Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2020, n. 2137

Il contrasto con il giudicato interno, quale species di errore di diritto, è, al pari di tutti gli altri errori di diritto che il Consiglio di Stato possa compiere, sottratto al controllo di ulteriori istanze giurisdizionali. Infatti, oltre i due gradi di giudizio (ambedue con cognizione di merito) in cui si articola l’attuale assetto della giustizia amministrativa, non è funditus data altra istanza giurisdizionale di controllo, ad eccezione del mero sindacato, da parte della Corte di cassazione, circa il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione

Il contrasto con un giudicato interno, ossia maturato nell’ambito della stessa vicenda processuale, non è censurabile con l’azione di revocazione, bensì con l’ordinario ricorso per cassazione ex art. 360, n. 4, c.p.c.

Infatti,  il giudicato interno, per la sua stessa natura di atto proveniente dal Giudice, rientra naturaliter nel patrimonio conoscitivo dell’organo giudicante, sì che la mancata (ovvero la non corretta) considerazione dello stesso, quale dato giuridico risultante dagli atti e rilevante ai fini di causa, integra un errore di diritto, il quale è intrinsecamente estraneo al rimedio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 5, c.p.c.

Al contrario, il giudicato esterno, ossia maturato in altre vicende processuali, costituisce un dato esterno al processo che, come tale, deve essere preliminarmente acquisito agli atti ad opera delle parti, cui compete l’allegazione dei fatti (naturali e giuridici) rilevanti ai fini di causa.

Ove il giudicato esterno sia stato allegato e provato da una parte, ma il Giudice, pronunciando sulla relativa eccezione, non abbia ritenuto ciò ostativo alla pronuncia, il rimedio esperibile resta quello dell’ordinario ricorso per Cassazione per errore di diritto (arg. ex art. 395, n. 5, c.p.c., ove si esclude il rimedio revocatorio allorché il Giudice abbia “pronunciato sulla relativa eccezione”).

Ove, invece, il giudicato esterno non sia stato allegato e provato (e, dunque, il Giudice non sia stato messo in condizione di pronunciarsi in proposito, difettando la pregiudiziale acquisizione agli atti del giudizio), ovvero, pur essendo stato allegato e provato, il Giudice non si sia ab ovo pronunciato, neppure implicitamente, in proposito, allora e solo allora il rimedio è quello eso-processuale della revocazione.

Sennonché, con riguardo al processo amministrativo,  ai sensi dell’art. 110 c.p.a., che riprende l’art. 111, ultimo comma, Costituzione, le sentenze del Consiglio di Stato sono ricorribili per cassazione solo per motivi inerenti alla giurisdizione, locuzione che la giurisprudenza delle Sezioni Unite interpreta in maniera restrittiva, ossia limitata ai casi di sconfinamento (in materie riservate ad altri Plessi giurisdizionali ovvero ab ovo sottratte alla giurisdizione tout court) o di arretramento (rifiuto di conoscere materie pure rientranti nella giurisdizione attribuita ex lege).

Al di là di tali specifici casi, le sentenze del Consiglio di Stato vanno strutturalmente esenti dal sindacato di qualsiasi altro organo giurisdizionale nazionale: la decisione del Consiglio di Stato, infatti, non è, quanto all’esegesi delle norme (sostanziali e processuali), ulteriormente suscettibile di scrutinio giurisdizionale.

 

LEGGI LA SENTENZA

 

Pubblicato il 27/03/2020

N. 02137/2020REG.PROV.COLL.

N. 07884/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7884 del 2019, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Ferola e Giancarlo Navarra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente una richiesta di risarcimento dei danni.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato Giuseppe Pecorilla su delega dell’avvocato Raffaele Ferola, nessuno presente per parte resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe questa Sezione, all’esito di un lungo contenzioso, ha liquidato in complessivi € 259.184,24 i danni conseguiti, in capo al ricorrente, dal provvedimento del Comitato centrale dell’Albo Nazionale Costruttori dell’11 luglio 1990 (recante la sospensione dell’iscrizione all’Albo medesimo delle società -OMISSIS- Estero s.r.l. e -OMISSIS- s.a.s. sino all’esito del procedimento penale allora in corso a carico dell’odierno ricorrente), annullato con sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS-.

2. Con quest’ultima sentenza questa Sezione, in riforma del decisum di prime cure, aveva, infatti, reputato illegittima la sospensione dell’iscrizione all’Albo, in quanto non preceduta dalla formulazione delle contestazioni ai sensi dell’art. 22 l. n. 57 del 1962 (a tenore del quale “i provvedimenti di cui agli articoli 20 e 21 sono preceduti dalla comunicazione al costruttore dei fatti addebitati, con fissazione di un termine, non inferiore a 15 giorni, per le sue deduzioni”).

3. Il ricorrente, resosi cessionario dalla società -OMISSIS- Estero s.r.l. del credito risarcitorio in virtù di atto del 28 dicembre 1991 notificato all’Amministrazione ceduta, ha radicato giudizio di danni.

3.1. Il T.a.r. per il Lazio, con sentenza n. -OMISSIS-, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente e, comunque, per tardività.

3.2. Il Consiglio di Stato, adito in appello dal ricorrente, ha dapprima emesso la sentenza non definitiva n. -OMISSIS-, con cui, in riforma del decisum di prime cure, ha:

- ritenuto tempestivo il ricorso, non operando, ratione temporis, alcun termine decadenziale;

- affermato la legittimazione attiva del ricorrente, trattandosi di un credito patrimoniale collegato ad attività imprenditoriale della società, come tale disponibile;

- ravvisato, in capo all’Amministrazione, “un livello di colpa sufficiente per riconoscerne la responsabilità” civile;

- ritenuto “in re ipsa” il nesso eziologico;

- disatteso l’eccezione di prescrizione svolta dall’Amministrazione, in quanto il decorso del relativo termine sarebbe stato interrotto dal ricorrente;

- disposto CTU “in ordine al quantum della pretesa”, giacché la perizia depositata in prime cure dal ricorrente costituirebbe “un mero principio di prova del pregiudizio ricevuto”.

3.3. Al CTU, in particolare, è stato affidato il seguente quesito:

Il C.T.U. esaminati gli atti e i documenti acquisiti al giudizio nonché quelli ulteriori dal medesimo acquisiti ovvero che gli fossero esibiti dalle parti nelle operazioni peritali e da lui ritenuti utili nell’espletamento dell’incarico conferitogli dal Collegio, dica se il criterio adottato nella perizia prodotta dal ricorrente in prime cure sia corretto. In caso contrario dica quale debba essere il corretto criterio da adottare per la quantificazione del danno subito dal ricorrente o proceda poi alla quantificazione con la rivalutazione monetaria e gli interessi di mora sugli importi rivalutati anno per anno”.

3.4. Depositata la relazione peritale, con successiva sentenza non definitiva n. -OMISSIS-questa Sezione ha, quindi, ritenuto che “il consulente non ha risposto al primo quesito, consistente nello stabilire se il metodo di quantificazione valorizzato nella perizia di parte fosse attendibile e, in caso contrario, nell’enunciare il corretto approccio metodologico alla problematica inerente la quantificazione del danno patito da una impresa di costruzioni cancellata illegittimamente dall’Albo. Invece il Consulente, prescindendo del tutto dall’approccio effettivamente metodologico, si è in buona sostanza limitato a svolgere quella complessa attività di quantificazione che solo in via eventuale (e comunque subordinata ai richiesti, nodali chiarimenti metodologici) gli era stata commessa”.

3.4.1. La Sezione ha in proposito osservato, in termini generali, che “nella prima fase del giudizio risarcitorio occorre accertare sul piano della causalità materiale o di fatto l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento) così ascrivendo l'evento di danno all'autore della condotta illecita. Successivamente, si deve poi procedere alla valutazione sul piano della causalità giuridica onde accertare che tra il fatto, inteso come evento di danno, ed il danno, inteso come perdita patrimoniale risarcibile, sussista una relazione da causa ed effetto, in forza della quale il secondo sia riconducibile al primo”.

3.4.2. Sulla scorta di tali principi, la Sezione ha ritenuto che, “nel caso all’esame, la sentenza parziale ha positivamente statuito sull’esistenza del nesso di causalità materiale, lasciando invece in sostanza impregiudicata ogni statuizione sull’esistenza effettiva del nesso di causalità giuridica, non risultando pienamente provato (ma solo oggetto di un “principio di prova”) il collegamento funzionale tra i vari pregiudizi patrimoniali lamentati dall’impresa e la illegittima cancellazione della stessa dall’Albo. Ai fini di tale statuizione, che ovviamente compete al giudice, la relazione di consulenza (come si è detto) non offre lumi sul piano tecnico, essendosi il consulente limitato ad una attività di quantificazione dei danni senza fornire alcun concreto ausilio tecnico in ordine al presupposto giudizio di spettanza”.

3.4.3. La Sezione ha altresì aggiunto, in ordine al “pregiudizio patrimoniale asseritamente derivante dalla perdita per inattività successiva alla cancellazione delle immobilizzazioni tecniche (mezzi d’opera, attrezzature d’ufficio e soprattutto costruzioni leggere) detenute dall’impresa in Libia”, che, sulla base di un’analisi del materiale agli atti, “non si vede come possa considerarsi causativa della perdita di tali attrezzature la sospensione delle attività del ramo di -OMISSIS- italiano, avvenuta nel gennaio del 1990”: in merito, dunque, “non risulta provato alcun danno risarcibile”.

3.4.4. Ad analoghe conclusioni la Sezione è pervenuta “per quanto riguarda il danno indiretto derivante dalla mancata acquisizione, da parte di -OMISSIS-, del ramo d’azienda dedicato ai lavori pubblici dell’altra impresa familiare -OMISSIS- Costruzioni”.

3.4.5. La Sezione, infatti, ha ritenuto che “gli elementi allegati dall’appellante - al fine di comprovare il grado di concreta attuazione dell’accordo strategico e quindi il rilievo impediente dell’evento dannoso - non risultino convincenti”: “quindi, in chiave di prognosi postuma, deve concludersi che il danno conseguenza ( la mancata sommatoria delle qualificazioni) si sarebbe sicuramente prodotto a prescindere dall’ evento dannoso che qui unicamente viene in considerazione (la illegittima sospensione dell’iscrizione di -OMISSIS-). Dalle considerazioni ora complessivamente svolte consegue che è nel giusto l’Avvocatura quando sostiene che per quanto concerne la mancata aggregazione non risulta in realtà provato alcun danno risarcibile”.

3.4.6. La Sezione ha, comunque, osservato che “anche nella attività empirica di quantificazione dei danni asseritamente patiti dall’appellante la relazione di consulenza perviene a conclusioni allo stato non del tutto convincenti”: è stata, quindi, disposta la redazione di una relazione integrativa, “con riferimento:

a) alle problematiche sopra delineate relative, per quanto riguarda il danno emergente, alla perdita da parte di -OMISSIS- dell’iscrizione all’Albo;

b) alla possibile individuazione dell’utile netto finale, risultante dai bilanci del triennio 1986/1989, come conseguito da -OMISSIS- per effetto dei lavori svolti in Italia”.

3.5. Con ulteriore sentenza non definitiva n. -OMISSIS-questa Sezione, valutate insufficienti le integrazioni fornite dal Consulente, ha disposto l’integrale rinnovazione delle indagini, affidando ad un nuovo Ausiliario i seguenti quesiti:

I. quale è, in generale, l’approccio metodologico corretto per la quantificazione del danno patito da una impresa di costruzioni la cui iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori sia stata illegittimamente sospesa dal 10.1.1990 al 31.12.1999;

II. quale è il valore dell’iscrizione dell’impresa all’albo, stimato al 1999, e se tale valore possa o meno dirsi sostitutivo dell’avviamento della stessa;

III. se il suddetto valore possa o meno cumularsi ai fini risarcitori con il mancato guadagno dell’impresa per gli anni di inattività nei pubblici appalti, dovuti alla mancata iscrizione;

IV. in caso di ritenuta cumulabilità quale è il danno da lucro cessante (mancato guadagno) stimabile sulla base dell’utile netto finale, risultante dai bilanci del triennio 1986/1989, come conseguito da -OMISSIS- per effetto dei lavori svolti in Italia;

V. in relazione agli importi risarcitori eventualmente quantificati in risposta ai quesiti che precedono a quanto assommano, ad oggi, la rivalutazione monetaria e gli interessi di mora sugli importi rivalutati anno per anno”.

