Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 6 agosto 2021, n. 14

Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso.

Nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.  

Viene chiesto all’Adunanza plenaria di stabilire se la revisione dei prezzi costituisca o meno a tutti gli effetti parte integrante del corrispettivo contrattuale da corrispondere alla società appaltatrice attinta da interdittiva antimafia[1].

L’Adunanza plenaria richiama i principi espressi dalla stessa con le sentenze 6 aprile 2018, n. 3, e 26 ottobre 2020, n. 23, anche in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia.

Premette l’Alto consesso che negli appalti di servizi, in cui l’aggiudicazione e la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.

 Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.

Ne discende che, nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.

Inoltre, con riferimento alle “utilità conseguite”, la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di avere conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.

Nella sentenza in esame vengono poi ricostruiti i caratteri della revisione prezzi, al fine di rispondere al quesito sottoposto e cioè se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).

Precisa l’Adunanza plenaria che l’istituto della revisione dei prezzi non ha finalità risarcitorie, bensì di garanzia dell’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito e di esclusione che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.

In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.

 La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.

Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto. Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge. Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.

Se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria, e cioè il fatto che la pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.

La pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la menzionata sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria tendono ad evitare.

LEGGI LA SENTENZA

Pubblicato il 06/08/2021

N. 00014/2021REG.PROV.COLL.

N. 00005/2021 REG.RIC.A.P.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5 di A.P. del 2021, proposto dall’ Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Seminara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Co.Lo.Coop., Consorzio Lombardo Cooperative, S.C.Ar.L., in Liquidazione Volontaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Libertini e Gaetano Carmelo Tafuri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) n. 02616/2019, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Co.Lo.Coop. Consorzio Lombardo Cooperative S.C. A R.L. in Liquidazione Volontaria Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2021, che si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del Segretario generale della Giustizia Amministrativa, il Cons. Antonino Caleca;

Considerati presenti per le parti gli avvocati Avv. Nicola Seminara, Avv. Mario Libertini e Avv. Gaetano Carmelo Tafuri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Il Co.Lo.Coop. - Consorzio Lombardo Cooperative s.c.a.r.l. in liquidazione volontaria si rivolgeva al Tar Sicilia - Catania con ricorso, notificato il 16 novembre 2015 e depositato il primo dicembre successivo.

Nel ricorso premetteva di essere titolare di diversi appalti presso le sedi e i presidi dell’Azienda sanitaria provinciale di Catania, aventi corso dal 1 giugno 2001 al 15 luglio 2014 e aventi ad oggetto i servizi di pulizia, facchinaggio ed ausiliariato. I rapporti erano cessati, dopo oltre tredici anni, su recesso della committente comunicato il 30 aprile 2014, motivato dall’interdittiva prefettizia antimafia che aveva colpito la società.

Esponeva di avere chiesto alla predetta Azienda, con istanza del 20 luglio 2015 (dopo quindi oltre un anno dalla cessazione del rapporto), il riconoscimento e il pagamento delle somme dovute, ex artt. 7 e 115 del d.lgs. n. 164/2006, a titolo di revisione dei prezzi degli appalti in questione.

Chiedeva di accertare l’illegittimità del silenzio mantenuto dall’Asp sulla citata istanza e condannare la stessa a provvedere.

Veniva formulata la seguente deduzione “Violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990, nonché della l.r. n. 10/1991, in relazione agli artt. 7 e 115 del d.lgs. n. 163/2006, già art. 6 della l. n. 537/1993, nonché in relazione alla l.r. n. 12/2011 e all’art. 13 della l.r. n. 2/2002; dei principi del giusto procedimento, dei principi generali in materia di appalto, di ragionevolezza correttezza, trasparenza e buon andamento ex art. 97 Cost. Eccesso di potere. Difetto di motivazione. Illegittimità derivata”.

Il ricorso, ritenuto fondato, veniva accolto con la sentenza del Tar Sicilia – Catania n. 2249/2016 e pertanto veniva “dichiarato illegittimo il silenzio mantenuto da tale Ente con conseguente declaratoria dell'obbligo di adottare una determinazione esplicita, formale e conclusiva (quale che sia) sull'istanza per cui è causa”.

2. L’Asp rimaneva inerte e pertanto l’originario ricorrente tornava a rivolgersi al Tar per chiedere la nomina del Commissario ad acta affinché provvedesse in sostituzione dell’Ente inadempiente.

La richiesta veniva accolta e con ordinanza n. 490/2017 pubblicata il 13 marzo 2017 veniva nominato il Commissario ad acta.

L’accoglimento della richiesta era motivata sull’assunto che la sentenza resa a chiusura del rito del silenzio sopra citata “ha dichiarato l’obbligo dell’A.S.P. di Catania di provvedere sull’istanza avanzata dalla ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento e il pagamento delle somme dovute, ex artt. 7 e 115 del D.lgs. n. 164/2006, a titolo di revisione dei prezzi di diversi appalti presso le Sedi ed i Presidi della predetta Azienda con l’adozione di una determinazione espressa, entro giorni 30 dalla notificazione a cura di parte o dalla comunicazione invia amministrativa di detta sentenza;”

Il Commissario si insediava in data 25 maggio 2017.

Appena tre giorni prima dell’effettivo insediamento del Commissario ad acta, in data 22 maggio 2017, l’Asp aveva già adottato la delibera n. 1684 con cui era disposta l’esecuzione della sentenza che aveva concluso il rito del silenzio, stabilendo che il periodo per il quale doveva applicarsi la revisione prezzi decorreva dal 21 luglio 2010 e istituendo un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto completare la relativa istruttoria entro trenta giorni.

Veniva, quindi, accolta dall’Azienda solo parzialmente la richiesta del ricorrente, che con l’istanza primigenia aveva chiesto la revisione prezzi a decorrere dal 2001.

Con deliberazione n. 2215 del 22 giugno 2017 è, poi, intervenuta la quantificazione da parte dell’Amministrazione della somma dovuta, in occasione della quale si teneva anche conto di alcune compensazioni relative a importi per i quali pendenza giudizio innanzi al Tribunale di Catania, rinviando il relativo pagamento di quanto dovuto all’esito della citata controversia sottoposta alla cognizione del giudice ordinario.

3. Il Commissario ad acta chiedeva chiarimenti al giudice che lo aveva nominato.

4. In data 4 agosto 2017 il ricorrente originario depositava un ricorso per la esatta esecuzione della sentenza che aveva accertato l’illegittimità del silenzio, chiedendo anche dichiararsi la nullità o, in subordine, disporsi l’annullamento delle citate deliberazioni dell’Asp appena citate n. 1684 del 22 maggio 2017 e n. 2215 del 22 giugno 2017.

Nel citato ricorso venivano precisati i termini dei rapporti intrattenuti con l’Asp resistente che è utile richiamare fin d’ora per il rilievo che avranno ai fini della presente decisione.

I numerosi appalti presso le sedi ed i presidi dell'Asp di Catania, aventi ad oggetto i servizi di pulizie, facchinaggio ed ausiliariato, supporto, in ragione di svariati atti deliberativi intervenuti per necessità dell'Amministrazione, avevano avuto ininterrottamente, ma non tutti simultaneamente, corso dal 1 giugno 2001 fino al 15 luglio 2014.

Più specificatamente si segnala che:

- con delibera n. 2115 del 1 giugno 2001, veniva aggiudicato l'appalto dei servizi di pulizie presso il P.O. di Acireale, poi, più volte, prorogato (delibere nn. 4224/01; 5137/01; 2044/02; 1814/03; 2985/03; 97/05; 1433/05; 1589/07; e 14/08);

- con delibera n. 5169 del 4 dicembre 2001, integrata con la n° 1478/02, veniva affidato l'appalto, triennale, dei servizi di pulizie presso altri PP.00., anch'esso più volte prorogato (delibere nn. 682/05; 13/06; 1597/06; 986/07; 1589/07 e 14/08);

- con delibera n. 3226 del 31 dicembre 2002, era aggiudicato l'appalto, triennale, dei servizi di facchinaggio e trasloco. poi prorogato (delibera n. 1932/06 e determina n. 1 16539/08);

- con determina n. 89694 del 24 agosto 2011, venivano, infine, affidati i servizi di ausiliariato, supporto, presso il P.O.di Acireale; gli appalti dei servizi di pulizie e facchinaggio avevano avuto ininterrotta esecuzione fino al nuovo affidamento ad altra ditta, disposto con delibera n. 1132 del 27 maggio 2010; mentre l'appalto riguardante i servizi di ausiliariato, supporto, era perdurato ininterrottamente sino al 15 luglio 2014.

Fatta questa ricostruzione in fatto il ricorrente chiedeva di dichiararsi la nullità degli atti emanati dall’Asp asseritamente in esecuzione della sentenza deducendo che l’Asp “si era arrogata il diritto di circoscrivere la revisione dei prezzi a partire solamente dai 21 Luglio 2010, imputandosi un limite di prescrizione quinquennale decorrente dall'istanza-inoltrata dal Consorzio Co.Lo.Coop., il corrispondente 21 luglio 2015, malgrado una pari eccezione non fosse mai stata sollevata prima, né il T.A.R. l'avesse mai accolta, tralasciando (senza neppure considerare gli atti interruttivi), nove anni di rapporto e ritenendo perciò efficace solamente il contratto di ausiliariato a prestazione oraria.”

Di fatto la revisione veniva circoscritta al solo contratto dei servizi di ausiliariato, supporto, presso il P.O. di Acireale, formalmente aggiudicato con determina n. 89694 del 24 agosto 2011, ma incominciato qualche tempo prima, e perdurato sino ai 15 luglio 2014;

Veniva delimitato il periodo dal 21 luglio 2010 ai 15 luglio 2014.

Si deducevano i vizi cui era incorsa l’Amministrazione nella quantificazione della revisione e si evidenziava come la stessa avesse illegittimamente adottato i provvedimenti di cui si chi chiedeva accertarsi la nullità dopo la nomina del Commissario ad acta da parte del Tar.

