Cons. Stato, Sez. atti normativi, 5 marzo 2019, n.667 - il punto della situazione

Un conflitto di interessi si determina le volte in cui a un soggetto giuridico sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato. Non rileva particolarmente se tale interesse derivi da situazioni affettive o familiari o economiche. Per l’inquadramento di teoria generale è sufficiente che sussistano due interessi in contrasto economico: quello funzionalizzato e quello, di qualsiasi natura, dell’agente”.

“Il conflitto di interessi nell’ambito di gare d'appalto può essere tipico o atipico, considerando che non esiste un numerus clausus di situazioni che comportano incompatibilità.

Non può essere addossato al concorrente alcun obbligo di eliminare il conflitto di interessi, poiché, dal canto suo, l’unico mezzo sarebbe per lui quello di non partecipare alla gara, il che inciderebbe sui suoi diritti costituzionali. Quindi, l’obbligo di risolvere il conflitto incombe sempre sul funzionario pubblico e sulla Stazione, la quale è titolare del potere di garantire e soddisfare l’interesse legittimo ed è tenuta ad adeguare la propria organizzazione per permettere la soddisfazione di esso e il conseguimento del bene della vita sottostante, per altro tutelato dall’art. 41 della Costituzione.

E’ possibile pretendere che i concorrenti ed i soggetti affidatari di appalti pubblici rilascino preventive dichiarazioni sostitutive circa la sussistenza di possibili conflitti di interesse rispetto ai soggetti che intervengono nella procedura di gara o nella fase esecutiva ed in ordine alla comunicazione di qualsiasi conflitto di interesse che insorga successivamente. Tali specifiche prescrizioni vanno contenute in atti sostanzialmente pattizi quali i protocolli di legalità ed i patti di integrità, con esclusione di atti unilaterali quali i bandi di gara, ai quali è interdetto costituire motivi di esclusione non previsti dalla legge.

Il Consiglio di Stato, con parere 5 marzo 2019, n. 667, si è pronunciato sullo schema di linee guida predisposte dell’A.N.A.C. aventi ad oggetto “individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”, emanate in virtù del disposto di cui all’art. 42 del Codice dei contratti pubblici.

L’Autorità ha adottato le Linee guida in attuazione dell'articolo 213, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al fine di fornire indicazioni non vincolanti per i destinatari circa la diffusione delle migliori pratiche e la standardizzazione dei comportamenti da parte delle stazioni appaltanti, nell'ottica di addivenire alla corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni di legge. E ciò, al fine di garantire la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti.

La Sezione consultiva – oltre ad esprimere un motivato parere sulle emanande linee guida – ha colto l’occasione per operare un’analisi del fenomeno del conflitto di interessi e dei suoi rapporti con la corruzione nelle procedure di affidamento. Ha inoltre ricostruito il quadro normativo attualmente in vigore, dalle norme sul procedimento amministrativo aventi portata generale, ai profili penalmente rilevanti connessi all’omessa comunicazione di situazioni di conflitto, anche potenziale, tracciando così le direttrici in base alle quali l’ANAC dovrà muoversi nell’adozione definitiva delle linee guida.

 

  1. Il fenomeno del conflitto di interessi e i rapporti con la normativa anticorruzione.

Il conflitto di interesse è un fenomeno che per lungo tempo è sfuggito ad una definizione generale, introdotta per la prima volta nell’ordinamento solo con l’entrata in vigore dell’art. 6 bis della legge n. 241 del 1990, che dispone testualmente che “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Il Consiglio di Stato, con il parere in commento, ha analizzato gli aspetti del conflitto di interessi in relazione all’attiguo – sebbene non coincidente – fenomeno corruttivo, oggetto della ben nota normativa extrapenale finalizzata alla prevenzione della corruzione nell’attività amministrativa.

È proprio il principio di prevenzione - inteso come scopo istituzionale cui è preposta l’Autorità Anticorruzione nei diversi ambiti di intervento - ad imporre l’affidamento in capo a quest’ultima della regolazione dei conflitti di interessi, attraverso l’emanazione di linee guida indirizzate a tutti coloro che intervengono a qualsiasi titolo nel ciclo di vita dell’appalto, volte ad individuare i fenomeni “patologici” ed attivare gli “anticorpi” del sistema.

A ben vedere, è in quest’ottica che si è mosso il legislatore degli ultimi anni, che ha interamente riformato la materia dell’anticorruzione, predisponendo un articolato sistema di rimedi di tipo preventivo ed ha istituito un’autorità indipendente, l’A.N.A.C., con lo scopo di rendere effettivo e operativo il sistema della prevenzione.

La normativa anticorruzione si basa sul principio secondo il quale i fenomeni di corruzione all'interno delle amministrazioni pubbliche vanno affrontati e combattuti anche prima che essi si siano consumati, anticipando così i rimedi dal piano dell'azione amministrativa al piano dell'organizzazione amministrativa.

La legge n. 190 del 2012 prevede, infatti, un sistema di tutela anticipata, che affianca il classico modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva, che attengono ad un momento in cui il fenomeno della corruzione si è già consumato.

È nell’ottica preventiva che si inquadrano anche le emanande linee guida, che forniscono modelli comportamentali e organizzativi finalizzati a far emergere conflitti, anche potenziali, che rappresentino un pericolo per gli effetti distorsivi sul mercato.

In tal senso, il disposto di cui all’art. 42 d.lgs. n. 50/2016 sembra accomunare le due fattispecie – corruzione amministrativa e conflitti di interesse -, dettando una disciplina che si muove secondo principi unitari ed affidando il compito di adottare misure di contrasto a tali fenomeni in capo alla stazione appaltante, in via funzionale rispetto al primario obiettivo di evitare distorsioni della concorrenza e garantire la parità di trattamento degli operatori economici.

Nonostante l’innegabile contiguità tra fenomeni corruttivi e conflitto di interessi, la Sezione consultiva non ritiene di inquadrare il conflitto di interessi nel fenomeno corruttivo – in un rapporto di species/genus - neanche nella più ampia accezione di “abuso di un potere fiduciario per un profitto privato” delineata dalla richiamata normativa anticorruzione e dalle convenzioni internazionali.

Precisa infatti il Collegio che – a prescindere dalla rilevanza penale delle fattispecie - il conflitto di interessi non consiste in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno.

In altri termini, l’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti ontologicamente distinti.

Il primo determina, in re ipsa, una violazione del principio generale dell'imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost., secondo cui le scelte adottate dall'organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico. Viceversa, il secondo, viola il principio del buon andamento, minando la bontà delle scelte dell’amministrazione e il corretto esercizio del potere.

Trattasi tuttavia, in entrambi i casi, di comportamenti non necessariamente rilevanti sotto il profilo penale (benché costituenti precise ipotesi di reato) ma che si traducono in una forma diffusa di malcostume nella gestione della cosa pubblica, anche in via potenziale.

Si parla di corruzione amministrativa proprio per indicare il fenomeno patologico che si verifica quando il potere amministrativo viene utilizzato per finalità diverse da quelle assegnate dalla legge, dunque, per scopi diversi dalla tutela dell’interesse pubblico.

In tal senso, la posizione di conflitto si differenzia dalla più ampia corruzione amministrativa in quanto trattasi di una situazione di fatto che determina la violazione dell’imparzialità e dunque un pericolo di sviamento di potere dalla sua naturale esplicazione.

Il corretto esercizio del potere pubblico, infatti, si esplica non solo in relazione al rispetto del principio di legalità – inteso, in senso ampio, come rispondenza del potere ai limiti individuati di volta in volta dalla legge -, ma si verifica anche in relazione alla rispondenza a valori etici, morali e sociali, ancor prima che giuridici. I valori cd. dell' “etica pubblica” si individuano in regole dell’agire umano generalmente condivise e, spesso, riconosciute in norme cogenti, attinenti a parametri di serietà, onestà e parsimonia, ispirano il retto agire nell’ambito della pubblica amministrazione, valori efficacemente trasposti dalla carta costituzionale nella locuzione di buon andamento.

In tal senso, l’individuazione di linee guida di stampo comportamentale e organizzativo finalizzate a contrastare il fenomeno dei conflitti di interesse ed evitare il ricorso ai rimedi repressivi – al pari di quanto accade in materia di anticorruzione – risponde all’esigenza di creare rimedi giuridici atti a soddisfare il rispetto delle norme, non sempre scritte, riguardanti l’etica pubblica e la gestione corretta e consapevole delle risorse pubbliche.

L’esistenza di un conflitto di interessi, benché non sia equiparabile ad un fenomeno corruttivo, evoca in ogni caso l'aspettativa di uno sviamento di potere, anche laddove non si traduca in un vantaggio indebito e ingenera inevitabilmente diseguaglianze.

Si è avvertita, pertanto, l’urgenza di un’analisi conoscitiva delle criticità e degli elementi che contribuiscono a determinare i conflitti di interesse, per comprenderne le cause e tentare di porre rimedi – non già nell’ottica del contrasto alla corruzione - ma comunque al fine di prevenire le forme di malcostume ed assicurare il corretto svolgimento della competizione nelle gare d’appalto.

 

  1. Il quadro normativo di riferimento: analisi e problematiche.

Le linee guida sono adottate sulla scorta dell’art. 42 del Codice dei contratti pubblici. Tale norma costituisce una novità nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici e trova la sua ratio nell’esigenza di disciplinare il conflitto di interesse nel contesto della contrattualistica pubblica, particolarmente esposto al rischio di interferenze, a tutela del principio di concorrenza e del prestigio della pubblica amministrazione.

La norma prevede che spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016). Al secondo comma, stabilisce che esso ricorre “quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.” (art. 42, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 che riprende pedissequamente l’art. 24 della direttiva n. 24/2014).

La norma va inquadrata nell’ambito della disciplina generale del conflitto di interesse, oggetto delle disposizioni contenute nel già menzionato articolo 6 bis della legge n. 241/1990; nonché negli artt. 3, 6, 7, 13, 14 e 16 del d.P.R. n. 62/2013; nell’articolo 53, comma 14, del d.lgs. 165/01; nell’articolo 78, del d.lgs. n. 267/2000.

L'art. 6 bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 1, comma, 41 della legge n. 190 del 2012 e applicabile come norma generale anche al settore dei contratti pubblici) prevede l'obbligo di astensione dell'organo amministrativo in conflitto di interessi "anche potenziale". Similmente l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale. Ed ancora, l’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 16 aprile 2013 prevede l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano “gravi ragioni di convenienza”. Infine, l’art. 51 c.p.c. contiene anche esso ipotesi tipizzate di conflitto che conduce all’obbligo di astensione e le medesime “gravi ragioni di convenienza” di cui all’art. 7.

Invero, il menzionato art. 42 richiama solo l’art. 7 del D.P.R 16 aprile 2013, n. 62 e non anche l’art. 6 bis della legge n. 241, né l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 né l’art. 51 c.p.c., senza operare quindi alcun riferimento esplicito alla categoria del conflitto “anche potenziale” né alle “gravi ragioni di convenienza” ma solo a quella dell’“interesse finanziario, economico o altro interesse personale”.

Anche in assenza di uno specifico richiamo, il Collegio ritiene che le richiamate norme siano in ogni caso applicabili al settore della contrattualistica pubblica, nonostante il carattere speciale di quest’ultima. E ciò in quanto il rapporto di specialità opera solo ove sussista un conflitto tra norme, mentre nella specie le disposizioni di cui agli art. 6 bis, 53, 7 e 51 citati non sono in contrasto con l’art. 42 ma sono ad esso complementari.

Il Consiglio di Stato evidenzia che l’art. 42, comma 2, necessita di una interpretazione sistematica, in quanto la norma si presenta troppo generica per costituire la base di un obbligo di segnalazione e astensione.

Infatti, sulla base alla normativa vigente, il conflitto di interessi nell’ambito di gare d'appalto può essere tipico o atipico, considerando che non esiste un numerus clausus di situazioni che comportano incompatibilità. I casi tipici di conflitto di interessi sono normativamente individuati e non necessitano di particolari sforzi ermeneutici; viceversa i casi atipici vanno identificati a seconda della interpretazione del conflitto “potenziale”, del concetto di “interesse personale” e di “gravi ragioni di convenienza”, espressioni che lasciano all'interprete una notevole discrezione nell'individuazione della situazione di conflitto di interesse.

Sul punto, le linee guide dovranno fornire chiarimenti ed elementi di valutazione alla stazione appaltante, affinché il dipendente e l’amministrazione siano in grado di riconoscere l’esistenza di un conflitto e valutare la sussistenza dell’obbligo di astensione, anche in considerazione delle conseguenze e delle responsabilità disciplinari, amministrative e penali derivanti dal mancato rispetto dell’obbligo di astensione. Rileva la Sezione che le lacune dovute all'indeterminatezza delle situazioni che possono generare situazioni di conflitto di interessi non espressamente tipizzate, devono essere colmate mediante un esame teleologico, che tenda ad indagare se effettivamente, nel caso concreto, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa della stazione appaltante siano messi in pericolo e contestualmente percepite come minaccia alla imparzialità ed indipendenza.

 

  1.  Osservazioni sullo schema di Linee guida.

Il Consiglio di Stato opera un’attenta disamina dello schema di linee guida, evidenziando profili problematici e difficoltà operative.

La prima e più importante criticità evidenziata nel parere in commento attiene alla eccessiva genericità e indeterminatezza normativa, che non ha trovato nel testo delle linee guida adeguata chiarificazione. L’ANAC dovrà pertanto precisare il dato normativo e fornire interpretazione alle laconiche espressioni di legge, onde consentire alla stazione appaltante di valutare, caso per caso, l'eventuale lesione dei principi di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa della stazione appaltante. Le linee guida, anche se non aventi natura vincolante né forza di legge, in questo caso, sono indispensabili per l’applicazione delle misure preventive di cui all’art. 42 del Codice e delle norme ad essa complementari (art. 78 del d.P.R. n. 62/2013 e art. 51 c.p.c.) e – di conseguenza – sono anche utili ai fini dell’applicazione delle misure repressive di natura disciplinare e penale.

L’Autorità dovrà pertanto implementare l’atto di regolazione e fornire alle stazioni appaltanti e ai dipendenti gli strumenti per individuare le ipotesi di conflitto e i relativi obblighi di astensione, anche in virtù della circostanza che le situazioni di conflitto – specie se “potenziali” o riguardanti le “gravi ragioni di convenienza” – non possono essere individuate con riferimento a un numero aperto, indeterminato e indefinito di rapporti e relazioni del soggetto pubblico, ma necessitano di approfondita indagine.

Una seconda indicazione rilevata dal parere in commento attiene alla necessità – esclusa dallo schema – di assoggettare le linee guida all’analisi di impatto della regolazione (AIR), in virtù della circostanza che trattasi in ogni caso di atti regolatori riguardanti questioni particolarmente rilevanti per il mercato e che producono effetti su un numero elevato di destinatari.

Ancora, l’Organo consultivo non condivide la scelta operata dallo schema di linee guida di sussumere, nel conflitto di interessi, le situazioni di controllo o collegamento ex art. 2359 c.c. tra stazione appaltante e società concorrente, stabilendo una presunzione di favor nei confronti di quest’ultima. Il Consiglio di Stato rileva, sul punto, che l’art. 42 disciplina esclusivamente le situazioni di conflitto di interesse del funzionario pubblico, che può squilibrare la scelta a favore di un concorrente, con ciò danneggiando allo stesso tempo la concorrenza, e quindi anche l’interesse materiale della stazione appaltante alla scelta migliore, e l’immagine di questa. Viceversa, l’eventuale danno alla concorrenza derivante dalla partecipazione azionaria della stazione appaltante non potrebbe essere imputato all’agente, salvo ritenere che, poiché questi agisce nell’interesse della stazione, quindi potrebbe favorire la società controllata non per suo personale interesse ma per quello del terzo (stazione appaltante) incorrendo così nella ipotesi di interesse indiretto. Da tale impostazione deriverebbe che qualunque funzionario della stazione appaltante versi per ciò solo in conflitto di interessi permanente nel caso di partecipazione di una controllata, con la conseguenza che tale partecipazione sarebbe del tutto impedita de facto, raggiungendo così, attraverso una via indiretta, la esclusione dalle gare delle società partecipate dalla stazione.

A parere del Collegio, la legittimità della partecipazione a gare di società controllate dalla stazione appaltante attiene ad una diversa materia e non può essere indagata nel contesto del conflitto di interessi.

Il Consiglio di Stato, poi, passa ad analizzare le specifiche norme dell’articolato predisposto dall’Anac, condividendo l’estensione della disciplina sotto i profili soggettivi ed oggettivi.

Sotto il profilo oggettivo, in quanto l’articolo 42 del d.lgs. n. 50/2016 viene applicato agli affidamenti nei settori speciali sia sopra che sotto soglia, nonché a tutte le procedure ad evidenza pubblica espletate dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici come individuati dall’articolo 3 del d.lgs. n. 50/2016, ivi incluse le società pubbliche e i soggetti privati che operino in qualità di stazioni appaltanti.

Sotto il profilo soggettivo, nell’ambito di applicazione dell’articolo 42 del Codice dei contratti pubblici rientrano “tutti coloro che intervengono a qualsiasi titolo nel ciclo di vita dell’appalto”, non soltanto nei momenti decisori della procedura, ma anche, e forse più frequentemente, nelle fasi conoscitive di essa e talvolta anche in connessione con banali operazioni burocratiche (si pensi alla protocollazione in entrata di documenti per aversi data certa). Ciò al fine di evitare alterazioni della par condicio.

Si passa poi all’esame delle ulteriori disposizioni nell’ottica sempre di una disciplina che scioglie il groviglio di conflitti di interesse che minaccia il corretto svolgimento dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici.