Corte di cassazione, Sezioni unite civili, ordinanza 30 novembre 2018, n. 31108

La domanda avanzata da un'impresa concessionaria di servizi di trasporto pubblico per l’adeguamento dei contributi dovuti dall'ente territoriale, in osservanza degli operanti criteri legali di derivazione comunitaria, è assoggettata alla giurisdizione del giudice ordinario, non essendo ravvisabili nel procedimento amministrativo di accertamento del quantum, momenti di valutazione comparativa degli interessi privati e pubblici in gioco, ma esclusivamente l'applicazione di un parametro di natura normativa, ed essendo, conseguentemente, qualificabile come diritto soggettivo ad ottenere l'adempimento di un’obbligazione pecuniaria la posizione giuridica soggettiva astrattamente azionata.

La questione di giurisdizione sottoposta alla Suprema Corte origina dalla controversia per mancato adeguamento della Regione Campania ai maggiori oneri sostenuti dall’impresa concessionaria del servizio di trasporto pubblico su gomma nel momento di proroga contrattuale. In particolare, la causa sollevata innanzi al giudice civile, su dichiarazione di difetto di giurisdizione del medesimo, era stata riassunta dal giudice amministrativo che a sua volta aveva sollevato conflitto di giurisdizione davanti alla Suprema Corte.

La decisione, quindi, concerne la corretta perimetrazione dei confini tra giurisdizione civile e amministrativa nel campo delle concessioni di pubblici sevizi. Come noto, l’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. (già art. 5 L. n. 1034/1971) prevede un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A. sulle controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni.

La disposizione si pone in linea con l’art. 103 Cost. che attribuisce al G.A. la conoscibilità di questioni riguardanti anche diritti soggettivi in particolari materie, in forza di un principio di concentrazione, effettività della tutela e certezza del diritto. Nelle materie di giurisdizione esclusiva, dunque, si supera il principio della causa petendi, alla base della distinzione tra giurisdizione civile e amministrativa, in favore di un giudizio amministrativo capace di sindacare ed incidere anche sui diritti soggettivi. La questione in commento, allora, non presenterebbe rilevanti problemi di inquadramento, posta la devoluzione al G.A. dell’intera materia relativa alle concessioni di pubblici servizi.

Tuttavia l’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. prosegue specificando che le azioni aventi oggetto “indennità, canoni ed altri corrispettivi […]” non rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A., di fatto introducendo un’eccezione al sistema sin qui delineato. Qualora, quindi, la controversia, pur riguardando una concessione di pubblico servizio involga profili patrimoniali relativi ad indennità, canoni ed altri corrispettivi la giurisdizione del G.A. non è più scontata, anzi sembrerebbe negata.

Ci si è chiesti, infatti, se l’inciso finale richiamato istituisca a contrario una giurisdizione esclusiva del G.O., o piuttosto non produca una riespansione del criterio generale della causa petendi. Muovendo dall’assunto che il giudice degli interessi legittimi è per espressa previsione costituzionale il giudice amministrativo, è oggi incontroverso che il legislatore, nell’escludere dalla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi in materia di concessioni di servizi pubblici non abbia voluto istituire una contrapposta giurisdizione del G.O., quanto precisare che in quelle determinate ipotesi si applicano i tradizionali criteri di riparto, basati sull’analisi dell’effettiva consistenza sostanziale della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio in termini di diritto soggettivo (giurisdizione del G.O.) o di interesse legittimo (giurisdizione del G.A.)[1].

La questione in esame di carattere eminentemente patrimoniale sottoposta al vaglio della Suprema Corte, dunque, vertendo sul diritto alle compensazioni a fronte di obblighi contrattuali per effetto di previsioni comunitarie (Reg. CEE n. 1191 del 1969) rientra nelle ipotesi non ricomprese nella giurisdizione esclusiva del G.A. Di talché riespandendosi le norme generali del riparto e non ravvisandosi nella specie alcun esercizio da parte della P.A. di un potere autoritativo[2], dovrà dichiararsi la giurisdizione del G.O. Invero, nel procedimento amministrativo di accertamento del quantum non si presentano momenti di valutazione comparativa tra interessi privati e pubblici e, dunque, la pubblica amministrazione non esercita alcuna attività discrezionale, trattandosi di mera applicazione di un parametro di natura normativa, cui corrisponde un diritto soggettivo del privato all’adeguamento del credito[3].

Di talché, la giurisdizione esclusiva del GA, seguendo una logica di concentrazione presso un’unica giurisdizione di tutte le controversie afferenti al rapporto concessorio, è esclusa solo qualora la controversia tra PA e privato riguardi questioni esclusivamente civilistiche, relative agli aspetti patrimoniali derivanti dal rapporto. Per giurisprudenza costante, quindi, sono devolute alla giurisdizione del G.O. quelle controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi del rapporto concessorio che abbiano mero contenuto patrimoniale, mentre rientrano nella giurisdizione amministrativa quelle controversie che coinvolgono l’esercizio di poteri discrezionali anche riguardanti la determinazione del canone, dell’indennità e degli altri corrispettivi, ovvero le remunerazioni collegate al contratto condizionate da atti autoritativi della P.A. stessa[4].

Pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo anche laddove la questione riguardi il contenuto del contratto relativamente al rapporto concessorio nel suo momento genetico e funzionale[5]. Ogniqualvolta sia inciso il rapporto sinallagmatico alla base della giurisdizione esclusiva come accade, ad esempio, per le decisioni concernenti gli obblighi, la durata, la rinnovazione o l’esistenza stessa del rapporto, quindi, spetterà al G.A. conoscere della controversia[6]. Il giudice ordinario, invece, potrà conoscere delle azioni tese al rilascio dei beni oggetto di concessione, purché non venga in contestazione l'esistenza stessa del rapporto[7].

Tale criterio di riparto, inoltre, si giustifica alla luce della natura stessa del rapporto concessorio, il quale ha una conformazione trilatera - tra PA, concessionario e utenza -  che rende la valutazione dell’interesse pubblico imprescindibile lungo tutto il corso dell’esecuzione contrattuale. Anche le modalità con le quali il servizio viene gestito dal concessionario in sostituzione della P.A. restano fondamentale oggetto di valutazione autoritativa pubblica, poiché funzionalmente finalizzate alla tutela di necessità collettive.

 

 

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[1] Cons. Stato, Sez. VI, 11 luglio 2017, n. 3418; Cass. civ., [ord.], Sez. Un., 11 ottobre 2011, n. 20902.

[2] Il  dibattito sorto tra G.O. e G.A. sulla giurisdizione, come noto, si è incentrato sulla nozione di potere pubblico definita grazie ai ripetuti interventi del giudice costituzionale sul punto. Con tre sentenze in materia (Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140; Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191; Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204), la Corte costituzionale è intervenuta da un lato confermando che il riparto di giurisdizione deve essere fondato sul criterio del petitum sostanziale  e non piuttosto sul riparto operato dal legislatore per blocchi di materie che restano ipotesi residuali, dall’altro facendo rientrare nella nozione di pubblico potere anche quei comportamenti della P.A. che sono riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di tale potere. È stato, inoltre, smentito l’assunto per cui “dove c’è diritto non c’è potere”, riconoscendo che anche in presenza di un potere amministrativo possa sussistere un contrapposto diritto fondamentale da tutelare.

[3] In senso conforme, Cass. civ., ord. 9 agosto 2018, n. 20682 (pur statuendo, poi, nella specie, per la giurisdizione del G.A.); Cass., Sez. Un., 22 luglio 2016, n. 15201; Cons. Stato, 22 gennaio 2014, n. 337; Cass., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9690; Cass., Sez. Un., 14 novembre 2012, n. 19828; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2011, n. 397.

[4] Cons. Stato, 12 novembre 2013, n. 5421; Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2011, n. 20939; Id., 31 marzo 2005, n. 6744.

[5] Cass., Sez. un., 26 giugno 2003, n. 10157.

[6] Cons. Stato 12 novembre 2013, n. 5421; Cass., Sez.un. 20 novembre 2007, n. 24012.

[7] Cass. civ., Sez. un., 6 giugno 2002, n. 8227.