3.6. Depositata l’ulteriore relazione peritale, la Sezione ha emanato la sentenza in questa sede impugnata per revocazione, con cui:

- ha premesso che “la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione pubblica, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira”;

- ha osservato che, “sebbene, con statuizione coperta da giudicato, la sentenza non definitiva di questa Sezione n. -OMISSIS-abbia riconosciuto il ‘diritto’ al risarcimento del danno in favore dell’appellante, la spettanza del bene della vita, nel caso di specie, non è stata accertata, in quanto nessun giudizio prognostico è stato compiuto”: invero, ha proseguito la Sezione, “non si ha alcuna certezza, o anche una ‘consistente probabilità’, che se l’Amministrazione avesse correttamente contestato all’imprenditore gli addebiti ai sensi dell’art. 22 della legge n. 57 del 1962, l’esito del procedimento sarebbe stato diverso, con conseguente conservazione del bene della vita, costituito dalla iscrizione all’Albo”;

- ha sostenuto che “una volta intervenuta, con la richiamata sentenza non definitiva n. -OMISSIS-, la statuizione sul nesso di causalità materiale tra condotta dell’Amministrazione ed evento dannoso, la valutazione sul nesso di ‘causalità giuridica’, vale a dire su quali siano stati i pregiudizi patrimoniali immediati e diretti sofferti dall’impresa a seguito dell’illegittima sospensione della stessa dall’Albo, debba tenere conto anche di tale rilevante circostanza, certamente idonea ad incidere in modo significativo sulla quantificazione del danno risarcibile”;

- ha proceduto ad un’analisi delle singole voci di danno, giungendo ad escludere ogni pregiudizio a titolo di lucro cessante e stimando il danno emergente nell’importo di € 259.184,24, cui ha limitato la condanna risarcitoria del Ministero.

4. Il ricorrente ha formulato ricorso per revocazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 106 c.p.a. e dell’art. 395, n. 5, c.p.c., sostenendo che la sentenza n.-OMISSIS-e, “per quanto occorra”, le sentenze n. -OMISSIS-e n. -OMISSIS-sarebbero “contrastanti con i precedenti giudicati della Sezione n. -OMISSIS-e -OMISSIS-”.

4.1. Il ricorrente ha, anzitutto, sostenuto che il contrasto con il giudicato interno, nel processo amministrativo, non possa che farsi valere con il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c., stante la limitazione del ricorso per Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato ai soli motivi inerenti alla giurisdizione: l’applicazione al processo amministrativo del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il vizio di violazione del giudicato interno deve farsi valere non con l’azione di revocazione, ma con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., determinerebbe, infatti, un inammissibile vuoto di tutela.

4.1.1. Ne consegue, ad avviso del ricorrente:

- in primis, la necessità di un’esegesi costituzionalmente orientata del richiamo all’art. 395, n. 5, c.p.c. da parte dell’art. 106 c.p.a., da intendersi operato solo “nei limiti della compatibilità”;

- in denegata ipotesi, la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei due articoli in parola, “per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost.”.

4.2. Quanto al merito, il ricorrente ha sostenuto che la sentenza n. -OMISSIS-ne avrebbe ritenuto fondata ed in totomeritevole di accoglimento” la pretesa risarcitoria, sì che le successive pronunzie della Sezione non avrebbero potuto né affermare che la spettanza del bene della vita non sarebbe mai stata in precedenza accertata, né, tanto meno, escludere alcuna voce di danno.

4.3. Si è costituita in resistenza l’Amministrazione.

4.4. In vista della trattazione del ricorso le parti hanno versato in atti difese scritte.

4.4.1. L’Amministrazione, in particolare, ha depositato a stretto giro due distinte memorie, in cui:

- ha sostenuto che, a tutto voler concedere, la sentenza impugnata sarebbe affetta da un errore di diritto (consistente nell’errata esegesi del precedente giudicato), non da un errore di fatto;

- ha precisato che, comunque, nelle varie pronunce intervenute nella vicenda di causa il Consiglio di Stato non si sarebbe mai espresso “sull’esistenza di danni risarcibili”;

- ha aggiunto che “la sentenza n. -OMISSIS-, pur avendo riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore del ricorrente, non ha accertato la spettanza del bene della vita in quanto nessun giudizio prognostico è stato compiuto”;

- ha evidenziato che un siffatto giudizio non avrebbe, comunque, potuto fondarsi sulla sentenza n. -OMISSIS-, che aveva annullato la deliberazione di sospensione dall’Albo “per un motivo meramente procedimentale”.

