Cons. Stato, Sez. VI, 4 aprile 2022, n. 2442

A fronte di giustificazioni incomplete, fornite dall’operatore economico proponente un’offerta sospetta di anomalia, la stazione appaltante potrebbe chiedere chiarimenti all’impresa, ma non potrebbe sopperire, di propria iniziativa, all’assenza parziale di spiegazioni con un’autonoma ricerca di mercato volta a dimostrare la congruità di un costo, riferito ad alcuni dei prodotti offerti dall’operatore economico, non giustificato dall’impresa.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5399 del 2021, proposto da
Università degli Studi di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Dispari Società Cooperativa Sociale Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Cristoforo Società Cooperativa Sociale Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Chiara Clementi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), n. 00417/2021, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cristoforo Società Cooperativa Sociale Onlus e di Dispari Società Cooperativa Sociale Onlus;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2022 il Cons. Francesco De Luca e udito per la parte appellante l'avv. dello Stato Maria Teresa Lubrano Lobianco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, l’Università degli Studi di Brescia appella la sentenza n. 417 del 2021, con cui il Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha accolto il ricorso di prime cure, proposto dalla Dispari Società Cooperativa Sociale Onlus (per brevità anche Dispari Onlus) e diretto ad ottenere l’annullamento degli atti relativi alla procedura di gara per l’affidamento del servizio di portierato e custodia indetta dal medesimo Ateneo appellante.

In particolare, secondo quanto dedotto in appello:

- l’Università degli Studi di Brescia ha indetto in data 23 maggio 2019 una procedura aperta per l’affidamento del servizio di portierato e custodia dei propri uffici e dei relativi servizi ausiliari di supporto con finalità di promozione e tutela dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, per il periodo 1 maggio 2020 – 30 aprile 2026, con importo a base d’asta di € 2.047.500,00;

- alla procedura di gara hanno preso parte la Cristoforo Società Cooperativa Sociale Onlus (per brevità, anche Cristoforo Onlus) e la Dispari Onlus: all’esito della valutazione delle offerte, la Cristoforo Onlus si è classificata alla prima posizione con 94,51 punti (di cui 64,51 per l’offerta tecnica e 30 per l’offerta economica), mentre la Dispari Onlus, gestore uscente del servizio, si è classificata alla seconda posizione con il punteggio di 84,57 (di cui 59,78 punti per l’offerta tecnica e 24,79 punti per l’offerta economica);

- la Dispari Onlus ha impugnato, con un primo ricorso proposto dinnanzi al Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, il provvedimento di aggiudicazione della procedura, deducendo l’inattendibilità dell’offerta presentata dall’aggiudicataria, incentrata sulla valorizzazione di un prezzo asseritamente inidoneo a garantire la copertura dei costi dei servizi aggiuntivi promessi nell’offerta tecnica;

- il Tar adito ha accolto il ricorso, ritenendo inattendibile il giudizio di congruità dell’offerta prima classificata formulato dalla stazione appaltante, annullando per l’effetto l’aggiudicazione dell’appalto, dichiarando l’inefficacia del contratto stipulato e ordinando all’Amministrazione di riattivare la procedura valutativa dal punto in cui era intervenuto l’annullamento;

- l’Università ha rinnovato il sub-procedimento di verifica dell’anomalia, provvedendo ad aggiudicare nuovamente la gara in favore della Cristoforo Onlus;

- la Dispari Onlus ha impugnato anche tale secondo provvedimento di aggiudicazione, ritenendo che pure la nuova valutazione di congruità dell’offerta fosse inficiata da vizi di legittimità; il ricorso è stato notificato presso la sede dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Brescia, anziché presso la sede dell’Ateneo;

- l’Ateneo, in ragione della supposta nullità della notificazione del ricorso, non si è costituito in giudizio; il Tar ha rimesso in termini la ricorrente, ritenendo scusabile l’errore in cui la stessa era incorsa nella notificazione del ricorso e, per l’effetto, ha assegnato un termine per la rinnovazione della notifica presso la sede dell’Ateno;

- l’Ateneo, ricevuta la notificazione del ricorso, si è costituito in giudizio, eccependo, in via pregiudiziale, l’illegittimità della rimessione in termini per l’insussistenza dell’errore scusabile ravvisato dal Tar;

- il Tar, rigettando l’eccezione pregiudiziale dell’Ateneo, ha accolto il ricorso, escludendo la congruità dell’offerta della prima classificata; per l’effetto, il primo giudice ha annullato l’aggiudicazione e ha dichiarato inefficace il contratto stipulato dall’Università.

2. L’Ateneo, soccombente in primo grado, ha appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con due complessivi motivi di impugnazione.

3. Le società cooperative Cristoforo e Dispari si sono costituite in giudizio, la prima aderendo alle conclusioni svolte dall’Ateneo, la seconda resistendo all’appello.

4. La Sezione, con ordinanza n. 5205 del 24 settembre 2021, in accoglimento dell’istanza cautelare articolata nel ricorso in appello, ha sospeso l’efficacia dell’esecutività della sentenza appellata.

5. Le parti private, in vista dell’udienza pubblica di discussione dell’appello, hanno depositato memoria difensiva, insistendo nelle rispettive conclusionali. La Cooperativa Dispari Onlus ha pure depositato repliche alle avverse deduzioni.

6. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 24 febbraio 2022.

7. Il ricorso in appello è articolato in due motivi di impugnazione: il primo, diretto a censurare il capo decisorio con cui il Tar ha rigettato l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso di primo grado per nullità della sua notificazione; il secondo, rivolto contro le statuizioni riferite al merito della vertenza e, dunque, alla ravvisata illegittimità delle operazioni valutative, svolte dall’Amministrazione, in ordine alla congruità dell’offerta selezionata.

8. In particolare, con il primo motivo di appello viene dedotta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 11 e 43 del R.D. n. 1611/1933, degli artt. 144 e 145 c.p.c., nonché dell’art. 37 c.p.a. - Inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso introduttivo - Nullità della sentenza impugnata”.

8.1 Secondo la prospettazione attorea, il Tar avrebbe errato nel ritenere scusabile l’errore commesso dalla ricorrente nell’esecuzione della prima notificazione del ricorso principale di primo grado, avvenuta nullamente in data 7.12.2020 presso l’Avvocatura Distrettuale di Brescia, in violazione degli artt. 1, 11 e 43 R.D. n. 1611/1933, nonché degli artt. 144 e 145 c.p.c.

In particolare, il Tar ha ritenuto che l’errore fosse giustificato dalla qualificazione erronea, recata nel Regolamento di Ateneo, del patrocinio erariale come patrocinio obbligatorio, quando, invece, dalle difese svolte dalla ricorrente in primo grado si desumerebbe che l’errore sarebbe stato provocato, più che dall’utilizzo, nell’ambito del regolamento di ateneo, della locuzione “obbligatorio” riferita al patrocinio erariale, dalla qualificazione, sempre ad opera del Regolamento di ateneo, del relativo patrocinio come “ex lege”.

Tale ultima qualificazione del patrocinio erariale delle Università come legale dovrebbe, tuttavia, ritenersi corretta ai sensi della L. n. 68/1989 e dell’art. 43 RD n. 1611/1933, facendosi questione, anche per le amministrazioni diverse da quelle statali, comunque di un patrocinio ex lege, nonché “organico e esclusivo”, originando il rapporto tra Avvocatura ed ente assistito direttamente dalla legge.

La distinzione tra Amministrazioni statali e amministrazioni pubbliche autonome, ai fini della sottoposizione al patrocinio erariale, dunque, non rileverebbe per la natura del relativo rapporto, discorrendosi sempre di patrocinio legale, ma per la disciplina processuale applicabile, in quanto per le Amministrazioni autonome, quale dovrebbe ritenersi l’Ateneo, non opererebbe la regola di cui all’art. 11 R.D. n. 1611/33, che prescrive la notificazione degli atti processuali presso l’Avvocatura dello Stato.

Si tratterebbe di un regime delineato direttamente dalla legge, dal contenuto precettivo chiaro, che non avrebbe potuto generare alcun errore scusabile in ordine alla sua portata applicativa; né avrebbe potuto argomentarsi diversamente sulla base di quanto previsto dal Regolamento di Ateneo che, pur impiegando la locuzione “obbligatorio” (per qualificare il patrocinio dell’Avvocatura nei confronti dell’Università), non potrebbe far dubitare della natura giuridica del soggetto patrocinato e della conseguente disciplina processuale applicabile.

L’errore de quo, dunque, non potrebbe ritenersi scusabile, in quanto frutto di una non corretta interpretazione degli artt. 1, 11 e 43 del R.D. n. 1611/1933, nonché 144 e 145 c.p.c., come tale da ascrivere al soggetto notificante.

Per l’effetto, facendosi questione di errore non scusabile, il Tar avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità e/o l’irricevibilità del ricorso di primo grado: né avrebbe potuto sostenersi che la costituzione in giudizio dell’Ateneo avesse sanato l’originario vizio processuale, in quanto l’Amministrazione si era costituita soltanto dopo la rimessione in termini disposta dal Tar e al fine di eccepire l’inammissibilità del ricorso.

8.2 Il motivo di appello è infondato.

8.3 Preliminarmente, si evidenzia la necessità di procedere alla correzione della motivazionale alla base della sentenza di primo grado, in quanto il rigetto dell’eccezione di inammissibilità/irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio, come si osserverà infra, non può essere giustificato in ragione della scusabilità dell’errore in cui è incorso il notificante (secondo quanto ritenuto dal Tar), ma per la necessità di provvedere, comunque, alla rinnovazione della notificazione nelle ipotesi di sua nullità, a prescindere dalla imputabilità o dalla scusabilità dell’errore commesso dal notificante.

La correzione della motivazione non può, tuttavia, condurre all’accoglimento del motivo di appello, non permettendo di giungere ad un diverso esito del giudizio di primo grado.

Difatti, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’appello, la contraddittorietà o l’erroneità della motivazione giudiziale non determinano l’annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comportano la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito della controversia.

Pure di fronte ad una motivazione contraddittoria o erronea, occorre verificare in sede di appello se il contenuto dispositivo della decisione assunta dal Tar – nella specie di rigetto dell’eccezione di inammissibilità/irricevibilità opposta dall’Ateneo – sia comunque corretto.

8.4 Al riguardo, si osserva che l’appellante argomenta le proprie deduzioni sul presupposto per cui la nullità della notificazione del ricorso di primo grado, derivante da una causa imputabile al ricorrente (come tale inidonea ad integrare gli estremi dell’errore scusabile), non seguita da una spontanea costituzione della parte intimata, sia motivo di inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso.

Tale presupposto, all’esito della dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 44, comma 4, c.p.a., per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 9 luglio 2021, non può tuttavia essere condiviso.

Con tale sentenza, in particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 4, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), limitatamente alle parole «, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante,».

A fronte di una notificazione del ricorso nulla, all’esito dell’intervento della sentenza n. 148 del 9 luglio 2021 cit., deve, dunque, sempre ordinarsi la sua rinnovazione, a prescindere dall’imputabilità o scusabilità dell’errore del notificante (Consiglio di Stato, sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8436), con la conseguente necessità di assegnare alla parte ricorrente un nuovo termine che, ove rispettato, consente la sanatoria in via retroattiva del relativo vizio processuale.

Tale precetto, desumibile dall’attuale formulazione dell’art. 44, comma 4, c.p.a., risultante dalla predetta dichiarazione di parziale incostituzionalità, deve trovare applicazione anche nel caso di specie, facendosi questione di un rapporto processuale ancora non esaurito.

Come precisato da questo Consiglio, infatti, “non v’è dubbio che l’efficacia ex tunc della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, alla stregua dell’articolo 30, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, non trova in questo caso limite in “rapporti esauriti”, essendo tuttora pendenti i presenti giudizi senza che sia intervenuto alcun giudicato” (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 dicembre 2021, n. 8303).

Nella presente sede, pertanto, la questione afferente alle conseguenze discendenti dalla nullità della notificazione del ricorso, non essendo preclusa dalla formazione di un giudicato interno (in quanto oggetto di apposito motivo di impugnazione), deve essere esaminata alla stregua dell’attuale formulazione dell’art. 44, comma 4, c.p.a.

Di conseguenza, non subordinando tale disposizione la rinnovazione della notificazione nulla alla scusabilità dell’errore in cui sia incorso il ricorrente, l’Ateneo non può fondatamente contestare l’inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto nullamente notificato presso l’Avvocatura Distrettuale anziché presso la propria sede istituzionale.

Tale vizio non potrebbe, infatti, configurare una causa di inammissibilità o irricevibilità del ricorso di primo grado, imponendo soltanto la rinnovazione della notificazione ai fini della regolare costituzione del contraddittorio processuale; il che è puntualmente avvenuto nella specie, attraverso l’ordine di rinnovazione impartito dal Tar, la cui esecuzione ha permesso di sanare il relativo vizio di notificazione; ciò a prescindere dal riferimento (non più rilevante all’esito dell’attuale formulazione dell’art. 44, comma 4, c.p.a.) operato dal primo giudice alla supposta scusabilità dell’errore del ricorrente.

In conclusione, tendendo l’Ateneo a valorizzare una circostanza (inescusabilità dell’errore del notificante) non più rilevante ai fini del trattamento processuale della nullità della notificazione del ricorso, sempre da rinnovare in caso di mancata costituzione della parte intimata, non può accogliersi il primo motivo di appello, in quanto inidoneo a condurre alla riforma della decisione al riguardo assunta dal primo giudice.

9. Con il secondo motivo di appello vengono censurate le statuizioni riferite al merito della vertenza, con cui il Tar ha ritenuto anomala ed incongrua l’offerta presentata dalla prima classificata.

9.1 L’Ateneo, prendendo specifica posizione sulle singole voci di costo reputate incongrue dal primo giudice – alla base del giudizio di inaffidabilità dell’offerta recato nella sentenza gravata – deduce la correttezza dell’operato del RUP e della Commissione di gara, ritenendo che sia stata verificata con ogni legittimo strumento (ivi compresa una ricerca di mercato) l’attendibilità dei costi proposti dall’aggiudicataria

In particolare:

- con riferimento alle divise in dotazione al personale, la stima dei costi effettuata dalla società aggiudicataria sarebbe risultata in linea con il prezzo di analoghi prodotti reperibili sul mercato, come confermato da apposita verifica in rete legittimamente svolta dalla stazione appaltante; il Tar, peraltro, avrebbe errato nel ritenere necessaria una sostituzione integrale con cadenza annuale delle divise in dotazione, non risultando un tale impegno dall’offerta tecnica dell’aggiudicataria, stante l’emersione di una spesa da non rinnovare necessariamente ogni anno e per ogni unità di personale, come confermato dai giustificativi dell’aggiudicataria; del resto, l’usura di un capo di abbigliamento sarebbe soggetta a variabili in ragione della tipologia del capo, che comunque potrebbe avere una durata ben superiore a quella annuale;

- con riferimento alle bacheche elettroniche, si sarebbe in presenza di “migliorie a costo zero” relative a “Bacheche Elettroniche Gestione Chiavi: Sistema Automatizzato di gestione chiavi”, descritte al punto 1.1.c come “cassetta portachiavi” e oggetto di rappresentazione fotografica; in assenza di ulteriori specifiche, dunque, la descrizione proposta dall’aggiudicataria e la fotografia allegata sarebbero compatibili con quanto dichiarato nelle giustificazioni; l’Amministrazione avrebbe pure valutato la compatibilità dei costi di mercato con l’offerta complessiva, non potendosi ritenere corretto il giudizio di prime cure - secondo cui il preventivo impiegato dalla stazione appaltante per valutare la congruità dell’offerta sarebbe riferito ad un prodotto diverso da quello oggetto di offerta - tenuto conto, altresì, che pure l’armadio con serratura intelligente di cui all’allegato 16 delle produzioni di primo grado consisterebbe in uno strumento di custodia delle chiavi suscettibile di essere utilizzato tramite “automazione”, attraverso l’impiego di comandi da remoto o di smartphone;

- con riferimento al responsabile sociale del progetto, parimenti, le statuizioni di prime cure non potrebbero ritenersi corrette, in quanto l’Amministrazione, sulla base di un parere di un consulente del lavoro (all’uopo acquisito) neppure esaminato dal Tar, avrebbe correttamente confermato l’inquadramento lavorativo del responsabile designato alla luce delle indicazioni fornite dal Tar Brescia con la precedente sentenza n. 598/2020, con conseguente mancata emersione di costi aggiuntivi a carico dell’aggiudicataria;

- con riferimento ai beni strumentali a magazzino, sarebbe provata la loro presenza a magazzino e, comunque, il costo indicato dall’aggiudicataria (€ 800-900) risulterebbe in ogni caso compatibile con l’utile dichiarato;

- con riferimento all’utile di impresa, alla stregua delle doglianze svolte dall’Ateneo, emergerebbe la correttezza della valutazione operata in sede amministrativa, con la valorizzazione di un utile, pari a quello dichiarato in offerta, suscettibile di sostenere l’offerta, tenuto conto pure delle dimensioni societarie della Cristofaro e della sua natura giuridica di Onlus, non avente fine di lucro e per la quale, dunque, dovrebbe ammettersi pure la presentazione di un’offerta senza utile.

