Consiglio di Stato, Sezione Terza, 15 aprile 2021, n. 3086

Una volta acclarata l’inutilità dell’annullamento, l’unica forma di interesse che legittima la prosecuzione del giudizio è quella che sorregge l’azione risarcitoria; non esiste evidentemente un tertium genus, ma unicamente il rilievo di posizioni d’interesse comunque connesse ad un bene della vita in qualche modo inciso dal provvedimento

Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla persistenza dell’interesse ad ottenere una pronuncia di accertamento, anche qualora l’annullamento del provvedimento impugnato sia divenuto inutile e non sia stata proposta domanda di risarcimento del danno.

L’interesse, di cui si chiede la tutela, si fonderebbe sul vantaggio futuro derivante dall’accertamento di principio effettuato dalla sentenza e dal conseguente effetto conformativo nei confronti dell’azione amministrativa.

Il Consiglio di Stato esclude la sussistenza dell’interesse in base a due ragioni:

-la stretta correlazione tra l’interesse al ricorso e l’effettiva utilità derivante dall’esito favorevole del giudizio;

-la perimetrazione stringente accordata all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento dall’art. 34 c.p.a.

Quanto a quest’ultima motivazione, l’argomento letterale è chiaro e non necessita di ulteriori considerazioni, atteso che la norma prevede la possibilità di una pronuncia di accertamento solo ai fini risarcitori, qualora l’annullamento del provvedimento sia divenuto inutile.

Il punto di partenza per valutare la prima ragione, invece, è l’esame della disposizione contenuta nell’articolo 100 c.p.c. (applicabile al processo amministrativo, tramite il rinvio esterno operato dall’articolo 39 c.p.a.) che riconosce, quale condizione dell'azione (necessaria per proporre una domanda o resistere ad essa), l'interesse ad agire.

Quest’ultimo nasce da un pregiudizio ed è finalizzato al conseguimento di un vantaggio derivante dall’intervento giurisdizionale (ex multis, Cons. St., Sez. II, 20 giugno 2019, n. 4233).

Il difetto genetico dell’interesse determina l’inammissibilità del ricorso ex articolo 35, comma 1, lett. b), c.p.a., mentre la carenza sopravvenuta dà luogo, nel corso del giudizio, come nel caso di specie, ad improcedibilità ex articolo 35, comma 1, lettera c) del c.p.a.

L’interesse al ricorso deve possedere i crismi della personalità (dato che il vantaggio deve riguardare il ricorrente), della attualità (vista la impossibilità di un interesse meramente eventuale od ipotetico) e della concretezza (che rileva ai fini dell’effettivo pregiudizio subito dal ricorrente)[1]

Nel caso in esame il venir meno dell’oggetto e del presupposto del provvedimento amministrativo impugnato implica la mancanza della concreta lesione alla sfera giuridica del ricorrente. Non è consentito, infatti, adire il giudice al solo fine di ottenere la legittimità dell’azione amministrativa, se ciò non si traduca in uno specifico beneficio per il ricorrente (ex multis, Cons. St. Sez. III, 2 settembre 2019, n. 6014, il quale ha statuito che l’atto integralmente riproduttivo di un altro precedente, se non impugnato, resta intangibile, essendo necessaria la prova della specifica utilità derivante dalla rimozione del secondo provvedimento).

Quanto invece al requisito dell’attualità, nel caso in esame pure assente, esso va visto in relazione alla tutela dell’interesse strumentale e morale affiorata in giurisprudenza.

L’interesse è definito morale se prescinde dalla sfera patrimoniale del ricorrente (ex multis, TAR Lombardia, Sez. III, 19 dicembre 2018, n. 2821 che riconosce la sussistenza di un interesse morale nella mera finalità di ottenere una ricostruzione di carriera ora per allora ai soli effetti giuridici).

L’interesse strumentale, invece, è “l’interesse all’annullamento del provvedimento impugnato volto alla riedizione dell’attività amministrativa a seguito della caducazione dell’atto lesivo, in modo da restituire al ricorrente quantomeno la possibilità di ottenere il bene della vita, illegittimamente vanificata dal provvedimento gravato” [2].

Il criterio dell’interesse strumentale va, quindi, contemperato con l’esigenza che vi sia un’utilità concreta fondante la legittimazione al ricorso, per non consentire all’azione di tradursi in un abuso della tutela giurisdizionale (cfr. Cons. St., Sez. V, 3 maggio 2018, n. 2633, Cons. St., Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6288).

Terreno di riflessione giurisprudenziale sull’interesse strumentale è la materia degli appalti. La questione che si è posta riguarda il rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale con efficacia paralizzante del primo.

La Corte di Giustizia, con la sentenza C-333/2018 (Lombardi Srl) del 5 settembre 2019, si è discostata in maniera netta dalla precedente giurisprudenza nazionale ed ha stabilito che, a prescindere dal numero dei concorrenti partecipanti alla gara e dall’ordine di esame dei gravami incrociati escludenti, il ricorso principale e quello incidentale devono essere entrambi esaminati, riconoscendo - quale interesse ad agire - anche quello meramente strumentale alla rinnovazione della gara (cfr. Cons. St., Sez. V, 15 febbraio 2021, n. 1310; Cons. St., Sez. IV, 4 giugno 2020, n. 3528).

Seppur l’interesse ad agire nella materia degli appalti abbia assunto contorni più ampi, in conseguenza di tale percorso volto ad accrescere l’effettività della tutela giurisdizionale, esso rimane correlato ad una lesione attuale cagionata da uno specifico provvedimento. 

Nel caso in esame, invece, il Collegio giudicante rileva chiaramente la genericità e l’astrattezza dell’interesse all’effetto conformativo futuro, auspicato dalla parte ricorrente.

Bisogna, infatti, distinguere il caso in cui l’interesse al ricorso consista nella specifica esigenza di rinnovare la gara, dall’ipotesi in cui la posizione d’interesse azionata abbia carattere generico e sia ancorata alla tutela di situazioni future od eventuali.


[1] R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2018.

[2] F. Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2019.

 

LEGGI LA SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7970 del 2020, proposto da Telecom Italia Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato

e difeso dagli avvocati Francesco Saverio Cantella e Filippo Lattanzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio

dell’avv. Filippo Lattanzi in Roma, via G. P. Da Palestrina n.47;

contro

Azienda Usl Umbria n. 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Rampini, con domicilio digitale come da

PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 0150/2020, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Usl Umbria n. 1;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2021 il Cons. Giovanni

Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Francesco Saverio Cantella, Filippo

Lattanzi e Mario Rampini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Telecom Italia s.p.a. ha impugnato davanti al T.A.R. Umbria la disposizione

impartita dal Responsabile UOC PSAL dell’ASL Umbria 1, n. prot. 173638 del 13 dicembre 2017 ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955 con la quale era stata ordinata alla ricorrente, limitatamente al territorio della Regione Umbria, la rielaborazione del documento di valutazione dei rischi predisposto dalla società, provvisto di data certa o attestata secondo le indicazioni di cui all’art. 28, secondo comma, del d.lgs. n. 81/2008.

Con sentenza n. 493/2018 del predetto T.A.R. il ricorso è stato dichiarato

inammissibile per carenza di legittimazione attiva di Telecom (incidentalmente, la sentenza osservava altresì il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e la sopravvenuta carenza di interesse in capo alla società ricorrente, in quanto il DVR, la cui legittima formulazione era revocata in dubbio nel provvedimento gravato, era stato medio tempore sostituito).

Tale pronuncia è stata annullata con rinvio dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, n. 4870/2019: in appello è stata, tra l’altro, rilevata la violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., per avere il primo giudice deciso il ricorso sulla base di una questione (relativa all’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse) rilevata d’ufficio, in assenza della necessaria dialettica con (e fra) le parti.

Nel successivo giudizio di rinvio, la sentenza del T.A.R. Umbria n. 150/2020 ha dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza

d‘interesse.

Con ricorso in appello Telecom Italia ha impugnato l’indicata sentenza.

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’Azienda Usl Umbria n. 1.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza dell’8 aprile 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

2. Come già osservato, la sentenza oggetto di gravame – resa al termine del

giudizio di rinvio dopo l’annullamento della precedente decisione di primo grado - ha confermato, all’esito di una dialettica processuale emendata dal vizio che aveva condotto alla decisione cassatoria, la statuizione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse (senza porre in discussione gli altri due profili che avevano costituito oggetto di tale decisione, vale a dire la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo e la legittimazione ad agire di Telecom).

La sentenza gravata è censurata dall’appellante Telecom sulla base dell’assunto per cui non vi sarebbe stata sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso, a seguito dell’adozione da parte di Telecom di un nuovo DVR, rispetto a quello oggetto del provvedimento impugnato; in particolare, si contesta la decisione del primo giudice in punto di (in)sussistenza di un apprezzabile interesse processuale allo scrutinio del provvedimento impugnato, che non sia quello all’annullamento dello stesso, ovvero al risarcimento del danno.

Sostiene l’appellante che “le modifiche apportate al DVR il 2.3.2018 e il 31.7.2018 si sono risolte in meri aggiornamenti, legati a fattori temporali e tecnologici, in alcun modo idonei ad impattare sulle contestazioni mosse dalla ASL con la disposizione impugnata in primo grado, le quali, come si è detto, vertevano, più a monte, sulla metodologia di valutazione dei rischi utilizzata da TIM”

3. L’appello è infondato.

Va anzitutto osservato che sono in questa sede irrilevanti gli argomenti che fanno leva su di un preteso vincolo derivante dalla motivazione della originaria sentenza del T.A.R. poi annullata in sede di appello: “Non si spiega, quindi, per quali ragioni, nel giudizio di rinvio, lo stesso organo giudicante abbia deciso di

attribuire effetti dirimenti ex se all’aggiornamento del DVR, senza invece indagare, come fatto in precedenza, sulla idoneità o meno delle modificazioni apportate a “sanare” gli aspetti criticati dalla disposizione de qua”.

In realtà il giudizio di rinvio non era vincolato in tal senso, giacchè la precedente

sentenza del Consiglio di Stato (n. 4870/2019), come ricordato, ha statuito:

a) sulla giurisdizione;

b) sulla legittimazione di Telecom;

c) sulla violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm. nel rilevare d’ufficio

l’improcedibilità del ricorso (sul piano, dunque, meramente processuale).

La sentenza del T.A.R. impugnata nel presente giudizio ha dunque sottoposto a contraddittorio processuale la terza questione (incontestate essendo, nel giudizio di riassunzione, le prime due), ed ha concluso per l’improcedibilità poiché, venuto meno l’interesse all’annullamento, il codice del processo amministrativo (art. 34, comma 3) consentirebbe lo scrutinio del ricorso solo a fini risarcitori: fini comunque non dedotti nel giudizio (di riassunzione) di primo grado.

Nel far ciò, il T.A.R. ha ritenuto – come si vedrà, correttamente – irrilevante il

dettaglio contenutistico delle modifiche, a fronte di un dato strutturale e funzionale preclusivo rispetto alla configurazione dell’accesso al rimedio.

4. Nell’ambito della struttura della fattispecie dedotta l’adozione di un nuovo DVR, avente un diverso contenuto, ha comportato il venir meno (non soltanto degli effetti, ma anche) dell’oggetto e del presupposto del provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado: il che appare dirimente, al di là dell’incidenza contenutistica delle modifiche (su aspetti di metodo, ovvero – soltanto - di merito).

Il provvedimento impugnato ordinava la rielaborazione del documento di

valutazione dei rischi: e tale rielaborazione è stata compiuta da Telecom, sicchè il provvedimento ha avuto piena esecuzione.

Poco importa che l’appellante alleghi di averlo rielaborato per altre ragioni, e con riguardo ad altri aspetti (diversi rispetto a quelli per i quali sollecita una pronuncia giurisdizionale): di fatto, il DVR che aveva costituito oggetto del provvedimento gravato in primo grado è stato sostituito da altro documento, sicchè il precedente, oggetto del provvedimento impugnato, non ha più giuridica esistenza nel contesto della fattispecie regolata dal provvedimento gravato con il ricorso di primo grado.

La reiterazione, nei successivi DVR, delle parti oggetto di contestazione da parte del provvedimento impugnato (relative alle modalità di compilazione del

documento), e l’affermazione della conseguente permanenza di un interesse alla verifica della conformità al parametro normativo della prassi aziendale seguita da Telecom sul punto, non mutano tali conclusioni in punto di interesse a ricorrere: sia per le ragioni appena esposte, legate alla ricognizione della struttura della fattispecie, sia per quanto si dirà in merito alla pretesa ad una pronuncia conformativa, astratta e di metodo, sui profili generali delle modalità di redazione del DVR.

5. L’appellante fonda inoltre la propria prospettazione sull’assunto per cui

l’interesse a coltivare il ricorso, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, può giustificarsi anche ad altri fini.

Al di là del riferimento “vincolante” al (solo) fine risarcitorio, come condizione

della permanenza di un interesse rilevante, contenuto nel citato art. 34, Telecom deduce l’esistenza un interesse ad ottenere una pronuncia di principio, da “spendere” in separato giudizio, o comunque tale da orientare o condizionare (la

prassi aziendale, e di conseguenza) l’esercizio futuro di poteri amministrativi.

Segnatamente, a pag. 21 del ricorso in appello si afferma che “sarebbe meritevole di essere tutelato l’interesse di Telecom a vedere accertato un principio – l’astratta compatibilità con l’art. 28 del d. lvo 81/2008 di un DVR redatto sulla base della tipologia di rischio e non ad hoc per la singola unità produttiva - idoneo ad orientare, oltre che la futura attività di vigilanza degli enti preposti, anche la decisione del giudice penale, al fine di evitare una sentenza sfavorevole che tale principio neghi. (….) non può certo ritenersi soddisfacente l’affermazione del Tar per cui soltanto il giudice penale sarebbe competente a valutare il reato contravvenzionale: è infatti di esperienza comune che, ferma la (peraltro parziale) autonomia fra i due giudizi, il giudicato amministrativo possa risultare spesso decisivo ai fini di orientare il correlato giudizio penale (si pensi ai reati edilizi). In altri termini, l’accertamento con forza di giudicato dei profili di violazione dell’art. 28 d.lvo 81/2008 contestati dalla ASL danneggerebbe l’odierna appellante indipendentemente dalla sede giudiziaria (amministrativa o penale) nel quale dovesse essere definitivamente pronunciato”.

L’argomento, ad avviso del Collegio, non può essere condiviso, in quanto contrario alla disciplina dell’interesse a ricorrere nel processo amministrativo, recata dal richiamato art. 34 del codice del processo amministrativo: che, come accennato, opera una perimetrazione netta e tassativa delle posizioni d’interesse legittimanti l’accesso al rimedio processuale.

Né vale invocare in contrario il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’interesse meritevole di tutela può correlarsi, una volta venuta meno l’utilità dell’annullamento, a posizioni d’interesse “strumentale o morale” (così, ex multis, Consiglio di Stato, sezione II, sentenza n. 6827/2020).

Tale orientamento ha infatti riguardo ad utilità giuridiche comunque attuali,

funzionalmente collegate agli effetti del provvedimento impugnato: consistenti, in altre parole, nel “vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell'accoglimento del ricorso” in relazione alla “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell'interesse protetto” (Consiglio di Stato, sez. V, 12 maggio 2020, n. 2969).

Già da un punto di vista dogmatico emerge l’ontologica differenza fra la posizione d’interesse azionata dall’appellante (dal carattere astratto, teorico e generico), e quella - di natura “morale o strumentale”, ma pur sempre correlata ad una lesione attuale cagionata da un provvedimento - cui la giurisprudenza riconosce tutela una volta venuto meno l’interesse alla pronuncia caducatoria.

Sul piano del diritto positivo una simile conclusione risulta poi confermata, come accennato, dal fatto che il legislatore ha perimetrato con chiarezza che l’unica forma d’interesse che legittima la prosecuzione del giudizio una volta acclarata l’inutilità dell’annullamento è quella che sorregge l’azione risarcitoria.

Non esiste, evidentemente, un tertium genus (il cui riconoscimento sarebbe peraltro contra legem, in presenza del chiaro disposto dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm.), ma unicamente il rilievo di posizioni d’interesse comunque connesse ad un bene della vita (ancorché immateriale) in qualche modo inciso dal provvedimento.

Il bene della vita cui aspira l’odierno appellante è invece relativo ad una sorta di “interpello” preventivo in merito all’organizzazione e all’attività d’impresa che possa, in futuro, costituire oggetto (non conflittuale) di atti di esercizio del potere amministrativo attribuito dalla disposizione del cui significato si controverte (art. 28, comma 2, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 8).

Una simile pretesa non legittima – per il diritto positivo - l’affermazione della

permanenza dell’interesse all’accertamento della illegittimità del provvedimento nel giudizio impugnatorio, una volta acclarata l’inutilità della pronuncia caducatoria.

In un’ottica di coerenza sistematica va peraltro rilevato che neppure lo stesso

interesse che, a determinate condizioni, legittima – ove ammissibile - la

proposizione dell’azione di mero accertamento nel processo amministrativo, può essere ancorato alla tutela di situazioni future od eventuali, non potendo

“prescindere dall'esistenza di un pregiudizio attuale del diritto” (T.A.R. Toscana, sentenza n. 1377/2020).

6. Sul piano del diritto positivo la pretesa dell’appellante risulta dunque infondata, anche per il contrasto con il disposto di cui all’art. 34, comma 2, primo periodo, cod. proc. amm.: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.

Tale ultimo riferimento ha poi una peculiare ed accentuata valenza nella specifica fattispecie dedotta.