4.5. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 27 febbraio 2020 e, all’esito, trattenuto in decisione.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. Come affermato dallo stesso ricorrente, per consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione il contrasto con un giudicato interno, ossia maturato nell’ambito della medesima vicenda processuale, non è censurabile con l’azione di revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c., bensì con l’ordinario ricorso per cassazione ex art. 360, n. 4, c.p.c.

6.1. Tale conclusione è in linea con la natura del vizio in parola: un contrasto fra sentenze emesse nel corso del medesimo procedimento ne determina, infatti, una “nullità”, per far fronte alla quale l’ordinamento appresta il rimedio, anch’esso endo-processuale, del ricorso per cassazione (specificamente volto, inter alia, a rilevare casi di “nullità della sentenza o del procedimento” – cfr. art. 360, n. 4, c.p.c.).

6.2. Del resto, il giudicato interno, per la sua stessa natura di atto proveniente dal Giudice, rientra naturaliter nel patrimonio conoscitivo dell’organo giudicante, sì che la mancata (ovvero la non corretta) considerazione dello stesso, quale dato giuridico risultante dagli atti e rilevante ai fini di causa, integra un errore di diritto, fisiologicamente sindacabile per cassazione.

6.3. Al contrario, il giudicato esterno, ossia maturato in altre vicende processuali, costituisce un dato esterno al processo che, come tale, deve essere preliminarmente acquisito agli atti ad opera delle parti, cui compete l’allegazione dei fatti (naturali e giuridici) rilevanti ai fini di causa, con l’unica eccezione di quelli stricto sensu normativi, di cui per legge il Giudice si intende a conoscenza.

6.4. Più in particolare:

- ove il giudicato esterno sia stato allegato e provato da una parte, ma il Giudice, pronunciando sulla relativa eccezione, non abbia ritenuto ciò ostativo alla pronuncia (o, comunque, ad un certo contenuto della pronuncia), il rimedio esperibile resta quello dell’ordinario ricorso per Cassazione per errore di diritto (arg. ex art. 395, n. 5, c.p.c., ove si esclude il rimedio revocatorio allorché il Giudice abbia “pronunciato sulla relativa eccezione”);

- ove, invece, il giudicato esterno non sia stato allegato e provato (e, dunque, il Giudice non sia stato messo in condizione di pronunciarsi in proposito, difettando la pregiudiziale acquisizione agli atti del giudizio), ovvero, pur essendo stato allegato e provato, il Giudice non si sia ab ovo pronunciato, neppure implicitamente, in proposito, allora e solo allora il rimedio è quello eso-processuale della revocazione.

6.5. Le sintetiche considerazioni che precedono lumeggiano l’inammissibilità del ricorso in questa sede proposto: il (supposto) contrasto con un precedente giudicato interno, infatti, costituisce un (eventuale) errore di diritto del Giudice e, come tale, è una questione intrinsecamente estranea al rimedio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 5, c.p.c.

6.6. Non vi sono motivi per raggiungere conclusioni difformi con riguardo al processo amministrativo e, in particolare, per ritenere che l’art. 106 c.p.a. abbia richiamato l’istituto della revocazione solo “nei limiti della compatibilità” con le specifiche caratteristiche del rito amministrativo.

6.7. Invero, ai sensi dell’art. 110 c.p.a., che riprende l’art. 111, ultimo comma, Costituzione, le sentenze del Consiglio di Stato sono ricorribili per cassazione solo per motivi inerenti alla giurisdizione, locuzione che la giurisprudenza delle Sezioni Unite interpreta in maniera restrittiva, ossia limitata ai casi di sconfinamento (in materie riservate ad altri Plessi giurisdizionali ovvero ab ovo sottratte alla giurisdizione tout court) o di arretramento (rifiuto di conoscere materie pure rientranti nella giurisdizione attribuita ex lege).

6.8. Al di là di tali specifici casi, le sentenze del Consiglio di Stato vanno strutturalmente esenti dal sindacato di qualsiasi altro organo giurisdizionale nazionale: la decisione del Consiglio di Stato, infatti, non è, quanto all’esegesi delle norme (sostanziali e processuali) ed all’applicazione delle stesse ai fatti di causa (sostanziali e processuali), ulteriormente suscettibile di scrutinio giurisdizionale.

6.9. L’assetto divisato dalla Costituzione, pertanto, fa sì che tutti gli (eventuali ed indimostrati) errori di diritto del Consiglio di Stato non possano, di regola, trovare alcun rimedio giurisdizionale, presidiando il ricorso per cassazione il solo perimetro esterno della giurisdizione del Giudice amministrativo.

6.10. E’, pertanto, del tutto fisiologico che l’istituto della revocazione non si applichi, nel processo amministrativo, anche ai casi di contrasto con il giudicato interno: oltre i due gradi di giudizio (ambedue con cognizione di merito) in cui si articola l’attuale assetto della giustizia amministrativa, infatti, non è funditus data altra istanza giurisdizionale di controllo, ad eccezione del mero sindacato, da parte della Corte di cassazione, circa il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione.

6.11. In definitiva, il (supposto) contrasto con il giudicato interno, quale species di errore di diritto, è, al pari di tutti gli altri errori di diritto che il Consiglio di Stato possa compiere, sottratto al controllo di ulteriori istanze giurisdizionali: ciò, del resto, risponde e consegue tanto all’autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio di Stato (cfr. articoli 103 e 111 Cost.), quanto, prima ancora, al fondamentale principio costituzionale di ragionevole durata del processo.

6.12. Non vi sono, in conclusione, margini né per accogliere l’esegesi del combinato disposto degli articoli 106 c.p.a. e 395, n. 5, c.p.c. prospettata dal ricorrente, né, tanto meno, per sollevare in proposito questione di legittimità costituzionale.

7. Vi è, per di più, un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso.

7.1. Assumendo l’ottica defensionale articolata dal ricorrente, invero, si ha che il giudicato interno recato dalle sentenze di questa Sezione n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-risulterebbe violato già ad opera della sentenza n. -OMISSIS-.

7.2. In tale pronuncia, infatti, si è non solo affermato che “l’esistenza effettiva del nesso di causalità giuridica” fra la condotta illegittima dell’Amministrazione ed i danni lamentati dal ricorrente non sarebbe mai stata in precedenza affermata nel corso del processo, ma si è altresì proceduto a negare la risarcibilità di specifiche voci di danno, ossia il “pregiudizio patrimoniale asseritamente derivante dalla perdita per inattività successiva alla cancellazione delle immobilizzazioni tecniche (mezzi d’opera, attrezzature d’ufficio e soprattutto costruzioni leggere) detenute dall’impresa in Libia” ed il “il danno indiretto derivante dalla mancata acquisizione, da parte di -OMISSIS-, del ramo d’azienda dedicato ai lavori pubblici dell’altra impresa familiare -OMISSIS- Costruzioni”.

7.3. In definitiva, l’alveo decisionale in cui poi si sono incanalate le successive pronunce di questa Sezione è stato tracciato dalla sentenza n. -OMISSIS-, cui, dunque, deve imputarsi l’assunto contrasto con il precedente giudicato interno lamentato, in questa sede, dal ricorrente.

7.4. Ne consegue che parte ricorrente aveva l’onere di proporre tempestivo ricorso per revocazione avverso tale sentenza: è, infatti, noto che il motivo di revocazione di cui all’art. 395, n. 5, c.p.c., quale forma di revocazione cosiddetta “ordinaria”, vede come dies a quo del termine per la formulazione dell’impugnazione la data di pubblicazione della sentenza (arg. ex art. 398, comma secondo, c.p.c.).

7.5. La mancata proposizione, illo tempore, di ricorso per revocazione avverso la sentenza n. -OMISSIS-rende, dunque, inammissibile anche sotto altro profilo l’attuale ricorso.

8. In conclusione, per le esposte ragioni il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

9. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese del giudizio, liquidate in complessivi € 5.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Nicola D'Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Roberto Proietti, Consigliere