Tar Puglia – Bari sez. I, sentenza n. 1144 del 9 novembre 2017

1. L’istituto della revoca postula l’attuale e sopravvenuta carenza di rispondenza dell’atto che si intende rimuovere alle pubbliche esigenze, discrezionalmente dedotta dalla Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata valutazione degli elementi posti a fondamento dello stesso. Esso, in altre parole, postula il verificarsi di sopravvenienze (sopravvenuti motivi di pubblico interesse; mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o nuova valutazione dell'interesse pubblico originario) che radicano, peraltro, l’efficacia ex nunc dell’atto di ritiro.

2. L'esistenza di vizi originari che inficiano la legittimità dell'atto giustifica il rimedio dell’annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. n. 241/1990. In tal caso non è dovuto alcun indennizzo in favore del destinatario dell'atto, venendo in considerazione, non una mera valutazione di opportunità della p.a. procedente, bensì la sussistenza di un interesse pubblico alla caducazione di un provvedimento illegittimo.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

 

(Sezione Prima)

 

sul ricorso numero di registro generale 359 del 2015, proposto da:

Oma Service S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Gianfranco Tarantino e Carlo Tangari, con domicilio eletto presso lo studio Carlo Tangari in Bari, via Piccinni, n.150;

contro

A.M.T.A.B. Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Mariani, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Amendola, 21;

per

il risarcimento danno conseguente alla revoca dell’aggiudicazione definitiva della gara per la fornitura in leasing di automezzi,

ovvero, in subordine, per il ristoro, a titolo di indennizzo, ex art. 21 quinquies, L. n. 241/1990.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ A.M.T.A.B. Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2017 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con bando pubblicato in data 5.9.2014, AMTAB s.p.a. ha indetto, ai sensi dell’art. 55 D.lgs. n. 163/2006, una procedura aperta per la fornitura di dieci autobus usati, mediante leasing della durata di 36 mesi, con importo a base di gara pari ad euro 380.000,00 oltre IVA, e aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa.

In particolare, l’art. 3 del disciplinare di gara prevedeva la possibilità di eseguire la prestazione richiesta attraverso due diverse formule negoziali:

- la stipula di un unico contratto (di leasing tra aggiudicatario, in qualità di locatore finanziario, e stazione appaltante, in qualità di conduttore finanziario), ove l’impresa fornitrice disponesse dell’autorizzazione alla concessione di finanziamenti a mezzo leasing;

- la stipula di due distinti contratti: un primo contratto di fornitura tra l’impresa fornitrice e la società finanziaria ed un secondo contratto di leasing tra quest’ultima e l’AMTAB s.p.a.

Ha partecipato alla gara la sola OMA Service s.r.l., odierna ricorrente, la quale ha presentato un’offerta economica per un importo complessivo pari ad euro 365.000,00 oltre IVA (quale valore comprensivo degli oneri di leasing), optando per la seconda formula contrattuale descritta.

In data 23.10.2014, il Consiglio di amministrazione di AMTAB s.p.a. ha deliberato l’aggiudicazione definitiva della gara nei confronti della predetta società, cui è stata comunicata con nota prot. n. 15645 del 3.11.2014, a firma del Direttore Generale.

Durante il successivo Consiglio di amministrazione del 24.11.2014 è emerso che “l’Unicredit non ha dato seguito alla richiesta di leasing per l’acquisto di autobus usati ritenendo la richiesta non accoglibile avendo i mezzi superato il loro periodo di ammortamento” (cfr. estratto verbale CDA del 24.11.2014).

Conseguentemente la stazione appaltante, con nota prot. n. 17382 del 2.12.2014, ha comunicato alla odierna ricorrente la revoca in autotutela del provvedimento di aggiudicazione in suo favore, dando atto dei sopraindicati motivi ostativi alla stipula del contratto.

Con il presente ricorso, OMA Service s.r.l. formula domanda di ristoro economico per il pregiudizio derivante da tale provvedimento (di cui non ha chiesto, né chiede, l’annullamento).

Reclama:

- in via principale, il risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio del potere di revoca, lamentando, in estrema sintesi, l’illegittimità del provvedimento adottato;

- in subordine, il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale;

- in estremo subordine, il ristoro a titolo di indennizzo ex art. 21 quinquies, L. n. 241/1990, adducendo i motivi di cui si darà conto nel prosieguo.

Pone a fondamento della propria pretesa, oltre a vizi procedimentali del provvedimento di revoca, la circostanza che del tutto erroneamente l’AMTAB s.p.a. ha ritenuto non eseguibile il contratto di fornitura per impossibilità di acquisire in leasing i mezzi reperiti dall’aggiudicataria, avendo proceduto a interpellare un solo istituto di credito, senza curarsi di effettuare ulteriori indagini nei confronti di altri locatori finanziari.

Si è costituita in resistenza l’AMTAB s.p.a., eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, proposto oltre il termine di 60 giorni decorrenti dalla conoscenza dell’atto di cui – secondo la prospettazione la resistente– la società ricorrente reclamerebbe l’annullamento in via incidentale; nel merito, ha difeso l’operato dei propri uffici, essendo la stipula del contratto oggetto di gara necessariamente subordinata alla circostanza che l’esecuzione della fornitura avvenisse mediante leasing, come emerge dall’art. 3 del disciplinare di gara.

Alla pubblica udienza del 4.10.2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Deve in primo luogo essere vagliata la preliminare eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso, sollevata da parte resistente.

Essa è destituita di fondamento.

La sostenuta tardività del ricorso fa leva sulla qualificazione della tutela azionata quale domanda di annullamento incidentale dell’atto di revoca dell’aggiudicazione, proposta oltre il termine decadenziale di 60 giorni imposto dall’art. 29 c.p.a.

La tesi prospettata non persuade.

La ricorrente, infatti, agisce solo per la tutela risarcitoria, senza invocare la tutela demolitoria.

Invero, l’art. 30 c.p.a., nell’affrancare –all’esito di un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale– l’azione risarcitoria da quella demolitoria, impone il solo rispetto del termine decadenziale di cui al comma 3.

Parte ricorrente ha, invero, tempestivamente proposto la domanda di risarcimento del danno lamentato, atteso che la comunicazione del provvedimento di revoca è avvenuta in data 2.12.2014 e l’odierno ricorso è stato depositato in data 17.3.2015, nel pieno rispetto del termine imposto dalla citata norma a pena di decadenza.

Sgomberato il campo dalla questione preliminare di ammissibilità del ricorso, può esserne vagliato il merito.

Esso è infondato, con conseguente sua reiezione.

Deve, in primo luogo, essere respinta la domanda di risarcimento del danno derivante dall’illegittimità del provvedimento di revoca, in quanto le tre ragioni di illegittimità denunciate risultano tutte infondate.

Parte ricorrente, in primo luogo, si duole dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, che le avrebbe consentito di proporre alla stazione appaltante soluzioni alternative per la stipula del contratto di leasing. Allega, infatti, di aver acquisito la disponibilità in tal senso della società Romito e Associati s.a.s.

Alla luce di una attenta analisi della documentazione versata in atti emerge, tuttavia, che la descritta circostanza non è dotata della forza persuasiva reclamata dalla ricorrente.

Si evince, infatti, dalla lettura della nota inviata dalla predetta società in data 6.9.2014, la disponibilità della stessa alla mera valutazione della richiesta di leasing, “salvo approvazione della direzione”, difettando, dunque, un concreto e serio impegno alla stipula della locazione finanziaria. Né ulteriori e concrete soluzioni sono state prospettate dalla ricorrente nell’ambito dei propri atti difensivi.

Vale, pertanto, a superare la dedotta censura, il richiamo all’art. 21 octies L. n. 241/1990, con il quale il legislatore, introducendo il principio di dequotazione dei vizi formali, ha formulato un’opzione di natura sostanzialistica, in virtù della quale la violazione delle regole partecipative va valutata, relativamente all’indagine circa la legittimità dell’atto amministrativo, avendo riguardo alla concreta possibilità per l’interessato di apportare elementi almeno astrattamente idonei ad incidere sul contenuto finale dell’atto conclusivo del procedimento.

Detta possibilità non si riscontra nell’odierna vicenda, in quanto, anche laddove la ricorrente fosse stata posta in condizione di rendere edotta la stazione appaltante dell’esito della propria attività di ricerca di una società finanziaria disposta a stipulare il contratto di leasing, l’Ente non avrebbe che potuto prendere atto dell’assenza di concrete soluzioni alternative in ordine al reperimento di un locatore finanziario.

Non merita favorevole apprezzamento neppure la seconda censura, con la quale parte ricorrente si duole dell’incompetenza del Direttore generale di AMTAB s.p.a. ad adottare il provvedimento di revoca, atteso che l’atto di aggiudicazione definitiva oggetto di autotutela era stato adottato dal C.D.A.

Prescindendosi, in questa sede, da ogni considerazione circa la questione, tutt’altro che pacifica, concernente l’applicabilità del principio del contrarius actus ad un ente di diritto privato, qual è l’odierna resistente, è , invero, dirimente la seguente considerazione.

Emerge, infatti, ictu oculi, dalla lettura degli atti in esame, che essi risultano entrambi deliberati dal C.D.A. e comunicati con nota del Direttore generale, sicché la doglianza, comunque non è fondata.

È, infine, destituita di fondamento la doglianza attinente al difetto dei presupposti sostanziali necessari per addivenire a provvedimento di revoca in autotutela.

Sostiene parte ricorrente che il diniego opposto dall’istituto di credito Unicredit non costituirebbe presupposto sufficiente per procedere alla revoca dell’atto di aggiudicazione, poiché la stazione appaltante, come anticipato, avrebbe dovuto vagliare la percorribilità di soluzioni alternative, atteso che il bando di gara non individuava l’Unicredit quale esclusivo interlocutore per la conclusione del contratto.

Lamenta, quindi, che non vi fossero i presupposti per ritenere oggettivamente impossibile l’esecuzione del contratto.

Sennonchè, emerge dalla documentazione versata in atti l’assoluta inidoneità dei beni offerti dalla ricorrente a formare oggetto di leasing, atteso che il loro stato di obsolescenza – i mezzi risultano, infatti, immatricolati tra il 2001 e il 2003 – ne impediva l’ammortamento (circostanza rimasta del tutto incontestata).

Poiché la lex specialis individuava espressamente la stipula del contratto di leasing quale modalità esclusiva di esecuzione della fornitura degli autobus oggetto di gara, ne discende che i mezzi offerti mancavano delle qualità essenziali per realizzare la fornitura secondo le modalità imposte dalla stazione appaltante.

In altri termini essi non potevano ritenersi adeguati alla concreta funzione economica cui, in base alla legge di gara, dovevano assolvere, avendo riguardo al complessivo assetto degli interessi fatto proprio dal regolamento negoziale.

Né, come precedentemente illustrato, sono state prospettate dalla ricorrente concrete soluzioni alternative per addivenire alla stipula di tale contratto.

D’altro canto, non emerge dalla lettura del bando di gara l’esclusiva competenza della stazione appaltante all’individuazione di una società finanziaria disponibile alla conclusione del previsto contratto, di tal ché ben avrebbe potuto e dovuto l’odierna ricorrente attivarsi in tal senso.

L’inidoneità dei mezzi offerti dall’odierna ricorrente a formare oggetto di leasing, giustifica l’adozione del provvedimento di rimozione in autotutela che, come si vedrà nel prosieguo, va, invero, qualificato quale annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies L. 241/1990, atteso che, difettavano ab initio le condizioni per l’aggiudicazione definitiva, in assenza di una concreta verifica relativa alla possibilità di concludere il richiesto contratto di leasing.

Non merita accoglimento neppure la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, proposta da parte ricorrente in via gradata.

La Sezione, infatti, non ravvisa la sussistenza in capo alla ricorrente dell’affidamento meritevole di tutela, in quanto il provvedimento di rimozione in autotutela è dipeso da causa imputabile, in primo luogo, alla ricorrente, in considerazione dell’“inutilità” della prestazione offerta, avuto riguardo alle complessive modalità della fornitura richiesta.

Giova, infatti, rilevare che la richiamata vetustà dei mezzi offerti dall’odierna deducente – i quali, come detto, avevano superato il loro periodo di ammortamento – non poteva ragionevolmente indurre a ritenere che essi avrebbero potuto formare oggetto di contratto di leasing, per la stipula del quale essi erano evidentemente del tutto inidonei risultando, pertanto, carenti di una qualità essenziale per la fornitura cui erano destinati a mente della lex specialis.

Pertanto, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento dei soggetti solo qualora questo sia incolpevole, non vi è spazio nell’odierna vicenda per il riconoscimento di una lesione in tal senso patita dall’odierna ricorrente, che avrebbe, invero, dovuto avvedersi della assoluta inidoneità della propria offerta.

Deve, infine, essere respinta la domanda di indennizzo ex art 21 quinquies L. n. 241/1990, formulata in estremo subordine dalla ricorrente.

Appare utile rilevare che l’istituto della revoca postula l’attuale e sopravvenuta carenza di rispondenza dell’atto che si intende rimuovere alle pubbliche esigenze, discrezionalmente dedotta dalla Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata valutazione degli elementi posti a fondamento dello stesso. Esso, in altre parole, postula il verificarsi di sopravvenienze (sopravvenuti motivi di pubblico interesse; mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o nuova valutazione dell'interesse pubblico originario) che radicano, peraltro, l’efficacia ex nunc dell’atto di ritiro.

Nella vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio, attese le considerazioni pocanzi illustrate, il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara all’odierna ricorrente risulta, invero, compromesso da vizi di legittimità originari, idonei a condurre al rimedio dell’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies L. n. 241/1990.

Erroneamente la stazione appaltante ha, infatti, provveduto al ritiro dell’atto de quo mediante lo strumento della revoca, dal momento che lo stesso non avrebbe dovuto essere ab origine adottato, essendo affetto da una forma di invalidità originaria, attesa la carenza, nei mezzi offerti dalla ricorrente, dei requisiti essenziali per la realizzazione dell’operazione negoziale indicata dal bando di gara.

Ne consegue che le medesime motivazioni che hanno condotto al ritiro del provvedimento in via di autotutela erano, in realtà, sussistenti sin dal momento della sua adozione.

Poiché, all’esito di un bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti nell’odierna vicenda, questi ultimi si rivelano recessivi, deve ritenersi che l’atto di revoca emanato dall’odierna resistente debba, invero, essere apprezzato alla stregua di un provvedimento di annullamento d’ufficio, per la cui adozione tutti i presupposti risultano sussistenti.

Né la riqualificazione dell’atto di ritiro nei termini suddetti lede il diritto di difesa della ricorrente, atteso che essa non incide sul nucleo essenziale delle doglianze proposte (che muove dalla contestazione della ritenuta impossibilità di eseguire il contratto di fornitura a causa della impossibilità di addivenire a leasing dei mezzi), bensì solo sul carattere originario o sopravvenuto di tale circostanza.

Non ricorrono, pertanto, le condizioni necessarie al fine della concessione dell’indennizzo previsto dall’art. 21 quinquies, ult. co. L. n. 241/1990, reclamato dall’odierna ricorrente.

In conclusione, alla luce di tutto quanto rappresentato, il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

Sussistono giusti motivi, attesa la natura della controversia nonché il complessivo contegno delle parti, per compensare le spese di lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri,          Presidente

Desirèe Zonno,           Consigliere, Estensore

Maria Grazia D'Alterio,         Referendario

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

La revoca dei provvedimenti amministrativi si configura come lo strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (e, quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.

I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21-quinquies delle legge 241/90 (per come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n.133 del 2014) e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici)[1].

Si tratta di una potestà che è connotata da un’ampia discrezionalità[2]. A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio[3], quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata a condizioni legittimanti dettagliate (e che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicchè il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente.

La revoca deve, quindi, essere disposta nel rispetto delle esigenze connesse alla tutela del legittimo affidamento ingenerato nel privato che ne risulta danneggiato e all’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto originario, nonché, più in generale, alla stabilità dei provvedimenti amministrativi, interessi che solo parzialmente trovano compensazione nella debenza di un indennizzo in favore dei soggetti che subiscono un pregiudizio dal provvedimento di secondo grado.

Nessun indennizzo è, invece, dovuto nell'ipotesi di annullamento in autotutela ex art. 21-nonies della L. 241 cit.. di un atto amministrativo illegittimo, laddove viene in considerazione, non una mera valutazione di opportunità della p.a. procedente, bensì la sussistenza di un interesse pubblico alla caducazione di un provvedimento illegittimo.

In entrambi i casi può, tuttavia, aprirsi il varco ad eventuali istanze risarcitorie, in particolare laddove l'esercizio del potere di autotutela sia stato determinato da un difetto del presupposto sul quale si fonda l'atto adottato, tale da non avere consentito una corretta e completa valutazione dell'interesse pubblico, e quindi un conseguente legittimo esercizio del potere provvedimentale.

In special modo per quanto riguarda l'esercizio del potere di revoca, i principi generali di tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione e del buon andamento dell’azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l’imparzialità e la proporzionalità) impongono la lettura e l’attuazione della norma di cui all’art. 21-quinquies secondo i canoni stringenti di seguito enunciati:

a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario dev’essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare;

b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario;

c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario;

d) la motivazione della revoca dev’essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.

Con specifico riferimento alla revoca del provvedimento di aggiudicazione di una gara pubblica, va rilevato che, a fronte della nota strutturazione procedimentale della scelta del contraente, la definizione regolare della procedura mediante la selezione di un’offerta (giudicata migliore) conforme alle esigenze della stazione appaltante (per come cristallizzate nella lex specialis) consolida in capo all’impresa aggiudicataria una posizione particolarmente qualificata ed impone, quindi, all’Amministrazione, nell’esercizio del potere di revoca, l’onere di una ponderazione particolarmente rigorosa di tutti gli interessi coinvolti[4].

Il ritiro di un’aggiudicazione legittima postula, in particolare, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi[5].

Occorre, ancora, chiarire che, quando si appunta sulle caratteristiche dell’oggetto dell’appalto, il ripensamento dell’Amministrazione, per legittimare il provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione, deve fondarsi sulla sicura verifica dell’inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’avvio della procedura.

Premesso, infatti, che le Amministrazioni pubbliche devono preliminarmente verificare le proprie esigenze, poi definire, coerentemente con gli esiti dell’anzidetta analisi, gli elementi essenziali del contratto e, solo successivamente, indire una procedura di affidamento avente ad oggetto la prestazione già individuata come necessaria, appare chiaro che l’aggiudicazione della gara a un’impresa che ha diligentemente confezionato la sua offerta in conformità alle prescrizioni del bando può essere validamente rimossa, con lo strumento della revoca, solo nell’ipotesi eccezionale in cui una rinnovata (e, comunque, tardiva) istruttoria ha rivelato l’assoluta inidoneità della prestazione inizialmente richiesta dalla stessa Amministrazione (e, quindi, dovuta dall’aggiudicatario) a soddisfare i bisogni per i quali si era determinata a contrarre.

Al contrario, non può in alcun modo giudicarsi idoneo a giustificare la revoca un ripensamento circa il grado di satisfattività della prestazione messa a gara. Se si ammettesse, infatti, la revocabilità delle aggiudicazioni sulla sola base di un differente e sopravvenuto apprezzamento della misura dell’efficacia dell’obbligazione dedotta a base della procedura, si finirebbe, inammissibilmente, per consentire l’indebita alterazione delle regole di imparzialità e di trasparenza che devono presidiare la corretta amministrazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, con inaccettabile sacrificio dell’affidamento ingenerato nelle imprese concorrenti circa la serietà e la stabilità della gara, ma anche con un rischio concreto di inquinamento e di sviamento dell’operato delle stazioni appaltanti.

Un esercizio di discrezionalità amministrativa, seppur più agevole e meno ampio rispetto a quello necessario per la revoca, si impone anche per l'annullamento ex officio degli atti di gara.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il legittimo esercizio del potere di autotutela non può, infatti, in tal caso fondarsi unicamente sull’intento di ripristinare la legittimità violata, ma deve essere scrutinato in ragione della sussistenza di un interesse pubblico prevalente all’adozione del provvedimento di ritiro.

E’ stato affermato al riguardo che l'interesse pubblico alla base del legittimo esercizio del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione non può identificarsi nel mero ripristino della legalità violata ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco. Nel procedere all'annullamento di un atto ritenuto illegittimo per un errore commesso dalla stessa amministrazione, questa è tenuta ad indicare espressamente le ragioni di pubblico interesse che, nonostante il  decorso del tempo e il consolidamento della situazione, giustificavano il provvedimento di autotutela[6].

Anche l'annullamento in autotutela si configura, quindi, come una decisione procedimentalizzata, la cui adozione deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della Legge 241/90.

Applicando i delineati principi la I sezione del Tar Bari ha rigettato il ricorso presentato da una società che era risultata aggiudicataria di una gara per la fornitura in leasing di automezzi contro il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione.

La prestazione contrattuale avrebbe dovuto essere eseguita attraverso la stipula di due distinti contratti: un primo contratto di fornitura tra l’impresa fornitrice e la società finanziaria ed un secondo contratto di leasing tra quest’ultima e la stazione appaltante. Senonché, una volta intervenuta l'aggiudicazione della gara, l'istituto di credito contattato non ha dato seguito alla richiesta di leasing, adducendo, a motivazione di questo suo disimpegno, il fatto che i mezzi da acquistare avevano superato il loro periodo di ammortamento.

La stazione appaltante decideva, quindi, di revocare l'atto di affidamento dell'appalto in ragione della sopravvenuta impossibilità di eseguirlo.

La legittimità del provvedimento veniva contestata dall'impresa sulla base di due principali rilievi:

1) omessa comunicazione preventiva di avvio del procedimento di revoca, che le avrebbe consentito di proporre soluzioni alternative per la stipula del contratto di leasing;

2) insussistenza dei presupposti di cui all'art. 21-quinques della legge 241/90, atteso che la stazione appaltante aveva erroneamente ritenuto non eseguibile il contratto di fornitura per impossibilità di acquisire in leasing i mezzi offerti, avendo proceduto a interpellare un solo istituto di credito, senza curarsi di effettuare ulteriori indagini nei confronti di altri locatori finanziari.

Sul presupposto dell'asserita illegittimità del gravato provvedimento, la società instava per il risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio del potere di revoca; in subordine, chiedeva il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale o ancora, in estremo subordine, il ristoro a titolo di indennizzo ex art. 21-quinquies, L. n. 241/1990.

Entrambi i descritti motivi di contestazione sono stati ritenuti infondati dal tribunale barese, che ha conseguentemente respinto l'istanza risarcitoria fondata sull'esercizio, assuntivamente disfunzionale, della potestà di revoca dell'aggiudicazione.

Innanzitutto, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela viene derubricata a mera irregolarità formale, inidonea a giustificare l'annullamento dell'atto. Osserva, in particolare, il Collegio giudicante che, a dispetto di quanto asserito dalla ricorrente, non risulta provata l'effettiva e concreta disponibilità di un'altra società alla stipula del contratto di leasing.

Vale, pertanto, a superare la dedotta censura, il richiamo all’art. 21 octies L. n. 241/1990, con il quale il legislatore, introducendo il principio di dequotazione dei vizi formali, ha formulato un’opzione di natura sostanzialistica, in virtù della quale la violazione delle regole partecipative va valutata, relativamente all’indagine circa la legittimità dell’atto amministrativo, avendo riguardo alla concreta possibilità per l’interessato di apportare elementi almeno astrattamente idonei ad incidere sul contenuto finale dell’atto conclusivo del procedimento. Detta possibilità non si riscontra nell’odierna vicenda, in quanto, anche laddove la ricorrente fosse stata posta in condizione di rendere edotta la stazione appaltante dell’esito della propria attività di ricerca di una società finanziaria disposta a stipulare il contratto di leasing, l’Ente non avrebbe che potuto prendere atto dell’assenza di concrete soluzioni alternative in ordine al reperimento di un locatore finanziario.

Per gli stessi motivi è, quindi, destituita di fondamento la doglianza attinente al difetto dei presupposti sostanziali necessari per addivenire a provvedimento di revoca in autotutela. Emerge, infatti, dalla documentazione versata in atti l’assoluta inidoneità dei beni offerti dalla ricorrente a formare oggetto di leasing, atteso che il loro stato di obsolescenza ne impediva l’ammortamento.

Poiché la lex specialis individuava espressamente la stipula del contratto di leasing quale modalità esclusiva di esecuzione della fornitura degli autobus oggetto di gara, ne discende che i mezzi offerti mancavano delle qualità essenziali per realizzare la fornitura secondo le modalità imposte dalla stazione appaltante.

In altri termini essi non potevano ritenersi adeguati alla concreta funzione economica cui, in base alla legge di gara, dovevano assolvere, avendo riguardo al complessivo assetto degli interessi fatto proprio dal regolamento negoziale. Né, come precedentemente illustrato, sono state prospettate dalla ricorrente concrete soluzioni alternative per addivenire alla stipula di tale contratto.

L’inidoneità dei mezzi offerti dall’odierna ricorrente a formare oggetto di leasing, giustifica l’adozione del provvedimento di rimozione in autotutela che deve, più correttamente, essere qualificato quale annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. 241/1990, atteso che, difettavano ab initio le condizioni per l’aggiudicazione definitiva, in assenza di una concreta verifica relativa alla possibilità di concludere il richiesto contratto di leasing.

Non merita accoglimento neppure la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, non ravvisando la Sezione la sussistenza in capo alla ricorrente dell’affidamento meritevole di tutela, in quanto il provvedimento di rimozione in autotutela è dipeso da causa a lui imputabile, in considerazione dell’“inutilità” della prestazione offerta, avuto riguardo alla vetustà dei mezzi oggetto della fornitura.

Deve, infine, essere respinta anche la domanda di indennizzo ex art 21-quinquies L. n. 241/1990.

Rileva sul punto la Sezione che l’istituto della revoca postula l’attuale e sopravvenuta carenza di rispondenza dell’atto che si intende rimuovere alle pubbliche esigenze, discrezionalmente dedotta dalla Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata valutazione degli elementi posti a fondamento dello stesso. Esso, in altre parole, postula il verificarsi di sopravvenienze (sopravvenuti motivi di pubblico interesse; mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o nuova valutazione dell'interesse pubblico originario) che radicano, peraltro, l’efficacia ex nunc dell’atto di ritiro.

Come precedentemente osservato, nella vicenda in esame il provvedimento di aggiudicazione definitiva risulta, invero, compromesso da vizi di legittimità originari, idonei a condurre al rimedio dell’annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. n. 241/1990.

Erroneamente la stazione appaltante ha, infatti, provveduto al ritiro dell’atto de quo mediante lo strumento della revoca, dal momento che lo stesso non avrebbe dovuto essere ab origine adottato, essendo affetto da una forma di invalidità originaria, attesa la carenza, nei mezzi offerti dallimpresa aggiudicataria, dei requisiti essenziali per la realizzazione dell’operazione negoziale indicata dal bando di gara.

[1]              Art. art. 21-quinquies L. 241/90:Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.

[2]              Cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. III, sentenza n.2311 del 6 maggio 2014.

[3]              Art. art. 21-nonies L. 241/90: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico.

[4]              Cfr. Consiglio di Stato sez. III, sentenza n. 5026 del 29.11.2016.

[5]           Cfr. Consiglio di Stato sez. V, sentenza n.2095 del19 maggio 2016.

[6]           In tal senso –ex multis - : Consiglio di Stato sez. IV, sentenza n.  4379 del 21 settembre 2015; id., VI,  sentenza n. 4997 del 20 settembre 2012; id., VI, sentenza n. 136 del 14 gennaio 2009.