CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA 27 LUGLIO 2016, n. 22

Il rito speciale previsto dagli artt. 119 e 120 del c.p.a. è applicabile alle procedure di affidamento di servizi in concessione (1).

Dev’essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art. 37 del c.p.a., in favore di una impresa che ha notificato il ricorso avverso l’affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 120, comma 5, c.p.a. (ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni).

FATTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo dichiarava irricevibile, negando la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, il ricorso proposto dalla Sogeda s.r.l. avverso l’affidamento in concessione alla Sigma s.r.l. del servizio di ristoro tramite distributori automatici di alimenti e bevande presso i presidi ospedalieri della Azienda Sanitaria Locale n.1 – Avezzano – Sulmona – L’Aquila (d’ora innanzi ASL), siccome proposto oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione della gara alla controinteressata, previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a., e giudicato applicabile anche alle procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi pubblici.

Avverso la predetta decisione proponeva appello la Sogeda, criticando la gravata statuizione di irricevibilità del ricorso di primo grado, sulla base dell’assunto dell’estraneità delle procedure di concessione dei servizi pubblici all’ambito applicativo degli artt.119 e 120 c.p.a., insistendo, comunque, nel sostenere la sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio dell’errore scusabile, ribadendo la sussistenza dei vizi originariamente denunciati a carico dell’affidamento del servizio alla controinteressata Sigma e concludendo per la riforma della sentenza impugnata e per il conseguente annullamento della determinazione gravata in prima istanza.

Resistevano la ASL e la Sigma, difendendo la correttezza della decisione appellata, contestando, nel merito, la fondatezza dell’appello e domandandone la reiezione.

Con ordinanza n.1927/2016 in data 12 maggio 2016 la Terza Sezione, dopo aver disatteso l’istanza cautelare di sospensione della sentenza appellata, rimetteva all’Adunanza Plenaria la soluzione delle questioni (meglio di seguito illustrate) relative all’applicabilità del combinato disposto degli artt.119, comma 1, lett. a), e 120 del c.p.a. alle concessioni di servizi pubblici e, in caso di soluzione positiva al primo quesito, alla concedibilità del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a.

Alla pubblica udienza del 13 luglio 2016, dinanzi all’Adunanza Plenaria, l’appello veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- Come già rilevato in fatto, la prima questione devoluta allo scrutinio dell’Adunanza Plenaria resta circoscritta alla disamina del perimetro applicativo delle disposizioni del c.p.a. dedicate a regolare il rito speciale in materia, tra l’altro, di “affidamenti di servizi” e, in particolare, alla verifica se siano o meno ascrivibili entro i suoi confini anche le controversie relative alle concessioni di servizi pubblici previste dall’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006.

1.1- Nella fattispecie in esame, infatti, i giudici di prima istanza hanno ritenuto applicabile anche alle concessioni di servizi le suddette disposizioni processuali, giudicando, quindi, tardivo il ricorso proposto dalla Sogeda, siccome notificato alla controinteressata Sigma oltre il termine perentorio di trenta giorni (stabilito dall’art.120, comma 5, c.p.a.) dalla formale comunicazione dell’affidamento del servizio.

1.2- La Terza Sezione, dopo aver qualificato come concessione di servizio pubblico l’affidamento nella specie controverso (si ricorda: gestione di distributori automatici di alimenti e bevande nelle strutture sanitarie e ospedaliere della ASL), ha affidato la soluzione della predetta questione all’Adunanza Plenaria, avendo registrato un contrasto di indirizzi, che esige un chiarimento definitivo del problema, tra una lettura restrittiva dell’ambito applicativo dell’art.119, comma 1, lett. a), che esclude, cioè, la sua applicazione anche alle concessioni di servizi pubblici (Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2015, n.2679; Cons. St., sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5065; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n.2620; Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 152), e un’esegesi più ampia, che vi comprende anche le controversie aventi ad oggetto le concessioni (Cons. St., sez. V, 1° agosto 2015, n. 3775; Cons. St., sez. III, 29 maggio 2015, n. 2704; Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 416; Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n. 3989; Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2013, n.811).

1.3- La questione devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria può, quindi, essere riassunta nella disamina dell’ascrivibilità delle controversie aventi ad oggetto gli affidamenti di concessioni di servizi pubblici entro i confini dell’ambito applicativo del combinato disposto degli artt.119 e 120 c.p.a. e, in particolare, per quanto qui rileva, nell’identificazione del termine di decadenza per la proposizione del ricorso di primo grado in quello, dimezzato, di trenta o in quello, ordinario, di sessanta giorni.

2.- Così sintetizzati i termini del problema, occorre, anzitutto, confermare la (logicamente presupposta) qualificazione, già operata dalla sezione rimettente, della procedura controversa come avente ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’art.30 del d.lgs. n. 163 del 2006 (vigente al momento dell’indizione della gara).

