Tribunale regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, 18 giugno 2019, n. 91

L'accordo per la gestione delle tasse automobilistiche, intervenuto tra ACI e Provincia autonoma di Trento, è da ritenersi legittimo, ricorrendo la condizione sancita dall'art. 5, comma 6, lettera a) del d.lgs. n. 50 del 2016. L’accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici, infatti, è sottratto all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti pubblici quando l’accordo stesso “stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune”

LEGGI LA SENTENZA

Pubblicato il 18/06/2019

N. 00091/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00012/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12 del 2019, proposto dalla società Ge.Fi.L. - Gestione Fiscalità Locale S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Creuso e Nicola de Zan, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicolò Pedrazzoli, Giuliana Fozzer e Sabrina Azzolini dell’Avvocatura della Provincia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Sabrina Azzolini in Trento, Piazza Dante n. 15, nella sede dell’Avvocatura provinciale; 

nei confronti

ACI - Automobile Club d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Maccaferri e Francesco Guarino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via Grazioli n. 27, presso l’avvocato Mario Maccaferri; 
ACI Informatica S.p.A. e AC Trento - Automobile Club di Trento, non costituiti in giudizio; 

per l’annullamento

della determinazione n. 188 in data 20 dicembre 2018, a firma del dirigente del Servizio entrate, finanza e credito della Provincia autonoma di Trento, avente il seguente oggetto: “Accordo di cooperazione, ai sensi dell’articolo 16 bis, comma 2 bis, della legge provinciale 23/92, tra la Provincia autonoma di Trento e l’Automobile Club d’Italia (ACI) in materia di tasse automobilistiche per il triennio 2019-2021”, ivi compresi i relativi allegati (“001 schema di accordo”“002 contratto tra titolare e responsabile esterno” e “003 prospetto rimborso costi”), nonché del relativo accordo, ove già stipulato, e di tutti gli atti comunque connessi e/o conseguenti, lesivi degli interessi della ricorrente,

con conseguente dichiarazione di inefficacia del predetto accordo, ove stipulato, e condanna della Provincia autonoma di Trento al risarcimento del danno per equivalente.


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia autonoma di Trento e dell’ACI - Automobile Club d’Italia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il dott. Carlo Polidori e uditi l’avvocato Nicola De Zan per la società ricorrente, l’avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato Mario Maccaferri per l’Automobile Club d’Italia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. Con l’impugnata determinazione dirigenziale n. 188 in data 20 dicembre 2018 è stata autorizzata, ai sensi dell’art. 16-bis, comma 2-bis della legge provinciale n. 23/1992, la stipula di un accordo di cooperazione tra la Provincia autonoma di Trento e l’Automobile Club d’Italia (di seguito denominato ACI) per le attività di gestione della tassa automobilistica provinciale per un periodo di tre anni, a decorrere dal 1 gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2021, secondo l’allegato schema di accordo di cooperazione. La determinazione impugnata evidenzia in motivazione - per quanto interessa in questa sede - che nella fattispecie sono soddisfatte le condizioni di cui all’art. 5, comma 6, lettere a), b) e c) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, «affinché un accordo concluso esclusivamente tra pubbliche amministrazioni aggiudicatrici non rientri nell’ambito del codice appalti» e che l’accordo di cooperazione «non si configura come scambio di prestazioni di servizi verso corrispettivo, bensì come modalità di coordinamento tra uffici di strutture di derivazione pubblica ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241/1990 e dell’articolo 16-bis, comma 2-bis, della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23, in cui ognuna di esse può porre al servizio dell’altra le proprie strutture tecnologiche e competenze, con esclusione quindi di qualsiasi forma di erogazione di corrispettivo dall’una all’altra parte, salvo il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati».

2. La società GE.FI.L., operante nel settore oggetto del predetto accordo di cooperazione, con il presente ricorso - premesso che il proprio interesse all’affidamento dei servizi oggetto dell’accordo è palesato dal fatto che essa, a seguito di una regolare procedura selettiva, svolge servizi della stessa specie per conto della Regione Veneto, ed ha partecipato ad una gara indetta dalla Regione Marche per l’affidamento di analoghi servizi, in quanto iscritta all’albo dei soggetti abilitati all’accertamento e riscossione dei tributi locali, di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 - del provvedimento impugnato chiede l’annullamento deducendo le seguenti censure.

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del decreto legislativo n. 50/2016, degli articoli 1, 2 e 12 della Direttiva 2014/24/UE, dell’art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997, dell’art. 2 del D.M. n. 418/1998, dell’art. 15 della legge n. 241/1990 e dell’art. 16-bis della legge provinciale n. 23/1992; violazione dei principi di concorrenza, economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, nonché dei principi generali in materia di evidenza pubblica; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed erroneità del presupposto.

L’Amministrazione provinciale ha proceduto all’affidamento diretto all’ACI dei servizi di gestione della tassa automobilistica provinciale erroneamente ritenendo soddisfatte tutte le condizioni di cui all’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo il quale gli accordi conclusi “esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici” (c.d. accordi di cooperazione orizzontale) sono sottratti all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti pubblici “quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione”.

In base a tale disposizione, che recepisce nell’ordinamento nazionale la deroga all’applicazione della regola dell’evidenza pubblica sancita - alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 9 giugno 2009 in C-480/06, Commissione c. Repubblica federale di Germania; sentenza 19 dicembre 2012 in C-159/11, Azienda Sanitaria Locale di Lecce e altri c. Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce; ordinanza 16 maggio 2013 in C-564/11, Consulta Regionale Ordine Ingegneri della Lombardia e altri c. Comune di Pavia; sentenza 13 giugno 2013 in C-386/11, Piepenbrock Dienstleistungen GmbH & Co. KG c. Kreis Düren; ordinanza 20 giugno 2013 in causa C-352/12, Consiglio Nazionale degli Ingegneri c. Comune di Castelvecchio Subequo e altri) - dall’art. 1, paragrafo 6, all’art. 12, paragrafo 4, e dal considerando 31 della direttiva 24/2014/UE, gli accordi di cooperazione orizzontale sono esclusi dall’applicazione del codice dei contratti pubblici se configurano un modello convenzionale attraverso il quale le amministrazioni interessate coordinano tra loro l’esercizio delle funzioni pubbliche che esse stesse devono svolgere, senza alcuna remunerazione e nell’intento comune di fornire i servizi che esse sono tenute a fornire.

In particolare - come precisato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito denominata ANAC) nelle delibera n. 567 del 31 maggio 2017 e ribadito nella delibera n. 619 del 4 luglio 2018 - la deroga alla regola della procedura ad evidenza pubblica è consentita alle seguenti condizioni: A) «l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico comune, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti»; B) «alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità»; C) «i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno»; D) «il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata dagli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non può trasformarsi in una costruzione di puro artificio, diretta ad eludere le norme menzionate, e gli atti che approvano l’accordo, nella motivazione, devono dar conto di quanto su esposto».

L’affidamento diretto in favore dell’ACI non soddisfa nessuna delle predette condizioni.

Innanzi tutto l’ACI non è titolare, per legge, di funzioni pubbliche o di obblighi di servizio pubblico relativi alla gestione della tassa automobilistica. Infatti la tassa automobilistica è un tributo statale delegato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano (come ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 22 novembre 2018, n. 209) e, quindi, lo Stato, le Regioni e le Province autonome sono i soli soggetti pubblici titolari delle competenze relative al tributo in questione. Vero è che il provvedimento impugnato si sofferma sulla natura pubblica dell’ACI e valorizza le previsioni dell’art. 5 del suo statuto in materia di tenuta del “Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) istituito presso l’A.C.I. con decreto 15 marzo 1927 n. 436, convertito in legge 19 febbraio 1928, n. 510”, e di gestione dei “servizi in materia di tasse automobilistiche affidati all’A.C.I. dalle Regioni e dalle Province Autonome”. Tuttavia tali considerazioni non possono assumere rilievo decisivo in questa sede, ove rileva soltanto l’assenza di norme di legge - tra le quali certo non rientra lo statuto dell’ACI - che attribuiscano all’Ente competenze in ordine alla gestione della tassa automobilistica provinciale. Anzi l’art. 5 dello statuto conferma che l’ACI non è titolare di alcuna funzione pubblica in materia, perché prevede che l’ente si occupi della gestione della tassa automobilistica solo laddove la relativa attività gli venga affidata.

In definitiva, essendo l’ACI titolare per legge solo della funzione di tenuta del Pubblico Registro Automobilistico (di seguito denominato PRA), sono inconferenti le valutazioni di opportunità in base alle quali è stato adottato il provvedimento impugnato. In particolare nella motivazione del provvedimento impugnato si evidenzia «come l’archivio automobilistico sia stato costruito e gestito da ACI ... che ha sempre svolto il servizio di esazione delle tasse ... sugli autoveicoli»; tuttavia il fatto che l’ACI abbia per anni beneficiato di affidamenti senza gara non vale certo ad escludere la cogenza della menzionata normativa, di derivazione europea, in materia di accordi tra Amministrazioni. Parimenti inconferenti sono le considerazioni svolte in motivazione sull’avvalimento e sugli accordi di cui all’art. 15 della legge n. 241/1990 e all’art. 16-bis della legge provinciale n. 23/1992: trattasi infatti di istituti la cui disciplina deve essere coordinata con la menzionata disposizione dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016. Né rilevano le considerazioni sulla natura, sulla dotazione e sull’esperienza dell’ACI, qualificato in motivazione come «un Ente Pubblico non economico senza scopo di lucro», che «dispone della necessaria organizzazione amministrativa e strumentale nonché di un’esperienza pluridecennale di gestione del servizio e detiene le tecnologie idonee a garantirne la continuità secondo le esigenze degli Enti titolari del tributo»: si deve infatti considerare che anche altri operatori presenti sul mercato, ivi compresa la ricorrente, ben potrebbero svolgere i servizi di cui trattasi se solo fossero debitamente aperti alla concorrenza, anche perché la piattaforma di pagamento PagoPA è già utilizzata dalla Regione Veneto, che non si avvale dell’ACI. Né rilevano le considerazioni dell’Amministrazione tese ad evidenziare «come i rapporti di collaborazione con ACI, intercorsi nel corso degli anni ... siano sempre stati proficui ... viste le sopra citate conclusioni dello Studio di fattibilità, nella sua versione iniziale ed in quella aggiornata al dicembre 2015, favorevoli, sia in termini di convenienza economica che per ragioni di natura tecnica, alla prosecuzione dell’accordo con ACI»: non si comprende infatti come possa sostenersi la proficuità dell’affidamento diretto all’ACI senza aver mai fatto ricorso al mercato.