5. Sul ricorso il Tar si pronunciava con la sentenza non definitiva n. 772 del 18 aprile 2018.

Con tale decisione il Tribunale rilevava che con delibera n. 1684 del 22 maggio 2017 l’Asp aveva in parte provveduto sull’istanza della ricorrente, individuando, però, una data di decorrenza diversa (il 21 luglio 2010) quanto all’effettiva debenza del compenso revisionale e senza adottare alcuna determinazione conclusiva del procedimento.

Dichiarava la nullità della successiva deliberazione n. 2215 del 22 giugno 2017, con cui l’Amministrazione aveva quantificato le somme dovute (poiché emanata in epoca successiva all’insediamento del commissario ad acta), affermando l’obbligo del commissario di concludere il procedimento “tenendo presente, allo stato, la delimitazione del periodo di decorrenza del compenso… indicata nella deliberazione n. 1684 del 22 maggio 2017 (e salva successiva rimozione in sede giurisdizionale di tale provvedimento)”.

6. In adempimento di quanto disposto dal Tar, con determina datata 13 giugno 2018 il commissario ad acta accertava che il compenso revisionale dovuto alla ricorrente per il periodo 21 luglio 2010-15 luglio 2014 ammontava ad € 1.100.218,34, oltre interessi nella misura prevista dal decreto legislativo n. 231/2002.

Il Commissario nel provvedimento adottato puntualizzava di aver utilizzato “gli Indici Istat FOI, riguardanti il periodo in questione, che qui si allegano, comunemente utilizzati per effettuare le verifiche in oggetto, per accertare l'andamento dei prezzi e per determinare i compensi revisionali”.

Il Commissario ad acta precisava ancora di “condividere il metodo operativo già adottato dal Gruppo di lavoro incaricato dall'A.S.P. e di cui al verbale riassuntivo in esecuzione della deliberazione n. 1684 del 22/05/2017;”

7. Mediante motivi aggiunti depositati in data 20 febbraio 2019 la società ha chiesto la condanna dell’Asp alla corresponsione del compenso accertato dal commissario ad acta con la citata determina in data 13 giugno 2018, specificando che la materia rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli artt. 7, 30 e 133 c.p.a., che richiama l’artt. 115 del decreto legislativo n. 163/2006.

Con il detto ricorso si sottolineava che “Il Commissario ad acta ha, quindi, predisposto, consegnato e depositato nei dì 13 ed 27 Giugno 2018 la propria determinazione, riconoscendo e dichiarando dovuto al Consorzio Co.Lo.Coop., a titolo di compenso revisionale, applicando gli Indici ISTAT/FOI, la somma di Euro 1.100.218,34, per il periodo dal 21 luglio 2010 al 15 luglio 2014, oltre agli interessi di mora ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2002, dalla scadenza dei singoli ratei annuali all’effettivo soddisfo.”

Il ricorso concludeva nei seguenti termini: “Su tali basi, il Consorzio Co.Lo.Coop. intende, perciò, ottenere, giudizialmente, in questa sede, la condanna dell’A.S.P. di Catania al pronto pagamento di tutte le somme allo stato dichiarate dovute ed il cui diritto è stato riconosciuto e dichiarato dal Commissario ad acta, nella misura da lui determinata, pari a euro 1.100.218,34 per sorte capitale, oltre interessi di mora, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2002, dalla scadenza dei singoli ratei fino al soddisfo, pari (ad oggi e salvo più esatti) ad euro 525.962,35, sicché per un importo finale complessivo di euro 1.626.180,69; o comunque in subordine della somma maggiore o minore ritenuta congrua e/o di giustizia, oltre interessi di mora, previo riconoscimento del relativo diritto.”

7.1. Alla richiesta si opponeva l’Asp con la memoria depositata il 22 marzo 2019.

Con la memoria, ove non si rinviene critica alla quantificazione della somma determinata dal Commissario ad acta, si chiedeva di dichiarare improcedibile il ricorso sul rilievo che il ricorrente era stato destinatario di una informazione interdittiva antimafia e che, alla luce della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018, erano inibiti i pagamenti della pubblica Amministrazione a imprese interdette.

Nella memoria l’Asp ricordava che, in precedenza, aveva documentato la non contestata sottoposizione del ricorrente a interdittiva antimafia e aveva segnalato il rinvio all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza V sez., 28 agosto 2017 n. 4078, della questione relativa alla capacità dell’impresa interdetta di ricevere pagamenti dalla pubblica Amministrazione.

L’Adunanza rendeva la sentenza n. 3/2018 pubblicata il 6 aprile 2018.

A detta dell’Asp la sentenza citata precisa che la previsione di cui al co. 1, lett. g), dell’art. 67 del codice delle leggi antimafia deve essere “intesa nel senso di precludere all’imprenditore (persona fisica o giuridica) la titolarità della posizione soggettiva che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovute dalla pubblica Amministrazione”.

Si legge nella memoria che “La sentenza, in particolare, inibisce i pagamenti della pubblica Amministrazione a imprese interdette anche “a titolo risarcitorio in relazione (come nel caso di specie) a una vicenda sorta dall’affidamento di un appalto”. Invero, “L’incapacità a poter ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia ‘contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concesse o erogate da parte dello Stato, di altri enti pubblici o della Comunità europea per lo svolgimento di attività imprenditoriali’” è estesa dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 3/2018 a ogni esborso della pubblica Amministrazione, a titolo indennitario o compensativo: “non si vede perché nella suddetta ratio dovrebbero rientrare unicamente le erogazioni dirette ad arricchire l’imprenditore colpito da interdittiva e non anche quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita, sussistendo per entrambe il pericolo che l’esborso di matrice pubblicistica giovi a un’impresa soggetta a infiltrazioni criminali”.

Si trae da parte dell’Amministrazione, pertanto, la seguente conclusione: “Conseguentemente, sul piano processuale, l’avversato ricorso è allo stato improcedibile, e ciò in quanto parte ricorrente non può in atto –e fin tanto che resterà sottoposta all’interdittiva antimafia- ricevere qualsivoglia pagamento da parte della pubblica Amministrazione, e quindi non può avere interesse al richiesto provvedimento cautelare, che potrebbe essere accordato solo sulla scorta di una posizione d’interesse riconosciuta, e non negata per legge”.

7.2. Alle osservazioni dell’Amministrazione reagiva parte ricorrente con la memoria depositata in pari data.

Nella memoria del 22 marzo 2019 si introduce la problematica che assumerà nel prosieguo del presente processo il rilievo dirimente.

A detta del ricorrente, la sentenza dell’Adunanza plenaria valorizzata dall’Asp, correttamente interpretata, non consente di pervenire alla dedotta improcedibilità del ricorso.

Sostiene il ricorrente originario che “intrinsecamente inconsistente dal punto di vista sostanziale sarebbe qualunque, pretesa, ragione oppositiva basata sul solo fatto dell’irrogazione di una misura interdittiva, trattandosi, nel caso di specie, di somme dovute a titolo di corrispettivo e di prezzo d’appalto, fatte espressamente salve dall’art. 92 del Codice antimafia, in linea con le norme generali sui contratti (ad es., art. 109 del D.Lgs. n° 50/2016), che, in caso di recesso, riconoscono sempre e comunque all’impresa appaltatrice il diritto al pagamento delle prestazioni eseguite.”

E ancora si afferma: “La natura contrattuale e corrispettiva dell’istituto della revisione prezzi assume, allora, significativo rilievo, posto che le preclusioni affermate da recente giurisprudenza (C.d.S., Ad. Pl., 06.05.2018 n° 3) riguardano le ipotesi di risarcimento danni od indennizzi, cioè titoli esterni ed ulteriori rispetto al rapporto contrattuale: la revisione dei prezzi, rientra, invece, tra le clausole del contratto e si riconduce alla sua causa tipica, essendo rivolta ad una adeguata e corretta determinazione dei compensi, a garanzia della qualità del servizio e dell’interesse pubblico, tenuto conto del naturale andamento ed aumento dei fattori di produzione, assumendo, pertanto, natura di corrispettivo e di prezzo”.

La revisione dei prezzi assumerebbe un rilievo ancora maggiore negli appalti di servizi, come quello in oggetto della presente disamina, ove i costi di manodopera –le retribuzioni dei dipendenti – rappresentano circa il 90% dell’intera produzione e registrano periodici aumenti in base agli accordi ed ai contratti collettivi di categoria.

I concetti così riassunti sulle problematiche di rilievo in questa sede venivano ribaditi in ulteriori memorie e contro memorie in vista dell’udienza di discussione.

8. Con la sentenza n. 2616 del 2019 il Tar:

a) ha ritenuto corretta la data da cui far decorrere la prescrizione relativa alla revisione dei prezzi individuata dall’Asp, così rigettando il ricorso depositato in data 4 agosto 2017;

b) ha accolto il ricorso depositato in data 20 febbraio 2019 e, per l’effetto, condannato l’Asp alla corresponsione delle somme indicate dal Commissario ad acta con determina in data 13 giugno 2018, inclusi gli interessi, come ivi computati e compresi quelli ulteriori sino alla data di effettivo soddisfo, ritenendo che non costituisse un impedimento il fatto che il Consorzio fosse stato destinatario dell’informativa antimafia.

La motivazione della sentenza poggia anche, per quanto più di interesse, sul rilievo che la decisione dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2018 non osti all’accoglimento del ricorso, “poiché nella specie non vengono in rilievo somme dovute a titolo di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo”, ma corrispettivi contrattuali, sebbene nella peculiare forma legata al meccanismo dell’istituto della revisione prezzi, dovuti in ragione di prestazioni già da tempo eseguite”.

9. È seguita la proposizione dell’appello da parte dell’Amministrazione avverso la pronuncia di condanna che l’aveva colpita.

L’Asp di Catania con il gravame ripropone le precedenti difese già illustrate negli atti difensivi del primo grado, arricchendoli con la critica agli argomenti con cui il primo giudice le ha ritenute infondate. Il rilievo principale consiste nel criticare la sentenza per non avere fatto buon governo dei principi fissati dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 3/2018.

9.1. Ha proposto appello incidentale il ricorrente originario per aggredire il capo della sentenza che ha dichiarato prescritto il diritto alla revisione dei prezzi per il periodo antecedente al 21 luglio 2010. Con l’appello incidentale si insiste per il riconoscimento dell’adeguamento revisionale con decorrenza sin dal 1 giugno 2001 o, in subordine, dal 28 febbraio 2009 con i conferenti interessi di mora.

10. La domanda cautelare contenuta nell’appello principale è stata abbinata al merito.

11. Le parti in causa hanno sviluppato le proprie ragioni a sostegno delle rispettive impugnative e a confutazione dei contrapposti appelli attraverso svariate memorie, scritti di replica e note di udienza.

11.1. Il 10 luglio 2020 parte appellata ha depositato la sentenza resa dalla Corte di Appello di Catania n.1211/2020 ritenendo che le conclusioni cui era pervenuto il giudice civile rafforzassero le proprie argomentazioni difensive.

In breve, con ricorso ex art 702 bis c.p.c. depositato in data 30 maggio 2018 il CO.LO.COOP. s. c. a r. in liquidazione adiva il Tribunale di Catania per sentire condannare l’Azienda ospedaliera per l’emergenza Cannizzaro al pagamento dell'importo di €. 375.747,18, a titolo di corrispettivo del contralto di appalto stipulato in data 5 novembre 2013, avente ad oggetto l'affidamento del servizio ausiliario di supporto ai reparti e alle strutture dell'azienda.

Deduceva di avere per intero eseguito le obbligazioni assunte, e che l’Azienda non aveva provveduto al pagamento delle fatture trasmesse.

La convenuta eccepiva la non esigibilità del credito in forza del disposto dell'art. 94, co. 1, d.lgs. n. 159/2011 essendo precluso alla società ricorrente di ricevere qualsivoglia pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il giudice unico del Tribunale di Catania dichiarava l'improcedibilità della domanda per difetto di capacità d'agire della società ricorrente.

La Corte di Appello riformava il provvedimento del primo giudice affermando che “E’ dovuto, pertanto, alla CO.LO.COOP. il corrispettivo del contratto inter partes relativamente alle prestazioni rese sino al momento in cui è divenuto operativo il recesso dell'Azienda ospedaliera”.

La motivazione della sentenza della Corte di Appello precisa che “nel caso in cui l'informativa interdittiva sia intervenuta successivamente alla stipulazione del contratto (come avvenuto nel caso di specie, in cui ad un prima informativa di carattere liberatorio ha fatto seguito, nel corso del rapporto, l'informativa antimafia interdittiva), l'amministrazione deve revocare le concessioni ole autorizzazioni o recedere dal rapporto, "fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei !imiti delle utilità conseguite".

La Corte di appello concludendo l’esame delle norme afferma che “…., ha poi errato il primo giudice nel ritenere che siffatta incapacità ricomprenda anche l'impossibilita di percepire il corrispettivo del contratto eseguito dall'impresa fino al momento del recesso operato dall'altra parte”.

Il giudice evidenzia che la decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2018 nel caso di specie non può trovare rilievo in quanto i casi sottoposti all'esame del Consiglio di Stato in quella sede afferivano rispettivamente al pagamento di una somma a titolo di indennizzo ed al risarcimento del danno per la mancata stipulazione di un contratto di appalto. Nel caso di specie si verte relativamente al corrispettivo di un contratto di appalto, interamente eseguito dall'impresa colpita dalla informativa interdittiva.

Ai fini della determinazione del quantum, il giudice civile non affronta lo specifico problema della revisione prezzi in quanto al suo esame è sottoposto solo lo scrutinio di una precedente transazione tra le parti che il giudicante non reputa mai perfezionatasi.

Sulla somma ritenuta dovuta la Corte di Appello precisa che “dovranno calcolarsi gli interessi di cui al d.lgs. n. 231/2002”.

Condanna, infine, la convenuta a rifondere a favore del Consorzio le spese del doppio grado di giudizio.

12. Dopo il deposito degli atti di appello principale e incidentale il diritto vivente di riferimento per la definizione della presente fattispecie si è arricchito della sentenza n. 23 del 26 ottobre 2020 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Vista la sua rilevanza, il Consiglio di giustizia amministrativa, infatti, aveva rinviato la trattazione del processo, dopo la pubblicazione della relativa ordinanza di rimessione.

In quella sede veniva sottoposto all’Adunanza plenaria il quesito che atteneva all’esatta interpretazione dell’inciso finale contenuto sia nell'art. 92 co. 3, sia nell'art. 94 co. 2, d.lgs. n. 159/2011, problematica che forma in parte oggetto anche del presente processo.

13. Infine, alla pubblica udienza del 16 dicembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

In esito a tale udienza il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha promosso l’intervento chiarificatore da parte di questa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per completare l’esatta interpretazione dei citati articoli del d.lgs. n. 159/2011, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.

Con l’ordinanza di remissione si evidenzia che l’Amministrazione appellante, nel fondare il proprio gravame sull’enunciazione di principio della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018 secondo cui l’art. 67, co. 1, lett. g) del codice delle leggi antimafia intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della P.A. (ogni “esborso di matrice pubblicistica”) a favore di imprese colpite da interdittiva prefettizia, non ha tuttavia ritenuto di prendere in considerazione le norme che la stessa fonte normativa detta per i rapporti contrattuali in corso al tempo dell’informativa del Prefetto.

Va ricordato, infatti, che gli artt. 92 e 94 d.lgs. n. 159/2011 fanno salvo, per il caso di recesso contrattuale indotto dal sopraggiungere di un’informazione antimafia di segno interdittivo a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite nonché il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

Le norme hanno formato oggetto della sentenza n. 23/2020 dell’Adunanza plenaria.

La sentenza ora citata ribadisce il principio “che il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.”

Le norme di riferimento prevedono specifiche deroghe al principio sopra richiamato.

Nel caso di specie vengono in rilievo, come deroga al principio testé affermato, le disposizioni di cui agli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2, i quali prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

A detta dell’Adunanza plenaria n. 23/2020 le norme richiamate costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione:

Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione”.

Conclude la citata sentenza affermando il principio che “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”.

L’odierna remissione attiene all’esatta individuazione del “valore delle opere già eseguite”.

In modo ancora più specifico chiede di valutare se ai fini della determinazione del “valore” sopra citato debba tenersi conto solo del prezzo dedotto in contratto o anche del prezzo quale risulta dall’applicazione della revisione dei prezzi.

In subordine, chiede di verificare se la richiesta di ottenere il pagamento delle somme a seguito della revisione prezzi possa essere avanzata dall’operatore economico dopo essere stato attinto dall’informazione interdittiva ma per opere realizzate in epoca antecedente.

L’ordinanza di remissione propone una risposta affermativa ai quesiti come sopra riassunti.

La previsione legislativa della salvezza del valore delle opere eseguite, a detta del giudice remittente, sembra intesa essenzialmente a preservare, per il periodo in cui il contratto d’appalto abbia trovato attuazione, il rispetto del relativo sinallagma.

La salvezza imposta dalla legge sul punto del “pagamento del valore delle opere già eseguite”, stante la sua ratio di salvaguardia dell’equilibrio del sinallagma per evitare ingiustificati arricchimenti, sembra peraltro possedere una valenza non meramente conservativa, ma attributiva di una tutela piena.

La norma indubbiamente si presta a giustificare la ritenzione del corrispettivo contrattuale che fosse stato già conseguito dal privato per le “opere già eseguite”.

Essa dovrebbe però valere, nello stesso modo, anche a permettere all’impresa, che abbia eseguito delle opere non ancora remunerate, di conseguire il corrispettivo per esse contrattualmente previsto, ove lo stesso non le fosse stato ancora erogato.

Diversamente, si verificherebbe proprio quell’ingiustificato arricchimento che il legislatore ha inteso evitare facendo salvo il “pagamento del valore delle opere già eseguite”.

Il sopravvenire dell’informazione interdittiva, pur cagionando una condizione d’incapacità, non dovrebbe perciò ostare alla possibilità, per il soggetto interdetto, di agire in giudizio per ottenere il corrispettivo contrattuale riflettente le prestazioni in precedenza regolarmente rese.

Precisa il giudice remittente:

Se è vero che “l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione – o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria” (così la sentenza n. 8672/2019 cit.)- è altrettanto vero, alla stregua di un testuale dato legislativo, che la salvezza contemplata dal d.lgs. 159/2011 è prevista proprio quale eccezione a tale effetto inabilitante.

E non pare dubbio che tale eccezione, ancorché destinata a ricevere, proprio in quanto tale, una “stretta interpretazione” (Ad.Pl., n. 23/2020), debba vedersi comunque riconosciuta un’ampiezza corrispondente a quella richiesta dalla presenza effettiva della ratio che l’ha imposta all’attenzione del legislatore”.

A sostegno di questa interpretazione il Consiglio di giustizia amministrativa valorizza la previsione del co. 3 dell’art. 94, che consente all’Amministrazione, in casi particolari, pur nel sopravvenire dell’interdittiva, di proseguire nel rapporto contrattuale con l’interdetto portandolo al suo naturale epilogo a riprova che la condizione di soggetto interdetto non sia incompatibile con la possibilità (seppur limitatissima) di agire in giudizio per conseguire il corrispettivo per le opere anteriormente eseguite.

Dal momento che la causa riguarda gli effetti dell’interdittiva su contratti d’appalto in corso, non appaiono congrui i richiami delle parti e della sentenza del Tar alle enunciazioni svolte dal Consiglio remittente in occasione delle proprie sentenze nn. 3 e 19/2019. Formavano infatti oggetto di queste ultime dei rapporti di tutt’altra tipologia, appartenenti al genus dei finanziamenti pubblici, in cui, oltretutto, la prestazione pecuniaria dell’Amministrazione era stata conseguita dal privato largamente prima del sopraggiungere dell’informativa antimafia (e, come ha notato l’A.S.P. di Catania, la richiesta di revisione avanzata dopo l’interdittiva non può essere assimilata a un’erogazione chiesta e ottenuta, invece, prima della misura prefettizia).

In definitiva, la controversia richiede di stabilire se la revisione dei prezzi costituisca a tutti gli effetti parte integrante del corrispettivo contrattuale, nel qual caso la salvezza legislativa ritenuta dall’adunanza plenaria sopra ricordata imporrebbe di confermare il decisum di prime cure; o se, invece, debba prevalere una concezione diversa dell’istituto revisionale, eventualmente correlata anche a una lettura radicalmente restrittiva della norma legislativa improntata alla salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite”.

La remissione all’Adunanza plenaria viene giustificata sul seguente rilievo:

E d’altra parte l’Adunanza Plenaria, alla quale si devono i principi giurisprudenziali di fondo della delicata materia, nel mentre è stata già tratta a occuparsi dapprima dell’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia sul soggetto destinatario, e del perimetro da assegnare alla norma preclusiva dell’art. 67, co. 1, lett. g), del d.lgs. n. 159/2011 (sentenza n. 3/2018), e poi, più di recente, della riconduzione ai soli contratti d’appalto (con esclusione quindi dei finanziamenti e contributi pubblici erogati per finalità d’interesse collettivo) delle previsioni di salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente (sentenza n. 23/2020), non ha avuto ancora occasione, fin qui, di mettere specificamente a fuoco l’importante tema degli effetti dell’interdittiva sugli equilibri dei contratti d’appalto in itinere.”

DIRITTO

14. Le questioni sottoposte all’esame dell’Adunanza plenaria possono così essere riassunte.

L’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto - persona fisica o giuridica - è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.”

La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g) del codice antimafia va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293).

Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

15. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello per cui qui è processo), come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati.

16. Prima della risposta al quesito posto dal Consiglio di giustizia amministrativa, occorre stabilire che cosa debba intendersi per “valore delle opere (o servizi) già eseguiti”, pagabili al contraente privato interdetto “nei limiti delle utilità conseguite” dall’Amministrazione, non potendosi dare per scontata la equivalenza tra prezzo contrattuale e valore delle prestazioni, ove si consideri il tenore letterale delle norme in commento, che, da un lato, non prevedono il pagamento del “prezzo” delle prestazioni già eseguite, ma fanno riferimento al “valore” di dette prestazioni, e dall’altro lato pongono l’ulteriore limite delle utilità conseguite.

16.1. Per rispondere al quesito pregiudiziale, vanno anzitutto ribaditi i principi affermati nella sentenza dell’Adunanza plenaria 6 aprile 2018, n. 3, secondo cui il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.

16.2. La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 23 del 2020 ha precisato che:

“ a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) – costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011 n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni.

Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione.”

16.3. Ha precisato poi questa Adunanza plenaria che la norma ora citata si applica anche agli appalti di servizi.

Occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai contratti di servizi e forniture in quanto il successivo co. 3 dell’art. 94 – nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi (laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”).”

16.4. Nella sentenza n. 23 del 2020 della Plenaria si è chiarito altresì che “la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite” riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla verifica delle “utilità conseguite” (dall’amministrazione o, più in generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza.”

“Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia.

Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute “sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento.”

La sentenza puntualizza che “Nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione.

16.5. Sulla scorta della sentenza dell’Adunanza sopra richiamata, con l’espressione “utilità conseguite” si intende riconoscere “al soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”.

“Le utilità conseguite” non sono dunque necessariamente equivalenti al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti.

Si tratta di “nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di convenienza, tipica dell’operatore economico-giuridico individuale”; pertanto, essa deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile”.

Può, in conclusione, affermarsi che la determinazione delle utilità conseguite è compito della p.a. che provvede, ricorrendone le condizioni di fatto, alla quantificazione alla stregua delle norme di legge.

Con la quantificazione delle utilità conseguite non si riconoscono diritti soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo l’adozione dell’interdittiva antimafia ma si intende evitare che la pubblica amministrazione “dall’esecuzione dell’opera o dalla prestazione di servizi, possa trarre un ingiustificato arricchimento”, in applicazione dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod.civ.).

16.6. Negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.

Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.

Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.

16.7. Quanto al secondo limite, delle “utilità conseguite”, ancora una volta, la peculiarità dell’appalto di servizi per cui è processo, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.

16.8. Con riferimento quanto meno al caso di cui si controverte - appalto di servizi aggiudicato con gara e connotato da prestazioni standardizzate, omogenee, ripetitive e continuative- può quindi senz’altro ritenersi che il valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il prezzo contrattuale dei servizi già resi.

17. Si può così affrontare il quesito specificamente posto dall’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria, già sintetizzato nel par. 15: se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 d.lgs. n. 159/2011 debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).

17.1. Per rispondere al quesito occorre ricostruire brevemente la natura e la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi.

17.2. Occorre premettere che nel caso che ci occupa le norme applicabili, ratione temporis, sono quelle di cui al d.lgs. n. 163/2006.

L’art 115 del citato decreto legislativo prevedeva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, co. 4, lettera c) e co. 5 (costi standardizzati)”.

La clausola di revisione dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti: la revisione era sempre dovuta anche in mancanza di clausole nella lex specialis di gara. Era compito dell’operatore economico chiederla in quanto l’obbligatorietà non comportava però il diritto all’aggiornamento automatico del corrispettivo contrattuale. Si era soliti dire al riguardo che il richiedente fosse titolare di un interesse legittimo con riferimento all’an e di un diritto soggettivo al successivo quantum.

17.3. Questo Consiglio di Stato ha ripetutamente accertato la natura e gli obiettivi delle norme che prevedono la revisione dei prezzi.

Con la sentenza n. 2295 del 2015, interpretando la norma del 2006 sopra citata, è stato precisato che “ a) che la normativa in questione ha natura imperativa, per cui si inserisce automaticamente e prevale addirittura sulla regolamentazione pattizia, cosicché “nessuna preclusione è configurabile in ordine al diritto che trova titolo e disciplina nella legge.”

L’assunto è stato confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12 agosto 2019, n. 5686: “La revisione prezzi, secondo la disciplina pro tempore applicabile, si applica ai contratti di durata pluriennale a partire dall'anno successivo al primo, e l'art. 115 d.lgs. 163/2006 prevede l'inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ”.

Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3874/2020 è stata ribadita la natura dell’interesse che sottende l’istituto in questione: “L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Id., Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079). Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni”.

La posizione dell’appaltatore in ordine all’an della revisione ha –come si è accennato- natura di interesse legittimo: “La giurisprudenza ha inoltre affermato che l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo”.

La caratteristica di attività meramente tecnica dell’attività della p.a. nel valutare le condizioni che legittimano la revisione prezzi si evince anche dalla giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 12 ottobre 2020 n. 21990).

17.4. Il richiamo alle interpretazioni della giurisprudenza sia amministrativa che civile consente di escludere che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.

In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.

La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione –che nella specie risulta accertato già in forza di giudicato-, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.

18. Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.

Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 qui applicabile ratione temporis, corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge (Cons. St., sez. III, 2 maggio 2018, n. 2841). Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.

Ragionando a contrario, se si seguisse la soluzione negativa e si ritenesse non computabile nel prezzo da corrispondere la revisione dei prezzi in caso di interdittiva antimafia dell’impresa esecutrice, si violerebbro la ratio e la lettera dei citati artt. 92 e 94 del codice antimafia, che, prevedendo il pagamento del valore delle prestazioni già eseguite, ancorché nei limiti delle utilità conseguite dall’amministrazione, intende evitare l’ingiustificato arricchimento dell’amministrazione. E’ questa la medesima ratio sottesa alla revisione dei prezzi: evitare che oscillazioni dei prezzi, tali da portare il prezzo pattuito sotto il valore di mercato delle prestazioni, comportino un ingiustificato arricchimento della parte contrattuale pubblica in danno della parte privata.

Pertanto, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis.

La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 di questa Adunanza e cioè il fatto che la pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.

18.1. Nello specifico caso per cui è processo, negare il pagamento della revisione dei prezzi significherebbe che la stazione appaltante sarebbe autorizzata a quantificare le utilità conseguite calcolando il costo del lavoro dei dipendenti (che forma la voce di spesa più rilevante con il prestatore di servizi) alla stregua del prezzo previsto dal contratto iniziale non tenendo conto degli aumenti subiti dallo stesso nel corso di un arco temporale di oltre tredici anni.

La pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n.23 del 2020 tendono a evitare.

19. Si devono in conclusione affermare i seguenti principi di diritto:

a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;

b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.

19.1. Per l’applicazione dei detti principi di diritto alla controversia e l’ulteriore corso del giudizio, gli atti sono restituiti alla Sezione rimettente ai sensi dell’art. 99, co. 4, c.p.a.

P.Q.M.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, esprime i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce gli atti alla Sezione rimettente, per l’ulteriore corso, ai sensi dell’art. 99, co. 4, c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Luigi Maruotti, Presidente

Carmine Volpe, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Presidente

Michele Corradino, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere, Estensore


[1]  La questione è stata rimessa dal C.G.A.R.S. con ord., 22 gennaio 2021, n. 48. Per una recente e compiuta disamina dell’istituto dell’interdittiva antimafia, v. F. Valentini, Controllo giudiziario e revoca di contributi e finanziamenti in caso di interdittiva antimanfia, in www.giustizia-amministrativa.it, 2021.