2.1- Dalla scarna disciplina contenuta in quest’ultima disposizione si ricava unicamente che le concessioni di servizi sono strutturate in modo che al concessionario spetta solo “il diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio” (senza alcun onere economico a carico dell’amministrazione concedente, che, anzi, riceve solitamente un corrispettivo dal concessionario per l’attribuzione del predetto diritto) e che il loro affidamento resta sottratto all’applicazione delle regole stabilite per l’aggiudicazione degli appalti e obbedisce ai soli principi generali in materia di contratti pubblici.

2.2- La giurisprudenza (nazionale ed europea) è stata, così, costretta a farsi carico delle questioni attinenti alla qualificazione della natura giuridica delle procedure controverse, discendendo, da essa, una diversa identificazione delle regole di condotta stabilite a presidio della corretta scelta del contraente.

E’ stato, al riguardo, chiarito che i criteri discretivi più sicuri ed affidabili (tra appalti e concessioni di servizi) dovevano essere identificati nell’assunzione, da parte del concessionario, del “fattore rischio”, implicato dalla traslazione al gestore dell’incertezza sull’utilità economica dell’erogazione del servizio, che caratterizza le concessioni e le distingue dagli appalti (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, causa C-458-03 – Parking Brixen GmbH), nella somministrazione del servizio a favore della generalità degli utenti, e non solo alla pubblica amministrazione, (Cass. Civ. SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252), nella esclusiva coincidenza del corrispettivo con il diritto di sfruttare economicamente il servizio, ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2624) nonchè, da ultimo, nella traslazione a un soggetto privato della facoltà di esercizio di quest’ultimo, ferma restando la titolarità della funzione in capo all’Amministrazione concedente (Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n.3571).

2.3- Le carenze regolative ravvisabili nell’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006 (e nella presupposta, pressochè insistente, disciplina europea), le relative incertezze applicative e la crescente diffusione dello strumento concessorio (sia in ordine ai lavori che ai servizi), dovuta alla crisi economica e alla connessa esigenza di ricorrere con maggiore frequenza al capitale privato, a fronte della drastica diminuzione di investimenti pubblici, hanno imposto (finalmente) l’introduzione, prima a livello europeo (con la direttiva 2014/23/UE) e poi nazionale (con gli artt.164 e seguenti del d.lgs. n.50 del 2016), di una completa e dettagliata disciplina normativa, sia in ordine agli aspetti sostanziali del contratto di concessione, che riceve una definizione puntuale dei suoi elementi costituivi (con l’opportuna precisazione del carattere essenziale del trasferimento, almeno in parte, del rischio operativo), sia in merito alle modalità di procurement, con una tendenziale e strutturata assimilazione delle procedure di affidamento delle concessioni a quelle di aggiudicazione degli appalti.

La definizione della concessione di servizi rinvenibile nell’art.3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n.50 del 2016, come un “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi” e la previsione di puntuali e cogenti regole procedurali per l’affidamento dei servizi in concessione consentono di ritenere, ormai, superate gran parte delle difficoltà definitorie e delle ambiguità regolative prodotte dalla scarna disciplina preesistente.

2.4- Così ricostruita, anche in via diacronica, la normativa di riferimento, si rileva che i caratteri essenziali dell’istituto, per come evincibili, sia dal regime precedente (per come decifrato dalla richiamata giurisprudenza), sia da quello vigente, sono senz’altro rintracciabili nel contratto con cui una pubblica amministrazione affida a un operatore economico il diritto di installare e gestire un distributore automatico di alimenti e bevande.

In tale fattispecie, infatti, per un verso, il rischio economico della gestione viene assunto in via esclusiva dal gestore (che, anzi, corrisponde all’Amministrazione un prezzo in cambio dell’affidamento del diritto alla gestione del distributore automatico) e, per un altro, l’erogazione del servizio viene rivolta, non già all’Amministrazione, ma alla collettività degli utenti che frequenta la struttura pubblica (Ospedale, Università, ecc.) dove viene installato il distributore (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2012, n.4682).

3.- Così classificato l’oggetto della controversia, occorre scrutinare il problema della definizione del perimetro applicativo del rito speciale di cui agli artt.119 e 120 c.p.a., onde verificare la riconducibilità entro il relativo ambito del ricorso in esame.

3.1- La questione si risolve nell’esegesi dell’art.119, comma 1, lett. a), rispetto al quale la prescrizione contenuta nell’art.120 c.p.a., comma 5, si rivela del tutto dipendente e conseguente, e, segnatamente, della locuzione “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”.

Si tratta, in altri termini, di verificare se, nella predetta espressione lessicale, siano o meno compresi anche i provvedimenti concernenti le procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi.

3.2- La relativa attività ermeneutica dovrà essere condotta secondo i canoni di seguito precisati.