9.2 Le censure impugnatorie sono infondate; il che esime il Collegio dallo statuire sull’eccezione di inammissibilità delle relative censure - per violazione dell’art. 101 c.p.a. - opposta dalla Dispari Onlus con memoria del 20.9.2021.

9.3 Preliminarmente, giova richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2022, n. 167), secondo cui la verifica dell'anomalia dell'offerta è finalizzata ad accertare la complessiva attendibilità e serietà della stessa, sulla base di una valutazione che ha natura globale e sintetica e che costituisce, in quanto tale, espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all’Amministrazione, in via di principio insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che per ragioni legate alla eventuale (e dimostrata) manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell'operato dell'Amministrazione, tale da rendere palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta.

Trattandosi, quindi, di valutare l'offerta nel suo complesso, il giudizio di anomalia non ha a oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze, mirando piuttosto ad accertare se essa in concreto sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto; pertanto, la valutazione di congruità, globale e sintetica, non deve concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo; con la conseguenza che, se anche singole voci di prezzo o singoli costi non abbiano trovato immediata e diretta giustificazione, non per questo l'offerta va ritenuta inattendibile, dovendosi, invece, tener conto della loro incidenza sul costo complessivo del servizio per poter arrivare ad affermare che tali carenze siano in grado di rendere dubbia la corrispettività proposta dall'offerente e validata dalla stazione appaltante.

Salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, peraltro, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l'offerta va considerata anomala, potendo anche un utile modesto comportare un vantaggio significativo.

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve verificarsi, dapprima, se la valutazione amministrativa in ordine alla congruità delle singole voci di costo in contestazione possa ritenersi frutto di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza; all’esito, se gli eventuali manifesti errori così riscontrati siano idonei a determinare una complessiva inattendibilità e inaffidabilità dell’offerta selezionata.

Nello svolgere tali verifiche si deve anche tenere conto di una peculiarità dell’odierno giudizio, rappresentata dalla preesistenza di una sentenza di annullamento (n. 598 del 2020), passata in giudicato, intervenuta tra le stesse parti e in relazione alla medesima procedura, con cui il Tar Lombardia, Brescia, ha già annullato le operazioni valutative svolte dall’Amministrazione in relazione alla congruità dell’offerta selezionata.

Il pregresso giudicato di annullamento risulta, infatti, idoneo a produrre sia un effetto preclusivo, impedendo all’Amministrazione, nella fase di riedizione del potere, di ripetere le illegittimità già riscontrate in giudizio, sia un effetto conformativo, imponendo all’Amministrazione di assumere le determinazioni di competenza (relative alla stessa vicenda amministrativa in cui è stato adottato il provvedimento annullato in giudizio) nel rispetto dei criteri direttivi discendenti dalla relativa pronuncia giurisdizionale.

9.4 Sulla base di tali premesse è possibile soffermarsi sulle singole censure impugnatorie svolte dall’Ateneo, seguendo l’ordine espositivo alla base del ricorso in appello.

10. In primo luogo, deve essere esaminata la censura riguardante il costo delle divise in dotazione al personale.

Tale censura, sopra sintetizzata, è infondata.

10.1 L’incongruità del costo delle divise in parola era stata già rilevata dal Tar Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 598 del 2020 cit., con cui erano state accolte le doglianze attoree ivi articolate, anche in relazione “alle divise complete per i 19 addetti impiegati nell’esecuzione del servizio (due per ciascun addetto), il cui costo indicato dalla controinteressata (€uro 25,00 l’una), palesemente fuori mercato, non emerge né da preventivi del fornitore, né dal documento di trasporto versato in atti. Sicché, l’affermazione di essere un grande operatore del settore e di godere pertanto di forti sconti rimane una mera allegazione, priva di valore nella sua genericità”.

Tale capo decisorio, in quanto recato in una sentenza rimasta inoppugnata, deve ritenersi espressivo di un accertamento ormai irretrattabile, idoneo a conformare il concreto rapporto amministrativo attuato inter partes, rientrando nel perimetro oggettivo del relativo giudicato di annullamento.

Al fine di delimitare la portata del giudicato, occorre infatti procedere ad una lettura congiunta di dispositivo e motivazione, da correlarsi con la causa petendi introdotta dal ricorrente, intesa come titolo dell'azione proposta, e del bene della vita che ne forma l'oggetto ("petitum" mediato): il giudicato, in particolare, si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, comprese le questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico ineludibile della pronuncia - che ne costituiscono il giudicato implicito - e che si ricollegano, quindi, in modo indissolubile alla decisione - che costituisce il giudicato esplicito - formandone l'indispensabile presupposto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28 gennaio 2021, n. 832; Id., Sez. II, 16 marzo 2021, n. 2248).

La sentenza di annullamento cit. pronunciata dal Tar Lombardia risultava incentrata, altresì:

- sulla genericità delle deduzioni della controinteressata, riferite alla possibilità di godere di forti sconti risultando un grande operatore del settore;

- su un preciso presupposto, dato dall’offerta, a cura dell’aggiudicatario, di divise complete per 19 addetti, due per ciascun addetto, con un costo indicato dalla controinteressata pari a € 25,00 l’una.

Ne deriva che:

- le dimensioni e la presenza nel mercato della Cristoforo, di per sé, non possono costituire elementi utilmente valorizzabili per giustificare i costi esposti dal concorrente, occorrendo al riguardo una circostanziata prova da fornire a cura della controinteressata;

- l’offerta di due divise per ogni addetto costituisce una premessa alla base della sentenza n. 598/20 cit., integrando una circostanza fattuale compresa nel perimetro del pregresso giudicato di annullamento, come tale, non revocabile in dubbio in sede amministrativa o nella presente sede giurisdizionale.

10.2 Tale ultimo presupposto, peraltro, è coerente con l’offerta presentata dall’aggiudicataria e con i giustificativi dalla stessa prodotti in sede procedimentale.

In particolare, avuto riguardo all’offerta tecnica (pag. 3 - doc. 5 ricorso di primo grado), emerge che l’abbigliamento previsto per lo svolgimento del servizio constava:

- per le operatrici, di una divisa per la stagione fredda, composta da “giacca manica lunga”, “camicia manica lunga”, “pantalone o gonna”, “cintura” e “foulard o cravatta”; nonché di una divisa per la stagione calda, composta da “giacca manica lunga”, “camicia manica corta”, “pantalone o gonna”, “cintura” e “foulard o cravatta”;

- per gli operatori uomini, di una divisa per la stagione fredda, composta da “giacca manica lunga”, “camicia manica lunga”, “pantalone”, “cintura” e “cravatta”, nonché di una divisa per la stagione calda, composta da “giacca manica lunga”, “camicia manica corta”, “pantalone”, “cintura” e “cravatta”.

Con i giustificativi del 28.11.2019 (all. 6 ricorso di primo grado) la Cristoforo Onlus ha rappresentato che il costo annuale accantonato per ogni operatore in relazione ai costi aziendali in materia di sicurezza sarebbe stato pari ad € 150,00, di cui € 35,00 per visita, € 25,00 per divisa, € 25,00 per dpi, € 25 per corso sicurezza, € 20 per corso pulizie ed € 20,00 per varie; con la precisazione che si trattava di costo approssimato prudenzialmente per eccesso, tenuto conto pure che la fornitura di alcuni dispositivi di protezione individuale non sarebbe avvenuta in ogni singolo anno di un appalto e gli attestati in materia di sicurezza avrebbero dovuto essere già in possesso del personale attualmente svolgente il servizio, essendo comunque inclusi nel costo orario minimo tabellare.

L’aggiudicataria, nell’ambito dei giustificativi del 21.9.2020 (all. 3 ricorso di primo grado), ha preso posizione sui rilievi formulati dal Tar Lombardia nella sentenza n. 598/2020, secondo cui il costo di € 25,00 per ogni divisa sarebbe risultato fuori mercato, ritenendo “la perfetta congruità del relativo costo per come a suo tempo indicato nell’offerta tecnica”, come emergente dalla fattura emessa da un fornitore trasmessa dalla stessa aggiudicataria alla stazione appaltante, che avrebbe comprovato “la operatività di quelle economie di scala che connotano per vari settori i rapporti commerciali del presente operatore economico con i propri fornitori”.

Dalla documentazione in atti emerge, dunque, che:

- l’offerta tecnica presentata dall’aggiudicatario prevedeva due divise per ciascun addetto, utilizzabili rispettivamente nella stagione fredda e nella stagione calda di ciascun anno;

- il costo annuale per divisa è stato quantificato nei primi giustificativi del 2019 in € 25,00 annui (tali giustificativi, peraltro, riguardavano soltanto una divisa, in contrasto con quanto previsto nell’offerta, incentrata su due divise per addetto, per la stagione fredda e calda);

- nei giustificativi del 2020 si è inteso prendere posizione sui rilievi svolti dal Tar Lombardia, Brescia, secondo cui sarebbe stato ingiustificato il costo di € 25,00 per ogni divisa, ritenendo tale costo congruo, come confermato da apposita fattura all’uopo prodotta.

10.3 Ne deriva che, diversamente da quanto ritenuto dall’Amministrazione (secondo cui “il costo indicato dall’aggiudicataria in merito alle divise deve ritenersi come spesa da non rinnovare necessariamente ogni anno e per ogni unità di personale”), i documenti in parola confermano che l’impegno contrattuale assunto dalla Cristoforo Onlus prevedeva l’impiego di due divise per ciascun addetto (per la stagione fredda e per la stagione calda), con costo annuale, per ciascuna divisa, quantificato in € 25,00; il che è coerente con quanto già accertato con effetti di giudicato tra le parti dal Tar Lombardia (sentenza n. 598/2020) in merito alla previsione di due divise “per ciascun addetto”, il cui costo indicato dalla controinteressata risultava pari a “€uro 25,00 l’una”.

Non potrebbe valorizzarsi, per giungere ad una diversa conclusione, la precisazione, recata nei giustificativi del 28.11.2019, in cui si chiariva che il costo annuale in materia di sicurezza per ogni operatore risultava approssimato prudenzialmente per eccesso, tenuto conto che “la fornitura di alcuni Dispositivi di protezione individuale non avviene in ogni singolo anno di un appalto”: tali precisazioni supportavano, comunque, una giustificazione del costo annuale di una divisa per € 25,00, nonché riguardavano “alcuni Dispositivi di protezione individuale”, con un’espressione letterale che, da un lato, non richiamava specificatamente il costo per divisa, dall’altro, risultava maggiormente riferibile alla diversa componente (valorizzata separatamente) dei “dpi”, aventi un autonomo costo annuale per € 25,00.

Per l’effetto, se le divise dovevano essere due per addetto, da impiegare nella stagione fredda e calda di ciascun anno, nonché se il costo per divisa risultava esposto dalla controinteressata nella misura di € 25,00 annui, doveva ritenersi che il costo per entrambe le divise fosse quantificabile in € 50,00 annui per addetto (€ 25,00 per la divisa in dotazione nella stagione fredda ed € 25,00 per la divisa in dotazione nella stagione calda): la commisurazione del costo su base annuale presupponeva, inoltre, una sostituzione delle divise in ciascuno degli anni in cui sarebbe stata articolata la commessa, non essendo, infatti, ragionevole la previsione dell’impiego della stessa divisa stagionale per sei anni, senza assicurare una sua sostituzione periodica, anche in ragione della fisiologica usura del capo di abbigliamento o di altri eventi, anche accidentali, incidenti sulla possibilità di un suo persistente utilizzo, suscettibili di verificarsi nel corso del periodo contrattuale.

Tali rilievi già evidenziano come nei giustificativi del 28.11.2019 cit. fosse stato preso in considerazione il costo annuo di una sola divisa, quando, invece, l’offerta tecnica prevedeva l’impiego annuale di due divise (una per la stagione fredda e una per quella calda); pertanto, avendo computato la controinteressata il costo annuo di una sola divisa, a fronte delle due previste nell’offerta tecnica, già tale circostanza avrebbe fatto emergere un maggiore costo di € 25,00 annui (pari al costo della divisa non contemplata nei giustificativi del 2019), da moltiplicare per il numero di addetti (19, come accertato dal Tar nella sentenza n. 598/20 e come emergente dai giustificativi dell’11.11.2019 – deposito Cristoforo 25.1.2021) e per il numero di anni di prestazione contrattuale (avente una durata prevista per il periodo 01/05/2020 – 30/04/2026); con conseguente maggiore costo, non considerato nei giustificativi del 2019, di € 2.850,00, prossimo all’utile di € 3.000,00 dichiarato dalla controinteressata.

10.4 Nel caso di specie, tuttavia, oltre ad emergere la mancata considerazione del costo annuale della divisa aggiuntiva, difettano adeguate giustificazioni in ordine allo stesso costo annuale di € 25,00 per divisa dichiarato dal concorrente, non comprovato dal preventivo allegato ai giustificativi del 2020, né risultante dalle autonome (e, secondo quanto si osserverà infra, illegittime) ricerche di mercato svolte dalla stazione appaltante.

10.5 Sotto il primo profilo, si osserva che, diversamente da quanto ritenuto in sede procedimentale dall’Amministrazione (cfr. verbale del 6.10.2020 in cui si attesta che “la Commissione ha potuto verificare che il preventivo della ditta … presentato dalla società Cristoforo giustifica il prezzo indicato in offerta pari a € 25 a divisa”), il preventivo allegato ai giustificativi del 2020 cit. non è idoneo a comprovare la congruità del costo della divisa in dotazione al personale impegnato nella commessa, riguardando il prezzo di capi di abbigliamento che non esauriscono le componenti delle divise previste in sede di offerta tecnica.

In particolare, tale preventivo fa riferimento a giacche (maryland e springfield), polo manica corta (piquet), nonché camicie uomo e donna, con la valorizzazione per ciascun capo di un distinto prezzo.

Il preventivo, dunque, da un lato, valorizza il prezzo di capi non compresi nell’offerta tecnica (polo), dall’altro, non contempla taluni capi invece previsti dall’offerta tecnica (pantalone o gonna per le operatrici e pantalone per gli operatori, cintura per le operatrici e per gli operatori, nonché foulard o cravatta per le operatrici e cravatta per gli operatori).

Tale preventivo non poteva, dunque, ritenersi idoneo a giustificare il costo delle divise in dotazione al personale da impiegare nella commessa, non contemplando alcuni dei capi di abbigliamento occorrenti per formare la divisa prevista nell’offerta tecnica.

Il preventivo poteva, piuttosto, giustificare (soltanto) il prezzo della giacca e della camicia, rispettivamente pari ad € 14,4 e € 7.3, con conseguente valorizzazione di un costo parziale di € 21,7 - relativo a soli due dei capi di abbigliamento componenti la divisa prevista nell’offerta presentata in gara - già prossimo a quello complessivo di € 25 per divisa indicato dalla controinteressata nei giustificativi del 2019 e del 2020.

Per ritenere congruo il costo complessivo di € 25,00, sarebbe stato, dunque, necessario dimostrare che il costo dei capi ulteriori componenti la divisa (pantalone o gonna, cintura, nonché cravatta o foulard) fosse complessivamente contenuto entro l’importo di € 3,3, corrispondente alla differenza tra costo dichiarato per divisa e costo giustificato per giacca e camicia; una tale prova, tuttavia, non risulta essere stata fornita dalla società aggiudicataria.

Per l’effetto, la valutazione della Commissione, secondo cui il preventivo de quo risultava idoneo a giustificare il prezzo indicato in offerta pari a € 25 a divisa risulta inficiata da una macroscopica erroneità, in quanto incentrata su un documento non riferibile a tutti i capi componenti la divisa in esame e, dunque, tale da non potere giustificare il costo complessivo del prodotto in dotazione al personale impegnato nell’esecuzione della commessa.

10.6 Sotto il secondo profilo di indagine, si osserva che, alla stregua di quanto risultante dal medesimo verbale del 6.10.2020 cit., “La commissione ha anche verificato che il preventivo risulta essere in linea con i prezzi di mercato facilmente reperibili on line come, ad esempio, quelli esposti nel market place … dove è esposto un costo tra i 10 e 20 USD per acquisti superiori alle 100 unità…”.

Anche tale seconda ratio decidendi alla base del giudizio di congruità del costo in parola risulta illegittima, in quanto, da un lato, la stazione appaltante non avrebbe potuto sopperire ad un difetto di giustificazioni mediante un’autonoma ricerca di mercato, dall’altro, gli elementi istruttori (illegittimamente) acquisiti non potrebbero comunque rilevare per giustificare il costo delle divise in contestazione.

10.6.1 Ai sensi dell’art. 97, comma 5, D. Lgs. n. 50/16, “La stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni. Essa esclude l'offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l'offerta è anormalmente bassa in quanto: a) non rispetta gli obblighi di cui all'articolo 30, comma 3; b) non rispetta gli obblighi di cui all'articolo 105; c) sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all'articolo 95, comma 10, rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture; d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all'articolo 23, comma 16”.

Come precisato da questo Consiglio, “l'art. 97, comma 5, prevede l'esclusione dell'offerta "solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l'offerta è anormalmente bassa" per i motivi di seguito elencati. La disposizione lascia quindi aperta l'opzione - ulteriore rispetto a quelle, previste, della insufficienza delle giustificazioni fornite e dell'accertamento dell'anomalia dell'offerta, conducenti per legge all'esclusione dell'offerta sospetta di anomalia - che la commissione di gara, ritenendo non integrate le due predette fattispecie, possa ritenere necessitata la produzione di altri elementi e provvedere di conseguenza” (Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2021, n. 6818).

Ne deriva che, a fronte di giustificazioni incomplete, fornite dall’operatore economico proponente un’offerta sospetta di anomalia, la stazione appaltante potrebbe chiedere chiarimenti all’impresa, attivando un’ulteriore fase di contraddittorio e provvedendo, all’esito, alla valutazione dell’attendibilità dell’offerta alla stregua degli elementi integrativi eventualmente acquisiti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 1 febbraio 2021, n. 911, secondo cui “ben può accadere in concreto che, ricevuti i primi giustificativi, l'amministrazione non sia in condizione di risolvere tutti i dubbi in ordine all'attendibilità dell'offerta soggetta a verifica di anomalia e decida per questo di avanzare ulteriori richieste all'operatore economico ovvero di fissare un incontro per ricevere spiegazioni e chiarimenti”), ma non potrebbe sopperire, di propria iniziativa, all’assenza parziale di spiegazioni con un’autonoma ricerca di mercato volta a dimostrare la congruità di un costo, riferito ad alcuni dei prodotti offerti dall’operatore economico, non giustificato dall’impresa.

Avuto riguardo al caso di specie, dunque, a fronte di giustificazioni insufficienti, la stazione appaltante avrebbe potuto evitare l’esclusione dell’offerta per la sua complessiva inaffidabilità, attraverso una richiesta di chiarimenti rivolta alla società cooperativa, ma non avrebbe potuto sopperire all’incompletezza degli elementi giustificativi e probatori forniti dalla Cristoforo Onlus (in specie, una fattura commerciale riguardante solo alcuni dei capi componenti la divisa in dotazione descritta nell’offerta tecnica) attraverso una propria iniziativa istruttoria ufficiosa, tradottasi nella specie nello svolgimento di una ricerca di mercato on line presso un noto market place; ciò, tenuto conto pure del contesto amministrativo di riferimento, caratterizzato dalla presenza di un pregresso giudicato di annullamento, che aveva evidenziato come il costo in contestazione (riguardante le divise in dotazione al personale impiegato nell’ambito della pubblica commessa) risultasse “palesemente fuori mercato” e non documentato, con conseguente necessità, per l’operatore economico, di fornire una specifica e completa prova del costo stimato per singola divisa.

10.7 L’Amministrazione, in ogni caso, pure decidendo (illegittimamente, per quanto osservato) di sostituirsi all’impresa nel comprovare la congruità del costo di un prodotto rimasto ingiustificato (emergendo alcuni componenti non contemplati nel preventivo prodotto dall’operatore economico), ha posto alla base della propria decisione risultanze istruttorie incoerenti con la tipologia del prodotto in contestazione.

In particolare, il prezzo reperito on line dall’Amministrazione e documentato sub doc. 13 della produzione di primo grado dell’Ateneo (10,00USD-20,00USD), oltre a riferirsi ad acquisti cumulativi (con ordine minimo di 100 “parti”), non reca una descrizione puntuale delle componenti della divisa, emergendo soltanto un disegno della divisa di receptionist di hotel (con la valorizzazione, peraltro, di una figura professionale diversa da quella rilevante nella specie), che non permette di individuare con certezza i capi di abbigliamento componenti la divisa presa in esame dalla Commissione: pure avendo riguardo alla rappresentazione grafica presente nella pagina del sito internet consultato dall’Amministrazione, sembrerebbe che si tratti di divise prive della giacca e della cintura (oltre che della cravatta per l’operatore), nonostante tali capi costituissero una componente della divisa prevista nell’offerta tecnica dell’aggiudicatario.

Si è, dunque, in presenza di risultanze istruttorie inconferenti in quanto, da un lato, riguardanti un prodotto non puntualmente descritto e, comunque (avendo riguardo alla rappresentazione grafica), difforme da quello previsto dall’aggiudicatario; dall’altro, presupponenti acquisti cumulativi con ordine minimo di 100 unità, sebbene il preventivo valorizzato dall’aggiudicatario fosse riferito ad acquisti per quantità estremamente inferiori (13 giacche e 17 camicie, in relazione ai capi di interesse), con conseguente emersione di una condotta di acquisto dell’aggiudicatario difforme da quella presupposta dall’Amministrazione (incentrata su acquisti cumulativi di ben maggiore consistenza).

Il doc. 13 cit., pertanto, non potrebbe essere utilmente invocato per dimostrare la congruità del costo esposto dall’operatore economico.

Non potrebbe, invece, valorizzarsi nella presente sede il doc. 14 prodotto dall’Amministrazione in primo grado, riferito ad un prezzo per divisa compreso tra 6,00 USD e 18,00USD, in quanto non coerente con le valutazioni sulla cui base è stato assunto il provvedimento impugnato in primo grado, incentrate su un costo per divise compreso tra 10,00 e 20,00 USD ed acquisti superiori alle 100 unità. Per l’effetto, la mancata valorizzazione di tale preventivo in sede procedimentale implica un giudizio di sua irrilevanza ai fini della decisione amministrativa.

In ogni caso, anche tale documento non reca una descrizione delle componenti della divisa (comparendo un mero riferimento ad un’uniforme di receptionist di hotel) e, comunque, pure avendo riguardo alla rappresentazione grafica, sembra non comprendere tutti i capi di abbigliamento previsti nell’offerta tecnica (cfr. la mancata rappresentazione grafica della cintura).

10.8 Alla stregua delle considerazioni svolte, la valutazione di congruità del costo delle divise, svolta dall’Amministrazione, non risulta legittima, emergendo non soltanto la mancata considerazione del costo annuo di una divisa aggiuntiva per addetto, ma anche il difetto di giustificazioni del costo di € 25,00 annui per divisa esposto dalla controinteressata.

11. Anche la seconda censura, riferita alle bacheche elettroniche, non può essere accolta.

11.1 Al riguardo, si osserva che la Cristoforo Onlus, nell’ambito della propria offerta tecnica ha proposto, tra “le migliorie offerte senza nessun onere per la Committenza”, delle “Bacheche Elettroniche Gestione Chiavi”, caratterizzate da un “Sistema Automatizzato di gestione chiavi”; l’offerta era relativa a “tutti i plessi” (pag. 16).

Il Tar Lombardia, Brescia, con la sentenza n. 598 del 2020 ha ritenuto che “le bacheche e il restante materiale (sedie ergonomiche, pc e doblò: doc. 7 fascicolo della ricorrente), anche se già a magazzino, secondo quanto dichiarato dall’aggiudicataria, va interamente spesato, perché l’impresa ha sostenuto un costo per acquistarlo e questo costo va imputato all’appalto in cui il materiale viene impiegato. E se si tratta di beni già ammortizzati, allora o richiedono una maggiore manutenzione in quanto vetusti, o sono inutilizzabili, coincidendo di regola l’ammortamento con la vita utile del bene strumentale”.

L’effetto conformativo discendente da tale pronuncia imponeva, dunque, all’Amministrazione di valutare il costo per le bacheche e per il restante materiale, pure ove già a magazzino.

I giustificativi forniti dall’aggiudicataria in data 21.9.2020, relativamente alle attrezzature valorizzate dal giudicato di annullamento, si soffermano sul costo del Doblò e sul costo delle altre attrezzature: in particolare, l’aggiudicatario ha ribadito che “le attrezzature citate in sentenza …. sono tutte presenti presso i magazzini della scrivente Cooperativa e … quindi le stesse hanno un costo finale per questa Cooperativa pari a zero”, nonché, comunque, che “per le sedie e per i pc il costo imputabile al cantiere ammonta in via presuntiva a solamente circa € 800,00 – 900,00”, come emergente dal libro cespiti.

La Commissione di gara ha ritenuto attendibili i giustificativi forniti dal concorrente, precisando che l’importo dichiarato dall’operatore economico “è stato verificato sia dal libro cespiti che dalle schede forniti dalla ditta Cristoforo” (verbale 6.10.2020 cit.).

11.2 Tale motivazione manifesta l’erroneità della valutazione amministrativa.

Premesso che le bacheche de quibus costituivano una miglioria senza oneri aggiuntivi per l’Amministrazione, configurando, di contro, un prodotto offerto dal concorrente, per il quale risultava foriero di costo, come accertato con effetti di giudicato con la sentenza n. 598/20 cit., si osserva che la Commissione di gara non ha tenuto conto che i giustificativi forniti dal concorrente non valorizzavano espressamente il costo delle bacheche elettroniche, bensì soltanto quello delle sedie e dei pc; con conseguente assenza, in parte qua, di spiegazioni in ordine al costo di un prodotto comunque offerto dall’aggiudicatario.

In assenza di giustificazioni, come rilevato sopra, l’Amministrazione, anziché reputare immediatamente non specificato e (a fortiori) non dimostrato il costo del relativo prodotto, avrebbe potuto attivare un’ulteriore fase di confronto con l’impresa, chiedendo precisazioni al riguardo; l’Amministrazione non avrebbe, invece, potuto ritenere giustificato il relativo prezzo, in assenza di elementi probatori forniti dalla società e sulla base di ricerche di mercato autonomamente condotte.

La decisione di ritenere congruo un prezzo non giustificato risulta, dunque, illegittima per violazione dell’art. 97, comma 5, D. Lgs. n. 50/16.

11.3 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure rilevando che il riferimento ai beni in magazzino, recato nei giustificativi forniti dal concorrente, comprendesse anche le bacheche de quibus, ovvero che l’importo di tali beni fosse comunque tale da non erodere l’utile di commessa dichiarato dal concorrente.

11.3.1 Sotto il primo profilo, si osserva che, come rilevato dal Tar, la stessa controinteressata ha riconosciuto di non aver ancora acquistato i beni in esame (cfr. p. 6 note di udienza del 25 gennaio 2021, in cui si ammette che “Quanto, da ultimo, alle più volte citate bacheche, si osserva, da un lato, che la Cristoforo non è oggi in possesso di una fattura inerente le stesse semplicemente perché, come lecito e coerentemente con le previsioni della propria offerta tecnica oltre che con gli accordi intercorsi con la stazione appaltante, non le ha ad oggi ancora acquistate”); il che evidenzia come le bacheche non potessero ritenersi comprese tra i beni in magazzino.

In ogni caso, nel rispetto di quanto imposto dal giudicato di annullamento, formatosi sulla sentenza n. 598/20 cit., anche i beni in magazzino avrebbero dovuto essere specificatamente valorizzati con l’esposizione e la giustificazione del relativo costo; il che non risulta avvenuto nella specie.

11.3.2 Sotto il secondo profilo, l’Amministrazione richiama un preventivo autonomamente ricavato da una ricerca di mercato (doc. 16 produzione di primo grado), che attesterebbe un costo di circa 41 USD per l’acquisto della bacheca de qua.

Un tale modus procedendi, per le stesse ragioni sopra esposte - in relazione alla ricerca di mercato svolta per le divise - non può ritenersi legittimo, non potendo l’Amministrazione sostituirsi all’impresa nel ricercare gli elementi probatori idonei a comprovare la congruità dei prezzi o dei costi dei prodotti offerti dall’operatore economico e da questi non giustificati.

In ogni caso, il preventivo valorizzato dall’Ateneo non risulta conferente, riguardando un armadio con serratura intelligente, costituente un prodotto diverso da quello offerto dal concorrente.

La Cristoforo Onlus, infatti, non aveva offerto un prodotto caratterizzato da una serratura automatica, ma un prodotto connotato da un sistema automatizzato di gestione chiavi.

L’automatizzazione non afferiva, dunque, all’apertura della bacheca, ma alla gestione delle chiavi in essa contenute.

Per l’effetto, a prescindere da una supposta compatibilità tra la rappresentazione grafica del prodotto recata nell’offerta tecnica e quella relativa al prodotto presente nel sito internet consultato dall’Amministrazione (circostanza di per sé non significativa, occorrendo verificare la descrizione delle modalità di funzionamento del prodotto, per come riportate nell’offerta tecnica, e non la relativa immagine, meramente indicativa), l’Amministrazione ha valorizzato (peraltro, illegittimamente) un preventivo inconferente, perché non riguardante una bacheca con gestione automatizzata delle chiavi; il che conferma, per un’ulteriore e autonoma ragione, la mancata giustificazione del costo di un prodotto componente l’offerta selezionata.

12. Deve essere rigettata anche la censura riferita al responsabile sociale del progetto.

12.1 In particolare, secondo quanto statuito dal Tar Lombardia, Brescia con la sentenza n. 598/2020, “non convince l’inquadramento (E2), non coerente – a norma del CCNL delle Cooperative sociali - al titolo di studio conseguito (laurea in psicologia) e all’anzianità maturata (oltre i cinque anni), del responsabile sociale del progetto (il dott. Giovanni Massini): il corretto inquadramento al livello F1 determina da solo uno scostamento del costo del lavoro di €uro 7.525,79. A nulla vale, infatti, che, secondo le difese della controinteressata, il responsabile abbia accettato un inquadramento inferiore, perché si tratta di materia sottratta alla disponibilità delle parti, posto che diversamente si accorderebbe all’impresa che viola il CCNL un indebito vantaggio competitivo. Deve, invece, esserci coerenza tra le mansioni svolte, idoneità a svolgerle e livello retributivo accordato al dipendente”.

Il Tar, pertanto, ha accertato che:

- l’inquadramento E2 del responsabile sociale del progetto non risultava coerente, a norma del CCNL delle Cooperative sociali, al titolo di studio conseguito (laurea in psicologia) e all’anzianità maturata (oltre i cinque anni), con la figura professionale prevista dal concorrente;

- il corretto inquadramento doveva avvenire a livello F1, foriero di uno scostamento del costo del lavoro per € 7.525,79.

12.2 A fronte di tali statuizioni, l’aggiudicatario, nell’ambito dei propri giustificativi del 21.9.2020, quanto al “lamentato non corretto inquadramento contrattuale della figura del responsabile sociale, Dott. Giovanni Massini”, ha ritenuto che “erri la controparte (inducendo in errore anche il Tar) nel far conseguire automaticamente alla di lui iscrizione ventennale nell’albo degli psicologi il livello F1 del CCNL Cooperative Sociali”; per l’effetto, l’operatore economico ha indicato le ragioni per le quali la figura professionale incaricata non potesse essere inquadrata al livello F1, risultando corretto e congruo rispetto alle mansioni svolte un inquadramento al livello E2.

12.3 Dalla documentazione in atti emerge che l’Amministrazione:

- dapprima, alla stregua di quanto emergente dal verbale del 6.10.2020, ha ritenuto “utile un parere di un consulente del lavoro”;

- all’esito, una volta acquisito tale parere, come attestato dal verbale del 16.10.2020 (riprodotto nel verbale del 4.11.2020), ha ritenuto corretto il livello contrattuale E2 proposto dalla cooperativa Cristoforo, chiedendo comunque all’operatore economico di fornire ulteriori precisazioni in ordine alla quantificazione del tempo dedicato al cantiere dell’università da parte del Coordinatore dei Responsabili Sociali, per la cui attività risultava incaricato il dott. Massini, con la precisazione che “il tempo dovrà essere espresso come percentuale rispetto al contratto in essere con il dottor Giovanni Massini”;

- infine, ricevuti i chiarimenti richiesti dal concorrente, ha rilevato che il tempo dedicato al cantiere dell’Ateneo da parte del Coordinatore dei Responsabili Sociali risultava pari a 2,63% rispetto al monte ore settimanale previsto dal contratto in essere tra lo stesso e l’operatore economico; ragion per cui il costo da imputare al cantiere de quo avrebbe dovuto essere valorizzato in base a detta percentuale e non per l’intero valore annuale; tale calcolo avrebbe evidenziato ampi margini anche nel caso in cui il livello contrattuale fosse stato superiore a quello attribuito; considerando il costo lordo annuo per un lavoratore inquadrato con il livello F1, quantificato in € 45.321,78 nella tabella del costo orario allegata al contratto di categoria di riferimento, ed applicando la percentuale di 2,63%, sarebbe infatti emerso un costo da imputare al cantiere dell’Ateneo di € 1.191,96 (verbale del 22.10.2020, riprodotto nel verbale del 4.11.2020).

12.4 L’operato amministrativo risulta manifestamente erroneo, in quanto, da un lato, incentrato sulla valorizzazione di un inquadramento della figura professionale del Dott. Massini incompatibile con l’accertamento giurisdizionale recato nella sentenza n. 598/2020 cit.; dall’altro, basato su elementi fattuali incompatibili con gli stessi giustificativi originariamente forniti dal concorrente.