Lo scrutinio della legittimità del provvedimento che verifica la conformità o meno del DVR al richiamato parametro normativo non può procedere, neppure sul piano della tecnica di redazione, per princìpi astratti, trattandosi di valutazione che, per sua natura, e per espressa indicazione normativa, è inscindibilmente ancorata alla fattispecie concreta, id est alla singola e specifica modalità di redazione considerata in relazione al contesto imprenditoriale del cui rischio si discute (la categoria giuridica del rischio essendo ancorata, per sua natura, ad una analisi concreta).

7. Non risulta corretto, pertanto, quanto afferma l’appellante a pag. 19 dell’appello: “il giudice di prime cure ha evidentemente confuso l’interesse strumentale e morale con l’interesse risarcitorio”.

Il T.A.R. non ha affatto confuso tali posizioni d’interesse, ma ha spiegato come in base al codice solo l’interesse risarcitorio, e non anche quello “morale e

strumentale” (nell’accezione ad esso attribuita da Telecom), dia titolo all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, una volta divenuto inutile l’annullamento.

Sotto questo profilo la richiamata sentenza n. 4870/2019 non pone un differente vincolo: dal momento che laddove ha affermato che “la questione qui controversa, sebbene direttamente pertinente alle modalità redazionali del DVR, è destinata ad interferire con le strategie di organizzazione dei luoghi di lavoro adottate da Telecom a livello nazionale e, quindi, ad incidere sulle scelte operative della società interessata, così da interpellare necessariamente la responsabilità dei vertici direzionali garanti del buon andamento della gestione aziendale”, lo ha fatto per decidere sulla legittimazione ad agire di Telecom, e non certo in merito alla diversa questione relativa all’esistenza di un interesse all’accertamento che sopravviva, su questione astratta e di principio, alla inutilità dell’annullamento.

Non è pertanto condivisibile neppure l’affermazione riportata a pag. 20 del ricorso in appello, secondo la quale la sentenza 4870/2019 “evidenziava come la disposizione impugnata, sebbene avente formalmente ad oggetto le modalità di redazione del DVR, spiegasse in realtà effetti sulle scelte organizzative, presenti efuture, della ricorrente a livello nazionale, comprimendone la libertà di impresa”.

Il riferimento alle scelte organizzative è contenuto infatti nella parte di motivazioneconcernente la legittimazione ad agire (in quella sede oggetto di contestazione).

L’enfatizzazione, da parte dell’appellante, del passaggio (punto 3.15.della

motivazione) della sentenza n. 4870/2019 in cui si è affermato che “la portata delle misure contestate rende ragione dell’interesse ad agire di Telecom, la quale vede incisa la propria libertà d’impresa, poiché compressa da determinazioni

eccessivamente pervasive e confliggenti con le scelte operate nell’ambito della

propria autonoma organizzazione interna”, è pertanto fuori asse, in quanto non

tiene conto del fatto che tali affermazioni sono state rese a supporto della parte

della decisione che ha riconosciuto l’iniziale legittimazione a ricorrere di Telecom, e non nella parte relativa alla (diversa questione della) perdurante sussistenza o meno di tale interesse successivamente alla modifica del DVR, dal momento che su questa seconda questione la sentenza in questione si è arrestata ad una decisione in rito (analogamente è a dirsi, evidentemente, per quanto affermato al precedentepunto 3.14.: “la questione qui controversa, sebbene direttamente pertinente allemodalità redazionali del DVR, è destinata ad interferire con le strategie di organizzazione dei luoghi di lavoro adottate da Telecom a livello nazionale e, quindi, ad incidere sulle scelte operative della società interessata, così da interpellare necessariamente la responsabilità dei vertici direzionali garanti del buon andamento della gestione aziendale”).

Al di là di tale riferimento, circoscritto processualmente ad altra vicenda, la

ricaduta sulle scelte organizzative future rileva pur sempre quale effetto conformativo (peraltro, direttamente rivolto all’amministrazione, e solo indirettamente al privato) conseguente (o comunque connesso) al giudicato di

annullamento, e nell’ambito del medesimo rapporto giuridico.

8. Escluso pertanto l’interesse all’annullamento di un provvedimento non più

efficace, ed esclusa altresì la sussistenza di un interesse di natura risarcitoria

(neppure allegato dall’appellante), non residua alcuna forma di interesse

legittimante la pronuncia richiesta.

Il ricorso in appello deve essere pertanto respinto perché infondato.

Sussistono le condizioni di legge, alla luce della parziale novità della questione, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente

pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021 con

l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Giulio Veltri, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Solveig Cogliani, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore