Cons. Stato, Sez. V, 5 luglio 2017, n. 3288

1. Ai fini della perdita della capacità di partecipare a pubbliche gare, ogni errore commesso nell’attività di impresa, ma solo quelli caratterizzati da gravità. E’ vero quindi che eventuali pregresse risoluzioni contrattuali possono essere rilevanti a prescindere dal fatto che la stazione appaltante sia la stessa presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente od altra, giacché tale dichiarazione attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono ai rapporti dei partecipanti con la stazione appaltante.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6942 del 2016, proposto da:

Eg. Ec.s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gh. Ma., con domicilio eletto presso lo studio legale Lu. Na. in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio legale Ma. Tr. in Roma, via (…);

nei confronti di

F.lli Ba. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Le., con domicilio eletto presso lo studio legale Gi. Pl. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I n. 02334/2016, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio di igiene urbana ed istanza di risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e della F.lli Ba. s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2017 il Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti gli avvocati Pe. per delega di Ma., Mi. per delega di Ma., nonché Le.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Risulta dagli atti che la società Eg. Ec. s.r.l. era risultata aggiudicataria, all’esito di una procedura aperta indetta dal Comune di (omissis) con determinazione dirigenziale n. 1937 del 20 dicembre 2011, dell’appalto avente ad oggetto il servizio di igiene urbana.

Alla gara avevano preso parte solo tre imprese e cioè, oltre alla Eg. Ec. s.r.l., la ditta F.lli Ba. s.r.l. e la Pu. s.r.l, la quale, però, era stata esclusa.

Con determinazione dirigenziale n. 304 del 21 marzo 2012 erano stati approvati gli atti di gara e disposta l’aggiudicazione definitiva in favore della prima classificata Eg. Ec. s.r.l. Peraltro, nel corso dell’attività di verifica dei requisiti di partecipazione, veniva altresì acquisito un provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla Prefettura di Napoli a carico dell’aggiudicataria, ragion per cui il Comune di (omissis) ne aveva disposta la decadenza, con conseguente aggiudicazione in favore della società seconda graduata, Flli Ba. s.r.l..

La Eg. Ec. s.r.l. impugnava quindi il provvedimento di decadenza al Tribunale amministrativo della Campania, deducendone l’illegittimità.

Nel frattempo, in sede di controlli relativi alla seconda classificata, emergeva un’ulteriore interdittiva antimafia della Prefettura di Napoli, stavolta nei confronti della F.lli Ba. s.r.l., peraltro già impugnata dall’interessata avanti al giudice amministrativo.

Il Comune di (omissis) provvedeva quindi a dichiarare la decadenza dall’aggiudicazione anche della F.lli Ba. s.r.l., di talché, in mancanza di ulteriori ditte in graduatoria, provvedeva ad affidare il servizio ad una società pubblica, la Le., cui chiedeva di implementare il servizio con l’impiego di un maggior numero di unità lavorative.

Con sentenza n. 157 del 2013 il Tribunale amministrativo della Campania, riuniti i ricorsi, annullava le interdittive emesse nei confronti della Eg. Ec. s.r.l. e la determinazione dirigenziale n. 671 del 2012 di annullamento dell’aggiudicazione in favore della medesima società, con ricostituzione dell’originaria graduatoria.

La medesima sentenza rigettava il ricorso incidentale della F.lli Ba. s.r.l. avverso l’aggiudicazione definitiva in favore della Eg. Ec. s.r.l., dichiarando conseguentemente l’obbligo dell’amministrazione di stipulare il contratto di appalto con quest’ultima.

Con determinazione dirigenziale 1° febbraio 2013, n. 160, il Comune di (omissis) dichiarava l’efficacia dell’aggiudicazione in favore della Eg. Ec. s.r.l. e, con determinazione 25 febbraio 2013, n. 264, le affidava il servizio di igiene urbana per il periodo dal 5 marzo 2013 al 3 novembre 2016, per un importo complessivo di € 28.222.358,15, risultante dal ribasso offerto dalla ditta in sede di gara.

Nel tempo dell’esecuzione del servizio oggetto di gara, il Segretario generale del Comune di (omissis) adottava dapprima la nota prot. n. 49153 del 29 febbraio 2014, con cui evidenziava alcuni asseriti inadempimenti della ditta alle prescrizioni del Capitolato d’appalto, diffidandola al puntuale rispetto dei propri obblighi; quindi, facendo seguito alle repliche della stessa (con nota assunta a prot. n. 53777 del 14 ottobre 2014), con nota prot. 59853 il medesimo Segretario comunale avviava il procedimento per la risoluzione del rapporto.

Con verbale del 25 novembre 2014, il Segretario generale riteneva non rilevanti le ulteriori controdeduzioni della ditta; quindi – con nota prot. n. 65686 del 26 novembre 2014 comunicava alla Eg. Ec. s.r.l. la cessazione del servizio a far data dal 1° dicembre 2014.

Avverso tale atto la società proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Campania.

Seguivano le determine 26 gennaio 2015, n. 119 e 27 gennaio 2015, n. 126, con cui il Comune annullava l’aggiudicazione definitiva in favore della Eg. Ec.s.r.l., sulla base di cause ostative: 1) mancata comprova del requisito curriculare di capacità tecnica previsto originariamente dal bando di gara, in ragione della risoluzione di un contratto di appalto disposta dal Comune di (omissis) a danno della Eg. Ec.; 2) violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice degli appalti pubblici) in ragione sia di risoluzioni contrattuali disposte da altre amministrazioni a danno della Eg. Ec., sia di ulteriori circostanze negative occorse nell’ambito di diverse procedure di affidamento (provvedimenti di esclusione, iscrizione nel casellario informatico dell’AVCP), sia ancora per le irregolarità emerse nell’espletamento del servizio presso il Comune di (omissis); 3) esistenza di condanna a pena detentiva per reati di frode in pubblici appalti e truffa ai danni dello Stato, a carico dell’amministratore unico della Eg. Ec. s.r.l. (sentenza del Tribunale di Gaeta del 17 luglio 2013), nonché di avviso di garanzia in relazione a fatti connessi all’espletamento dell’appalto presso il Comune di (omissis).

Con determina del 27 gennaio 2015, n. 123, il Comune di (omissis) affidava infine il servizio di igiene urbana alla F.lli Ba. s.r.l., alle stesse condizioni di cui all’offerta presentata dalla Eg. Ec. s.r.l. in sede di gara.

Avverso i provvedimenti a lei sfavorevoli la Eg. Ec. s.r.l. articolava sei motivi di ricorso:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, lett. A) d.lgs. n. 163 del 2006, eccesso di potere per presupposto erroneo – sviamento, in quanto il Comune resistente avrebbe erroneamente tenuto conto di vicende successive all’aggiudicazione che mai avrebbero potuto rifluire sulla legittimità di questa;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. F) del d.lgs. n. 163 del 2006, eccesso di potere per presupposto erroneo – sviamento in quanto la norma applicata non potrebbe riguardare vicende occorse nell’ambito di rapporti contrattuali con altre Amministrazioni;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 7 agosto 1990, n. 241 (Legge sul procedimento amministrativo) – difetto di motivazione – sviamento – abuso del diritto in quanto l’atto di autotutela sarebbe stato adottato in spregio della relativa disciplina, sia quanto al profilo temporale che a quello motivazionale;

Violazione dell’art. 140 d.lgs. n. 163 del 2006 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e presupposto erroneo – eccesso di potere per disparità di trattamento – sviamento in quanto sarebbe stata illegittima l’ammissione alla procedura della controinteressata F.lli Ba. s.r.l., come denunciato nel giudizio instaurato avverso l’interdittiva antimafia e definito con sentenza del Tribunale amministrativo della Campania n. 157 del 2013, nella quale le censure in parola sarebbero state però assorbite;

Violazione degli artt.41, 42 e 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 – violazione dell’art. 9.1. del disciplinare di gara – eccesso di potere per difetto di istruttoria e presupposto erroneo, in quanto la controinteressata sarebbe stata priva, alla data di pubblicazione del bando, dei requisiti professionali prescritti dall’art. 9.1 del Disciplinare di gara;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 – violazione del d.p.r. n. 495 del 2009 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e presupposto erroneo, in quanto il sig. Antonio Ba., condannato con giudizio immediato per reati attinenti alla gestione di discariche non autorizzate e cessato dalla carica di amministratore nell’anno antecedente l’indizione della gara, non aveva indicato nella dichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, lett. c) d.lgs. n. 163 del 2006 l’esistenza di condanne a suo carico.

Il Comune di (omissis) e la controinteressata F.lli Ba. s.r.l. si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza 6 maggio 2016, n. 2334, il Tribunale amministrativo della Campania rigettava il ricorso.

Avverso tale decisione interponeva appello la Eg. Ec.s.r.l., sostanzialmente riproponendo gli originari motivi di ricorso e precisamente:

Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. f, d.lgs. 12.4.2006, n. 163.

Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 7.8.1990, n. 241. Difetto di motivazione.

Error in iudicando. Violazione dell’art. 140, d.lgs. 12.4.2006 n. 163. Violazione degli artt. 41, 42 e 48 d.lgs. 12.4.2006 n. 163. Violazione dell’art. 9.1 del Disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, d.lgs. 12.4.2006 n. 163. Violazione del d.P.R. 495/2009. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e presupposto erroneo. Eccesso di potere per disparità di trattamento.

Insisteva inoltre per il risarcimento del danno asseritamente patito per effetto del provvedimento impugnato.

Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis), proponendo due motivi di appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, e precisamente:

Violazione di legge per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, formulata dal Comune nella propria comparsa di costituzione;

Violazione di legge nella parte in cui accoglie il primo motivo di ricorso, in relazione alla rilevanza, ai fini dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, di circostanze sopravvenute idonee ad incidere su alcuni dei presupposti presi in considerazione al momento dell’aggiudicazione.

Si costituiva altresì la F.lli Ba. s.r.l., chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 4 maggio 2017, dopo la discussione delle parti, la causa passava in decisione.

DIRITTO

Vanno preliminarmente affrontati, per ragioni di sistematicità logica, i motivi di appello principale formulati dalla Eg. Ec. s.r.l..

Con il primo motivo di gravame viene dedotto, in particolare, che “secondo il Giudice di prime cure, la seconda parte dell’art. 38 comma 1 lett. f), d.lgs. 163/06, riferita ad appalti banditi da Amministrazioni diverse da quella che bandisce la gara: a) avrebbe una portata più ampia del disposto di cui alla prima parte del citato art. 38 comma 1 lett. f), essendo sufficiente una qualunque irregolarità riscontrata; b) la scelta dell’Amministrazione di ritenere tale irregolarità sintomo di inadeguatezza del concorrente allo svolgimento del servizio sarebbe ampiamente discrezionale e sindacabile soltanto nei limiti degli errori macroscopici.

La tesi è errata. Sia la lettera che la ratio della norma fanno propendere per una conclusione diversa ed opposta da quella raggiunta dal Tar della Campania. Sotto il profilo letterale, la stessa parla di “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale”: è evidente quindi che non basta una semplice irregolarità nell’esecuzione della prestazione, come invece accade con riferimento agli appalti previsti dalla prima parte della norma (cioè quelli eseguiti presso la stessa Stazione appaltante che bandisce la gara), essendo invece necessario un comportamento che abbia messo a serio rischio interessi sovraordinati, quali, ad esempio, quelli dell’ordine pubblico, dell’igiene e della salute.

Questa, infatti, è la ratio della norma che, secondo la dizione utilizzata dal legislatore, rende sconveniente la partecipazione alla gara di chi non soltanto e semplicemente si è reso inadempiente agli obblighi contrattuali, ma che, anche a prescindere dagli stessi, si sia reso gravemente inadempiente ai doveri deontologici della propria professione.

E, d’altra parte, questa è la sola ragione per la quale, nel corso della verifica dei requisiti per l’ammissione alla gara, l’Amministrazione procedente è in grado di ritenere minato in radice il rapporto fiduciario in fieri con un concorrente che non conosce ancora. Nella specie, le contestazioni formulate alla Eg. Ec. attengono, invece, a presunti inadempimenti contrattuali…”.

L’interpretazione dell’appellante non è convincente, né aderente alla lettera della norma richiamata.

La disposizione, invero, così recita: «Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: […] f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante».

Ancora da ultimo Cons. Stato, V, 12 giugno 2017, n. 2797 ha ricordato che l’ambito applicativo della norma contenuta nell’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici del 2006) è imperniato sulla duplice fattispecie della grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara e nell’errore grave nell’esercizio della loro attività professionale. Cons. Stato, V, 20 febbraio 2017, n. 742, ha ribadito che la valutazione di gravità dell’errore professionale richiesta dall’art. 38, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 163 del 2006 è adeguatamente motivata allorché la stazione appaltante ponga a supporto del giudizio le valutazioni di altre amministrazioni sulla gravità degli inadempimenti da loro riscontrati e l’accertamento con pronuncia giurisdizionale di comportamenti ritenuti dal giudice tali da compromettere gravemente il rapporto fiduciario tra stazione appaltante e impresa aggiudicataria, verificando i presupposti specifici di ciascuno di tali atti e, su questa base, facendo proprio il giudizio di gravità ivi espresso.

Sempre in argomento, per Cons. Stato, V, 15 dicembre 2016, n. 5290 anche gli inadempimenti che abbiano dato luogo ad una conclusione transattiva possono sono apprezzabili al fine di valutare l’affidabilità professionale dell’appaltatore.

Alla luce di questa giurisprudenza, dalla quale non v’è ragione per discostarsi nel caso di specie, è condivisibile quanto ritenuto dalla sentenza appellata, secondo cui “la disposizione richiamata contempla due distinte ipotesi, in entrambe le quali viene in rilievo il grado di professionalità e affidabilità dell’operatore economico, e precisamente: una prima ipotesi, nella quale la stazione appaltante può procedere all’esclusione del concorrente, motivandola adeguatamente, se questo ha commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di prestazioni affidate dalla medesima stazione appaltante, naturalmente in occasione di altri e pregressi rapporti contrattuali rispetto a quello in procinto di essere affidato all’esito della gara; una seconda ipotesi, separata dalla prima sia dal segno di interpunzione del punto e virgola sia dall’impiego della disgiunzione “o” nella quale, invece, la norma discorre, invero più genericamente, della rilevanza del fatto di aver “commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante”.

Questa seconda ipotesi, proprio perché differenziata e anche graficamente separata dalla prima, concerne vicende di inesatto o incompleto adempimento occorse (e verosimilmente oggetto di reciproche contestazioni) nell’ambito di rapporti contrattuali con soggetti diversi dalla stazione appaltante e delle quali questa, a differenza della prima ipotesi, non ha conoscenza diretta ma può acquisirne contezza “con qualunque mezzo di prova””.

Invero, diversamente da quanto afferma l’appellante, la sentenza – rispondendo alla specifica eccezione della ricorrente, per la quale l’esclusione sarebbe stata giustificata solo in presenza di un errore grave nell’attività professionale verificatosi nel corso del rapporto con la medesima stazione appaltante (non rilevando eventuali vicende analoghe occorse con terze amministrazioni) – ha correttamente distinto le due fattispecie considerate dalla legge, riconducendo la seconda al caso di inadempimento occorso nell’ambito di rapporti negoziali con diverse stazioni appaltanti, conformemente all’orientamento espresso della Sezione.

Valga, ex multis, Cons. Stato, VI, 5 maggio 2016, n. 1766: “ritiene il Collegio, in adesione all’orientamento giurisprudenziale maggioritario formatosi sul requisito dell’assenza di un errore grave nell’esercizio della propria attività professionale, di cui all’art. 12, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 157 del 1995 – cui corrisponde la fattispecie ex art. 38, comma 1, lett. f), ultima parte, d.lgs. n. 163 del 2006 -, e sui correlati obblighi dichiarativi, che tale ipotesi non possa essere limitata ai soli errori commessi in precedenti rapporti con la stazione che ha indetto la gara, fondandosi la causa di esclusione in esame sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, con la conseguenza che le imprese concorrenti, in linea con l’onere collaborativo che sottende i rapporti con la pubblica amministrazione, sono onerate di dichiarare, a pena di esclusione, pregresse risoluzioni contrattuali anche se relative ad appalti affidati da altre stazioni appaltanti, diverse da quella che ha bandito la gara che, proprio per tale ragione, normalmente non è a conoscenza di tali fatti (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. St., Sez. VI; 10 maggio 2007, n. 2245; Cons. St. Sez. III, n. 2289 del 2014; Cons. St., Sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4870)”.

Ancora, per Cons. Stato, V, 14 marzo 2017, n. 1166, “ai sensi dell’art. 38 lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 non assume rilievo, ai fini della perdita della capacità di partecipare a pubbliche gare, ogni errore commesso nell’attività di impresa, ma solo quelli caratterizzati da gravità…. E’ vero quindi, sempre seguendo quella impostazione (ex multis Consiglio di Stato, Sez. V 19 agosto 2015 n. 3950), che eventuali pregresse risoluzioni contrattuali possono essere rilevanti a prescindere dal fatto che la stazione appaltante sia la stessa presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente od altra, giacché tale dichiarazione attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono ai rapporti dei partecipanti con la stazione appaltante”.

La sentenza impugnata, peraltro, non ha escluso (come sembra assumere l’appellante Eg. Ec. s.r.l.) la necessità di verificare natura ed entità della violazione, dovendo l’amministrazione “qualificare in termini di gravità detti errori”, traendone le debite conseguenze sulla persistenza, alla loro luce, del rapporto fiduciario tra committente e appaltatore.

Criterio, quest’ultimo, anch’esso ricorrente in giurisprudenza: si veda per tutti Cons. Stato, V, 11 aprile 2016, n. 1412, a mente del quale “la ratio della norma risiede nell’esigenza di assicurare l’affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti. A tale orientamento si conforma anche l’AVCP (ora ANAC) secondo la quale la rilevanza dell’errore grave non è circoscritta ai casi occorsi nell’ambito di rapporti contrattuali intercorsi con la stazione appaltante che bandisce la gara, ma attiene indistintamente a tutta la precedente attività professionale dell’impresa, in quanto elemento sintomatico della perdita del requisito di affidabilità e capacità professionale ed influente sull’idoneità dell’impresa a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico che la stazione appaltante persegue.

La normativa comunitaria si atteggia nello stesso senso, atteso che l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, par. 4 lett. c) e g), nel disciplinare le ipotesi di “gravi illeciti professionali” e di “carenze nell’esecuzione” (analoghi ai concetti di “errore grave” e di “negligenza e malafede” utilizzati dal legislatore interno) specifica, ora, che esse devono riguardare un precedente contratto d’appalto pubblico o un contratto di appalto con un ente aggiudicatore senza alcuna “separazione tra l’ipotesi in cui le stesse si siano verificate nei confronti della medesima o di una diversa stazione appaltante, rispetto a quella nei cui confronti sorge il relativo obbligo dichiarativo”.

Corollario di tale prospettazione è che anche in relazione alle clausole di esclusione di cui alla lettera f) cit. vige la regola – valevole anche per altre condizioni di cui all’art. 38 – secondo la quale la gravità dell’evento è ponderata dalla stazione appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare lo stesso ed a rimettersi alla valutazione della stazione appaltante (detta valutazione – se illogica o immotivata – potrà essere censurata innanzi l’autorità giudiziaria, mentre la mancata esternazione di un evento, anche se poi ritenuto non grave, comporta, di norma, l’esclusione dalla gara specifica…”.

Alla luce di quanto precede, “Va da sé che in tale contesto, la mancanza di tipizzazione da parte dell’ordinamento delle fattispecie rilevanti, non attribuisce alcun filtro sugli episodi di “errore grave” all’impresa partecipante, la quale è tenuta a portare a conoscenza della stazione appaltante ogni episodio di risoluzione o rescissione contrattuale anche non giudiziale, quand’anche transatto, essendo rimessa alla stazione appaltante la valutazione in relazione al nuovo appalto da affidare.

La Sezione, quindi, in conformità ai moltissimi precedenti giurisprudenziali (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 25 febbraio 2015, n. 943; 14 maggio 2013, n. 2610; IV, 4 settembre 2013, n. 4455; III, 5 maggio 2014, n. 2289) ribadisce l’obbligo del partecipante ad una pubblica gara di mettere a conoscenza la stazione appaltante delle vicende pregresse (negligenze ed errori) o fatti risolutivi occorsi in precedenti rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni”.

La valutazione dell’amministrazione, del resto, ha carattere eminentemente discrezionale (ex multis, Cons. Stato, V, 22 dicembre 2016, n. 5419), sicché il giudice potrà al più dispiegarsi nei limiti di una sua palese illogicità o arbitrarietà, che qui non ricorrono. Non è comunque necessario, come ricorda Cons Stato, IV, 11 luglio 2016, n. 3070, che “sia accertata, in modo irrefragabile, la responsabilità contrattuale” dell’appaltatore.

Non è però nella discrezione dell’impresa – come evidenziato nei richiamati precedenti – decidere, in tutto o in parte, se e quali precedenti comunicare alla stazione appaltante, trattandosi di obbligo indefettibile e generalizzato della stessa perché strumentale a consentire all’amministrazione i necessari riscontri e le opportune valutazioni di affidabilità.

In ragione di quanto esposto, il primo motivo di appello va respinto.

Solo per completezza si esaminano brevemente gli ulteriori motivi di appello, atteso il carattere assorbente del precedente, idoneo di per sé a definire nel merito la controversia.

Con il secondo motivo di gravame, la Eg. Ec. s.r.l. lamenta che l’esercizio dell’autotutela amministrativa sarebbe avvenuto ad oltre due anni dall’adozione della delibera di aggiudicazione definitiva, quando ormai era stata eseguita la metà della durata dell’appalto.

Afferma inoltre che non sarebbero state adeguatamente espresse le ragioni di pubblico interesse a fondamento dell’esercizio del potere, né queste ultime sarebbero state comunque bilanciate con gli interessi privati contrapposti.

Anche questo motivo non è fondato. Invero, la sentenza, nel ritenere che “il mancato superamento della valutazione di affidabilità dell’impresa concorrente, divenuta nelle more aggiudicataria, costituisce una circostanza bastevole a far ritenere conforme all’interesse pubblico, oltre che tempestivamente assunta in considerazione dell’articolato svolgersi della vicenda in fatto (sinteticamente descritta nella parte narrativa del presente atto), la decisione della stazione appaltante di non affidare (rectius, di non continuare nell’affidamento mediante la rimozione ex tuncdell’atto genetico dello stesso) l’appalto ad un’impresa giudicata – perché tale rivelatasi in altre circostanze – inaffidabile”, ha posto in stretta correlazione quanto già rilevato sulla presenza dei presupposti per l’esclusione dell’impresa, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. n. 163 del 2006, con la ponderazione di tutela dell’interesse pubblico propria dei procedimenti in autotutela.

Va, in ogni caso, rilavata la genericità delle doglianze.

Con il terzo, articolato motivo di appello, Eg. Ec. s.r.l. richiama il contenuto degli ultimi tre motivi del ricorso originario, aventi ad oggetto l’affidamento del servizio ad altra ditta concorrente, contestando, in particolare, all’amministrazione di aver “affidato il servizio alla seconda graduata senza aver verificato l’esistenza dei requisiti speciali e generali in capo alla stessa”.

La sentenza aveva dichiarato inammissibili il quarto e quinto motivo di ricorso – trattandosi di “riproposizione di censure già svolte in altro giudizio (cfr. pagg. 19 e 20 del ricorso introduttivo), definito da questo TAR con la sentenza n. 157/2013, passata in giudicato, nella quale – essendo stata accolta la domanda principale di annullamento dell’interdittiva antimafia a carico della ricorrente – le stesse sono state ritenute assorbite (cfr., sul rapporto tra assorbimento dei motivi di ricorso e onere di specifica impugnazione, Cons. Stato, sez. V, 30/11/2015 n. 5401)”. Ad avviso dell’appellante, per contro, “con il ricorso di primo grado è stato censurato il difetto di istruttoria, non avendo il Comune ricontrollato il possesso dei suddetti requisiti al momento dello scorrimento della graduatoria e dell’aggiudicazione in favore della F.lli Ba. s.r.l. […] si tratta di questione non coperta dal giudicato, essendo doveroso per l’Amministrazione (che dopo due anni ha riaperto il procedimento di verifica in capo alla prima graduata) di aggiornare quella stessa verifica sul secondo graduato per potergli affidar il servizio a seguito dello scorrimento della graduatoria”.

Ora, anche a prescindere dalla sussistenza di un obiettivo interesse dell’appellante all’accoglimento di tali motivi (il che è almeno dubbio, posto che, una volta estromessa la ricorrente dalla gara, l’eventuale successiva esclusione anche della seconda graduata non avrebbe potuto arrecarle benefici), alla luce degli atti di causa è corretto il rilievo del Comune di (omissis) (nella propria memoria 12 aprile 2017), laddove un confronto testuale tra il ricorso introduttivo (in particolare, il p.to 5) e gli atti del precedente giudizio conclusosi con sentenza n. 157 del 2013 del Tribunale amministrativo della Campania darebbero atto della mera riproposizione di identica questione già coperta dal predetto giudicato.

Infine, anche l’ultimo motivo di appello deve ritenersi infondato, in quanto – lungi dall’essersi limitata a dar atto del deposito in giudizio del decreto di estinzione di un reato in precedenza ascritto al legale rappresentante della controinteressata – la sentenza di prime cure bene ha precisato: “Invero, dall’esame della documentazione prodotta in giudizio dalla controinteressata emerge, invece, che il predetto Antonio Ba. aveva indicato l’esistenza della condanna in parola e al contempo aveva documentato l’avvenuta declaratoria di estinzione del reato che ne costituiva oggetto, mediante allegazione alla detta dichiarazione di copia della declaratoria di estinzione pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata con decreto del 23/11/2001 (cfr. allegato n. 5 della produzione della controinteressata del 06/05/2011).

Nessun rilievo può assegnarsi, inoltre, ad ulteriori vicende penali nei quali il predetto possa essere stato in qualche modo coinvolto, in mancanza del requisito prescritto dalla lett. c) del comma 1 dell’art. 38 d.lgs. n. 163/2006 del carattere definitivo della condanna (la norma discorre, infatti, di passaggio in giudicato e di irrevocabilità delle sentenza)”.

Il rigetto dei motivi dell’appello principale rende inutile, per carenza di interesse ed assorbimento, l’esame dei due motivi di appello incidentale proposti dal Comune di (omissis).

Dal mancato accoglimento della domanda di annullamento consegue che vada altresì respinta la connessa domanda risarcitoria.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quinta,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.

 

Condanna l’appellante al pagamento, a favore dell’appellato Comune di (omissis), delle spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) complessivi, oltre Iva ed oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Guida alla lettura

La sentenza in commento afferma che la stazione appaltante, al fine di valutare l’affidabilità professionale dell’Impresa concorrente, può prendere in esame anche le pregresse risoluzioni di contratti stipulati tra quest’ultima ed altre stazioni appaltanti, e, sulla base di ciò, escludere tale Impresa dalla procedura.

Il Consiglio di Stato, pertanto, in virtù di tale principio, conferma la sentenza appellata, la quale aveva riconosciuto legittima la Determina con la quale il Comune aveva annullato l’aggiudicazione definitiva richiamando in motivazione, tra l’altro, precedenti “risoluzioni contrattuali disposte da altre amministrazioni” nei confronti dell’Impresa aggiudicataria.

La norma di riferimento è costituita dall’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. 163/2006, il quale escludeva dalla possibilità di partecipare alle procedure di appalto (nonché di stipulare i relativi contratti) i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, …” avessero commesso  “grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara …” o che avessero commesso “…. un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.

Il Consiglio di Stato motiva la propria decisione sostenendo – in conformità a quanto già statuito con la precedente sentenza 20 febbraio 2017, n. 742 Sez. V – che “la valutazione di gravità dell’errore professionale richiesta dall’art. 38, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 163 del 2006 è adeguatamente motivata allorché la stazione appaltante ponga a supporto del giudizio le valutazioni di altre amministrazioni sulla gravità degli inadempimenti da loro riscontrati e l’accertamento con pronuncia giurisdizionale di comportamenti ritenuti dal giudice tali da compromettere gravemente il rapporto fiduciario tra stazione appaltante e impresa aggiudicataria, verificando i presupposti specifici di ciascuno di tali atti e, su questa base, facendo proprio il giudizio di gravità ivi espresso.

Pertanto, a giudizio del Consiglio di Stato, la sola circostanza che l’Impresa partecipante si sia vista in precedenza risolvere dal Giudice il contratto concluso con un’altra stazione appaltante, può essere ritenuta, da parte dell’Amministrazione che ha attivato la nuova procedura di appalto, idonea ad inibire alla medesima Impresa di poter divenire aggiudicataria.

Al riguardo, appare necessario evidenziare quanto segue.

L’ “errore professionale” non trovava una propria codificazione nell’art. 38 comma 1 lettera f) del D.lgs. n. 163 del 2006 (mentre la trova ora, sia pur solo a titolo esemplificativo e non esaustivo, nell’art. 80 comma 5 lett. c del D.lgs. 50/2016, il quale parla di “gravi illeciti professionali”).

La mancata tipizzazione, da parte del D.lgs. 163/2006, dell’ “errore professionale”, poneva la stazione appaltante – la quale intendesse far valere la risoluzione, a causa di tale errore, di un precedente contratto intercorso tra la stessa Ditta concorrente ed un’altra stazione appaltante – in seria difficoltà nel valutare la effettiva rilevanza di tale pregressa vicenda risolutoria: infatti, in assenza di un’espressa previsione normativa nel Codice dei Contratti, rimaneva comunque difficile stabilire se, effettivamente, il comportamento tenuto nel precedente appalto dalla Ditta concorrente avesse configurato un “errore professionale” vero e proprio, meritevole, come tale, di determinare la risoluzione del contratto di appalto, oppure un’inadempienza di non particolare gravità, come tale non idonea a causare la cessazione del rapporto.

Nonostante la norma concedesse alla stazione appaltante la possibilità di accertare il precedente errore professionale “con qualsiasi mezzo di prova”, l’unico strumento che la  stazione appaltante aveva per far valere l’errore professionale in precedenza commesso dall’Impresa concorrente nel rapporto avuto con un altro Ente, ponendosi al riparo da qualsivoglia censura di eccessiva discrezionalità, era quello di rifarsi alla sentenza con la quale era stata dichiarata la risoluzione – a causa, appunto, di tale errore – del relativo contratto di appalto.

Tuttavia, la sentenza in commento – quando parla di “accertamento con pronuncia giurisdizionale di comportamenti ritenuti dal giudice tali da compromettere gravemente il rapporto fiduciario tra stazione appaltante e impresa aggiudicataria –  mette in evidenza la necessità che la stazione appaltante, prima ancora di fare proprio il giudizio di gravità espresso con tale pronuncia, esamini comunque attentamente “i presupposti specifici” di ciascuno degli inadempimenti dedotti in giudizio dalle altre stazioni appaltanti.

Quest’ultima precisazione appare di fondamentale importanza in quanto con essa il Consiglio di Stato sembra voler puntualizzare che la stazione appaltante – pur essendo in linea di principio legittimata a far valere le pregresse scorrettezze professionali della Ditta oggi concorrente – deve comunque, preliminarmente, valutare la fondatezza delle contestazioni sollevate nei confronti di quest’ultima dalla precedente stazione appaltante: tali contestazioni, per quanto siano state accolte dalla sentenza, potrebbero anche apparire, alla stazione appaltante attuale, non sufficientemente fondate sotto il profilo giuridico, ad esempio perché le inadempienze denunciate nel corso del giudizio, per quanto rilevanti, non integravano completamente la fattispecie dell’ “errore professionale grave” per come questa viene disciplinata nel codice deontologico di riferimento, e pertanto non avrebbero potuto determinare – in contrasto con quanto affermato nella sentenza – la risoluzione del contratto.

Il Consiglio di Stato, quindi, esorta le stazioni appaltanti ad operare un’attenta ricognizione di quelli che sono i presupposti dell’ “errore professionale”, per il quale, vista la mancata tipizzazione da parte del Codice dei Contratti, l’unica disciplina resta quella costituita dalla normativa di settore: ciò sembrerebbe costituire, per la stazione appaltante, un elemento di stimolo per una valutazione dell’errore professionale che sia fondata sulle norme dettate  nel settore di riferimento (vedi codici deontologici o simili) anziché sulla acritica ed aprioristica condivisione di quanto affermato nella pronuncia giurisdizionale di accertamento dell’errore stesso e conseguente risoluzione del contratto di appalto precedente.

 

Da sottolineare, inoltre, che la previsione contenuta nell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. 163/2006, nel dare alla stazione appaltante il potere di accertare l’ errore professionale “con qualsiasi mezzo di prova”, non precisava se la precedente pronuncia giurisdizionale di risoluzione del contratto dovesse essere passata in giudicato, oppure potesse essere anche, al momento, non definitiva.

Dalle premesse in fatto riportate nella sentenza (si parla soltanto di “risoluzioni contrattuali disposte da altre amministrazioni a danno della Eg. Ec.”) non è dato sapere se, nel caso di specie, la sentenza di accertamento delle suddette risoluzioni fosse divenuta o meno definitiva.

Rimane comunque il fatto che la norma sopra citata – siccome non prevedeva espressamente la necessità che la sentenza civile di risoluzione fosse divenuta definitiva – si caratterizzava per penalizzare oltre misura l’Impresa nei cui confronti la risoluzione giudiziale non fosse ancora passata in giudicato. Ciò, inoltre, creava un’inevitabile discrasia rispetto alle condanne penali, per le quali la stessa norma (comma 1 lett. c) richiedeva invece, ai fini dell’esclusione dalla procedura, che queste fossero divenute definitive.

La sentenza in commento, inoltre, richiama la decisione del Consiglio di Stato 15 dicembre 2016, n. 5290, Sez. V, secondo la quale “anche gli inadempimenti che abbiano dato luogo ad una conclusione transattiva sono apprezzabili al fine di valutare l’affidabilità professionale dell’appaltatore.”

Tale orientamento desta non poche perplessità in quanto la transazione è il contratto con il quale le parti, attraverso reciproche concessioni, pongono fine ad una controversia tra di loro insorta (o che potrà sorgere).

Con la transazione, quindi, l’inadempimento dell’appaltatore, anziché essere oggetto di un’azione di risoluzione del contratto ad opera della stazione appaltante, viene ad essere bilanciato dalla rinuncia, da parte di quest’ultima, a far valere i propri diritti contrattuali: ciò in quanto probabilmente anche la stazione appaltante ha omesso di adempiere a qualche suo obbligo negoziale oppure non ha ritenuto l’inadempimento dell’appaltatore di rilevanza tale da legittimare una domanda giudiziale di risoluzione.

Pertanto, ritenere che l’attuale stazione appaltante possa prendere in esame – ai fini della decisione di  impedire la partecipazione di un’Impresa o di annullare l’aggiudicazione disposta in suo favore – l’inadempimento di quest’ultima anche laddove questo sia stato oggetto di un accordo transattivo (ossia di una definizione bonaria della controversia) con la precedente stazione appaltante, significa non considerare che la transazione è sempre e comunque il frutto della reciproca rinuncia delle parti alle rispettive pretese, e mai di un “condono” unilateralmente concesso da una sola di esse.

Di conseguenza, l’ errore professionale dell’appaltatore, se è stato oggetto di un accordo transattivo anzichè di un’azione giudiziale di risoluzione, è perché, evidentemente, non integrava, a giudizio della stazione appaltante di allora, gli estremi di un comportamento gravemente lesivo degli obblighi di correttezza e diligenza nell’esecuzione del rapporto. Ritenere che ora un’altra stazione appaltante possa comunque valutare tale errore alla stregua di un inadempimento – da far valere a supporto di un provvedimento di esclusione del medesimo appaltatore dalla procedura o di annullamento dell’aggiudicazione nei suoi confronti – non sembra assolutamente rispondente a quella che era la ratio  dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. 163/2006, ossia il dare rilevanza all’ “errore grave” solo e soltanto nei casi in cui questo fosse stato oggetto di un’azione giudiziale finalizzata (coerentemente!) ad ottenere la risoluzione del contratto.

 

La sentenza in commento evidenzia, infine, che “l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, par. 4 lett. c) e g), nel disciplinare le ipotesi di “gravi illeciti professionali” e di “carenze nell’esecuzione” (analoghi ai concetti di “errore grave” e di “negligenza e malafede” utilizzati dal legislatore interno) specifica, ora, che esse devono riguardare un precedente contratto d’appalto pubblico o un contratto di appalto con un ente aggiudicatore senza alcuna “separazione tra l’ipotesi in cui le stesse si siano verificate nei confronti della medesima o di una diversa stazione appaltante, rispetto a quella nei cui confronti sorge il relativo obbligo dichiarativo”.

Anche riguardo a tale ultimo aspetto, va comunque fatta la seguente precisazione: l’art. 101 delle Premesse alla Direttiva 24/2014 stabilisce, proprio in relazione all’ipotesi di esclusione dalla procedura di appalto per grave violazione dei doveri professionali commessa nell’esecuzione di precedenti appalti pubblici, che “il diritto nazionale dovrebbe prevedere una durata massima per tali esclusioni”.

Pertanto, da un lato il Consiglio di Stato si rifà correttamente all’art. 57 della Direttiva; dall’altro lato, però, proprio quest’ultima afferma la necessità che un’Impresa, nei confronti della quale un’altra stazione appaltante aveva risolto il contratto per errore professionale, non rimanga perennemente interdetta, per tale ragione, dalla partecipazione a procedure di appalto indette successivamente da altre stazioni appaltanti.

Purtroppo la mancata previsione di una durata massima delle esclusioni comminate a seguito di pronunce civili di risoluzione di precedenti contratti, caratterizza anche l’attuale art. 80 comma 5 lett. c) del D.lgs. 50/2016: il nuovo Codice, infatti, prevede una durata massima dell’incapacità a contrarre con la PA soltanto in relazione alle sentenze penali di condanna (art. 80 comma 10).