Inoltre la Provincia affida all’ACI la gestione della tassa automobilistica come se si trattasse di un comune appalto o di una concessione, sicché non sussiste neppure la seconda condizione, che postula una ripartizione di compiti e di responsabilità tra le parti dell’accordo. In altri termini le pattuizioni dell’accordo sono «a senso unico» perché, a fronte dei servizi svolti dall’ACI, è previsto il pagamento di ingenti corrispettivi da parte della Provincia. Dunque l’ACI si configura come un prestatore di servizi remunerato per le prestazioni che rende, in conformità allo schema dell’appalto pubblico di servizi.

A ciò si deve poi aggiungere che - come evidenziato in motivazione - l’accordo di cui trattasi «non si configura come scambio di prestazioni di servizi verso corrispettivo ... con esclusione di qualsiasi forma di erogazione di corrispettivo dall’una all’altra parte, salvo il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati». Dunque non sussiste neppure la terza condizione in quanto «il riconoscimento dei costi integrali dei servizi commissionati è già preclusivo dell’accordo senza gara», come confermato nel parere del Consiglio di Stato, Sez. II, 22 aprile 2015, n. 1178, ove è stata evidenziata la necessità che l’accordo di cooperazione non preveda alcuna remunerazione, ma al più dei versamenti «a copertura delle spese vive sostenute». Del resto, in base alla disposizione dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE (sentenza 9 giugno 2009 in C-480/06) e del Giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3849; id., 23 giugno 2014, n. 3130; id., 28 marzo 2017, n. 1418), qualora un’Amministrazione aggiudicatrice si ponga come un operatore economico che svolge la sua attività a fronte del pagamento di un corrispettivo - anche non implicante il riconoscimento di un utile economico, ma solo il rimborso dei costi - non è possibile parlare di cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di un interesse pubblico comune. Anzi, la forfettizzazione dei compensi spettanti all’ACI muove nella direzione opposta alla mera rifusione di determinate spese vive sostenute, fermo restando che l’accordo prevede non già il rimborso dei costi relativi ai servizi resi, bensì il pagamento di veri e propri corrispettivi, che risultano ampiamente remunerativi (come dimostra il fatto che l’ACI nei propri bilanci relativi agli anni 2016 e 2017 evidenzia consistenti utili derivanti dalle analoghe gestioni che esso svolge) e addirittura superiori ai prezzi di mercato (come emerge dal confronto tra i corrispettivi previsti nell’accordo di cui trattasi e quelli relativi ai servizi che la ricorrente svolge per conto della Regione Veneto o quelli che la ricorrente medesima ha proposto nella gara bandita dalla Regione Marche). In definitiva, anche grazie al sistema dei pagamenti forfettari, in base all’accordo sono riconosciuti all’ACI corrispettivi che - invece di garantire soltanto il rimborso delle spese vive - superano non solo la soglia della rifusione integrale dei costi di produzione del servizio, ma anche quella della remuneratività, assicurano all’ACI ampi margini di utile e risultano comunque «fuori mercato», in quanto di gran lunga superiori al prezzo offerto in gara dalla ricorrente alla Regione Marche e ai corrispettivi che la Regione Veneto ha versato alla ricorrente medesima nell’anno 2017.

Infine, nel caso in esame il ricorso all’accordo di cooperazione interferisce con il perseguimento dei principali obiettivi sottesi alla normativa europea e nazionale in tema di contratti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e la concorrenza, sia perché l’accordo favorisce un operatore del settore - qual è l’ACI - che tuttora assorbe ben oltre il 20% del mercato servizi afferenti alla gestione delle tasse automobilistiche, a danno degli altri operatori del settore, sia perché l’art. 18, comma 2, dello schema di accordo prevede che l’ACI possa avvalersi di strutture di consulenza o di servizio; dunque non sussiste neppure la quarta condizione sopra indicata.

II) In via subordinata: Violazione o falsa applicazione degli articoli 52 e 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed erroneità del presupposto.

Ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997, qualora l’Amministrazione affidi a terzi l’accertamento o la riscossione dei tributi, l’affidatario deve essere un soggetto iscritto all’apposito albo di cui al successivo art. 53, salvo il caso di particolari società pubbliche. Pertanto, lo svolgimento delle attività previste dall’accordo di cui trattasi, essendo riservato ai soggetti iscritti al predetto albo, non può essere affidate ad un soggetto come l’ACI, che all’albo non è iscritto.

Del resto l’ACI è stato classificato come ente pubblico in ragione della tenuta del PRA, ma al di fuori dell’esercizio di tale funzione pubblica opera alla stregua di qualunque altro operatore economico, sicché non può considerarsi abilitato ad effettuare attività di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali sol perché incaricato della gestione del PRA. Né può ritenersi, come già evidenziato nel primo motivo, che all’ACI siano per legge attribuite funzioni pubbliche in tema di tassa automobilistica.

3. La società ricorrente con memoria depositata in data 18 febbraio 2019 ha insistito per l’accoglimento del ricorso invocando due precedenti giurisprudenziali (T.A.R. Campania. Napoli, Sez. I, 1° febbraio 2019, n. 548, e T.R.G.A. Trentino Alto-Adige, Trento, 19 gennaio 2018, n. 14, confermata da Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 417).

4. La Provincia di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 18 febbraio 2019 ha replicato al primo motivo osservando innanzi tutto che la presente fattispecie differisce da quelle oggetto delle quattro più recenti pronunce della Corte di Giustizia richiamate da controparte, nelle quali un’amministrazione aggiudicatrice richiedeva ad altra amministrazione aggiudicatrice non già la prestazione del servizio alla cui fornitura la stessa era preposta (l’istruzione e la ricerca universitarie nei giudizi C-159/11, C-564/11 e C-352/12 e i servizi per le comunità locali nel giudizio C-386/11), bensì un servizio la cui prestazione era meramente consentita, in quanto strumentale all’acquisizione di risorse finanziarie per l’Amministrazione e quale occasione di lucro per i dipendenti della stessa. Invece nel caso in esame la sussistenza del requisito della comunanza, tra le parti dell’accordo, del fine pubblico perseguito è dimostrata dal fatto che - come risulta dagli articoli 23 e 30 del R.D.L. n. 436/1927 (tuttora vigente ai sensi del decreto legislativo n. 179/2009), dall’art. 4 del D.P.R. n. 39/1953, dall’art. 25, comma 2, del decreto legislativo n. 504/1992 e dall’art. 2, comma 1, del D.M. n. 418/1998 - il legislatore nazionale ha individuato nell’ACI, in ragione del proprio compito istituzionale inerente alla tenuta del PRA, il soggetto pubblico del quale le Regioni e le Province autonome, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, possono avvalersi per la gestione dell’archivio regionale e per la riscossione della tassa automobilistica, in alternativa all’esternalizzazione del servizio con contestuale utilizzo dello strumento operativo offerto dall’Agenzia delle Entrate e dalla SOGEI o creazione di un sistema di gestione dell’archivio proprio delle Regioni medesime. Difatti non è possibile gestire la tassa automobilistica senza accedere al PRA e, quindi, la competenza in materia di gestione del PRA rende «unica» la capacità dell’ACI di gestire la tassa automobilistica, come è confermato sia dal fatto che l’Agenzia per l’Italia Digitale (di seguito denominata AGID) ha affidato proprio all’ACI la realizzazione del progetto PagoBollo, così valorizzando la sinergia tra le competenze in materia di tenuta del PRA e quelle in materia di tasse automobilistiche, sia da una recente pronuncia (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 19 settembre 2018, n. 5538), con cui è stato respinto il ricorso proposto dalla società GE.FI.L. per l’annullamento della delibera con la quale è stato disposto l’affidamento all’ACI, da parte della Regione Campania, dei servizi di gestione e riscossione della tassa automobilistica per il triennio 2018-2020. Dunque erra la ricorrente quando afferma che nessuna norma attribuisce all’ACI competenze in materia di tassa automobilistica, sicché difetterebbe il requisito della comunanza del fine perseguito e quello del riparto di compiti e responsabilità tra le parti: infatti il considerando n. 33 della direttiva 2014/24/Ue chiarisce che “I servizi forniti dalle diverse amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici; potrebbero anche essere complementari”, e quindi il fatto che la Provincia e l’ACI abbiano competenze diverse non impedisce di considerare sussistente la comunanza del fine perseguito con l’accordo.

Parimenti infondato è, secondo la Provincia, l’ulteriore assunto secondo il quale mancherebbe la condizione dell’assenza di remunerazione delle prestazioni oggetto dell’accordo. Né l’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, né l’art. 12, comma 4, della direttiva 2014/24/UE richiedono che il compenso previsto nell’accordo sia quantificato nei limiti delle spese vive sostenute dall’Amministrazione in esecuzione dell’accordo medesimo. Inoltre, secondo la giurisprudenza richiamata da controparte la non onerosità dell’accordo non costituisce una delle condizioni che consentono di derogare alla direttiva europea in materia di appalti pubblici, bensì una circostanza che esclude radicalmente l’esistenza di un contratto di appalto e, quindi, l’applicazione della direttiva stessa. In altri termini, nell’iter argomentativo della Corte di Giustizia la previsione di una remunerazione - limitata o meno al mero rimborso spese vive - è oggetto di valutazione ai fini della riconducibilità della fattispecie alla nozione di appalto, cui segue l’ulteriore valutazione relativa all’applicabilità dell’istituto della cooperazione orizzontale, sì da sottrarre l’accordo all’applicazione della normativa europea in materia di appalti pubblici. Del resto la compatibilità della previsione di un rimborso forfettario con l’istituto dell’accordo di cooperazione è stata riconosciuta dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.). Piuttosto, la previsione di una remunerazione deve essere oggetto di valutazione per accertare la sussistenza del requisito della finalizzazione esclusiva della cooperazione orizzontale al perseguimento dell’interesse pubblico, come richiesto dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, e sotto questo profilo è lo stesso legislatore statale che - come già evidenziato - indica alle Regioni e alle Province autonome l’ACI quale soggetto pubblico del quale è possibile avvalersi per la gestione della tassa automobilistica.

Né osta, sempre secondo la Provincia, al ricorso alla cooperazione orizzontale l’eventuale affidamento di attività esecutive a strutture di consulenza esterne, come previsto dall’art. 18 dell’accordo, perché l’ACI è un ente pubblico tenuto ad applicare il decreto legislativo n. 50/2016. Né tantomeno può ritenersi che l’accordo in questione interferisca con il perseguimento degli obiettivi sottesi alla normativa europea e nazionale in tema di contratti pubblici in quanto la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.), con riferimento ad una fattispecie analoga a quella in esame, ha escluso «che, per le attività interessate dalla cooperazione, non solo la Regione, ma anche l’ACI svolgano alcuna attività sul mercato aperto, tanto da determinare turbative del mercato sulla libera prestazione dei servizi o sulla concorrenza».

Infine, secondo la Provincia, nella denegata ipotesi in cui fossero ritenute insussistenti le condizioni previste dall’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, l’accordo di cui trattasi sarebbe comunque riconducibile al paradigma normativo di cui all’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 10/1998, che richiama il D.P.R. n. 39/1953, ove si prevede espressamente, all’art. 4, l’affidamento all’ACI della riscossione della tassa automobilistica alle condizioni stabilite in apposita convenzione.

Quanto al secondo motivo - premesso che ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 39/195, l’ACI è l’ente pubblico designato dal legislatore nazionale per la riscossione della tassa automobilistica e che l’art. 2 del D.M. n. 418/1998 detta una disciplina specifica alla luce della quale l’abilitazione alla riscossione consegue ex lege - la già richiamata giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.) ha chiarito che l’iscrizione all’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 446/1997, «riguarda “i soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni”, per cui è evidente che l’ACI, ente pubblico non economico, non è soggetto, per lo svolgimento della sua attività istituzionale, comprendente a termini di Statuto la gestione dei servizi in materia di tasse automobilistiche affidati all’A.C.I. dalle Regioni e dalle Province Autonome, non è soggetto all’iscrizione nell’Albo in questione». Inoltre, la tassa automobilistica per le Province autonome di Trento e Bolzano è un tributo proprio (Corte Costituzionale, sentenze n. 142/2012 e n. 118/2017), mentre l’art. 53 del decreto legislativo n. 446/1997 disciplina l’accertamento e la riscossione delle entrate degli enti locali. Pertanto - posto che nei confronti della Provincia di Trento non trovano applicazione le norme statali che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento degli enti locali delle Regioni a statuto ordinario, ma solo le norme statali che specificamente indichino l’applicabilità delle stesse alle Province autonome di Trento e Bolzano, che la stessa Corte Costituzionale (Corte costituzionale, sentenza n. 154/2017) colloca tra gli «enti di livello regionale, ad autonomia differenziata e a statuto ordinario» - la tassa automobilistica provinciale non può essere ricondotta tra i tributi degli enti locali ai quali si applica la disciplina della riscossione posta dal decreto legislativo n. 446/1997.

5. Anche l’ACI si è costituito in giudizio e con memoria depositata in data 18 febbraio 2019 ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto un duplice profilo. Innanzi tutto l’impugnata determinazione dirigenziale, limitandosi ad approvare uno schema di accordo di cooperazione, si configura come un mero atto endoprocedimentale, prodromico alla sottoscrizione dell’accordo dal quale deriverebbe la lesione lamentata dalla ricorrente. Inoltre, la stipula dell’accordo è prevista sia dall’art. 39-bis, comma 3-ter, della legge provinciale n. 23/1990, a norma del quale la Provincia può affidare l’attività di gestione di entrate patrimoniali e tributi provinciali ad enti pubblici sulla base di un’apposita convenzione, sia dall’art. 16-bis, comma 2-bis, della legge provinciale n. 23/1992, a norma del quale le amministrazioni possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune; dunque il presente ricorso mira a stimolare il sindacato giurisdizionale su tali disposizioni provinciali, in relazione alle quali non è stata però sollevata alcuna questione di legittimità costituzionale o di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea.

Nel merito l’ACI ha replicato che sussistono tutte le condizioni previste dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 perché la forma di cooperazione prevista dall’accordo trova il suo fondamento normativo nell’art. 39-bis, comma 3-ter, della legge provinciale n. 23/1990, che prevede espressamente la possibilità di optare per la gestione del servizio mediante avvalimento, e deve escludersi (e comunque la ricorrente non lo ha provato) che le parti dell’accordo svolgano attività sul mercato aperto tali da determinare turbative alla libera prestazione dei servizi o alla concorrenza. Né giova alla ricorrente affermare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo, l’accordo deve intervenire tra due Amministrazioni che svolgano lo stesso servizio pubblico o le stesse funzioni, requisito che difetterebbe nel caso in esame. Difatti la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3849; id. 23 giugno 2014, n. 3130) ha precisato che «il requisito dell’interesse pubblico “comune” non può essere inteso in termini di identità ontologica, incentrato cioè sul settore materiale di intervento delle amministrazioni stipulanti. ... Pertanto ... il predicato in questione può essere soddisfatto allorché vi sia una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione». Vi è, quindi, da chiedersi se esista un’attività di cooperazione con i soggetti pubblici titolari del tributo di cui trattasi più pertinente di quella svolta dall’ACI, che consiste nella gestione dell’archivio regionale delle tasse automobilistiche, ovvero nella formazione dei ruoli relativi alle predette tasse di pertinenza, anche in funzione delle successive fasi di liquidazione, versamento e riscossione da parte dei soggetti a ciò autorizzati.

Riguardo a quella che la ricorrente definisce come la terza condizione, i rilievi di controparte prim’ancora che infondati, sono inammissibili perché - come affermato in un caso analogo dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.) - la ricorrente non è titolare di una posizione di interesse legittimo che le consenta di sindacare il contenuto dell’accordo. Infatti, avendo la Provincia legittimamente optato per l’avvalimento, in luogo dell’indizione di una gara, un soggetto terzo - qual è la ricorrente - è del tutto estraneo al contenuto dell’accordo. In ogni caso la censura è priva di fondamento, sia perché la ricorrente non ha provato che il compenso previsto dall’accordo eccede il ristoro delle spese vive, sia perché le attività oggetto dell’accordo non sono confrontabili con quelle che le Regioni Marche e Veneto hanno stabilito di affidare a un terzo, che riguardano solo una parte del processo di gestione della riscossione del tributo.

Al secondo motivo anche l’ACI ha replicato che esso, quale ente pubblico non economico, non è soggetto all’iscrizione dell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 446/1997 per lo svolgimento della sua attività istituzionale.

6. La società ricorrente con memoria depositata in data 8 aprile 2019 ha replicato alla tesi delle controparti secondo la quale la circostanza che il PRA sia gestito dall’ACI e la circostanza che l’ACI abbia collaborato con l’AGID per la realizzazione del progetto PagoBollo farebbero di tale ente l’unico soggetto che, di fatto, può svolgere le attività spettanti alle Regioni in materia di riscossione della tassa automobilistica. Tale tesi sarebbe sconfessata dal fatto che altre Regioni, come le Marche ed il Veneto, abbiano posto in gara tali attività, fermo restando che il sistema PagoPA è gratuitamente posto a disposizione di tutte le Amministrazioni e di tutti i soggetti interessati. Dunque la questione oggetto del presente giudizio consiste semplicemente nell’accertare se sussistano o meno tutte le condizioni previste dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, e tali condizioni non sussistono per le ragioni indicate nel ricorso.

7. La Provincia di Trento con memoria depositata in data 8 aprile 2019 ha insistito per il rigetto del ricorso ribadendo, in particolare, che il legislatore nazionale ha individuato nell’ACI il soggetto pubblico del quale le Regioni e le Province autonome possono avvalersi, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, per la gestione dell’archivio regionale e per la riscossione della tassa automobilistica. Anche l’ACI con memoria depositata in data 8 aprile 2019, oltre a riproporre le suddette eccezioni processuali, ha insistito per il rigetto del ricorso.

8. La società ricorrente con memoria depositata in data 17 aprile 2019 ha replicato, tra l’altro, che la normativa europea impone al giudice di disapplicare le norme nazionali con essa contrastanti - ivi comprese quelle invocate dalle controparti, se intese nel senso di autorizzare la conclusione di accordi di cooperazione in assenza dei presupposti indicati dal legislatore europeo - e che la recente pronuncia del Giudice amministrativo su cui si basano le difese delle controparti (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.), peraltro smentita dallo stesso Giudice pochi mesi dopo (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 548/2019), non potendo dichiarare in linea con la legge il corrispettivo fuori mercato riconosciuto all’ACI dalla Regione Campania, ha evitato di entrare nel merito della questione dichiarando irrilevante il profilo economico dell’accordo, ma così ragionando ha travisato quanto afferma la giurisprudenza europea (Corte di Giustizia UE, 9 giugno 2009, in C¬480/06, par. n. 43) e nazionale (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 giugno 2014, n. 3130).

9. La Provincia di Trento con memoria depositata in data 17 aprile 2019 ha replicato, in particolare, che non sono pertinenti né la sentenza di questo Tribunale n. 14/2018, perché riguarda una convenzione stipulata da un Comune con associazioni di diritto privato, né la sentenza del T.A.R. Campania n. 548/2019, perché concerne la diversa fattispecie dell’affidamento di incarichi professionali ad un’Università, e che controparte tenta di affermare la sussistenza di un presupposto ulteriore per il ricorso alla cooperazione orizzontale - quello della limitazione del compenso pattuito alle sole spese vive sostenute - che invece non si rinviene né nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, né nell’art. 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE, né nell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016.

10. Alla pubblica udienza del 6 giugno 2019 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Come riconosciuto nel considerando n. 31 della direttiva 24/2014/UE, persiste “una notevole incertezza giuridica circa la misura in cui i contratti conclusi tra enti nel settore pubblico debbano essere disciplinati dalle norme relative agli appalti pubblici”.

L’esame delle complesse questioni sottoposte all’esame del Collegio - relative all’applicabilità dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 all’accordo di cooperazione tra la Provincia di Trento e l’ACI in materia di gestione della tassa automobilistica provinciale per il triennio 2019-2021 - richiede, quindi, una preliminare disamina della disciplina nazionale e provinciale in materia di accordi di cooperazione fra amministrazioni (c.d. partenariato pubblico-pubblico), della disciplina relativa a tali accordi posta dalla direttiva 24/2014/UE e dalla relativa normativa nazionale di recepimento, nonché della disciplina nazionale e provinciale in materia di attività di accertamento e riscossione della tassa automobilistica.

2. In conformità alla generale previsione dell’art. 15 della legge n. 241/1990, in materia di “accordi fra pubbliche amministrazioni”, l’art. 16-bis della legge provinciale n. 23/1992, nel disciplinare le “forme di collaborazione fra istituzioni”, dispone, in termini parimenti generali, che nella Provincia di Trento “le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.

Una species di tali forme di collaborazione è quella prevista dalla l’art. 39-bis della legge provinciale n. 23/1990, secondo il quale “Per assicurare l’economicità e la razionalizzazione delle attività di gestione delle entrate patrimoniali e dei tributi provinciali la Provincia può affidare queste attività a soggetti individuati sulla base di procedure di evidenza pubblica o ad enti pubblici, sulla base di una convenzione”. Tale disposizione assume particolare rilievo in questa sede in quanto, come si legge nell’incipit dell’impugnata determinazione n. 188 del 20 dicembre 2018, «Sin dal 1999, anno di istituzione della tassa automobilistica provinciale, la gestione del servizio di riscossione e controllo della medesima è sempre stata affidata all’Automobile Club d’Italia (di seguito ACI), dapprima mediante affidamento diretto e poi mediante convenzione ai sensi dell’articolo 39-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23».

3. Passando alla disciplina posta dalla direttiva 24/2014/UE, rileva innanzi tutto il considerando n. 5, secondo il quale «nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva. La prestazione di servizi sulla base di disposizioni legislative, regolamentari o contratti di lavoro dovrebbe esulare dall’ambito di applicazione della presente direttiva. In alcuni Stati membri ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, per taluni servizi amministrativi pubblici quali i servizi esecutivi e legislativi o la fornitura di determinati servizi alla comunità, come i servizi connessi agli affari esteri o alla giustizia o i servizi di sicurezza sociale obbligatoria».

Peraltro, come già accennato, nel considerando n. 31 viene posto in rilievo che persiste «una notevole incertezza giuridica circa la misura in cui i contratti conclusi tra enti nel settore pubblico debbano essere disciplinati dalle norme relative agli appalti pubblici. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a tale riguardo viene interpretata in modo divergente dai diversi Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni aggiudicatrici. È pertanto necessario precisare in quali casi i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici. Tale chiarimento dovrebbe essere guidato dai principi di cui alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l’applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia, l’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche. Si dovrebbe garantire che una qualsiasi cooperazione pubblico-pubblico esentata non dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati nella misura in cui pone un fornitore privato di servizi in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti».

Ulteriori importanti precisazioni sono contenute nel considerando n. 33, secondo il quale le amministrazioni aggiudicatrici «dovrebbero poter decidere di fornire congiuntamente i rispettivi servizi pubblici mediante cooperazione senza essere obbligate ad avvalersi di alcuna forma giuridica in particolare. Tale cooperazione potrebbe riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affidati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti, quali i compiti obbligatori o facoltativi di enti pubblici territoriali o i servizi affidati a organismi specifici dal diritto pubblico. I servizi forniti dalle diverse amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici; potrebbero anche essere complementari. I contratti per la fornitura congiunta di servizi pubblici non dovrebbero essere soggetti all’applicazione delle norme stabilite nella presente direttiva, a condizione che siano conclusi esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici, che l’attuazione di tale cooperazione sia dettata solo da considerazioni legate al pubblico interesse e che nessun fornitore privato di servizi goda di una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Al fine di rispettare tali condizioni, la cooperazione dovrebbe fondarsi su un concetto cooperativistico. Tale cooperazione non comporta che tutte le amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all’esecuzione del servizio pubblico in questione. Inoltre, l’attuazione della cooperazione, inclusi gli eventuali trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, dovrebbe essere retta solo da considerazioni legate al pubblico interesse».

Per le ragioni dinanzi espresse la direttiva 24/2014/UE, nel definire il proprio ambito di applicazione - dopo aver precisato, all’art. 1, comma 2, che “si parla di appalto quando una o più amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono, mediante appalto pubblico, lavori, forniture o servizi da operatori economici scelti dalle amministrazioni aggiudicatrici stesse, indipendentemente dal fatto che i lavori, le forniture o i servizi siano considerati per una finalità pubblica o meno” e, all’art. 2, comma 1, che gli appalti pubblici sono “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi” - dispone, all’art. 1, comma 6, che “gli accordi, le decisioni o altri strumenti giuridici che disciplinano i trasferimenti di competenze e responsabilità per la realizzazione di compiti pubblici tra amministrazioni aggiudicatrici o associazioni di amministrazioni aggiudicatrici e non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale sono considerati questioni di organizzazione interna dello Stato membro interessato e, in quanto tali, esulano del tutto dalla presente direttiva”.

Invece, qualora accordi della specie prevedano una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale, trova applicazione la disciplina posta dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE - per l’appunto dedicata agli “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” (cfr. la rubrica dell’articolo) - che riguarda, da un lato, il fenomeno del c.d. in house providing (commi 1-3) e, dall’altro, il fenomeno del partenariato pubblico-pubblico (commi 4 e 5). In particolare, secondo l’art. 12, comma 4, “un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione”.

4. Come è ricordato nel considerando n. 31, la disposizione dell’art. 12, comma 4, è frutto dei “principi di cui alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea” in tema di applicabilità o meno delle direttive sugli appalti pubblici al caso in cui due o più Amministrazioni intendano stipulare un accordo di cooperazione. Tale giurisprudenza, sulla quale fanno leva tutte le parti del presente giudizio, può essere sintetizzata come segue.

Il primo e fondamentale arresto è costituito dalla sentenza 9 giugno 2009 in causa C-480/06 (Commissione c. Repubblica federale di Germania), resa con riferimento ad una fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto la sussistenza di un’autentica forma di cooperazione orizzontale, concernente l’organizzazione del trattamento dei rifiuti da parte di amministrazioni aggiudicatrici aventi la medesima competenza amministrativa. Di seguito si riportano i passaggi salienti della motivazione di tale pronuncia, essendo la stessa oggetto di contrastanti letture ad opera delle parti del presente giudizio, con particolare riferimento al tema del compenso pattuito in favore di una delle amministrazioni che sono parte dell’accordo di cooperazione.

«37. ... il contratto controverso istituisce una cooperazione tra enti locali finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi, ossia lo smaltimento di rifiuti. Va ricordato che tale funzione è connessa all’attuazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), che obbliga gli Stati membri ad elaborare piani di gestione dei rifiuti che contemplino, in particolare, “le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti”, e che, ai sensi della direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, che modifica l’art. 5, n. 2, della direttiva 75/442 (GU L 78, pag. 32), una delle più importanti di tali misure è la ricerca di un trattamento dei rifiuti in un impianto il più vicino possibile.

38. Inoltre, è pacifico che il contratto stipulato tra i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo e i Landkreise interessati deve essere inteso come conclusione di un’iniziativa di cooperazione intercomunale tra le parti contrattuali e che contiene requisiti idonei ad assicurare la funzione di smaltimento dei rifiuti. Infatti, esso ha lo scopo di consentire alla città di Amburgo di costruire e di fare gestire un impianto di trattamento di rifiuti alle condizioni economiche più favorevoli grazie agli apporti di rifiuti dei Landkreise limitrofi, il che permette di raggiungere una capacità di 320.000 tonnellate. Per tale motivo, la costruzione di tale impianto è stata decisa e realizzata soltanto dopo l’accordo dei quattro Landkreise interessati ad utilizzare la centrale e il corrispondente impegno da loro assunto a tale effetto.

39. L’oggetto di tale contratto, come espressamente indicato nelle sue prime pattuizioni, consiste principalmente nell’impegno dei servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo di mettere, ogni anno, a disposizione dei quattro Landkreise interessati una capacità di trattamento di 120.000 tonnellate di rifiuti ai fini della loro termovalorizzazione nell’impianto di Rugenberger Damm. Come precisato successivamente nel contratto, i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo non si assumono affatto la responsabilità della gestione di tale impianto e non offrono alcuna garanzia a tal riguardo. In caso di arresto o di cattivo funzionamento dell’impianto, i loro obblighi si limitano a offrire capacità sostitutive tale obbligo restando tuttavia condizionato sotto un duplice aspetto. Da una parte, lo smaltimento dei rifiuti della città di Amburgo deve essere assicurato prioritariamente e, dall’altra, devono essere disponibili capacità presso altri impianti ai quali i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo hanno accesso.

40. Come corrispettivo del trattamento dei loro rifiuti nell’impianto di Rugenberger Damm, quale descritto al punto precedente della presente sentenza, i quattro Landkreise interessati versano, ai servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo, un compenso annuo le cui modalità di calcolo e di pagamento sono determinate nel contratto. Le capacità di consegna e di presa in carico dei rifiuti sono stabilite, per ciascuna, settimana tra i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo ed un interlocutore designato da questi Landkreise. Dal contratto emerge inoltre che i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo, i quali dispongono nei confronti del gestore di detto impianto di un diritto al risarcimento dei danni, si impegnano, nell’ipotesi in cui detti Landkreise abbiano subito un danno, a difendere gli interessi di questi ultimi nei confronti del gestore, ove occorra anche mediante ricorso giurisdizionale.

41. Il contratto in esame prevede altresì taluni impegni degli enti locali contraenti in rapporto diretto con l’oggetto del pubblico servizio. Infatti, se la città di Amburgo si fa carico della maggior parte dei servizi che formano oggetto del contratto concluso tra essa e i quattro Landkreise interessati, questi ultimi mettono a disposizione dei servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo le capacità ricettive delle discariche che essi stessi non sfruttano al fine di ovviare alla mancanza di capacità ricettive delle discariche della città di Amburgo. Essi si impegnano altresì ad accettare, nelle loro discariche, quantitativi di scorie dell’incenerimento non recuperabili in proporzione ai quantitativi di rifiuti da essi consegnati.

42. Inoltre, ai termini del contratto, in caso di necessità, i contraenti devono prestarsi assistenza nell’ambito dell’adempimento del loro obbligo legale di smaltimento dei rifiuti. Nello specifico, è stato previsto che, in determinate circostanze, come il sovraccarico occasionale dell’impianto interessato, i quattro Landkreise interessati s’impegnino a ridurre i quantitativi di rifiuti consegnati ed accettino così di limitare il loro diritto di accesso all’impianto di incenerimento.

43. Infine, la fornitura di servizi di smaltimento dei rifiuti dà luogo al pagamento di un prezzo unicamente nei confronti del gestore dell’impianto. Dalle pattuizioni del contratto di cui trattasi emerge, per contro, che la cooperazione che quest’ultimo pone in essere tra i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo e i quattro Landkreise interessati, tra tali soggetti, non dà luogo a movimenti finanziari diversi da quelli corrispondenti al rimborso della parte di oneri a carico di detti Landkreise ma pagata al gestore dai suddetti servizi per la nettezza urbana.

44. Emerge quindi che il contratto controverso costituisce tanto il fondamento quanto il quadro giuridico per la costruzione e la gestione future di un impianto destinato all’espletamento di un servizio pubblico, ossia la termovalorizzazione dei rifiuti. Detto contratto è stato stipulato soltanto da autorità pubbliche senza la partecipazione di una parte privata e non prevede né pregiudica l’aggiudicazione degli appalti eventualmente necessari per la costruzione e la gestione dell’impianto di trattamento dei rifiuti.

45. Orbene, la Corte ha ricordato, in particolare, che un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e che può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche (v. sentenza Coditel Brabant, cit., punti 48 e 49).

46. La Commissione ha peraltro precisato all’udienza che qualora la cooperazione qui in esame si fossa tradotta nella creazione di un organismo di diritto pubblico che i vari enti interessati avrebbero incaricato di svolgere la funzione di interesse generale di smaltimento dei rifiuti, essa avrebbe ammesso che l’uso della centrale da parte dei Landkreise interessati esulava dalla normativa sugli appalti pubblici. Essa ritiene, tuttavia, che in mancanza di un siffatto organismo di cooperazione intercomunale, l’appalto di servizi concluso tra i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo e i Landkreise interessati avrebbe dovuto essere oggetto di una gara d’appalto.

47. Tuttavia, da una parte, va rilevato che il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico. Dall’altra, una cooperazione del genere tra autorità pubbliche non può rimettere in questione l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, poiché l’attuazione di tale cooperazione è retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico e poiché viene salvaguardato il principio della parità di trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicché nessun impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punti 50 e 51).

48. Va inoltre constatato che da nessuno degli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte emerge che, nella presente causa, gli enti in esame avrebbero proceduto ad una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme in materia di pubblici appalti».

A ben diverse conclusioni è pervenuta la Corte di giustizia nelle altre quattro pronunce richiamate dalla ricorrente, elencate nella parte in fatto. Le fattispecie oggetto di tali pronunce sono accomunate dalla circostanza che un’Amministrazione aggiudicatrice richiede ad un’altra Amministrazione aggiudicatrice non il servizio alla cui fornitura quest’ultima è preposta, bensì un servizio professionale la cui fornitura è meramente consentita, in quanto strumentale all’acquisizione di risorse finanziarie da parte della seconda Amministrazione e quale occasione di lucro per i dipendenti di quest’ultima.

In particolare nella sentenza 19 dicembre 2012, in causa C-159/11 (Azienda Sanitaria Locale di Lecce e altri c. Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e altri), la Corte - in linea con quanto affermato nella sentenza 9 giugno 2009 in causa C-480/06 - ha concluso che «il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui - ciò che spetta al giudice del rinvio verificare - tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti». Applicando tale principio di diritto la Corte - con riferimento al contratto stipulato in data 22 ottobre 2009, con il quale l’Azienda sanitaria locale di Lecce aveva affidato al Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento l’incarico di studio e valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce, verso un corrispettivo di 200.000 euro al netto di IVA - ha rilevato l’insussistenza di un’autentica forma di cooperazione orizzontale (come poi ha confermato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3849/2013), come emerge dai seguenti passaggi della motivazione.

«25. ... si deve rilevare che, in conformità all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra un operatore economico e un’amministrazione aggiudicatrice, ed avente per oggetto la prestazione di servizi di cui all’allegato II A di tale direttiva, costituisce un appalto pubblico.

26. Al riguardo, in primo luogo, è ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso un’amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 1999, Teckal, C-107/98, Racc. pag. I-8121, punto 51). È inoltre indifferente che l’ente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 30 e 45).

27. In tal senso, riguardo a soggetti quali le università pubbliche, la Corte ha dichiarato che a siffatti enti è in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Tuttavia, gli Stati membri possono disciplinare le attività di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non può essere loro vietato di partecipare a una gara d’appalto avente ad oggetto i servizi in questione (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 45, 48, 49 e 51). Orbene, nel caso di specie, il giudice del rinvio ha indicato che l’articolo 66, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dell’11 luglio 1980 autorizza espressamente le università pubbliche a fornire prestazioni di ricerca e consulenza a enti pubblici o privati, purché tale attività non comprometta la loro funzione didattica.

28. In secondo luogo, attività quali quelle costituenti l’oggetto del contratto in esame nel giudizio principale, pur potendo rientrare - come menzionato dal giudice del rinvio - nel campo della ricerca scientifica, ricadono, secondo la loro natura effettiva, nell’ambito dei servizi di ricerca e sviluppo di cui all’allegato II A, categoria 8, della direttiva 2004/18, oppure nell’ambito dei servizi d’ingegneria e dei servizi affini di consulenza scientifica e tecnica indicati nella categoria 12 di tale allegato.

29. In terzo luogo, come chiarito dall’avvocato generale ai paragrafi 32-34 delle sue conclusioni, e come risulta dal senso normalmente e abitualmente attribuito all’espressione «a titolo oneroso», un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto.

30. Salve le verifiche di competenza del giudice del rinvio, risulta che il contratto controverso nel procedimento principale presenta tutte le caratteristiche enunciate ai punti 26-29 della presente sentenza.

31. Emerge tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che due tipi di appalti conclusi da enti pubblici non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici.

32. Si tratta, in primo luogo, dei contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto in questione realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che lo controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto 50).

33. È comunque assodato che tale eccezione non è applicabile in un contesto come quello di cui al procedimento principale, dal momento che dalla decisione di rinvio risulta che l’ASL non esercita alcun controllo sull’Università.

34. In secondo luogo, si tratta dei contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2009, Commissione/Germania, C-480/06, Racc. pag. I-4747, punto 37).

35. In tale ipotesi, le norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici non sono applicabili, a condizione che - inoltre - tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico (v., in tal senso, sentenza Commissione/Germania, cit., punti 44 e 47).

36. Se è pur vero che, come rilevato dal giudice del rinvio, un contratto come quello controverso nel procedimento principale sembra soddisfare taluni dei criteri menzionati nei due precedenti punti della presente sentenza, un contratto siffatto può tuttavia esulare dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici soltanto qualora soddisfi tutti i suddetti criteri.

37. Al riguardo, dalle indicazioni contenute nella decisione di rinvio sembra risultare, in primo luogo, che tale contratto presenti un insieme di aspetti materiali corrispondenti in misura estesa, se non preponderante, ad attività che vengono generalmente svolte da ingegneri o architetti e che, se pur basate su un fondamento scientifico, non assomigliano ad attività di ricerca scientifica. Di conseguenza, contrariamente a quanto la Corte ha potuto constatare al punto 37 della citata sentenza Commissione/Germania, la funzione di servizio pubblico costituente l’oggetto della cooperazione tra enti pubblici istituita da detto contratto non sembra garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune all’ASL e all’Università.

38. In secondo luogo, il contratto controverso nel procedimento principale potrebbe condurre a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in base a detto contratto, l’Università è autorizzata a ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni, fossero inclusi dei prestatori privati».

5. L’art. 12, comma 4, della direttiva 24/2014/UE è stato pedissequamente recepito dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo il quale gli accordi conclusi “esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici” sono sottratti all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti pubblici “quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione”.

Non è quindi configurabile alcun contrasto tra la disciplina europea del partenariato pubblico-pubblico e la relativa normativa nazionale di recepimento.

6. Passando alla disciplina in materia di attività di accertamento e riscossione della tassa automobilistica, giova rammentare che trattasi di un tributo disciplinato dal D.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39 (recante il “Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche”) e dagli articoli da 23 a 27 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (recante il “Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”).

L’art. 23 del decreto legislativo n. 504/1992 con decorrenza 1° gennaio 1993 ha devoluto alle Regioni a statuto ordinario la tassa automobilistica regionale e, quanto all’attività di riscossione del tributo, l’art. 25 del medesimo decreto legislativo richiama espressamente (al comma 1) l’applicazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 39/1953 - che attribuisce al Ministero delle finanze la facoltà di affidare all’ACI la riscossione della tassa automobilistica “per il tempo ed alle condizioni di cui ad apposita convenzione da approvare con proprio decreto” - e assegna all’ACI (al comma 2) il compito di svolgere, per conto delle Regioni a statuto ordinario, le attività di riscossione, riscontro, controllo e gli ulteriori adempimenti già ad essa affidati con la convenzione del 26 novembre 1986.

La legge 27 dicembre 1997, n. 449, con l’art. 17, comma 10, ha previsto che a decorrere dal 1° gennaio 1999 “la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi, l’applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo alle tasse automobilistiche non erariali sono demandati alle regioni a statuto ordinario ...”. Il decreto del Ministero delle finanze 25 novembre 1998, n. 418 (“Regolamento recante norme per il trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia di riscossione, accertamento, recupero, rimborsi e contenzioso relative alle tasse automobilistiche non erariali”), all’art. 2, comma 1, ha riconosciuto l’autonomia organizzativa delle Regioni, prevedendo che “Il controllo e la riscossione delle tasse automobilistiche sono effettuati direttamente dalle regioni, anche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento, o tramite concessionari individuati dalle stesse secondo le modalità e le procedure di evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria e nazionale in tema di appalti e di servizi”.

7. Con particolare riferimento alla Provincia di Trento, l’art. 4, comma 1, della legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10, ha istituito, a decorrere dal 1°gennaio 1999, la tassa automobilistica provinciale, prevedendo al comma 2 che “In attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale il presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi, le modalità di applicazione del tributo, fatta eccezione per quanto disposto al comma 3, rimangono assoggettati alla disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 39 del 1953, nonché alle altre disposizioni previste per la tassa automobilistica erariale e regionale vigenti nel restante territorio nazionale. ...”.

8. Quanto all’ACI, trattasi di un ente pubblico non economico senza scopo di lucro che non ha, per legge, competenze proprie, ma solo competenze delegate in materia di gestione della tassa automobilistica. Infatti in base all’art. 5 dello Statuto (originariamente approvato con il D.P.R. n. 881/1950, da ultimo modificato con il D.M. 27 novembre 2012), l’ente “gestisce con la propria organizzazione e con separata evidenza nel proprio bilancio: a) il Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) istituito presso l’A.C.I. con decreto 15 marzo 1927 n. 436, convertito in legge 19 febbraio 1928, n. 510; b) i servizi in materia di tasse automobilistiche affidati all’A.C.I. dalle Regioni e dalle Province Autonome; c) tutti gli altri servizi che potranno essere delegati o affidati all’A.C.I. dallo Stato, dalle Regioni o da altri Enti Pubblici”.

9. In via preliminare - poste tali premesse e considerato, in particolare, che il D.M. n. 418/1998 ha riconosciuto agli enti interessati la possibilità di provvedere direttamente alla gestione della tassa automobilistica (anche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento) ovvero tramite concessionari individuati con procedure di evidenza pubblica - non vi è dubbio sulla legittimazione e sull’interesse ad agire della ricorrente.

Come evidenziato dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.) il ricorso alla cooperazione orizzontale costituisce una (non l’unica) modalità astrattamente possibile per la gestione del servizio di cui trattasi; dunque non si può negare l’interesse e la legittimazione della ricorrente (che svolge altrove servizi analoghi) a contestare la scelta della Provincia di Trento di stipulare un accordo di cooperazione con l’ACI, in luogo di procedere all’indizione di una procedura ad evidenza pubblica per selezionare il gestore del servizio tra gli operatori economici del settore.

10. Sempre in via preliminare, prive di fondamento risultano entrambe le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dall’ACI.

Innanzi tutto - come ben osservato dalla giurisprudenza in un caso analogo (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.) - l’impugnata determinazione dirigenziale non si configura come un atto endoprocedimentale, ma costituisce piuttosto un provvedimento finale, immediatamente lesivo della sfera giuridica della parte ricorrente, perché reca l’autorizzazione a stipulare l’accordo di cooperazione con l’ACI.

Inoltre - a differenza di quanto affermato dall’ACI - la ricorrente contesta non la legittimità costituzionale o la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea delle norme in base alle quali è stata adottata l’impugnata determinazione, bensì la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 ai fini della deroga alla regola generale dell’evidenza pubblica.

