Cons. Stato, Sez. III, 4 maggio 2018, n. 2663

1. Allorquando un operatore economico interessato a prender parte a una procedura di gara sia consapevole, sin dalla pubblicazione del bando, di non poter presentare un’offerta remunerativa e allo stesso tempo adeguata, stante la sottostima dell’importo posto a base di gara, egli è tenuto a procedere all’immediata impugnazione della relativa clausola, senza attendere l’esito della procedura.

2. Condiviso è invero che fra le clausole cd. “escludenti”, come tali necessitanti di immediata e autonoma impugnazione, rientrano anche quelle che rendono la partecipazione (possibile ma) inutile, contra ius, eccessivamente gravosa sul piano tecnico ed economico.

(2) Conforme Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2017, n. 1809; Idem, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8498 del 2017, proposto da: 
Gielle di Luigi Galantucci, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Anna Lillo, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Studio Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, 30; 

contro

Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Florenza Russo, Marcella Mamone, domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; 

nei confronti

Coopservice soc. coop. p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Pierpaolo Salvatore Pugliano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Messico, 7; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE I, n. 01526/2017, resa tra le parti, concernente l'affidamento del servizio “trasporti interni (materiale biologico e sanitario, farmaci, ecc.) servizio navetta da e per le UU.OO. dei PP.OO. dell'A.O.P.C. e per il servizio di accompagnamento pazienti deambulanti e non dal pronto soccorso alle varie strutture diagnostiche”;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio e di Coopservice Soc. Coop. P.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Marco Petitto su delega di Anna Lillo, Marcella Mamone e Pierpaolo Salvatore Pugliano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la deliberazione dell'Azienda Ospedaliera ”Pugliese- Ciaccio” n. 225 in data 2 agosto 2017 è stata aggiudicata definitivamente alla Coop Service S.c.p.a. la procedura aperta ai sensi dell'art. 60 del d.lgs. 50/2016 per l’affidamento del servizio quinquennale relativo a “trasporti interni 1 (materiale biologico e sanitario, farmaci) servizio navetta da e per le unità operative dei presidi ospedalieri dell’Azienda e per il servizio di accompagnamento pazienti deambulanti e non dal pronto soccorso alle varie strutture diagnostiche”.

2. La seconda classificata, impresa Gielle di Luigi Galantucci, ha impugnato il provvedimento, unitamente agli atti presupposti, dinanzi al TAR Calabria, lamentando che l’importo a base di gara fosse sottostimato, giacché la stazione appaltante avrebbe errato nel calcolare il numero di ore occorrenti per l’espletamento dell’attività ed il costo medio orario del personale dipendente da imprese esercenti servizi integrati, fissato nelle tabelle ministeriali.

3. Il TAR Calabria, con la sentenza appellata (I, n. 1526/2017), ha dichiarato irricevibile il ricorso in quanto proposto oltre il termine di decadenza (e conseguentemente inammissibili i motivi aggiunti), affermando che, stante il contenuto dei vizi dedotti, la ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare tempestivamente il bando (pubblicato sulla G.U. del 27 giugno 2016, vale a dire oltre un anno prima della proposizione del ricorso, non risultando ad essa preclusa la piena cognizione della documentazione relativa alle condizioni contrattuali).

4. Nell’appello, Gielle prospetta i motivi appresso indicati.

(I) – L’appellante ricorda di aver lamentato in primo grado che: (i) – la stazione appaltante, in violazione dell’art. 23, commi 15 e 16 del d.lgs. 50/2016 (prima del correttivo, che ha reso ancor più stringente l’obbligo) non avesse previamente definito il costo della manodopera, ed avesse (in tal modo) omesso/errato il calcolo degli importi per l’acquisizione dei servizi ed il prospetto economico necessario per l’acquisizione dei servizi, essendo la base d’asta assolutamente insufficiente a remunerare i costi complessivi; (ii) – avesse completamente errato, in violazione degli artt. 30, commi 3 e 4, e 35, comma 4, del d.lgs. 50/2016, la determinazione del valore stimato posto a base d’asta – euro 4.275.000,00 per il quinquennio, pari a 855.000,00 annui); infatti, posto che le prestazioni richieste nel disciplinare sviluppano un monte ore annuo (superiore a quello – 57.000- della precedente gara, in quanto comprensivo di nuove e diverse prestazioni per trasporto merci di magazzino e documentazione sanitaria) di 63.496 (37.216 per la componente riconducibile alle imprese servizi integrati per cui si applica il c.c.n.l. multiservizi e 26.280 per la componente socio-sanitario-assistenziale per le quali trovano applicazione le tabelle ministeriali ed il c.c.n.l. OO.S.S.), applicando il costo medio esemplificato nelle tabelle ministeriali (17,78 e 19,76 euro orari), si ottiene un costo complessivo annuo di 1.180.993,28; anche applicando il costo medio ritenuto congruo dalla stazione appaltante per la gara del 2014 annullata in autotutela, si otterrebbe comunque un ammontare del costo del lavoro – 945.455,44 – superiore alla base d’asta).

Ribadisce che, per quanto sopra, la base d’asta non consentiva ai concorrenti “un utile presentazione dell’offerta che possa rispettare gli inderogabili costi del lavoro” (ex art. 30, commi 3 e 4, d.lgs. cit.).

(II) – Contrariamente a quanto ha ritenuto il TAR, la previsione della lex specialis non poteva ritenersi autonomamente lesiva ai sensi dell’art. 119, comma 5, cod. proc. amm., in quanto – anche con riferimento alle coordinate giurisprudenziali che hanno ampliato l’ambito dell’onere di immediata impugnazione - non impediva la partecipazione né imponeva oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati né rendeva impossibile la formulazione dell’offerta.

In primo grado si era in sostanza stigmatizzato la non remuneratività ed antieconomicità del contratto in affidamento, che è situazione definitivamente accertabile solo quando, presentate e conosciute le offerte economiche dei concorrenti, se ne appurano dette caratteristiche.

In conclusione, la sottostima del costo del servizio “ha precluso la presentazione di un’offerta adeguata, nel senso di remunerativa, ovvero di un’offerta competitiva, giammai ha impedito la partecipazione ai concorrenti”.

(III) – La stazione appaltante non ha consentito l’accesso all’offerta dell’aggiudicataria, così impedendo, in violazione dell’art. 53, comma 6, del d.lgs. 50/2016, la dimostrazione della sua non remuneratività.

(IV) – E’ ingiusta la condanna alle spese disposta dal TAR, in mancanza della prova avversa di un danno, dei presupposti per la lite temeraria o di un contrasto della tesi prospettata con principi consolidati della giurisprudenza.

5. Si è costituita e controdeduce la stazione appaltante, prospettando che:

- l’appello è inammissibile per genericità dei motivi;

- l’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria è tardiva;

- vi è stata acquiescenza;

- è stato consentito all’appellante di accedere agli atti, fatti salvi i dati tecnici dell’offerta della controinteressata, comunque conosciuta (come risulta dall’istanza inoltrata per ottenere l’autotutela);

- nel merito, l’offerta aggiudicataria ha quantificato il costo della manodopera in euro 4.167.164,87 con un utile aziendale di euro 17.049,13 annui, sufficiente alla luce dello scopo mutualistico perseguito, ed è stata valutata congrua rispetto al costo del lavoro in sede di verifica dell’anomalia;

- difetta la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di declaratoria di inefficacia del contratto (cita pronunce risalenti).

6. Si è costituita e controdeduce anche l’aggiudicataria, prospettando che:

- la pronuncia del TAR è corretta, in quanto sussisteva l’onere di immediata impugnazione; infatti, o l’offerta era ab imis impossibile da formulare per l’antiremuneratività degli importi e dei costi fissati in sede di gara, e ciò avrebbe dovuto comportare la immediata impugnazione del bando, oppure l’offerta era possibile formularla congruamente, tanto da giocarsi l’aggiudicazione della gara sino all’ultimo, il che però si pone in stridente contrasto con la censura tardiva di una antiremuneratività a macchia di leopardo; chi ritiene che l’importo a base d’asta sia non remunerativo e antieconomico non solo è impossibilitato a presentare un’offerta che sa di non poter rispettare, ma ha pure l’onere di impugnare immediatamente il bando;

- l’art. 23, commi 15 e 16, del codice dei contratti, novellato, che impone di indicare negli atti di gara il costo della manodopera, non è applicabile alla gara in questione in quanto pubblicata prima del 19 maggio 2017.

7. le parti private hanno depositato memorie di replica.

8. Il Collegio ritiene anzitutto di disattendere le eccezioni pregiudiziali suindicate.

Infatti: l’appello è puntuale nel contestare la tesi della sussistenza dell’onere di immediata impugnazione e nel ribadire le censure concernenti la non remuneratività del valore a base di gara non esaminate dal TAR; nessun onere di impugnazione sussisteva nei confronti dell’aggiudicazione provvisoria, essendo sufficiente quella dell’aggiudicazione definitiva; non si ravvisa alcun elemento dal quale desumere un comportamento acquiescente nei confronti dell’esito della gara.

9. Nel merito, la conclusione raggiunta dal TAR appare condivisibile.

L’infondatezza della tesi dell’appellante in ordine alla non attualità della lesione, e quindi dell’insussistenza dell’onere di impugnazione della lex specialis, appare evidente se solo si considera che l’intera impugnazione è incentrata sull’aver la stazione appaltante fissato un valore base di gara troppo basso.

E’ utile rimarcare la prospettazione dell’ultima memoria dell’appellante, nella quale si sottolinea che la disciplina di gara “ha determinato esclusivamente un effetto distorsivo sulla diretta partecipazione dei concorrenti, consistito nell’imposizione … dell’onere di formulare offerte inadeguate: o perché non pienamente remunerative, o, perché non pienamente satisfattive dei servizi richiesti. Peraltro, l’accertamento dell’inadeguatezza delle offerte, quale conseguenza della errata determinazione del costo del servizio sarebbe stato possibile solo dopo la loro produzione e conoscenza. Quindi solamente dopo l’espletamento delle operazioni di gara e l’aggiudicazione, non già in un momento in cui le offerte nemmeno erano conosciute”.

E’ dunque la stessa appellante che individua nell’alternativa esclusiva tra un’offerta non remunerativa (in perdita) ed un’offerta inadeguata (non rispettosa dei contenuti minimi richiesti) l’effetto inevitabile della soglia economica massima stabilita dalla stazione appaltante.

Allorché descrive l’inattualità della lesione, l’appellante si pone dal punto di vista della stazione appaltante, che evidentemente non è in grado di conoscere compiutamente il contenuto delle offerte se non dopo averle esaminate e valutate. Ma non è da questo punto di vista, bensì da quello degli operatori economici interessati a diventare concorrenti, che va considerata la lesività della lex specialis.

Da quest’ultimo, corretto, punto di vista, la stessa prospettazione dei motivi di impugnazione implica che l’odierna appellante avesse piena consapevolezza che, sulla base della propria situazione aziendale e dei costi del lavoro che reputava incomprimibili (secondo l’impugnazione, ciò risultava automaticamente in base ai dati oggettivi di calcolo – l’intera analitica prospettazione del primo ordine di censure, sopra riportata, ne è eloquente testimonianza), non avrebbe potuto presentare un’offerta remunerativa e allo stesso tempo adeguata; che, dunque, la lesione fosse attuale e concreta, in quanto, proprio per evitare il paradosso di dover eseguire, in caso di aggiudicazione (evento tutt’altro che impossibile, data la coincidenza dell’offerta economica dell’appellante e il piccolo scarto di punteggio tecnico rispetto alla prima classificata) un’offerta non remunerativa, ovvero un’offerta non adeguata, avrebbe dovuto contestare immediatamente il valore a base di gara, a suo dire insufficiente ed illegittimo.

Com’è noto, questa Sezione ha recentemente rimesso all’Adunanza Plenaria questioni concernenti la delimitazione dell’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara (cfr. Cons. Stato, III, n. 5138/2017-ord.).

Com’è stato evidenziato in quella sede, oltre alle eccezioni al principio della necessaria postergazione della contestazione delle clausole del bando, già richiamate dalla Plenaria n. 1/2003, la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo specificato che l’impugnazione immediata è ammessa – e imposta – per le ipotesi, tra le altre, di disposizioni abnormi o irragionevoli, che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, V, n. 980/2003, n. 4414/2005 e n. 3489/2010); nonché di condizioni negoziali indicate nello schema di contratto, che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, V, n. 6135/2011; C.G.A., n. 474/2016).

Ed è stato altresì rimarcato che, in sostanza, la linea di tendenza giurisprudenziale successiva all’Adunanza Plenaria e fedele ai suoi insegnamenti ed alle sue premesse in punto di interesse sostanziale, afferma un principio che può compendiarsi nell’impugnabilità immediata, non solo delle clausole che “impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale”, giusto quanto affermato nella decisione n. 1/2003, ma anche delle clausole che rendono la partecipazione (possibile ma) inutile, contra ius, eccessivamente gravosa sul piano tecnico ed economico (Cons Stato, III, n. 591/2015 e n. 1809/2017; IV, n. 4180/2016).

Alla luce di tale quadro di riferimento interpretativo, il Collegio ritiene che la vicenda in esame sia certamente riconducibile alle ipotesi di onere di immediata impugnazione, senza che vi sia bisogno di attendere l’ulteriore decisione dell’Adunanza Plenaria.

D’altra parte, questa Sezione – con riferimento ad una vicenda del tutto analoga – ha recentemente affermato l’onere di immediata impugnazione, sottolineando che “ … La previsione del disciplinare di gara infatti, proprio per il tenore della censura e indipendentemente dall’esito della gara, appariva immediatamente lesiva per la ricorrente, che proprio in base alla sua stessa prospettazione sarebbe stata costretta dalla legge di gara a formulare una offerta asseritamente illogica sul piano della convenienza economica oltre che, come deduce l’appellante … asseritamente irragionevole e illogica, per la stessa stazione appaltante …”.

In conclusione, l’appellante, se si fosse aggiudicata l’appalto, sarebbe stata costretta ad eseguirlo in perdita o in violazione delle regole sui contenuti dell’offerta tecnica, e da qui discende inevitabilmente l’immediata concreta lesività della base d’asta contestata.

10. L’infondatezza del motivo di appello volto a mettere in discussione l’esito processuale del primo grado, conduce alla conferma della sentenza appellata, risultando irrilevanti le censure riproposte.

11. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’Azienda ospedaliera e della società appellate, della somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge, ciascuna, per spese del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Guida alla lettura

Un’azienda ospedaliera indiceva una gara per l’affidamento del servizio di accompagnamento pazienti (deambulanti e non) dal pronto soccorso alle varie strutture diagnostiche.

All’esito della procedura, l’impresa seconda graduata proponeva ricorso dinanzi al competente T.A.R. lamentando, fra l’altro, la sottostima dell’importo posto a base di gara. In ragione di tanto, chiedeva l’annullamento della disposta aggiudicazione nonché della lex specialis.

L’adito G.A. riteneva il ricorso irricevibile in quanto proposto oltre il termine di decadenza previsto dalla legge. Evidenziava invero come la clausola del bando censurata dalla ricorrente rientrasse fra quelle immediatamente lesive, come tale necessitante di tempestiva e autonoma impugnazione.

Avverso il decisum è insorta la società originaria ricorrente, stigmatizzando l’assunto fatto proprio dal Giudice di prime cure. In particolare, ha rilevato come la previsione della lex specialis impugnata unitamente all’atto di aggiudicazione non potesse ritenersi autonomamente lesiva, atteso ch’essa non impediva la partecipazione né imponeva oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati né, ancora, rendeva impossibile la formulazione dell’offerta. Ciò che si era lamentato in primo grado, ha proseguito la società, era invero la non remuneratività e, dunque, antieconomicità del contratto in affidamento, situazione – questa - definitivamente accertabile solo al momento della presentazione delle offerte economiche da parte dei concorrenti.

Il C.d.S. ha ritenuto il gravame infondato.

Nel dettaglio, ha osservato come l’appellante, nel descrivere l’inattualità della lesione, si fosse posta dal punto di vista della stazione appaltante, questa effettivamente non in grado di conoscere compiutamente il contenuto delle offerte se non dopo averle esaminate e valutate. Senonché, ha proseguito Palazzo Spada, non è da siffatta angolazione che la lesività della lex specialis merita di essere considerata, bensì da quella degli operatori economici interessati a diventare concorrenti.

Ciò precisato, il Collegio ha evidenziato come l’appellante, sin dalla pubblicazione del bando, avesse piena consapevolezza che, sulla base della propria situazione aziendale e dei costi del lavoro che reputava incomprimibili, non avrebbe potuto presentare un’offerta remunerativa e allo stesso tempo adeguata e che, dunque, la lesione (lamentata all’esito della procedura) fosse sin da allora attuale e concreta, in quanto, proprio per evitare il paradosso di dover eseguire, in caso di aggiudicazione, un’offerta non remunerativa, ovvero un’offerta non adeguata, avrebbe dovuto contestare immediatamente il valore a base di gara, a suo dire insufficiente e illegittimo.

Condiviso è d’altronde che fra le clausole cd. “escludenti”, come tali necessitanti di immediata e autonoma impugnazione, rientrino anche quelle che rendono la partecipazione (possibile ma) inutile, contra ius, eccessivamente gravosa sul piano tecnico ed economico (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2017, n. 1809; Idem, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180).