Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 9 marzo 2020, n. 1652

1. In materia di notificazioni telematiche nei confronti degli enti pubblici,l’esegesi della disciplina ha avuto approdi non sempre univoci in giurisprudenza, rinvenendosi anche indirizzi inclini a riconoscere validità della notifica a mezzo posta elettronica certificata del ricorso effettuata all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA, specie nei casi in cui l'amministrazione pubblica sia rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia. Pertanto, in siffatte evenienze, contraddistinte dalla evidenziata oscillazione giurisprudenziale, non può che accordarsi il beneficio della rimessione in termini ex articolo 37 del c.p.a., registrandosi, in definitiva, pur nel rigore valutativo qui esigibile, oggettive ragioni di incertezza sulla questione di diritto suesposta.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 7896 del 2019, proposto da 
Clear Channel Jolly Pubblicita' S.p.A., Claer Channel Italy Outdoor S.r.l., Clear Channel Affitalia S.r.l., Ipas S.p.A., Sipea S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Elena Laverda, Fulvio Lorigiola, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5. 

contro

Comune di Napoli in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi, Fabio Maria Ferrari, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luca Leone in Roma, via Appennini 46.

per la riforma della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 03360/2019, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Manzi Andrea in dichiarata delega di Lorigiola, Anania su delega di Crimaldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalle società Clear Channel Jolly Pubblicità s.p.a., Clear Channel Italy Outdoor s.r.l., Clear Channel Affitalia s.r.l., Ipas s.p.a. e Siepa s.r.l. contro il Comune di Napoli per l’annullamento della deliberazione della Giunta Comunale di Napoli 27.2.2019 n. 58, pubblicata all'Albo pretorio dall'1.3.2019 al 15.3.2019, avente ad oggetto “Aumento, a decorrere dal 1° gennaio 2019, del 50% delle tariffe dell'imposta comunale sulla pubblicità e di quella del diritto sulle pubbliche affissioni di cui al Capo I del D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507”, nonché di ogni atto connesso e conseguente e, segnatamente, della “Tabella delle tariffe base sulla pubblicità e le relative maggiorazioni in vigore nel territorio del comune di Napoli dal 2019”, pubblicata nel sito del Comune ad aprile 2019 in ritenuta attuazione della D.G.C. n. 58/19 e di tutti gli atti emessi in applicazione di tali tariffe; nonché per la condanna dell'intimata amministrazione, accertato il perpetrato inadempimento all'obbligo di legge ribadito all'art. 7 octiesdel D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (inserito in sede di conversione con Legge 31 marzo 2005 n. 43), a ricondurre le tariffe annue del Canone per l’Installazione dei Mezzi Pubblicitari (CIMP) a partire dall'anno d'imposta 2005 e, in ogni caso, quelle deliberate per l'anno d'imposta 2019, entro il limite fissato dall'art. 62, comma 2, lettere d) ed f) del D. Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446.

1.1. La sentenza -constatata la mancata costituzione in giudizio del Comune di Napoli e richiamati l’art. 16, comma 2, e l’art. 16 ter, comma 1 e comma 1 bis, del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012- ha ritenuto che:

<<- non è espressamente annoverato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi p.e.c da utilizzare per le notificazioni e comunicazioni degli atti, il registro c.d. IPA, disciplinato dall'art. 16, comma 8, del D.L. n. 185/2008, convertito nella L. n. 2/2009, il quale prevedeva che tutte le amministrazioni pubbliche istituissero una casella di posta elettronica certificata e ne dessero comunicazione al Centro Nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che così provvedeva alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica;

- quindi, nel quadro del vigente processo amministrativo telematico e secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, ai fini della validità della notifica per via telematica di un atto processuale a una amministrazione pubblica nel giudizio amministrativo, deve utilizzarsi in via esclusiva l'indirizzo p.e.c. inserito nell'elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui all'art. 16, comma 12, del D.L. n. 179/2012 […] per le notifiche degli atti giudiziari all'amministrazione, in sede di giudizio amministrativo, non è validamente utilizzabile, in alternativa, l'indirizzo risultante dal registro IPA>>.

Accertato che nel caso in esame “il ricorso è stato notificato a un indirizzo c.d. IPA del Comune di Napoli ( protocollo@pec.comune.napoli.it) e ad altro indirizzo p.e.c. (entrate.altritributi@pec.comune.napoli.it), entrambi diversi da quello risultante dal Registro istituito presso il Ministero della Giustizia ex art. 16, comma 12, del D.L. n. 170/2012 (atti.giudiziari@pec.comune.napoli.it)”, ha dichiarato la nullità della notificazione del ricorso introduttivo e ne ha escluso la sanatoria.