11. Passando al merito, il Collegio osserva innanzi tutto che le contestazioni sollevate con il primo motivo si fondano sugli orientamenti espressi dall’ANAC nel parere AG14/2017/AP (delibera n. 567 del 31 maggio 2017) e nel parere AG 7/2018/AP (delibera n. 619 del 4 luglio 2018). Giova allora prendere le mosse da tali orientamenti, come espressi nello stralcio del parere AG 7/2018/AP di seguito riportato.

«Come osservato dall’Autorità (parere AG14/2017/AP) la norma sopra richiamata [ossia l’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016], dettata in recepimento dell’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 24/2014/UE, indica in maniera tassativa i limiti entro i quali detti accordi possono essere conclusi, affinché possa ritenersi legittima l’esenzione dal Codice; la norma disciplina comunque un istituto già previsto in linea generale dall’art. 15 della l. n. 241/1990, ... .

In relazione all’istituto in esame l’Autorità ha espresso avviso in diverse pronunce (in particolare det. n. 7/2010), osservando che il citato art. 15 prefigura un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione, in maniera gratuita e nell’obiettivo comune di fornire servizi indistintamente a favore della collettività. L’Autorità ha quindi precisato i limiti del ricorso a tali accordi tra PA, chiarendo che: i. l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti; ii. alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità; ii. i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno; iii. il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri.

In coerenza con l’avviso giurisprudenziale in materia (Corte di Giustizia UE, ord. 16 maggio 2013, causa C-564/11; sent. 19 dicembre 2012, causa C-159/11; Consiglio di Stato, sent. n. 3130 del 23/06/2014 e n. 3849 del 15 luglio 2013), l’Autorità ha ulteriormente osservato sull’argomento (pareri sulla normativa AG/07/15/AP, AG 34/16/AP e Del. n. 216/2016, riferiti all’assetto normativo recato dal d.lgs. 163/2006), che le direttive sugli appalti devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi, i quali consistono nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debba affidare attività economicamente contendibili. Conseguentemente, gli accordi tra PA sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva appalti 2004/18/CE; il contenuto e la funzione elettiva di tali accordi è quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti. Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico, prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Negli accordi tra amministrazioni pubbliche, pertanto, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione. Tale convergenza difetta nel caso in cui il contratto sia inquadrabile nel paradigma generale previsto dall’art. 1321 cod. civ., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni demandate all’ente di servizi che - pur rientranti in astratto nella sua istituzionale funzione - sono annoverabili tra le attività di cui all’allegato II-A alla direttiva 2004/18 e sono destinate ad essere fatte proprie dall’Amministrazione affidante, in quanto strumentali rispetto ai suoi compiti, con acquisizione di una utilitas in via diretta delle stesse.

Sulla base delle considerazioni che precedono è stato, quindi, osservato che una convenzione tra PA, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 15, l. 241/1990 ove regoli la realizzazione di interessi pubblici effettivamente comuni alle parti, con una reale divisione di compiti e responsabilità, in assenza di remunerazione (ad eccezione del ristoro delle spese sostenute) e senza interferire con gli interessi salvaguardati dalla normativa sugli appalti pubblici».

12. Tali orientamenti, a giudizio del Collegio, non possono essere integralmente condivisi perché conducono, sulla scorta di una non corretta lettura del quadro normativo innanzi delineato e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, a restringere eccessivamente, e senza ragione, l’ambito applicativo della deroga prevista dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016.

13. Innanzi tutto non può farsi a meno di rilevare che tale articolo non recepisce l’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 24/2014/UE (ove sono disciplinati gli accordi di cooperazione tra pubbliche amministrazioni “che non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale”, precisando che tali accordi “sono considerati questioni di organizzazione interna dello Stato membro interessato e, in quanto tali, esulano del tutto dalla presente direttiva”), bensì l’art. 12, comma 4, che stabilisce a quali condizioni non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva stessa gli accordi di cooperazione che invece prevedano una remunerazione in cambio di una prestazione (non a caso definiti anch’essi, nella rubrica dell’art. 5 del decreto legislativo n. 50/2016, “appalti”).

Richiedono poi alcune precisazioni le ulteriori affermazioni dell’ANAC, secondo la quale per l’applicazione della deroga prevista dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 «i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno» e, quindi, «qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico, prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi». Tali affermazioni si prestano ad essere interpretate (ed in effetti così sono state intese dalla ricorrente) nel senso che la deroga alla regola dell’evidenza pubblica non trova applicazione se l’accordo di cooperazione prevede l’integrale rimborso dei costi sostenuti da una delle parti dell’accordo stesso.

Tuttavia - come ha ben osservato la Provincia nelle proprie difese - tale limitazione del compenso pattuito con l’accordo di cooperazione non si rinviene né nell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, né nell’art. 12, comma 4, della direttiva 24/2014/UE. Anzi, come si è già osservato, una lettura congiunta dell’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 24/2014/UE con l’art. 12, comma 4, della medesima direttiva induce a ritenere che quest’ultima disposizione si applichi proprio agli accordi di cooperazione che “prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale” e che per tale ragione, in assenza delle condizioni previste dal predetto art. 12, comma 4, rientrerebbero nella nozione di appalto pubblico contenuta nell’art. 2, comma 1, n. 5), della direttiva.

Ciò non significa certo che l’entità del compenso pattuito non assuma alcun rilievo ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016, ma piuttosto che - come ha osservato in memoria la Provincia - la previsione di compenso deve essere oggetto di valutazione per accertare la sussistenza del requisito della finalizzazione esclusiva della cooperazione orizzontale al perseguimento dell’interesse pubblico, ossia per accertare la sussistenza della condizione di cui all’art. 5, comma 6, lett. b), del decreto legislativo n. 50/2016. Dunque l’accordo di cooperazione non può costituire uno strumento per consentire ad un’amministrazione di reperire risorse finanziarie, come un normale operatore economico, e/o di fornire occasioni di guadagno ai propri dipendenti (come ha evidenziato la Corte di Giustizia nella sentenza 19 dicembre 2012, in causa C-159/11).

In ogni caso risulta priva di fondamento l’affermazione della ricorrente secondo la quale «il riconoscimento dei costi integrali dei servizi commissionati è già preclusivo dell’accordo senza gara». Del resto il Consiglio di Stato nel parere 22 aprile 2015 n. 1178 (invocato nell’impugnata determinazione dirigenziale) ha affermato - anche alla luce della sopravvenuta disciplina posta dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 - che nell’accordo di cooperazione è possibile prevedere «un corrispettivo forfettario a copertura delle spese vive sostenute», e tale affermazione deve essere intesa nel senso che l’accordo può prevedere un compenso forfettario che garantisca un integrale rimborso dei costi sostenuti da una delle parti, mentre resta preclusa la possibilità di pattuire un compenso che garantisca anche un margine di guadagno ad una delle parti.

14. Analoghe considerazioni valgono per le ulteriori precisazioni dell’ANAC in merito alla condizione di cui all’art. 5, comma 6, lett. a), del decreto legislativo n. 50/2016, secondo la quale “l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune”.

Le affermazioni dell’Autorità, secondo la quale «l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti» e «alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità», si prestano ad essere interpretate (ed in effetti così sono state intese dalla società ricorrente) nel senso che la deroga prevista dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 può trovare applicazione soltanto se le Amministrazioni che sottoscrivono l’accordo hanno le medesime competenze, perseguono il medesimo interesse comune e prevedono nell’accordo un’effettiva divisione dei compiti e delle responsabilità.

Tuttavia non osta alla deroga alla regola dell’evidenza pubblica la circostanza che l’accordo di cooperazione sia stipulato tra Amministrazioni che hanno competenze diverse e nell’accordo si ritagliano ruoli diversi. Difatti - come si è già ricordato - nel considerando n. 33 della direttiva 24/2014/UE si prevede, da un lato, che la cooperazione orizzontale «potrebbe riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affidati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti, quali i compiti obbligatori o facoltativi di enti pubblici territoriali o i servizi affidati a organismi specifici dal diritto pubblico», e che i servizi forniti dalle diverse Amministrazioni partecipanti all’accordo «non devono necessariamente essere identici; potrebbero anche essere complementari»; dall’altro, che la cooperazione orizzontale «non comporta che tutte le amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all’esecuzione del servizio pubblico in questione».

Del resto anche la giurisprudenza nazionale (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3849; id. 23 giugno 2014, n. 3130) ha precisato che, affinché si configuri l’istituto della cooperazione orizzontale, «il requisito dell’interesse pubblico “comune” non può essere inteso in termini di identità ontologica, incentrato cioè sul settore materiale di intervento delle amministrazioni stipulanti. La considerazione sembra a ben guardare ovvia, perché ad opinare in questo senso si finirebbe per limitare ingiustificatamente le forme di cooperazione tra enti pubblici, circoscrivendole a quelle concluse tra soggetti appartenenti alla medesima branca amministrativa. Pertanto ... il predicato in questione può essere soddisfatto allorché vi sia una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione».

15. Tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte, nessuna delle censure dedotte con il primo motivo può essere accolta, poiché nel caso in esame sussistono le tre condizioni previste dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 per configurare un partenariato pubblico-pubblico e la connessa deroga alla regola dell’evidenza pubblica.

16. Giova premettere che non è condivisibile la tesi - pur emersa dalle difese della Provincia e dell’ACI - secondo la quale è stato disposto l’affidamento diretto in favore dell’ACI in quanto si tratterebbe dell’unico soggetto che può svolgere le attività in materia di riscossione della tassa automobilistica spettanti alla Provincia, la quale sarebbe comunque libera di ricorrere alla cooperazione orizzontale in tale settore.

Tale tesi - oltre ad essere sconfessata dalla circostanza che Regioni come le Marche ed il Veneto hanno posto in gara tali attività, così dimostrando che sul mercato operano anche altri soggetti in grado di svolgere il servizio - se fondata su una lettura della normativa nazionale (art. 2, comma 1, decreto ministeriale n. 418/1998) e provinciale (art. 39-bis, comma 3-ter, della legge provinciale n. 23/1990 e art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 10/1998, nella parte in cui richiama l’art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 39/1953) volta a dimostrare che la Provincia è libera (in deroga alla previsione generale dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016) di ricorrere alla cooperazione orizzontale per la gestione della tassa automobilistica provinciale, imporrebbe al Collegio di verificare la compatibilità di tale normativa con la previsione dell’art. 12, comma 4, della direttiva 24/2014/UE. Tuttavia ciò non si rende necessario, perchè dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge chiaramente che la Provincia ha piuttosto ritenuto di poter invocare la deroga prevista dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 in ragione della sussistenza delle condizioni ivi previste «affinché un accordo concluso esclusivamente tra pubbliche amministrazioni aggiudicatrici non rientri nell’ambito del codice appalti».

17. In particolare, le motivazioni addotte dalla Provincia per giustificare la deroga sono sintetizzabili come segue: «Sin dal 1999, anno di istituzione della tassa automobilistica provinciale, la gestione del servizio di riscossione e controllo della medesima è sempre stata affidata all’Automobile Club d’Italia (di seguito ACI), dapprima mediante affidamento diretto e poi mediante convenzione ai sensi dell’articolo 39 bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23. ... Come già rappresentato nei precedenti provvedimenti di affidamento, si evidenzia innanzitutto come l’archivio automobilistico sia stato costruito e gestito da ACI, che è un ente pubblico non economico, privo di scopo di lucro che ha sempre svolto il servizio di esazione delle tasse di circolazione (ora, di proprietà) sugli autoveicoli. ACI, inoltre, ha i compiti statutari di gestire il Pubblico Registro Automobilistico, che fornisce i dati indispensabili per l’aggiornamento dell’archivio nazionale e regionale delle tasse automobilistiche. L’esperienza di ACI in questo settore ha permesso in questi anni di usufruire anche di una valida consulenza tecnico-giuridica. In merito si evidenzia altresì come ad oggi la quasi totalità delle regioni italiane abbia affidato ad ACI il servizio di riscossione e gestione delle tasse automobilistiche, ricorrendo all’istituto giuridico dell’avvalimento, proprio in relazione alla specifica organizzazione e competenza di ACI nella materia».

Quindi l’Amministrazione - dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, nazionale e provinciale, in base al quale le Regioni si avvalgono dell’ACI per gestire il predetto servizio - in motivazione osserva «come i rapporti di collaborazione con ACI, intercorsi nel corso degli anni sia con la Provincia che, nello specifico, con Trentino Riscossioni S.p.A, società in house a cui la Provincia ha affidato ai sensi dell’art. 34 della legge provinciale n. 3/2006 la gestione completa dei tributi propri, ivi compresa l’attività di collaborazione nella gestione della predetta convenzione, siano sempre stati proficui. In particolare, si segnala che l’esperienza positiva maturata in questi anni con ACI in ordine alla gestione delle tasse automobilistiche ha permesso la progressiva introduzione di servizi innovativi, passando a titolo esemplificativo da quelli ormai collaudati rappresentati dall’emissione delle note di cortesia e dall’attivazione della riscossione mediante Internet Banking, sino alla più recente modalità di riscossione della tassa automobilistica mediante il c.d. versamento cumulativo, che consente il pagamento contestuale in un’unica soluzione, alle singole scadenze, delle tasse relative a tutti i veicoli di proprietà - che devono essere almeno pari a 15 - di un medesimo soggetto. Inoltre, già in occasione dei precedenti provvedimenti di affidamento del servizio per il triennio 2013-2015 (citata determinazione n. 28 del 28 dicembre 2012) e per il triennio 2016-2018 (citata determinazione n. 196 del 30 dicembre 2015) era stata esclusa la soluzione alternativa della gestione diretta della tassa automobilistica provinciale da parte di Trentino Riscossioni, in quanto avrebbe richiesto la disponibilità di un archivio e di un sistema informativo che replicasse quello di ACI, al momento non esistente. In merito, veniva citato l’esito di uno Studio di fattibilità svolto nel 2008 dalla società Informatica Trentina spa e commissionato da Trentino Riscossioni, che aveva evidenziato la non economicità di tale soluzione. Sempre nella predetta determinazione n. 28/2012, preso atto che la modalità di gestione più economica e più sicura dal punto di vista della affidabilità e stabilità del sistema era rappresentata dall’avvalersi dei servizi di ACI, veniva riscontrata anche la sussistenza di motivi di natura tecnica che imponevano che il servizio di gestione della tassa automobilistica fosse affidato unicamente ad ACI stesso. Nella successiva determinazione n. 196 del 30 dicembre 2015 venivano diffusamente riportati gli esiti dell’aggiornamento, a dicembre 2015, dello Studio di fattibilità “Sistema di gestione della tassa automobilistica – scelta della soluzione”, predisposto da Informatica Trentina. In estrema sintesi, anche la versione aggiornata del predetto Studio, dopo una puntuale ricognizione delle diverse modalità di gestione della tassa automobilistica in essere presso le varie regioni italiane, ha escluso in radice sia la possibilità di costituzione dell’archivio automobilistico provinciale implementando il software ACI presso il datacenter provinciale, sia la realizzazione di un nuovo applicativo. Lo Studio terminava nell’evidenziare una serie di aspetti, sia di natura tecnica che di convenienza economica per la Provincia, a favore della soluzione della prosecuzione della gestione con ACI. Tale soluzione, oltre ad essere suffragata dalle argomentazioni sopra richiamate, risulta oggi oltremodo avvalorata dall’introduzione del sistema dei pagamenti elettronici PagoPa, a cui sono obbligate ad aderire tutte le pubbliche amministrazioni, realizzato per rendere sicuri e trasparenti i pagamenti nei confronti della Pubblica amministrazione. Per quanto concerne in particolare la materia della tassa automobilistica, ACI, in collaborazione con AGID, ha realizzato il sistema Pago Bollo, che rappresenta l’estensione funzionale di PagoPa per la tassa auto e consente il riversamento del gettito per competenza alle Regioni/Province autonome. Nella seduta del 21 giugno 2018, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome si è impegnata ad utilizzare Pago Bollo per riscuotere la tassa automobilistica in modo da risolvere il problema delle compensazioni interregionali per le annualità 2019 e seguenti, facendo confluire il gettito direttamente alle Regioni/Province autonome a cui spetta».

Per quanto riguarda i costi che in base all’accordo sono posti a carico della Provincia, viene evidenziato in motivazione che «ad ACI spetta il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati».

Conclusivamente l’Amministrazione afferma che «sono soddisfatte le condizioni di cui alle lettere a), b) e c) previste dal comma 6 dell’articolo 5 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 affinché un accordo concluso esclusivamente tra pubbliche amministrazioni aggiudicatrici non rientri nell’ambito del codice appalti», perché lo stipulando accordo di cooperazione «non si configura come scambio di prestazioni di servizi verso corrispettivo, bensì come modalità di coordinamento tra uffici di strutture di derivazione pubblica ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241/1990 e dell’articolo 16-bis, comma 2-bis, della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23, in cui ognuna di esse può porre al servizio dell’altra le proprie strutture tecnologiche e competenze, con esclusione quindi di qualsiasi forma di erogazione di corrispettivo dall’una all’altra parte, salvo il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati. Tutto ciò è coerente anche con quanto affermato nel parere del Consiglio di Stato, Seconda Sezione, Adunanza di Sezione del 22 aprile 2015, n. 1178, il quale rileva che gli accordi di cooperazione tra pubbliche amministrazioni, anche appartenenti a ordinamenti autonomi e/o in rapporto di reciproca indipendenza, non sono soggetti alle direttive sugli appalti e sono quindi legittimi, se il trasferimento di risorse resti nei ristretti limiti del riconoscimento di un corrispettivo forfettario a copertura delle spese vive sostenute».

18. Alla luce di tali considerazioni - pur essendo innegabile che l’ACI non è titolare per legge (ma solo per statuto) di funzioni pubbliche o di obblighi di servizio pubblico relativi alla gestione della tassa automobilistica provinciale (gestione che spetta solo alla Provincia di Trento) - tuttavia ciò non è sufficiente per ritenere che nella fattispecie non ricorra la condizione prevista dall’art. 5, comma 6, lett. a), del decreto legislativo n. 50/2016, ove si prevede che l’accordo deve realizzare “una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune”.

Innanzi tutto si deve ribadire - seguendo le coordinate ermeneutiche fornite dal considerando n. 33 della direttiva 24/2014/UE - che non ostano all’applicazione della deroga alla regola dell’evidenza pubblica né la circostanza che l’accordo di cooperazione in questione venga stipulato tra due Amministrazioni che hanno competenze diverse, né la circostanza che le due Amministrazioni nell’accordo si ritaglino ruoli diversi.

Rileva invece, per giustificare il ricorso al partenariato pubblico-pubblico, il nesso di strumentalità e complementarietà tra la competenza per legge (ossia ai sensi dell’art. 4 della legge provinciale n. 10/1998) spettante alla Provincia in materia di gestione della tassa automobilistica provinciale e la competenza per legge (ossia ai sensi dell’art. 11 del R.D.L. 15 marzo1927, n. 436) spettante all’ACI in materia di gestione del PRA. Decisivi in tal senso sono i due passi della motivazione ove si evidenzia come, sin dall’istituzione della tassa automobilistica provinciale, l’archivio automobilistico della Provincia (che, ai sensi dell’art. 5 del D.M. n. 418/1998, concorre a formare l’archivio nazionale dei dati fiscali relativi ai veicoli iscritti nel PRA) «sia stato costruito e gestito da ACI, che è un ente pubblico non economico, privo di scopo di lucro che ha sempre svolto il servizio di esazione delle tasse di circolazione (ora, di proprietà) sugli autoveicoli» e che l’ACI «ha i compiti statutari di gestire il Pubblico Registro Automobilistico, che fornisce i dati indispensabili per l’aggiornamento dell’archivio nazionale e regionale delle tasse automobilistiche».

Resta allora solo da osservare che le considerazioni fin qui svolte non sono smentite dalle due sentenze dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea innanzi ricordate, costituendo quella in esame una “fattispecie intermedia” tra quelle oggetto di tali pronunce. Infatti, da un lato, è vero che, non avendo l’ACI, per legge, competenze in materia di gestione della tassa automobilistica provinciale, l’accordo in esame è diverso da quello esaminato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 giugno 2009 in causa C-480/06; dall’altro, la strumentalità e la complementarietà della gestione del PRA rispetto alla gestione della tassa automobilistica consentono di ritenere che l’accordo in esame preveda una forma di cooperazione corrispondente a quella prevista dall’art. 5, comma 6, lett. a), del decreto legislativo n. 50/2016, letto alla luce del considerando n. 33 della direttiva 24/2014/UE, a differenza dell’accordo esaminato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 19 dicembre 2012, in causa C-159/11, che invece prevedeva la fornitura, da parte di un’Amministrazione, di un servizio diverso da quelli rientranti tra le competenze istituzionali dell’Amministrazione stessa, peraltro al fine di autofinanziarsi.

In definitiva, in ragione del compito istituzionale dell’ACI inerente la tenuta del PRA, può ritenersi che la Provincia - nell’esercizio della propria autonomia organizzativa - abbia legittimamente individuato proprio nell’ACI il soggetto pubblico del quale avvalersi per la gestione dell’archivio provinciale e per la riscossione della tassa automobilistica, in alternativa all’esternalizzazione dei servizi. Pertanto le prime due censure dedotte con il primo motivo sono infondate.

19. Quanto all’ulteriore censura dedotta con il primo motivo - volta a dimostrare che l’accordo prevede, in contrasto con l’art. 5, comma 6, lett. b), del decreto legislativo n. 50/2016, non già un compenso «a copertura delle spese vive sostenute» dall’ACI, bensì un corrispettivo forfettario che non solo garantisce all’ACI ampi margini di guadagno, ma risulta addirittura superiore ai prezzi di mercato - occorre preliminarmente esaminare l’eccezione processuale sollevata dall’ACI, secondo il quale la ricorrente non sarebbe titolare di una posizione di interesse legittimo che le consenta di sindacare il contenuto dell’accordo, come affermato dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 19 settembre 2018, n. 5538) con riferimento ad un’analoga fattispecie.

Tale eccezione non può essere accolta, in quanto la legittimazione della ricorrente a sindacare il contenuto dell’accordo è strettamente connessa alla legittimazione a sindacare la dichiarata sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 50/2016 per giustificare la deroga alle regole dell’evidenza pubblica.

20. Nel merito giova innanzi tutto ribadire che il provvedimento impugnato, nel quantificare i costi a carico della Provincia per il triennio 2019-2021, evidenzia che in base all’accordo spetta all’ACI «il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati».

In particolare in motivazione si legge che «tali costi sono così quantificati per il triennio considerato: - rimborso dei costi di esercizio nella misura forfetaria annua di Euro 882.337 oltre ad IVA se ed in quanto dovuta, come analiticamente descritto nella quantificazione dei costi riportata nell’Allegato A dell’accordo. Nell’importo del rimborso forfetario annuo dei costi è considerato lo svolgimento di tutte le attività di cui al presente accordo di cooperazione, comprese quelle svolte dagli Studi di consulenza. Eventuali ulteriori servizi richiesti ad integrazione del presente accordo di cooperazione, saranno oggetto di autonomo e separato rimborso dei costi; - a partire dal 1 gennaio successivo alla decorrenza dell’accordo il valore del rimborso forfettario come sopra quantificato è assoggettato a rivalutazione ISTAT rilevata ad ottobre dell’anno precedente con riferimento all’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI); - i costi di gestione del servizio di recapito o notifica degli atti sono altresì compresi nell’importo forfetario fino al raggiungimento della quantità massima annua indicata nell’allegato A dell’accordo (355.000) e successivamente calcolati a consumo. La verifica del superamento della quantità massima di recapiti di cui al comma precedente è svolta al termine del triennio di validità dell’accordo di cooperazione. Qualora la quantità massima sia superata in modo tale da determinare l’aumento complessivo dei costi al termine del triennio, è riconosciuto ad ACI il rimborso dei costi ulteriori così determinatisi».

Inoltre, in motivazione viene specificato che la valutazione di congruità dei costi da rimborsare (pari a euro 882.337,00 oltre ad iva per l’esercizio finanziario 2019, a euro 895.572,06 oltre ad iva per l’esercizio finanziario 2020, euro 909.005,64 oltre ad iva per l’esercizio finanziario 2021) «è suffragata dai seguenti elementi: - l’ACI, oltre ad assicurare per il triennio 2019-2021 la gestione di tutte le attività già disciplinate nel precedente accordo di cooperazione, curerà e coordinerà a decorrere dal 1° gennaio 2019 la fondamentale attività di progressiva migrazione degli intermediari della riscossione dagli attuali canali di pagamento al nuovo sistema di Pago Bollo, di cui è organismo attuatore; - malgrado l’incremento delle attività gestite da ACI, vi sarà un notevole risparmio per la Provincia rispetto ai costi rimborsati dalla medesima in relazione al precedente accordo di cooperazione per il triennio 2016-2018. Questo perché, a seguito dell’introduzione di Pago Pa/Pago Bollo, la Giunta provinciale con deliberazione n. 2240 di data 7 dicembre 2018, modificando la precedente deliberazione n. 2439 di data 30 dicembre 2015, ha stabilito che la Provincia assumerà a proprio carico i costi di esazione della tassa automobilistica solo per i versamenti effettuati entro il 31 dicembre 2018. Conseguentemente, i costi che sosterrà la Provincia si riducono di oltre il 50% rispetto a quelli sostenuti nel triennio precedente, in quanto per l’ultimo anno interamente consuntivato (2017) la Provincia ha rimborsato ad ACI costi pari ad euro 2.256.653,28».

21. Alla luce di quanto precede il Collegio - nel ribadire che il Consiglio di Stato nel parere n. 1178/2015 ha affermato che nell’accordo di cooperazione è possibile prevedere «un corrispettivo forfettario a copertura delle spese vive sostenute» e che tale affermazione deve essere intesa nel senso che l’accordo può prevedere un compenso forfettario che garantisca un integrale rimborso dei costi sostenuti da una delle parti, mentre resta preclusa la possibilità di pattuire un compenso che garantisca anche un margine di guadagno - conviene senz’altro con la ricorrente quando afferma che non è certo il carattere forfettario del compenso previsto dall’accordo in questione, bensì la misura dello stesso ad essere rilevante al fine di stabilire se ricorra o meno la condizione prevista dall’art. 5, comma 6, lett. b), del decreto legislativo n. 50/2016. Tuttavia - come eccepito in memoria dall’ACI - la ricorrente non ha affatto provato che «il riconoscimento e il rimborso dei costi preventivamente valorizzati, sostenuti e rendicontati», previsto dall’accordo, garantisce all’ACI non solo ampi margini di guadagno, ma addirittura un corrispettivo superiore ai prezzi di mercato.

Secondo la ricorrente, la prova degli ampi margini di guadagno sarebbe desumibile dal fatto che l’ACI nel proprio bilancio 2017 afferma che: «La gestione “tasse automobilistiche” chiude l’esercizio con un utile netto di 18.619 k/€ (5.622 k/€ nel 2016), con un incremento di 12.997 k/€ ... [dove k/€ sta per migliaia di euro]. Uno dei fattori che ha determinato i maggiori ricavi registrati nel 2017 rispetto al 2016, oltre all’aumento effettivo delle attività realizzate, è da attribuirsi al fatto che diversi accordi con le Regioni sono stati rinnovati nell’anno prevalentemente con la formula di riconoscimento dei ricavi per ACI a forfait rispetto al precedente sistema dei consumi effettivi o misti (parte consumi e parte forfait)».

Tuttavia, in questa sede interessa non ciò che prevedono i bilanci dell’ACI per effetto degli accordi in passato stipulati con altre Regioni, ma solo quanto prevede l’accordo stipulando, specie se si considera che - come evidenzia la motivazione del provvedimento impugnato - i costi che la Provincia sosterrà nel triennio 2019-2021 «si riducono di oltre il 50% rispetto a quelli sostenuti nel triennio precedente».

Né miglior sorte merita l’ulteriore argomento di prova addotto dalla ricorrente per dimostrare che i corrispettivi previsti dall’accordo sarebbero addirittura fuori mercato. La ricorrente si è limitata ad evidenziare che essa per il servizio posto in gara dalla Regione Marche (dove i veicoli circolanti sono 1.379.921), ha formulato un’offerta economica (comprensiva di utile) pari a euro 1.071.864,95 oltre IVA, corrispondenti a euro 0,7768 per veicolo, mentre il compenso annuale previsto dall’accordo con la Provincia di Trento (dove i veicoli sono 716.530) è, per il solo compenso a forfait (previsto dall’art. 16 dello schema di accordo), pari a 882.337,00 oltre IVA, corrispondenti a euro 1,2314 per veicolo, somma complessiva alla quale vanno poi aggiunti i numerosi compensi “a consumo” previsti dall’accordo stesso. Pertanto, fatte le debite proporzioni tra il parco auto della Regione Marche e quello della Provincia di Trento, «pur con le differenze che possono caratterizzare nel dettaglio le due commesse» il compenso riconosciuto all’ACI in base all’accordo in esame sarebbe più alto di circa il 37% rispetto a quello indicato nell’offerta presentata alla Regione Marche. Un’analoga situazione emergerebbe, secondo la ricorrente, dal confronto con il servizio che essa gestisce per conto della Regione Veneto. Tuttavia, come ha osservato in giudizio l’ACI, la censura muove dal presupposto - non dimostrato - che l’attività svolta dalla ricorrente per conto della Regione Veneto e l’attività oggetto della gara indetta dalla Regione Marche siano perfettamente sovrapponibili a quella oggetto dell’accordo in esame. Del resto la stessa ricorrente, nel confrontare il compenso riconosciuto all’ACI in base all’accordo in esame con quello indicato nell’offerta presentata alla Regione Marche è costretta ad ammettere «le differenze che possono caratterizzare nel dettaglio le due commesse».

Anche la censura in esame va, quindi, respinta.

22. Né miglior sorte meritano le restanti censure dedotte con il primo motivo, incentrate sul fatto che l’accordo in questione favorirebbe un operatore del settore (qual è l’ACI) che assorbe ben oltre il 20% del mercato servizi afferenti alla gestione delle tasse automobilistiche, a danno degli altri operatori del settore, e sul fatto che l’art. 18, comma 2, dello schema di accordo prevede che l’ACI possa avvalersi di strutture di consulenza o di servizio.

Al riguardo il Collegio - nel rammentare che, secondo l’art. 5, comma 6, lett. c), del decreto legislativo n. 50/2016 le amministrazioni che partecipano all’accordo devono svolgere “sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione” - ritiene che la prima censura sia generica in quanto la ricorrente non ha provato che l’ACI, per le attività interessate dalla cooperazione, svolge attività sul mercato aperto tali da determinare turbative alla libera prestazione dei servizi e alla concorrenza.

Inoltre nel caso in esame non osta al ricorso alla cooperazione orizzontale l’eventuale affidamento di attività esecutive a strutture di consulenza esterne, come previsto dall’art. 18 dell’accordo, perché l’ACI è un ente pubblico, tenuto ad applicare il decreto legislativo n. 50/2016 quando si rivolge al mercato.

23. Palesemente infondato è poi il secondo motivo, incentrato sul fatto che l’ACI non risulta iscritto all’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 446/1997. Al riguardo la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5538/2018 cit.) ha già chiarito che tale albo «riguarda “i soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni”, per cui è evidente che l’ACI, ente pubblico non economico, non è soggetto, per lo svolgimento della sua attività istituzionale, comprendente a termini di Statuto la gestione dei servizi in materia di tasse automobilistiche affidati all’A.C.I. dalle Regioni e dalle Province Autonome, non è soggetto all’iscrizione nell’Albo in questione». Inoltre, la tassa automobilistica provinciale è un tributo proprio della Provincia stessa (Corte Costituzionale, sentenze n. 142/2012 e n. 118/2017), mentre l’art. 53 del decreto legislativo n. 446/1997 disciplina l’accertamento e la riscossione delle entrate degli enti locali.

24. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

25. Tenuto conto della complessità e della parziale novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 12/2019, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente

Carlo Polidori, Consigliere, Estensore

Antonia Tassinari, Consigliere