedure finanziate con i fondi del PNRR pur se bandite successivamente al 1.07.2021, dovranno trovare dunque applicazione le norme ed i principi del nuovo codice dei contratti pubblici, dovendosi ritenere ad essi riferito «ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50»”.

 

Ne consegue che anche per quanto riguarda gli appalti speciali PNRR e PNC, legislatore e giurisprudenza stanno cercando di limitare il più possibile le deroghe al nuovo Codice ri-ordinarizzando per l’effetto la disciplina dei contratti pubblici.

 

Del resto e nei fatti, il nuovo Codice stabilizza una serie di disposizioni in deroga al vecchio Codice. E anzi in alcuni casi è andato oltre, dimostrandosi così uno strumento che meglio si può adattare alle numerose fattispecie concrete – anche di natura emergenziale – che il settore della contrattualistica pubblica può porre. Per tale ragione rappresenterebbe un ‘non senso’ non agevolarne l’applicazione anche alle commesse ritenute di maggiore importanza come quelle ricadenti nel Piano di Ripresa e Resilienza e in quello degli investimenti complementari.

 

Basti pensare che il nuovo Codice – limitando i rinvii a corpi normativi esterni e non richiedendo più un regolamento attuativo, avendo incluso la più parte delle disposizioni esecutive all’interno degli allegati – ha:

 

creato una sorta di by-pass che potrebbe realmente accorciare l’iter burocratico per la realizzazione delle maggiori infrastrutture a partire dalla loro programmazione (stadio in cui in passato già si erano arenati molti progetti di grandi opere);

posto a regime la sostanziale reductio ad unum dei procedimenti autorizzativi;

compresso la fase di progettazione in due soli livelli;

‘riabilitato’ l’appalto integrato confermandone l’utilizzo generalizzato anche oltre quanto previsto dal d.l. n. 77/2021;

‘ristrutturato’ la figura del RUP, facendo riemergere quella dei responsabili di fase, prendendo coscienza che chi ha competenze per la fase (più prettamente giuridico-economica) di affidamento di un contratto pubblico potrebbe non averne per controllare la sua esecuzione dal punto di vista tecnico;

chiarito i profili più dubbi dei requisiti di partecipazione;

operato una convinta applicazione del divieto di gold plating aumentando i margini di manovra delle P.A. nel c.d. sottosoglia, elevando altresì le soglie per l’affidamento diretto;

garantito una maggiore discrezionalità alle stazioni appaltanti nella scelta dei criteri e degli elementi di valutazione e nella loro ponderazione;

destrutturato le impalcature imposte per anni nella costituzione degli RTI;

ampliato l’uso del subappalto sulla traccia del (invero imposta dal) diritto eurounitario;

fatto lunghi passi in avanti nella presa di coscienza che un contratto pubblico non può non considerare i profili afferenti alla revisione prezzi.

 

 

7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Se questo è il quadro e questa è l’analisi; e se è, altresì, corretto assumere come parametro di valutazione quello del numero di modifiche intervenute o della resistenza alle deroghe apportate allo scopo di rendere funzionale il nuovo apparato normativo al sistema appalti italiano: l’analisi condotta all’esito del primo tagliando del Codice non può che essere positiva.

 

A differenza del passato, infatti, il Codice non ha invero subito immediate correzioni (salvo interventi minimali come quello apportato sulla certificazione della parità di genere, cfr. d.l. n. 57/2023 e d.l. n. 132/2023 che sono intervenuti sul testo dell’art. 108, comma 7, del Codice), né è di prossimo arrivo un generale decreto correttivo, di cui forse si potrebbe aver notizia verso fine 2024.

 

A ciò si aggiunga che, con riferimento alla maggiore deroga segnalata nello stesso Codice (v. art. 225, comma 8, per gli appalti PNRR/PNC), il legislatore - prima - e la giurisprudenza – poi - ne hanno fornito una interpretazione restrittiva che limitasse le deroghe e – al contrario – ampliasse l’ambito di operatività delle disposizioni ordinarie.

 

Per quanto riguarda l’altra disciplina messa a confronto in questa sede (quella speciale sisma), abbiamo visto come la scelta del Commissario Straordinario sia stata subito nel senso di garantire la massima applicazione del nuovo Codice; offrendo allo scopo un servizio di supporto giuridico e formativo alle amministrazioni attuatrici degli interventi.

 

In altri termini, si sono subito percepite le potenzialità della nuova normativa e si è compreso che le difficoltà della primissima fase applicativa non sarebbero state ascrivibili alle disposizioni in sé stesse, bensì al tempo necessario a farle proprie da parte dei funzionari pubblici.

 

Per tale ragione, nell’ultimo semestre, si è registrata una evidente limitazione – rispetto al passato – dell’uso della deroga, ridotta ai soli casi in cui la stessa è apparsa effettivamente necessaria per non bloccare il sistema (v. qualificazione stazione appaltanti) o per agevolarne la rapida funzionalità (v. elevazione delle soglie). Dove la norma ordinaria funziona e riesce ad adattarsi anche alle situazioni emergenziali, la deroga diventa quindi superflua e, in sé, paradossalmente una complicazione.

 

Ciò non significa che il nuovo Codice non sia perfettibile e che in futuro lo stesso non avrà bisogno di correttivi e aggiustamenti di rotta. Del resto, proprio dal 1 gennaio di quest’anno si è aperta la nuova sfida del ciclo di vita digitale dei contratti pubblici in cui la messa a terra della riforma sarà posta ad una nuova prova altrettanto, se non più dura, di quella che è stata affrontata in sede di acquisizione di efficacia del Codice (e che personalmente ritengo superata).

 

Tuttavia, come affermato da Winston Churchill nel secolo scorso: “per quanto sia bella la strategia si dovrebbe ogni tanto guardare al risultato”; come del resto nel nuovo diritto dei contratti pubblici recita proprio l’articolo 1 del nuovo Codice. Di conseguenza, dopo diverse false partenze, è giunto il momento buono (propizio, azzarderei) per passare dalle “norme ai cantieri”, come ha ricordato in più occasioni il Commissario Straordinario sin dal suo insediamento.