1.2. E’ stata infine respinta la richiesta della ricorrente di rimessione in termini “alla luce del quadro normativo tracciato e del consolidato indirizzo pretorio sopra riportato che non consente di ravvisare un’oggettiva situazione di incertezza in ordine alla individuazione del recapito da utilizzare per le notifiche di atti processuali nel processo amministrativo telematico nel caso in cui l’amministrazione intimata abbia comunicato il proprio indirizzo p.e.c. al Ministero della Giustizia”.

Si è ritenuto che i precedenti giurisprudenziali menzionati nell’istanza di rimessione non fossero pertinenti in quanto riguardanti casi in cui: <<a) l’amministrazione destinataria della notificazione telematica sia rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare il proprio indirizzo p.e.c. da inserire nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia, con conseguente applicazione del principio di autoresponsabilità (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7026/2018); b) parte ricorrente abbia inviato il ricorso ad un indirizzo p.e.c. indicato dalla stessa amministrazione sul proprio sito internet o nei propri atti difensivi, senza evidenti preclusioni riferite all’invio di atti processuali, con ciò ingenerando affidamento sulla utilizzabilità del recapito (T.A.R. Molise, n. 420/2017); c) il p.a.t. era in vigore solo da poco tempo e non si era ancora formata una consolidata giurisprudenza in materia di notifiche di atti processuali con modalità telematiche (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, ordinanze n. 673/2018).>.

Esclusa la ricorrenza di tali evenienze, si è altresì esclusa la dedotta scusabilità dell’errore, concludendosi, come detto, per la nullità insanabile della notificazione del ricorso introduttivo e conseguente sua inammissibilità ai sensi dell’art. 35 Cod. proc. amm.

2. Le società già ricorrenti in primo grado hanno avanzato appello con tre motivi. 

2.1. Il Comune di Napoli si è costituito per resistere al gravame.

2.2. Accolta l’istanza cautelare delle appellanti con ordinanza n. 5485 del 30 ottobre 2019, alla pubblica udienza del 23 gennaio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie delle parti. 

3. In ordine logico-giuridico, va trattato prima il terzo motivo di appello (1.Violazione degli articoli 156, 157 e 160 c.p.c.: la nullità della notifica su cui si fonda la sentenza gravata non è rilevabile d’ufficio – 2. Violazione dell’art. 60 CPA per assenza dei presupposti), col quale l’appellante sostiene che la nullità della notificazione, se ritenuta per errore nell’individuazione dell’indirizzo del destinatario, sarebbe nullità “relativa”, non rilevabile d’ufficio, per effetto del combinato disposto degli articoli 156, 157 e 160 c.p.c., ed aggiunge che, comunque, la sentenza non avrebbe potuto essere assunta in forma semplificata, perché l’art. 60 cod. proc. amm. presuppone che il giudice abbia accertato “la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria”.

3.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili, considerato che:

- la nullità della notificazione del ricorso introduttivo è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 44, co. 4 e 4 bis, cod. proc. amm.;

- la completezza del contraddittorio di cui all’art. 60 cod. proc. amm., va valutata dal giudice d’ufficio ed, ove ritenuta, all’esito della verifica delle notificazioni effettuata ai sensi del citato art. 44 cod. proc. amm., consente l’adozione della sentenza in forma semplificata.

3.2. Il giudice di primo grado ha compiuto detta verifica, addivenendo alla conclusione della nullità insanabile della notificazione del ricorso e dell’impossibilità di concedere termine per la rinnovazione. In disparte la correttezza di tale conclusione, la sentenza non è viziata né per il rilievo officioso della nullità, consentito dall’art. 44 cod. proc. civ., né per la definizione del giudizio in camera di consiglio, consentita dall’art. 60 cod. proc. civ.

3.3. Il terzo motivo di appello va respinto. 

4. I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente perché connessi e comunque proposti l’uno subordinatamente all’altro.

4.1. Col primo (Violazione dell’art. 16 ter del d.l. n. 179/2012 e dell’art. 6 ter del Codice dell’amministrazione digitale: l’Indice PA è un “elenco pubblico” a tutti gli effetti, come tale utilizzabile per tutte le notifiche – erroneità e contraddittorietà della sentenza n. 3360/19 che invoca come “prevalente” l’indirizzo restrittivo di segno opposto, superato dalla giurisprudenza successiva del tutto maggioritaria), le appellanti sostengono la validità della notificazione effettuata all’indirizzo protocollo@pec.comune.napoli.it , tratto dall’Indice PA (e riportato nel sito istituzionale del Comune di Napoli (Elenco delle caselle PEC attive nel Comune di Napoli) nella casella “Servizio Protocollo, Albo Pretorio e Notifiche”), richiamando a sostegno di tale deduzione la sentenza del Consiglio di Stato, V, 28 dicembre 2018, n. 7028, confermata da sentenze successive (Cons. Stato, III, 27 febbraio 2019, n. 1379 e diverse altre dei T.a.r., indicate in ricorso), nonché quanto risultante dalle disposizioni regolamentari per le notifiche agli enti impositori nel processo tributario.

4.2. Col secondo motivo, proposto in via subordinata (Violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 44 CPA – eccesso di potere per difetto di motivazione e illogicità – violazione degli artt. 24, 113 e 97 della Costituzione, nonché dell’art. 6 della CEDU), le appellanti sostengono che, comunque, detta notificazione non si sarebbe potuta considerare viziata da inesistenza o nullità assoluta, ma si sarebbe dovuta reputare tutt’al più rinnovabile previo riconoscimento di errore scusabile, quanto meno sotto il profilo dell’esistenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto, considerato che: 1) le ricorrenti hanno fatto legittimo affidamento sull’indirizzo giurisprudenziale che riconosce validità alla notificazione all’indirizzo tratto dall’IPA o che ha consentito la rimessione in termini per errore scusabile anche in fattispecie del tutto analoghe alla presente; 2) le ricorrenti hanno utilizzato l’indirizzo suindicato per la notificazione di quindici ricorsi tributari afferenti la medesima questione giuridica; 3) le indicazioni contenute nel sito web del Comune di Napoli erano contraddittorie e fuorvianti, atte a creare quell’incertezza che giustifica il riconoscimento dell’errore scusabile.

5. I motivi sono contestati dal Comune di Napoli, osservando:

1) quanto al primo, che: a) la regola fissata dall’art. 16, comma 12, del d.l. n. 179 del 2012 è stata considerata derogabile solo nel caso in cui l’indirizzo idoneo sia assente dall’elenco di cui al detto articolo (cfr. Cons. Stato, III, 5 febbraio 2018, n. 744); b) nella pagina del sito comunale richiamata dalle appellanti, è chiarito espressamente “per gli avvocati e gli operatori del diritto: Indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC) unico ed esclusivo ai fini della ricezione, con effetti legali, di atti giudiziari: atti.giudiziari@pec.comune.napoli.it”; c) l’indirizzo p.e.c. entrate.altritributi@peccomune.napoli.it cui le appellanti dichiarano di aver indirizzato il ricorso (oltre che all’indirizzo delprotocollo), è quello di un singolo ufficio, e non dell’ente locale destinatario del ricorso, in persona del Sindaco legale rappresentante pro-tempore; d) non sono pertinenti le sentenze citate da controparte, perché nei casi oggetto di questi precedenti l’Amministrazione destinataria della notificazione telematica non aveva indicato l’indirizzo da inserire nel registro tenuto dal Ministero della Giustizia, a differenza del Comune di Napoli che ha inserito l’indirizzo riservato agli atti giudiziari; f) non rilevano le regole dettate per il processo tributario;

2) quanto al secondo, che: l’errore scusabile sarebbe stato riconosciuto in giurisprudenza soltanto in presenza di presupposti estranei alla presente fattispecie; non si potrebbe desumere l’affidamento incolpevole delle appellanti soltanto dal comportamento tenuto dal Comune nei processi tributari introdotti con ricorsi notificati anche all’indirizzo del protocollo; il sito istituzionale del Comune è chiaro riguardo agli indirizzi utilizzabili dagli operatori del diritto.

6. Il primo motivo di appello è infondato, perché come ritenuto in sentenza e ribadito dal Comune appellato, la regola da seguire per le notificazioni degli atti del processo amministrativo alle amministrazioni destinatarie è esclusivamente quella ricavabile dagli artt. 16, comma 12, e 16 ter, comma 1 e comma 1 bis, del d.l. n. 179 del 2012, convertito con la legge n. 221 del 2012 (come modificato col d.l. n. 90 del 2014, convertito con la legge n. 114 del 2014): ai fini della validità della notificazione per via telematica l’atto processuale va trasmesso all’indirizzo p.e.c. inserito nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui al detto art. 16, comma 12. 

Coerentemente col quadro legislativo delineato, l’art. 14, comma 2, del D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del PAT) prevede che le notificazioni alle amministrazioni non costituite in giudizio sono eseguite agli indirizzi p.e.c. di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012, conv. in L. n. 221/2012, fermo quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.

Pertanto, non è validamente utilizzabile l’indirizzo risultante dall’Indice PA, del quale si sono invece avvalse le ricorrenti in primo grado, qui appellanti. Infatti il registro IPA, di cui all’art. 16, comma 8, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella legge n. 2 del 2009, non viene più espressamente menzionato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi p.e.c. ai fini della notifica degli atti giudiziari. In particolare, l’elenco l’IPA era inizialmente equiparato agli elenchi pubblici dai quali poter acquisire gli indirizzi p.e.c. validi per le notifiche telematiche dall’art. 16 ter D.L. n. 179 del 2012, ma tale equiparazione è attualmente venuta meno in seguito alla modifica di tale disposizione.

Stessa conclusione di inidoneità va ritenuta, per quanto detto, per gli indirizzi indicati nei siti dell’amministrazione, che non trovano autonoma legittimazione normativa ai fini delle notifiche degli atti giudiziari.

6.1. La regola è stata considerata derogabile nell’ipotesi in cui l’amministrazione destinataria della notificazione non avesse inserito alcun indirizzo nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, reputando valida la notifica a mezzo posta elettronica certificata del ricorso effettuata all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA. 

Giova precisare che, contrariamente a quanto sembra presupporre il Comune appellato, tale deroga non è stata riconosciuta per errore scusabiledel notificante, ma piuttosto perché l’amministrazione era rimasta inadempienteall'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo p.e.c. da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia. 

A tale situazione si riferiscono i precedenti indicati dalle parti, sia pure da contrapposti angoli di visuale, di cui a Consiglio di Stato, III, 27 febbraio 2019, n.1379 e id., V, 12 dicembre 2018 n. 7026.

6.2. Il Comune di Napoli ha comunicato al Ministero della Giustizia l’indirizzo atti.giudiziari@pec.comune.napoli.it , diverso dai due indirizzi utilizzati per la notificazione del ricorso in primo grado (protocollo@pec.comune.napoli.it ed entrate.altritributi@peccomune.napoli.it ).

La notificazione è nulla, poiché effettuata in violazione della regola operante quando l’amministrazione abbia adempiuto all’obbligo imposto dall’art. 16, comma 12, del d.l. n. 179 del 2012, convertito nella legge n. 221 del 2012 e succ. mod.

6.3. Il primo motivo va quindi respinto.

7. Il secondo, proposto subordinatamente a tale rigetto, è meritevole di accoglimento, in conformità a quanto deciso con la sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 22 ottobre 2019, n. 7170, nella quale si è osservato “come l’esegesi della suddetta disciplina abbia avuto approdi non sempre univoci in giurisprudenza, rinvenendosi anche indirizzi inclini a riconoscere validità della notifica a mezzo posta elettronica certificata del ricorso effettuata all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA vieppiù se l'amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica sia rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia” e come “in siffatte evenienze, contraddistinte dalla evidenziata oscillazione giurisprudenziale, non può che accordarsi il beneficio della rimessione in termini ex articolo 37 del c.p.a., registrandosi, in definitiva, pur nel rigore valutativo qui esigibile, oggettive ragioni di incertezza sulla questione di diritto suesposta”.

7.1. Contrariamente a quanto obietta il Comune di Napoli nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, la sentenza appena citata è stata pronunciata in un caso, del tutto analogo al presente, in cui l’amministrazione destinataria della notificazione aveva indicato un indirizzo dedicato alla ricezione degli atti giudiziari per via telematica, ai sensi del ridetto art. 16, comma 12.

7.2. Dato ciò e condiviso quanto ritenuto nel citato precedente, il riconoscimento della scusabilità dell’errore nel caso di specie si giustifica vieppiù non solo perché la vicenda oggetto del presente contenzioso è collegata a quella oggetto del contenzioso tributario incardinato dalle stesse ricorrenti mediante notificazioni effettuate allo stesso Comune di Napoli all’indirizzo p.e.c. indicato nell’Indice PA, ma anche perché in fattispecie analoghe lo stesso T.a.r. della Campania ha riconosciuto l’errore scusabile concedendo termine per la rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo.

7.3. Il giudice di primo grado avrebbe, dunque, dovuto riconoscere l’errore scusabile e consentire alle ricorrenti, che ne avevano fatto istanza in pendenza di giudizio in data 4 giugno 2019, di rinnovare la notifica del ricorso al Comune intimato, evocandolo in giudizio mediante una rituale trasmissione del ricorso all’indirizzo corretto.

8. In conclusione, va accolto il secondo motivo di appello e, per l’effetto, annullata la sentenza appellata, la causa va rimessa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm., così rimettendo in termini le appellanti per errore scusabile.

8.1. La fattispecie è infatti riconducibile alla norma processuale appena enunciata “per le divisate ricadute che ne conseguono quanto al rispetto del principio del contraddittorio, che non risulta correttamente assicurato nel giudizio di prime cure” (come già ritenuto nella menzionata sentenza n. 7170/19), essendo il Comune di Napoli rimasto contumace in primo grado, a causa dell’invalida notificazione del ricorso introduttivo.

9. La constatata mancanza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato sulla questione di diritto posta dall’appello consente di compensare per giusti motivi le spese dei due gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette la causa al giudice di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato torna ad affrontare la questione della ritualità della vocatio in iusnel caso di notifica alla pubblica amministrazione mediante utilizzo della posta elettronica certificata, ovvero presso il domicilio digitale dell’ente.

La questione, benchè ormai nota, ha reso necessario in numerose occasioni l’intervento della giurisprudenza, che ha offerto soluzioni non sempre univoche a fronte della diffusa esigenza di chiarezza in ordine agli adempimenti propedeutici all’instaurazione del giudizio.

Invero, l’introduzione di regole informatiche nell’impianto degli istituti processuali tradizionali ha generato numerose difficoltà applicative, derivanti spesso da incertezze di natura tecnica nel contesto di un quadro normativo ancora in evoluzione e, spesso, in fase di “sperimentazione”. 

Le regole informatiche, sebbene in uso ormai da diversi anni, sono senz’altro giovani rispetto al patrimonio giuridico processuale e necessitano pertanto di una intensa opera di elaborazione. Inoltre, è ancora frammentario il panorama delle fonti del diritto processuale telematico: nel codice del processo si inseriscono richiami a testi unici, leggi, regolamenti, sì da rendere spesso difficile per l’interprete orientarsi. 

Nel contesto della giustizia amministrativa, l’individuazione di regole certe volte ad assicurare la ritualità della notifica ha rivestito carattere fondamentale: nel processo civile, infatti, l’eventuale declaratoria di nullità dell’atto introduttivo non impedisce all’attore di riproporre la domanda (salvo il decorso del termine di prescrizione); viceversa, nel processo amministrativo il termine decadenziale per l’impugnazione comporta che la declaratoria di nullità della notifica ha l’effetto di paralizzare del tutto la possibilità per il ricorrente di ottenere una pronuncia nel merito.   

In linea generale, la notifica telematica nei confronti degli enti pubblici è disciplinata dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, che individua gli indirizzi PEC validi ai fini della notificazione rinviando ai pubblici registri enumerati dal d.l. n. 179/2012(convertito con modificazioni in legge n. 221/2012).

La citata norma, recante le modalità di individuazione dell’indirizzo PEC dell’amministrazione, risponde ad esigenze di certezza giuridica: al pari della sede legale, anche il domicilio digitale dell’ente non può che essere uno soltanto; diversamente argomentando, inoltre, si porrebbe a carico dell’amministrazione l’onere di controllare con frequente periodicità la posta in entrata di tutte le caselle di posta elettronica, con aggravi in termini organizzativi e di gestione. 

Orbene, tra i registri validi vi era, in origine, il Registro denominato IndicePA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), senz’altro il più completo e utilizzato, oltre che liberamente consultabile. L'Indice PA è stato il primo indirizzario PEC di tutte le pubbliche amministrazioni ed era previsto come tale dal Codice dell'amministrazione digitale (art. 47).

Tuttavia, Il d.l. n. 90/2014 ha espunto il riferimento a IndicePA dall’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, onerando al contempo le pubbliche amministrazioni di provvedere, entro la fine dell’anno 2014, a comunicare il proprio indirizzo PEC valido ai fini della notifica al Ministero della Giustizia, che avrebbe poi provveduto ad inserire il riferimento nel Reginde(Registro Generale degli indirizzi elettronici).

Tra ritardi e omissioni (quasi del tutto) prive di conseguenze, le amministrazioni hanno largamente disatteso l’obbligo di comunicazione, impedendo così il ricorso agli strumenti di notifica telematica.

A fronte di tale situazione, la giurisprudenza ha offerto soluzioni di natura differente.

Ilprimo orientamento, sicuramente maggioritario benchè piuttosto drastico, prende le mosse dal dato letterale contenuto nell’art. 11 della l. n. 53/1994, il quale prevede la nullità delle notificazionia mezzo PEC eseguite in violazione di quanto previsto dalla legge stessa ( in termini, Cassazione civile , sez. VI , 27/06/2019 , n. 17346 Cassazione civile sez. VI, 11/05/2018, n.11574).

La declaratoria di nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice ed è sanabile solo in caso di rituale costituzione in giudizio della parte resistente. 

Non sono mancate interpretazioni più morbide, mosse senz’altro dal tentativo di non pregiudicare eccessivamente gli interessi del privato/ricorrente, specie a fronte della previsione normativa del termine di decadenza per l’impugnazione. 

In virtù delle esposte motivazioni, un secondo orientamento (minoritario)della giurisprudenza ha accordato la rimessione in termini derivante da errore scusabile nell’ipotesi di notifica a indirizzo PEC estratto dal sito web dell’Amministrazionesulla base della interpretazione delle norme contenute del d.lgs. n. 33/2013,  che impongono alla pubblica amministrazione la pubblicazione e l’aggiornamento delle informazioni nei siti istituzionali. Ne discende che la presenza di un indirizzo sul sito web valido dell’ente non può che ingenerare un affidamento nell’utente(TAR Molise, Sez. I, ord. 13 novembre 2017, n. 420). Tale orientamento è stato confutato in virtù della circostanza che gli indirizzi indicati nei siti dell’amministrazione non trovano autonoma legittimazione normativa ai fini delle notifiche degli atti giudiziari.

Vi è, infine, un terzo orientamento,condiviso dalla sentenza in esame.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato e di alcuni TT.AA.RR. (Consiglio di Stato, III, 27 febbraio 2019, n. 1379id., V, 12 dicembre 2018 n. 7026, TAR Campania, Sez. VIII, ord. 15 marzo 2018, n. 1653) ha ritenuto di accordare la rimessione in termini nelle ipotesi in cui l’ente non abbia comunicato il proprio indirizzo al Ministero della Giustizia ai fini dell’inserimento nel Reginde

Ancora, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato, con sentenza 12 dicembre 2018 n. 7026 ha affermato che la notifica del ricorso effettuata all'amministrazione all'indirizzo PEC tratto dall'elenco presso l'Indice PA è, in tali ipotesi, pienamente valida ed efficacee ciò in virtù dei canoni di autoresponsabilitàlegittimo affidamentocui deve ispirarsi il suo leale comportamento. La pubblica amministrazione, infatti, non può trincerarsi - a fronte del suo inadempimento - dietro il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne benefici in termini processuali.

Tale deroga, dunque, non è stata riconosciuta per errore scusabiledel notificante, ma piuttosto perché l’amministrazione era rimasta inadempienteall'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo p.e.c. da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia.

La sentenza in commento si inserisce in tale filone interpretativo. Il Collegio, inoltre, ha osservato che - nonostante le notifiche telematiche siano in uso da diversi anni - vi è ancora una notevole incertezza su profili e regole tecnichee ciò in quanto la stratificazione di fonti di diversa provenienza e il loro inserimento nel contesto delle regole processuali non ha, ad oggi, consentito di delineare un quadro sistematico sufficientemente chiaro. 

L’incertezza normativa consente di accordare la rimessione in termini anche quando l’ente aveva provveduto a comunicare il proprio domicilio digitale al Ministero della Giustizia.

In conclusione, pare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato stia gradualmente abbandonando le posizioni rigide e formalistiche che hanno accompagnato i primi anni di vigenza delle notifiche telematiche e stia approdando a soluzioni differenti e più garantiste degli interessi del ricorrente. 

L’orientamento appare ancor più prezioso nel contesto dell’emergenza sanitaria da coronavirus ed in vista della completa informatizzazione dei processi e dell’adozione di misure di contingentamento nell’accesso agli uffici per esigenze di tutela della salute pubblica.