12.4.1 Sotto il primo profilo, si osserva che a pag. 24 dell’offerta tecnica, la società Cristoforo ha precisato che: “In considerazione dell’elevato numero di personale svantaggiato coinvolto nella erogazione dei servizi di portierato per l’Università di Brescia, il ruolo di Responsabile Sociale sarà attribuito, per questo appalto, al Dott. Giovanni Massini, in quanto professionista con 20 anni di esperienza specifica”; il ruolo del dott. Massini quale responsabile sociale è stato anche accertato con effetti di giudicato (in quanto presupposto della decisione) dal Tar Lombardia nella sentenza n. 598/2020 cit. [in cui si discorre del “responsabile sociale del progetto (il dott. Giovanni Massini)”], nonché è riconosciuto dall’aggiudicatario nei giustificativi del 21.9.2020, in cui si tratta dell’inquadramento contrattuale “della figura del responsabile sociale, Dott. Giovanni Massini”. Parimenti, l’Ateneo, nel ricorso in appello, alla pag. 16, discorre di “responsabile sociale del progetto, dott. Massini”.

Nel prendere in esame l’inquadramento contrattuale del responsabile sociale, il Tar Lombardia, nella sentenza n. 598/2020, non soltanto aveva manifestato (in negativo) dubbi sull’inquadramento proposto dal concorrente, ma aveva accertato (in positivo) “il corretto inquadramento al livello F1”; con conseguente emersione di un effetto conformativo del giudicato, che imponeva all’Amministrazione, nella fase di riedizione del potere, di considerare corretto l’inquadramento al livello F1.

Se l’Amministrazione avesse ritenuto tale statuizione erronea, avrebbe dovuto appellare la sentenza di primo grado, non potendo, invece, dubitare della correttezza di tale pronuncia nella fase di riedizione del potere, al fine di pervenire ad un accertamento incompatibile con quello presupposto dal giudicato.

La circostanza per cui l’Ateneo abbia disatteso il vincolo conformativo discendente dalla sentenza di annullamento emerge manifestamente dai giustificativi dell’aggiudicatario, che discorre espressamente di una pronuncia erronea da parte del Tar (censurando la condotta della seconda classificata, che avrebbe indotto “in errore anche il Tar”): tale errore non avrebbe potuto essere corretto con i giustificativi del 2020 e con una nuova decisione amministrativa, ma avrebbe dovuto essere contestato con uno specifico motivo di impugnazione, altrimenti formandosi la cosa giudicata, espressione dell’irretrattabilità del comando giudiziale.

Pertanto, l’Ateneo, ritenendo scorretto l’inquadramento F1 e assumendo una decisione incentrata su un inquadramento (E2) diverso da quello accertato nella pregressa sentenza, ha agito in maniera illegittima, ponendo in essere un atto violativo del giudicato.

Né potrebbe diversamente argomentarsi valorizzando il parere di un consulente del lavoro acquisito in sede procedimentale: nella specie, l’attività amministrativa è illegittima in radice, in quanto tesa ad accertare fatti incompatibili con quelli emergenti dal giudicato. Il parere de quo mirava, infatti, ad asseverare un inquadramento difforme rispetto a quello ritenuto corretto dalla sentenza n. 598/20 (ormai irretrattabile, perché passata in giudicato), il che non risultava ammesso nella fase di riedizione del potere.

12.4.2 L’operato amministrativo risulta illegittimo, altresì, perché incentrato su una valorizzazione di un costo per la figura professionale in esame incompatibile con gli elementi fattuali forniti dal concorrente con i giustificativi del 2019, da cui emergeva che il responsabile sociale sarebbe stato impiegato ad un costo orario di € 23,19, per n. 310,47 ore lavorative, con la valorizzazione di un importo lordo mensile di € 100,00 ed uno lordo complessivo di € 7.200,00 (giustificativi dell’11.11.2019 e del 28.11.2019).

A fronte di tali dati, non mutati nei giustificativi del 21.9.2020, riferiti soltanto all’inquadramento del responsabile sociale, l’Ateneo ha avvertito l’esigenza di chiedere al concorrente una precisazione ulteriore in ordine al tempo dedicato al cantiere dell’università da parte del Coordinatore dei Responsabili Sociali, da esprimere come percentuale rispetto al contratto in essere con il dott. Massini.

Acquisito tale dato percentuale (corrispondente al 2,63%), l’Ateneo ha ritenuto che, pure l’applicazione dell’inquadramento F1, avrebbe generato un costo lordo annuo di € 1.191,96.

Tale quantificazione risulta incompatibile con quella operata dal concorrente che, partendo da un inferiore livello contrattuale (E2), aveva quantificato per il responsabile sociale (individuato nel dott. Massini) un importo lordo mensile di € 100,00, con la conseguente valorizzazione di un importo lordo annuo di € 1.200,00.

In altri termini, l’Amministrazione, sebbene avesse a disposizione il dato relativo al numero di ore lavorative riferite al responsabile sociale (indicato nei precedenti giustificativi), ha inteso chiedere ulteriori elementi, non spontaneamente forniti dal concorrente, per addivenire alla quantificazione di un costo lordo mensile che, sebbene calcolato sulla base di un inquadramento (F1) superiore a quello computato dal concorrente (E2), ha condotto ad un importo (€ 1.191,96 annui) inferiore a quello valorizzato dallo stesso aggiudicatario (€ 1.200,00 annui); il che risultava possibile soltanto calcolando un numero di ore dedicate alla commessa inferiore rispetto al numero di ore specificate negli originari giustificativi in relazione alla figura del responsabile sociale (come correttamente dedotto dalla Dispari Onlus, che ha censurato anche la riduzione delle ore lavorate in relazione alla posizione del responsabile sociale del progetto).

La giurisprudenza di questo Consiglio (tra gli altri, sez. III, 19 ottobre 2021, n. 7036), pure non escludendo in radice la possibilità di una modifica dei giustificativi, ha subordinato una tale eventualità al ricorrere di talune specifiche condizioni, precisando che:

- in termini generali, è ammissibile una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori;

- tale ammissibilità incontra (di là dalla rigidità delle voci di costo inerenti gli oneri di sicurezza aziendale) il solo limite del divieto di una radicale modificazione della composizione dell'offerta che ne alteri l'equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase delle giustificazioni;

- la riallocazione delle voci deve avere un fondamento economico serio allorché incida sulla composizione dell'offerta, atteso che, diversamente, si perverrebbe all'inaccettabile conseguenza di consentire un'elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione propria del subprocedimento di verifica dell'anomalia, che è, per l'appunto, di apprezzamento globale dell'attendibilità dell'offerta;

- ragionevoli, giustificate e proporzionate modificazioni e rimodulazioni possono interessare anche la struttura dei costi per il personale.

La modifica dei giustificativi deve, dunque, avere un fondamento oggettivo, ancorato a sopravvenienze non considerate al momento della loro originaria redazione ovvero all’esigenza di porre rimedio a taluni errori in cui sia incorso l’operatore economico nella formulazione delle precedenti spiegazioni.

Deve, dunque, essere l’operatore economico a rappresentare all’Amministrazione la ragione alla base della modifica di quanto già giustificato.

Nel caso di specie, invece, a fronte di una condotta assunta dall’aggiudicatario volta a ribadire la correttezza di un dato inquadramento professionale (E2), è stata l’Amministrazione a sollecitare l’acquisizione di un elemento informativo riferito alla percentuale dell’impegno lavorativo del dott. Massino rispetto al contratto in essere, sulla cui base l’Ateneo ha provveduto al calcolo del costo complessivo lordo della relativa manodopera, implicante, tuttavia, un numero di ore impiegate nell’appalto minore rispetto a quanto originariamente giustificato dal concorrente (essendo stato valorizzato, come osservato, un costo inferiore a quello indicato nei giustificativi del 2019, sebbene calcolato sulla base di un superiore inquadramento contrattuale, il che è compatibile solo con la riduzione della base di calcolo, data dal numero di ore lavorate, come correttamente censurato dalla Dispari Onlus).

Tale modifica del giustificativo, alla luce delle precedenti coordinate ermeneutiche, non può ritenersi ammissibile, perché non originata da sopravvenienze o errori rappresentati dal concorrente, ma da un’attività della stessa stazione appaltante, riferita ad un profilo fattuale (impegno percentuale della manodopera) neppure valorizzato dal concorrente.

13. Le censure dell’Ateneo, riguardanti i beni strumentali a magazzino, non possono parimenti essere accolte nella parte in cui tendono ad escludere la necessità di computare il costo dei beni presenti in magazzino, in quanto (anche sotto tale profilo) risultano manifestamente incompatibili con il giudicato di annullamento formatosi sulla sentenza n. 598/2020 cit., che aveva chiaramente imposto di valorizzare anche il costo dei beni in magazzino: “il restante materiale (sedie ergonomiche, pc e doblò: doc. 7 fascicolo della ricorrente), anche se già a magazzino, secondo quanto dichiarato dall’aggiudicataria, va interamente spesato, perché l’impresa ha sostenuto un costo per acquistarlo e questo costo va imputato all’appalto in cui il materiale viene impiegato. E se si tratta di beni già ammortizzati, allora o richiedono una maggiore manutenzione in quanto vetusti, o sono inutilizzabili, coincidendo di regola l’ammortamento con la vita utile del bene strumentale”.

Se tale precetto, idoneo a conformare la riedizione del potere, non fosse stato condiviso, l’Ateneo avrebbe dovuto proporre appello avverso la sentenza n. 598/20, non potendo violare il relativo comando conformativo nella fase di riedizione del potere attraverso la rinnovata considerazione di attrezzature a costo zero perché già presenti in magazzino.

Le deduzioni dell’Ateneo, svolte nell’odierno ricorso in appello, nella parte in cui valorizzano in € 800-900 il maggiore costo dichiarato dall’aggiudicataria per materiali presenti in magazzino, invece, confermano un’ulteriore componente di costo non considerato dall’impresa negli originari giustificativi che, se sommato a quelli discendenti dal rigetto delle precedenti censure, rileva complessivamente per azzerare l’utile di impresa.

14. Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo motivo di appello deve essere rigettato.

14.1 Come osservato sopra - nella disamina dei principi giurisprudenziali espressi in materia di giudizio di anomalia - sebbene la valutazione di congruità (globale e sintetica) non debba concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, occorre comunque tenere conto dell’incidenza che le singole voci hanno sul costo complessivo del servizio, al fine di verificare se le carenze all’uopo rilevate siano in grado di rendere dubbia la corrispettività proposta dall'offerente e validata dalla stazione appaltante.

Come precisato da questo Consiglio, “gli appalti pubblici devono pur sempre essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, giacché le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso: laddove i costi non considerati o non giustificati siano tali da non poter essere coperti neanche tramite il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile” (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. III, 10 luglio 2020, n. 4451).

L’infondatezza delle doglianze articolate dall’Amministrazione conduce alla valorizzazione di maggiori costi non computati o non giustificati dall’aggiudicatario, per un importo superiore all’utile di impresa, il che manifesta l’illegittimità del giudizio di complessiva affidabilità dell’offerta formulato con gli atti censurati in primo grado.

14.2 Basti considerare che, a fronte di un utile di commessa di € 3.000,00, già soltanto il maggiore costo per la divisa addizionale, non computata nei giustificativi del 2019 risulta idoneo ad erodere gran parte dell’utile atteso, facendosi questione di un importo annuo di € 475,00 - pari ad € 25 annui (comunque non giustificati, per quanto sopra osservato) per la divisa aggiuntiva, moltiplicato per il numero di addetti alla commessa (n. 19) – corrispondente, per i sei anni dell’appalto, ad un maggiore costo di € 2.850,00: tale importo, sommato ad € 800-900 per attrezzature in magazzino non considerate nei giustificativi del 2019 - da computare in conformità a quanto imposto dal pregresso giudicato di annullamento - dà luogo a maggiori costi non considerati dalla controinteressata per un valore economico superiore all’utile di impresa.

L’inaffidabilità complessiva dell’offerta discende ulteriormente, da un lato, dalla mancata giustificazione del costo di € 25 per divisa e dei costi delle bacheche elettroniche, dall’altro, dalla mancata considerazione dei maggiori costi derivanti dal superiore inquadramento del dott. Massini (a parità di ore lavorative originariamente assunte alla base delle spiegazioni fornite dall’aggiudicatario), con conseguente valorizzazione di ulteriori costi non considerati o non giustificati insuscettibili di essere coperti tramite il valore economico dell’utile stimato.

14.3 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure valorizzando la natura non lucrativa dello scopo sociale perseguito dall’aggiudicataria.

Difatti, con riguardo alle cooperative sociali, sebbene possa prescindersi dalla necessità di un adeguato margine di guadagno, previsto tipicamente per le società commerciali – tenuto conto che, per gli organismi non animati da uno scopo di lucro, un utile anche modesto può comportare un vantaggio significativo per l'impiego dell'attività lavorativa dei soci (oltre che per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l'impresa dall'essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico) - non potrebbe, comunque, ammettersi un’offerta in perdita: “[c]iò che è importante ed essenziale è che non vi siano "perdite"” (Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2021, n. 6818).

Nella specie, invece, i maggiori costi non giustificati o non considerati dalla controinteressata risultano idonei a sopravanzare l’utile di commessa, con conseguente emersione di una perdita di commessa, tale da rendere illegittimo il giudizio di affidabilità svolto dalla stazione appaltante.

14.4 Infine, non potrebbero neppure valorizzarsi a sostegno dell’appello le dimensioni societarie della controinteressata, tenuto conto che il primo giudice, con capo decisorio peraltro neppure specificatamente censurato nella presente sede, ha correttamente rilevato che “le economie di scala di cui l’operatore può godere, perché parte di un più ampio consorzio di imprese, vanno dimostrati e non semplicemente allegati”; il che costituisce un principio già affermato nella sentenza n. 598/20, in cui era stato precisato in maniera ormai irretrattabile che l’affermazione di essere un grande operatore del settore e di godere pertanto di forti sconti rimaneva una mera allegazione, priva di valore nella sua genericità.

Per le ragioni svolte, nel caso in esame tale prova, riferita ai benefici derivanti dalle asserite economie di scala, non risulta tuttavia fornita, con conseguente irrilevanza delle dimensioni della cooperativa ai fini dell’odierna decisione.

15. Alla stregua di tali osservazioni, l’appello deve essere rigettato.

Le spese di giudizio del grado di appello, nei rapporti tra l’Amministrazione e la Dispari Onlus, sono regolate in applicazione del criterio della soccombenza, venendo liquidate come da dispositivo a carico dell’appellante e in favore della ricorrente in primo grado; le spese di giudizio possono, invece, essere interamente compensate nei rapporti tra l’Amministrazione e la controinteressata in primo grado, attesa l’omogeneità della posizione assunta dalle due parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata anche se, parzialmente, con diversa motivazione.

Condanna l’Università degli Studi di Brescia a pagare, a titolo di spese di giudizio del grado di appello, in favore della Dispari Società Cooperativa Sociale Onlus, l’importo complessivo di € 6.000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge ove dovuti. Compensa le spese di giudizio nei rapporti tra l’Università degli Studi di Brescia e la Cristoforo Società Cooperativa Sociale Onlus.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia n. 2442 dello scorso 4 aprile, la VI Sezione del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi dell’istituto della verifica dell’anomalia dell’offerta, in specie con riferimento alla possibilità che la Stazione appaltante avvii un’autonoma ricerca di mercato nell’ipotesi di insufficienza delle giustificazioni fornite dall’operatore economico.

Sul punto la Corte rileva come ai sensi dell’art. 97, comma 5, d.lgs. n. 50/2016: “La stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni. Essa esclude l’offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa in quanto: a) non rispetta gli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3; b) non rispetta gli obblighi di cui all’articolo 105; c) sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all’articolo 95, comma 10, rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture; d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16”.

Richiamando la posizione assunta dallo Stesso Consiglio: “L’art. 97, comma 5, prevede l’esclusione dell’offerta solo se “la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa” per i motivi di seguito elencati. La disposizione lascia quindi aperta l’opzione – ulteriore rispetto a quelle, previste, della insufficienza delle giustificazioni fornite e dell’accertamento dell’anomalia dell’offerta, conducenti per legge all’esclusione dell’offerta sospetta di anomalia – che la commissione di gara, ritenendo non integrate le due predette fattispecie, possa ritenere necessitata la produzione di altri elementi e provvedere di conseguenza” (Cons. Stato, Sez. III, 11 ottobre 2021, n. 6818). 

Ne deriva, secondo la ricostruzione fornita dai Giudici del Supremo Consesso amminiostrativo che, a fronte di giustificazioni incomplete, fornite dall’operatore economico proponente un’offerta sospetta di anomalia, la stazione appaltante potrebbe chiedere chiarimenti all’impresa, attivando un’ulteriore fase di contraddittorio e provvedendo, all’esito, alla valutazione dell’attendibilità dell’offerta alla stregua degli elementi integrativi eventualmente acquisiti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 1° febbraio 2021, n. 911, secondo cui “ben può accadere in concreto che, ricevuti i primi giustificativi, l’amministrazione non sia in condizione di risolvere tutti i dubbi in ordine all’attendibilità dell’offerta soggetta a verifica di anomalia e decida per questo di avanzare ulteriori richieste all’operatore economico ovvero di fissare un incontro per ricevere spiegazioni e chiarimenti”), ma non potrebbe sopperire, di propria iniziativa, all’assenza parziale di spiegazioni con un’autonoma ricerca di mercato volta a dimostrare la congruità di un costo, riferito ad alcuni dei prodotti offerti dall’operatore economico, non giustificato dall’impresa.