TAR Lombardia - Milano SEZ. IV - sentenza 31 maggio 2019, n. 1231

Contratti della P.A. – Offerta – Termine di efficacia di 180 giorni – Ex art. 32, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016 – Decorrenza – Non rende inesistente l’offerta ma legittima l’impresa interessata a recedere dalla stessa – Mancato recesso – Possibilità di considerare valide le offerte – Sussiste.

La pronuncia in esame affronta il tema della perdurante validità, o meno, delle offerte, una volta decorso il termine all’uopo previsto dal bando di gara.

È noto che secondo il previgente Codice nelle gare d’appalto l’offerta del concorrente era vincolante per il periodo indicato nel bando di gara e, in caso di mancata indicazione, per un periodo di 180 giorni decorrenti dalla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, salvo che la stazione appaltante non chiedesse ai concorrenti termini più lunghi o che comunque prima della scadenza non richiedesse la conferma dell’offerta medesima.

Come pure noto, anche il nuovo codice prevede – in termini analoghi ma non identici – che la scadenza del termine di 180 giorni consenta all’offerente di ritirare l’offerta, ma senza impedire alla stazione appaltante di portare a termine la gara e di aggiudicare il relativo contratto. Deve pertanto ora ritenersi che, in difetto di un’espressa dichiarazione di “disimpegno” da parte del concorrente, la relativa offerta debba intendersi validamente presentata (T.A.R. Puglia – Bari, Sez. III, sentenza n. 1555/2018.)

La ratio della nuova disposizione è quella di invertire i termini della praesumptio legis, mantenendosi ferma l’offerta per tutto il periodo di presumibile durata della gara, salvo il diritto del concorrente di comunicare la volontà di svincolarsi.

In termini civilistici, solo l’accettazione dell’offerta ne comporta l’irrevocabilità (art. 1328 c.c.), mentre nel campo dei contratti pubblici l’eventuale revoca dell’impegno prima della scadenza del termine di 180 gironi indicato dalla legge comporta l’applicazione di sanzioni economiche (i.e.: l’escussione della garanzia provvisoria) e di status (i.e.: segnalazione all’Autorità).

Decorso il periodo di validità imposto per legge, il concorrente ha invece diritto di sciogliersi da ogni impegno ovvero di “confermare”, anche tacitamente, l’offerta stessa, accettando la stipula contrattuale.

Nel momento in cui un concorrente, decorso il termine di efficacia dell’offerta, ritenendo non più sostenibile o per lui non più conveniente l’offerta stessa, si dichiara sciolto dall’impegno assunto, egli si estranea dalla gara ed esce definitivamente dalla selezione per sua autonoma e insindacabile scelta. Tuttavia, in assenza di espressa dichiarazione di svincolo da parte dell’offerente, la mera decorrenza del termine non comporta decadenza dell’offerta, che quindi resta valida.

Nel caso di specie, il Tar meneghino, conformandosi all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, non ha ritenuto condivisibile l’assunto sostenuto dal ricorrente, secondo il quale decorsi 180 giorni dalla presentazione delle offerte senza che la procedura di gara si fosse conclusa e senza richiesta di proroga le offerte sarebbero automaticamente decadute, con l’effetto di rendere non più aggiudicabile la gara e di determinare conseguentemente la cessazione della materia del contendere.

Come già ritenuto dalla giurisprudenza con riguardo al previgente articolo 11, comma 6, D.Lgs. n. 163/2006 (cfr., C.d.S. Sez. V sentenza n. 3866/2016), la scadenza del termine di 180 giorni consente all’offerente di ritirarsi, ma non impedisce alla stazione appaltante di portare a termine la gara e di aggiudicare il contratto (in termini, cfr. T.A.R. Puglia – Bari, Sez. III, sentenza n. 1555/2018).

LEGGI LA SENTENZA

Pubblicato il 30/05/2019

N. 01231/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00440/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 440 del 2015, proposto da 
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Dell'Aira e Carmela Re, con domicilio eletto presso in Milano, presso la Segreteria del Tribunale;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1; 

per l'annullamento

dell'informazione interdittiva antimafia prot. 12B7/2013-013700 del 21/11/14, emessa dalla Prefettura di Milano, citata in seno all’informazione interdittiva antimafia prot. 0109434 del 10/12/2014 classifica 16.01, emessa dalla Prefettura di Palermo Area 1 - Ordine e Sicurezza Pubblica, notificata alla ricorrente in data 12 dicembre 2014 a mezzo PEC, e di ogni altro atto o provvedimento presupposto, conseguente, collegato o comunque connesso.


 

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 8 maggio 2019 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

Con il provvedimento impugnato il Prefetto di Milano ha emanato un’interdittiva antimafia nei confronti della società ricorrente.

La difesa erariale si è costituita in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso, in rito e nel merito.

Con ordinanza n. 332/15 il Tribunale ha respinto la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 8.5.2019, senza che la ricorrente abbia articolato ulteriori argomenti difensivi, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I.1) In via preliminare, il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di interdittiva antimafia, l'ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto, a tutela delle condizioni di sicurezza ed ordine pubblico, può essere soggetta al sindacato del g.a., solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (C.S. Sez. III, 25.6.2014, n. 3208), e pertanto, nei soli limiti di evidenti vizi di eccesso di potere, nei profili della manifesta illogicità e dell’erronea e travisata valutazione dei presupposti (C.S. Sez. III, 1.12.2015, n. 5437).

Inoltre, per giurisprudenza pacifica, in materia di interdittiva antimafia, il Prefetto può basarsi su fatti ed episodi che, seppure, ove considerati separatamente, non assurgano al rango di prove od indizi di valenza processuale, nel loro insieme configurino, ove inseriti nel contesto economico-sociale considerato, un quadro indiziario univoco e concordante, che indipendentemente dalle eventuali vicende giudiziarie penali, abbia valore sintomatico del concreto ed attuale pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione dell'impresa esaminata (C.S., Sez. III, 29.12.2016 n. 5533).

In particolare, ai fini dell’adozione di un’informativa, non occorre provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì solo la sussistenza di elementi sintomatico - presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata, dovendo detti elementi essere considerati in modo unitario e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 6.11.2017, n. 5167).

Infine, quanto alle finalità perseguite mediante le interdittive, occorre altresì richiamare il principio secondo cui le stesse non hanno ad oggetto l’accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell’azione di prevenzione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 6.2.2014, n. 858).

II) Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio che le censure prospettate dalla ricorrente, in un unico articolato motivo, non incidano sul quadro fattuale tratteggiato dall’interdittiva oggetto del presente giudizio, ampiamente adeguato a sorreggere la stessa, né sul percorso logico seguito dall’Amministrazione nell’attribuirvi rilievo.

In particolare, la società ricorrente ha sostenuto che -OMISSIS-, soggetto posto al centro dell’informativa per i suoi stretti rapporti con l’azienda interdetta, sarebbe in realtà una vittima e non un sodale della mafia, deducendo altresì la carenza dei presupposti normativi per l’emissione della stessa, non risultando provvedimenti di condanna, né concrete circostanze da cui desumersi che l’esercizio dell’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose, o esserne in qualche modo condizionata.

Come già evidenziato in sede cautelare, l’informativa impugnata ha messo in rilievo che, tra i dipendenti della società ricorrente, vi sono i fratelli -OMISSIS- e -OMISSIS-, figli di -OMISSIS-, soggetto condannato per reati di mafia, e ritenuto a diretto contatto con soggetti del calibro di -OMISSIS-, nei cui confronti risulta emesso un provvedimento di sequestro di beni ex artt. 16 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011 da parte del Tribunale di Palermo in data 23 settembre 2013, avente ad oggetto l’impresa individuale “-OMISSIS-”.

In particolare, il provvedimento di sequestro citato, ipotizza la prosecuzione dell’attività imprenditoriale di -OMISSIS- tramite i figli, e la cessione di mezzi sottoposti a sequestro agli stessi -OMISSIS-, tramite società di comodo, tra cui anche quella ricorrente, che si è pertanto prestata a divenire destinataria di una significativa “trasmigrazione” di dipendenti e mezzi tra imprese destinatarie di interdittive antimafia.

Dal quadro indiziario profilato nel citato decreto di sequestro emesso dal Tribunale di Palermo, di cui questo Collegio non può che prendere atto, senza entrare nel merito delle valutazioni in esso contenute, emerge la sostanziale prosecuzione delle attività illecite di -OMISSIS-, per il tramite dei figli -OMISSIS- e -OMISSIS-, che come detto, sono dipendenti della società ricorrente.

Per giurisprudenza costante, il condizionamento mafioso su cui si fonda l'emanazione di una misura interdittiva, può derivare anche dalla presenza all'interno della società di soggetti che non svolgono ruoli apicali, ma che figurino come meri dipendenti (C.S., Sez, III, 14.9.2018 n.5410), come ha avuto luogo nel caso di specie.

In aggiunta a quanto sopra, il provvedimento impugnato evidenzia i contatti tenuti, anche a livello personale, tra gli -OMISSIS- e ed altri soggetti destinatari di provvedimenti interdittivi, e dei passaggi di mezzi tra società riconducibili agli stessi -OMISSIS-, ciò che, ulteriormente, conferma la sussistenza di idonei e specifici elementi di fatto, sintomatici di connessioni con la criminalità organizzata, tali da condizionare le scelte dell’impresa in questione.

In conclusione, il ricorso va pertanto respinto.

Quanto alle spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell’Interno, equitativamente e complessivamente liquidate in Euro 1.500,00, oltre agli oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società ricorrente, e le persone fisiche menzionate nella presente sentenza.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Mauro Gatti, Consigliere, Estensore

Oscar Marongiu, Primo Referendario