La disposizione oggetto di esame definisce le controversie assoggettate alle regole del rito speciale contestualmente introdotto.

La specialità si risolve, perlopiù, nella fissazione di termini più brevi di quelli ordinari, al fine di configurare un sistema processuale che permetta la definizione del giudizio in tempi certi e contenuti, in ragione della rilevanza degli interessi pubblici implicati dalle controversie presidiate da quel rito.

Il carattere derogatorio, rispetto alla disciplina processuale comune, delle regole contenute negli artt.119 e 120 del c.p.a. implica, sul piano ermeneutico, l’utilizzo dei parametri interpretativi appresso indicati.

La natura eccezionale delle disposizioni esaminate impone, innanzitutto, all’interprete di evitare l’utilizzo di canoni interpretativi estensivi e analogici, ma anche teleologici (sulla necessità di seguire canoni di stretta interpretazione delle norme eccezionali si veda Cass. Civ., SS. UU, 24 novembre 2008, n.27863).

L’attitudine delle norme oggetto di indagine a comprimere i diritti di difesa, riducendo i tempi per il loro valido esercizio, impedisce, infatti, di leggere la loro portata precettiva come estesa ad ambiti non direttamente segnati dal significato letterale delle espressioni lessicali utilizzate, così come preclude di ricavare, in esito a un’indagine che valorizzi la ratio della disposizione descrittiva, con valenza tassativa, delle controversie regolate dal rito speciale, effetti prescrittivi diversi da quelli direttamente riferibili al senso delle parole usate.

Accedendo, infatti, a canoni ermeneutici diversi da quello letterale si rischierebbe, invero, di assegnare alle disposizioni in esame, che, si ricorda, conformano, in senso restrittivo, l’esercizio del diritto di difesa, un significato diverso da quello immediatamente percepibile dalla loro lettura.

Ne consegue che l’operazione ermeneutica dev’essere condotta alla stregua del (solo) criterio letterale, al fine di verificare se nel significato dell’espressione testuale descrittiva delle controversie assoggettate al rito speciale rientrino o meno anche le liti relative ai provvedimenti concernenti le concessioni.

3.3- Così identificato il paradigma interpretativo in coerenza con il quale dev’essere risolto il quesito indirizzato all’Adunanza Plenaria, si rileva che l’espressione “procedure di affidamento”, usata dall’art.119, comma 1, lett. a), c.p.a., ha ricevuto una definizione puntuale all’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 (ma, poi, ripetuta, con le medesime parole, dall’art.3, lett. rrr, nel d.lgs. n.50 del 2016) nei termini che seguono: “Le «procedure di affidamento» e l’«affidamento» comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l’affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee.”

Come si vede, dunque, la stessa locuzione analizzata nel presente giudizio è già stata oggetto, in un altro provvedimento normativo, di una definizione esplicativa del suo significato, che ne ha chiarito i contenuti, precisando, per quanto qui rileva, che in essa resta compreso anche “l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione”.

Orbene, a fronte di una definizione così chiara del significato dell’espressione contenuta nell’art.119, comma 1, lett. a) c.p.a., non residua spazio per esegesi difformi da essa, alla quale l’interprete deve intendersi, infatti, vincolato.

Le definizioni contenute negli atti nomativi più complessi (da valersi quale regola di buona tecnica legislativa) assolvono, in particolare, la precipua funzione di chiarire il significato dei termini e delle espressioni ivi utilizzate e, quindi, di evitare ogni incertezza circa il senso da attribuire ad essi.

In coerenza con lo scopo delle definizioni e con la relativa valenza cogente attribuibile ad esse, deve, quindi, concludersi nel senso che a un’espressione lessicale non può assegnarsi un significato diverso da quello reso palese dalla formula definitoria usata nel medesimo provvedimento che la contiene.

3.4- Né il segnalato vincolo semantico può intendersi annullato o diminuito quando l’espressione oggetto di indagine ha ricevuto una definizione in un diverso e precedente atto normativo (come nella fattispecie in esame).

Ove, infatti, il legislatore utilizzi una locuzione già definita in un previgente corpus normativo e lo faccia con evidente riferimento alla medesima nozione giuridica oggetto della definizione, deve presumersi che abbia inteso usare quel concetto con lo stesso significato già chiarito dall’ordinamento.

In particolare, quando l’istituto richiamato in un atto normativo abbia già ricevuto una definizione chiara del suo significato e una autonoma disciplina sostanziale in un diverso provvedimento legislativo, l’interprete, in difetto di indizi significativi di una diversa volontà del legislatore, deve stimare quel richiamo coerente con la formula definitoria già vigente.

Tale vincolo deve, peraltro, intendersi particolarmente stringente nelle ipotesi in cui l’enunciazione normativa risulta chiaramente riferibile a un concetto giuridico proprio del corpus normativo all’interno del quale è contenuta la definizione cogente (per l’interprete), e, viceversa, estraneo all’oggetto principale dell’atto legislativo da interpretare (e non v’è alcun dubbio che la nozione di “procedure di affidamento” resta tecnicamente compresa nella materia dei contratti pubblici ed ontologicamente avulsa da quella del processo amministrativo).

3.5- Declinando alla fattispecie esaminata i canoni ermeneutici appena enunciati, deve riconoscersi, per un verso, l’insussistenza di qualsivoglia elemento che indichi la volontà del legislatore del processo amministrativo di assegnare all’espressione “procedure di affidamento” un significato diverso da quello fatto palese dall’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 e, per un altro, in coerenza con la suddetta definizione, l’ascrivibilità delle procedure di affidamento di servizi mediante concessione alla categoria delle “procedure di affidamento di servizi” (di cui all’art.119, comma 1, lett. a, c.p.a.) e, quindi, nel novero delle controversie disciplinate dagli artt.119 e 120 c.p.a.

4.- Al dirimente (e, di per sé, decisivo) argomento letterale appena illustrato, possono, peraltro, aggiungersi le ulteriori sintetiche (e convergenti) considerazioni che seguono.

5.- Va, innanzitutto, osservato che, anche prescindendo dalla predetta definizione legislativa del concetto di “procedure di affidamento”, si perverrebbe alle medesime conclusioni.

Una corretta esegesi testuale della più volte menzionata disposizione di riferimento conduce, infatti, al riconoscimento della riferibilità anche dei procedimenti aventi ad oggetto concessioni di servizi alla nozione di “procedure di affidamento”.

La parola “affidamento”, infatti, se usata senza ulteriori precisazioni o limitazioni del suo oggetto (come nella fattispecie in esame), dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto.

La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni.

La definizione del contenuto semantico del lemma “affidamento” non può essere, in altri termini, ridotta o circoscritta in relazione ad alcuni solo dei diversi schemi formali nei quali si articola l’attività contrattuale pubblica e che, al contrario, esigono, tutti, appunto, un “affidamento”.

6.- Non solo, ma concorre ad avvalorare la soluzione ut supra indicata anche l’utilizzo del criterio ermeneutico finalistico, ancorché non utilizzabile in via principale o esclusiva (come già rilevato).

E’ sufficiente, al riguardo, osservare che la ratio del rito speciale in questione, agevolmente identificabile nell’esigenza della sollecita definizione dei giudizi aventi a oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all’esercizio di funzioni pubbliche che implicano la cura di interessi generali particolarmente rilevanti (e che, come tali, non tollerano una prolungata situazione giudiziaria di incertezza), risulta riferibile nella stessa misura alle controversie relative agli appalti e a quelle concernenti le concessioni.

Anche gli atti che incidono su quest’ultima formula contrattuale, infatti, necessitano di una cognizione giurisdizionale rapida, al pari di (o, comunque, non inferiore a) quelli che riguardano gli appalti, con il duplice corollario che un’esegesi che li escludesse dall’ambito applicativo del rito speciale finirebbe per vanificare la predetta (palese) finalità e che, viceversa, una compiuta soddisfazione dell’anzidetto interesse pubblico impone una lettura degli artt.119 e 120 c.p.a. che vi comprenda anche le controversie relative alle concessioni.

7.- Non solo, ma le ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti.

Le controversie relative a tale tipologia contrattuale, ampiamente conosciuta nella prassi e adesso codificata dall’art.169 del d.lgs. n.50 del 2016, soffrirebbero, infatti, di un’inammissibile instabilità regolativa, se si accedesse alla tesi che il rito speciale si applica solo agli appalti, costringendo il giudice a indagare l’oggetto principale del contratto, al solo fine di identificare le norme processuali di riferimento.

Si tratta, come si intuisce agevolmente, di un effetto paradossale e pericoloso, che espone i giudizi sui contratti pubblici ad inaccettabili ambiguità processuali, che contraddicono proprio le esigenze di speditezza delle controversie in questione e che vanno, appunto, scongiurate, accedendo all’opzione ermeneutica sopra preferita.

8.- Alle considerazioni che precedono consegue, in definitiva, la reiezione del primo motivo di appello e la conferma della statuizione dichiarativa dell’irricevibilità del ricorso di primo grado.

9.- La soluzione del primo quesito impone l’esame della seconda questione rimessa all’Adunanza Plenaria e relativa alla riconoscibilità del beneficio della rimessione in termini della società ricorrente per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 c.p.a.

9.1- Il Collegio non ignora, e, anzi, condivide, i principi costantemente affermati in merito alla natura eccezionale del predetto beneficio, ma reputa che, nella fattispecie, ricorrano le condizioni che autorizzano (anzi: impongono) la rimessione in termini dell’impresa ricorrente.

9.2- Se è vero, infatti, che la norma che disciplina l’istituto in esame deve intendersi di stretta interpretazione, in quanto si risolve in una deroga della regola relativa agli effetti decadenziali prodotti dall’inosservanza di un termine processuale perentorio (Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n.3986) e che una somministrazione eccessivamente benevola del relativo beneficio “finirebbe per inficiare il principio, quantomeno di pari dignità rispetto all’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti relativamente all’osservanza dei termini processuali perentori” (Cons. St., Ad. Plen., 19 novembre 2014, n.33), è anche vero che, al fine di garantire una qualche utilità alla norma in questione, risulta necessario riconoscerne l’applicabilità a situazioni in cui siano ravvisabili oggettive ragioni di incertezza in ordine alla durata del termine che la parte ha mancato di rispettare.

Ove, infatti, resti dimostrata un’obiettiva ambiguità in relazione alla stessa consistenza dell’onere processuale in relazione al quale si è verificata la decadenza, il beneficio in questione deve intendersi come il rimedio, ancorchè eccezionale, più appropriato ad assicurare l’effettività del diritto di difesa, in situazioni (si ripete) nelle quali il mancato rispetto del termine non può ritenersi rimproverabile alla parte.

9.3- Orbene, nel caso in esame si è verificata una situazione in cui, ancorchè la disposizione legislativa fosse testualmente interpretabile come comprensiva, nel suo ambito applicativo, anche delle controversie in materia di concessioni di servizi, non poche decisioni del Consiglio di Stato l’hanno letta, valorizzando il suo carattere eccezionale e derogatorio, come riferita solo ai ricorsi in materia di appalti, escludendo espressamente, dal suo perimetro operativo, i giudizi in materia di concessioni.

A fronte della controversa e incerta elaborazione giurisprudenziale appena descritta, appare, per un verso, arduo giudicare inescusabile l’errore in cui è incorsa la parte che, aderendo a un significativo e consistente indirizzo giurisprudenziale, ha (in buona fede) ritenuto che il termine per la proposizione del ricorso fosse di sessanta (e non di trenta) giorni e, per un altro, doveroso il riconoscimento in favore di quest’ultima del beneficio della rimessione in termini.

9.4- Una interpretazione eccessivamente rigorosa dell’art.37 c.p.a., che comportasse, cioè, il rifiuto del beneficio della rimessione in termini anche nella situazione in esame, finirebbe, a ben vedere, per vanificare la finalità dell’istituto e per privarlo di ogni utilità pratica (ove negato, appunto, anche a fronte di una palese incertezza giurisprudenziale sulla stessa misura del termine in relazione al quale si è consumata la decadenza).

10.- Alla stregua delle considerazioni che precedono possono, in definitiva, essere enunciati i seguenti principi di diritto:

a) “Gli artt.119 e 120 del c.p.a. sono applicabili alle procedure di affidamento di servizi in concessione”;

b) “Dev’essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 del c.p.a., in favore dell’impresa ricorrente che ha notificato il ricorso avverso l’affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a. (ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni)”.

11.- Il ricorso dev’essere restituito alla Sezione rimettente, perché lo decida in applicazione dei suddetti principi di diritto.

 

Il commento

di Mirijam Conzutti

SOMMARIO: 1. Introduzione 2. Definizioni 3. Perimetro applicativo del rito speciale tra nuovo e vecchio regime 3.1. Ambito di applicazione del rito speciale e rito super-accelerato 3.2.  Il microsistema dell’art. 119 c.p.a.  3.3. “L’affidamento” nelle concessioni e negli appalti 4. La rimessione in termini  5.Conclusioni.

 

  1. Introduzione.

La questione devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria riguarda le controversie aventi ad oggetto gli affidamenti di concessioni di servizi pubblici entro i confini dell’ambito applicativo del combinato disposto degli artt. 119 e 120 c.p.a.,  nonché l’identificazione del termine di decadenza per la proposizione del ricorso di primo grado di trenta giorni.

  1. definizioni.

Le concessioni pubbliche nell’epoca moderna hanno assunto il significato di atti aventi natura pubblica con i quali l’amministrazione costituisce, a favore di una persona fisica o giuridica, un diritto di esercizio di una attività pubblica o di uno speciale diritto per l’uso di beni pubblici. Lo Stato concedente trasferiva i propri diritti ad un soggetto privato.[1]

La Direttiva 2014/23/ UE del 26 febbraio 2014, c.d. “Direttiva Concessioni”, a seguito di un percorso di approfondimento,[2] ha posto termine all’ incertezza nel settore degli affidamenti delle concessioni.

L’art. 1 lett. d) della Direttiva C.E.E. 14 giugno 1993 n. 37 disciplinava unicamente la concessione di lavori pubblici, la nuova direttiva aggiunge la disciplina le concessioni di servizi con un valore  pari o superiore alla soglia comunitaria.

L’art. 165 del nuovo codice dei contratti definisce le concessioni come quei contratti il cui rischio operativo ricade sul concessionario, che però godrà dei ricavi dalla vendita dei servizi resi al mercato.[3]

L’art. 166, recependo l’art. 2 della Direttiva 2014/23/UE, stabilisce che le autorità organizzano liberamente l’esecuzione delle prestazioni in conformità al diritto nazionale ed europeo; salvo il rispetto delle norme del diritto unionale, enti ed amministrazioni aggiudicatrici possono organizzare liberamente la procedura per la scelta del concessionario, la modalità di gestione dell’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi, in linea con i principi portanti della riforma.

Le concessioni devono avere una durata tendenzialmente limitata, secondo la stima fatta dalle autorità pubbliche in funzione dei lavori o dei servizi richiesti al concessionario. La durata massima della concessione non deve superare il periodo di tempo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati nell’esecuzione dei lavori o dei servizi, insieme ad un ritorno sul capitale investito tenuto conto degli investimenti.

Ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016,  le concessioni di lavori sono contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto, in virtù dei quali una o più amministrazioni aggiudicatrici, o uno o più enti aggiudicatori, affidano l’esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici, a fronte di un corrispettivo costituito unicamente dal diritto di gestire i lavori, ovvero da un prezzo pagato dagli utenti ( lett. uu). Le concessioni di servizi, vengono definite come contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto in virtù dei quali si affida la fornitura e la gestione di servizi, diversi dall’esecuzione di lavori, ad uno più operatori economici, sempre a fronte di un corrispettivo consistente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto ( lett. vv).[4]

Sia il regime precedente, per come delineato dalla giurisprudenza, sia il regime vigente, sono senz’altro rintracciabili nel caso sottoposto all’esame dell’Adunanza ovvero nel contratto con cui una Pubblica Amministrazione ha affidato ad un operatore economico il diritto di installare e gestire, nel caso concreto, un distributore automatico di alimenti e bevande.  Nel caso oggetto di valutazione da parte dell’Adunanza, il rischio economico della gestione veniva assunto dal gestore che corrispondeva all’Amministrazione un prezzo in cambio dell’affidamento del diritto alla gestione del distributore automatico e, per altro verso, l’erogazione del servizio viene rivolta non all’amministrazione ma alla collettività degli utenti dove viene installato il distributore. [5]

 

  1. perimetro applicativo del rito speciale tra nuovo e vecchio regime

Nel sistema processuale amministrativistico, anche prima del recepimento della Direttiva ricorsi, era già previsto un rito processuale che garantiva celerità al contenzioso sui pubblici appalti. L’art 23- bis L. Tar, costituiva un rito abbreviato comune a certe materie, tra cui quella dei pubblici appalti. Con la legge 205/05 tale modello è stato esteso ad una pluralità di materie. La legge 205/2005 ha  generalizzato la possibilità di un giudizio immediato in esito all’udienza cautelare, estendendolo però ai soli giudizi sui pubblici appalti. Tale rito è stato considerato inadeguato per diversi profili; difetto di coordinamento tra il termine di stand still;  possibilità di predisporre un giudizio abbreviato solo se il giudice ritenesse che il ricorso presentava un fumus di fondatezza. [6]

Con il nuovo codice dei contratti pubblici, al rito speciale appalti si affianca un nuovo rito super accelerato contro ammissioni ed esclusioni con caratteristiche specifiche. [7] E’ previsto un giudizio ordinariamente immediato ed uno, eventualmente, abbreviato. L’udienza in camera di consiglio ( o pubblica, se le parti lo chiedono) deve celebrarsi entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell’udienza; le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza e memorie fino a sei giorni liberi prima, nonché presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositati in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi prima; la camera di consiglio o l’udienza possono essere posticipate solo in caso di esigenze istruttorie per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti e ricorso incidentale. [8]

Le nuove norme processuali valgono per i provvedimenti ( bandi, ammissioni, esclusioni, aggiudicazioni ecc.) relativi a procedure avviate a far data dal 20 aprile 2016. [9]

 

  1. ambito di applicazione del rito speciale e rito superaccellerato

L’ambito del nuovo rito appalti non coincide del tutto con quello previgente ( art. 23 – bis l. Tar e art. 245 codice appalti). Nell’art 23- bis l. Tar si faceva riferimento alle controversie, oltre che in fase di affidamento, anche in fase di esecuzione; se nella fase di esecuzione venivano adottati atti rientranti nella giurisdizione del Ga, si applicava il rito speciale.

L’art. 245, codice appalti, si collegava alle controversie di cui all’art 244, facendo così coincidere l’ambito della giurisdizione del g.a. sugli appalti con l’ambito del rito.

Tale parallelismo è venuto meno con gli artt. 119 e 120 c.p.a. che fanno regolano solo il contenzioso sulle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture. Il rito è, pertanto, inapplicabile al contenzioso sulla fase di esecuzione del contratto, anche se c’è giurisdizione del G.a.

Il d.lgs. n. 50/2016 ha previsto, invece, un rito super-accelerato che riguarda i provvedimenti di ammissione ed di esclusione relativi ai requisiti generali e di capacità economico finanziaria dei concorrenti e dei candidati.

Il d.lgs. n. 50/2016 disciplina anche le modifiche processuali al rito speciale degli appalti già esistente. Sul rito influiscono, anche se in via indiretta, alcune modifiche sostanziali della disciplina degli appalti pubblici, in tema di trasparenza e comunicazione, accesso e stand still.

I provvedimenti dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, se impugnati in connessione con gli atti di gara, soggiacciono al rito dell’art. 120 c.p.a. e alle relative regole di competenza territoriale.

Il rito speciale di cui all’art. 120 c.p.a. comprende anche domande risarcitorie proposte in connessione con gli atti impugnati mentre se la domanda risarcitoria è proposta autonomamente si applica il rito ordinario.

  1. microsistema dell’art 119 c.p.a.

L’art. 119 c.p.a. contiene un microsistema normativo del processo speciale accelerato. L’articolo definisce il complesso unitario e organico delle regole speciali, di carattere acceleratorio, applicabili solo a particolari tipi di controversie così come faceva, prima dell’introduzione del Codice, l’art 23 – bis della legge Tar.

La disciplina conferma la presenza di modelli processuali dotati di autonomia particolare in attuazione della tendenza normativa volta a dettare disposizioni acceleratorie speciali nel processo amministrativo in relazione ad ambiti considerati meritevoli di particolare attenzione. [10]

Le regole contenute prima nell’art. 23 – bis facevano perno su tre principi cardine; la riduzione dei termini processuali ordinari, la creazione di un rito speciale eventuale che potrebbe essere denominato come giudizio abbreviato o accelerato, e la pubblica anticipata del dispositivo della sentenza.

Tali principi si ritrovano nella disciplina del 119 c.p.a. che crea un “microsistema” normativo.

Il comma 1 dell’art. 119 c.p.a. definisce l’ambito applicativo della nuova disciplina in funzione dell’oggetto del giudizio. Il termine “provvedimenti” utilizzata dalla norma potrebbe intendersi in senso restrittivo, ovvero riferito alle sole ipotesi di domande concernenti l’impugnazione di atti amministrativi autoritativi. È preferibile però l’opinione secondo cui il riferimento all’espressione provvedimento non comporti una precisa connotazione tecnica restrittiva, ma si riferisca genericamente alle controversie relative ai provvedimenti in generale. [11]

La lettera a) dell’art 119 c.p.a. stabilisce che le controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture sono soggette al rito speciale, così come in precedenza, a quello di cui all’art 23- bis l. Tar.  [12]

  1.  “l’affidamento”  nelle concessioni e negli appalti.

L’art 8 del d.lgs. n. 53/2010 ha previsto, attraverso la modifica dell’art. 245 del codice dei contratti pubblici ( d.lg.n. 163/06), una dettagliata disciplina del processo in materia di appalti, attraverso l’introduzione di un rito speciale conforme alle indicazioni della legge delega n. 88/2009 per il recepimento della direttiva 2007/66/CE sui ricorsi.

Il Codice del processo amministrativo, pertanto, ha seguito la soluzione di modificare l’originaria impostazione dell’art 23–bis legge Tar, affiancando ad un rito abbreviato comune alle materie elencate all’art. 119, un rito abbreviato speciale, che trovava applicazione solo nel contenzioso relativo agli appalti, e che è connotato da significative particolarità sottese ad imprimere al giudizio carattere di celerità. Tale formula realizzava, pertanto, una duplice deroga, sia al rito ordinario generale, sia al rito abbreviato comune di cui all’art 119 c.p.a.

L’art. 120 c.p.a. richiama i giudizi di cui all’art. 119 coma 1 lett a) c.p.a., che si riferiscono ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture.[13]

Il termine “procedure di affidamento”  utilizzata dall’art. 119, comma 1, lett. a) c.p.a. è stato oggetto dell’intervento dell’Adunanza Plenaria oggetto della presente disamina.

I Giudici sono partiti dal presupposto che il termine utilizzato è da considerarsi chiaro nella sua  definizione; si tratta di un termine utilizzato dall’ art. 3, comma 36, del d.lgs. n. 163 del 2006, che è stato successivamente ripreso dall’art.3 lett. rrr) nel d.lgs. n. 50 del 2016.

Le procedure di affidamento” e  “l’affidamento”, si riferiscono sia all’affidamento di lavori, servizi e forniture o incarichi di progettazione mediante appalto, sia all’affidamento di lavori o servizi mediante la concessione o mediante  concorsi di progettazione e concorsi di idee.

Secondo l’Adunanza Plenaria quando un istituto riceve una precisa definizione e un’autonoma disciplina, all’interprete non rimane altro che applicare la norma tout court, utilizzando, ove necessario, il criterio di interpretazione letterale ed, eventualmente, quello teleologico partendo dalla ratio del dettato normativo.[14]

L’istituto in quanto previsto da un disposto legislativo e successivamente ripreso dalla modifica dello stesso impianto normativo, ha una sua implicita chiarezza che è l’unica che deve vincolare l’interprete.

Non sono necessari canoni ermeneutici diversi da quello letterale, mancando un qualsiasi elemento che indichi la volontà del legislatore di assegnare all’espressione “procedure di affidamento” un significato diverso da quello già fatto palese.

La definizione “affidamento” non può essere interpretata solo in relazione ad alcuni degli schemi formali, nei quali si articola l’attività contrattuale pubblica, a discapito di altri, nei quali pure si articola l’attività contrattuale pubblica.

Tutti gli schemi contrattuali che hanno come fondamento la stessa ratio devono essere oggetto della stessa disciplina normativa.

Quindi, “l’affidamento” posto alla base del contratto di appalto pubblico è identico “all’affidamento” della concessione.

Alla stessa soluzione, argomenta l’Adunanza, si perviene utilizzando il criterio teleologico.

Partendo dalla ratio della norma che disciplina il rito speciale, e cioè quella che giustifica una soluzione celere del giudizio, non si può che concludere che l’affidamento sia negli appalti pubblici, che nelle concessioni ha la stessa valenza sostanziale .

Quindi, qualsiasi atto che incida su uno di questi schemi contrattuali, richiede un approccio giurisdizionale rapido.[15]

“ Non solo, ma le ineludibili esigenze sistematiche si sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti.

Le controversie relative a tale tipologia contrattuale, ampiamente conosciuta nella prassi e adesso codificata dall’art. 169 del d. lgs. N. 50/2016 soffrirebbero, infatti di un’inammissibile instabilità regolativa, se si accedesse ala tesi che il rito speciale si applica solo agli appalti, costringendo il giudice ad indagare l’oggetto principale del contratto, al solo fine di identificare le norme processuali di riferimento.”[16]

  1. la rimessione in termini.

La soluzione del primo quesito posto all’Adunanza impone l’esame della seconda questione oggetto del giudizio, ovvero quella relativa alla riconoscibilità del beneficio della rimessione in termini ( nel caso specifico della società ricorrente per errore scusabile) ai sensi dell’art. 37 c.p.a.[17] [18]

L’Adunanza ritiene che l’istituto in esame sia disciplinato da una norma di stretta interpretazione, perché si risolve nella deroga della regola degli effetti decadenziali prodotti dall’inosservanza di un termine processuale perentorio [19].

Agli effetti dell’applicazione dell’istituto rilevano, pertanto, soltanto ostacoli ‘assoluti’ (Cons. Stato, Sez. III, 18 luglio 2013 n. 3911), essendo l’istituto tale da dover essere considerato quale applicazione settoriale del generale principio giuridico ad impossibilia nemo tenetur (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 5342). Diversamente opinando, tutti i termini processuali, ancorché formalmente perentori, sarebbero resi elastici ed opinabili, e ciò andrebbe a danno di esigenze di celerità, certezza che ispirano le disposizioni che li dettano, anche con la evidente compromissione del fondamentale principio di parità di trattamento, che deve essere  garantita a tutte le parti del processo.

La concessione del beneficio può avvenire soltanto nei confronti della parte che si sia attenuta ad ogni scrupolo proprio della diligenza media.[20]

Se è vero, infatti, che la norma che disciplina l’istituto in esame deve intendersi di stretta interpretazione, in quanto si risolve in una deroga della regola relativa agli effetti decadenziali prodotti dall’inosservanza di un termine processuale perentorio e che una somministrazione eccessivamente benevola del relativo beneficio “finirebbe per inficiare il principio, quantomeno di pari dignità rispetto all’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti relativamente all’osservanza dei termini processuali perentori, è anche vero che al fine di garantire una qualche utilità alla norma in questione, risulta necessario riconoscerne l’applicabilità a situazioni in cui siano ravvisabili oggettive ragioni di incertezza in ordine alla durata del termine che la parte ha mancato di rispettare.

Nel caso specifico si è verificata una situazione per cui, anche se la disposizione legislativa fosse stata interpretata testualmente come comprensiva di controversie in materia di concessione di servizi, la giurisprudenza l’ha interpretata valorizzando il suo carattere eccezionale e derogatorio escludendo dal perimetro i giudizi in materia di concessioni, comprendendo solo i ricorsi in materia di appalti.

Nel caso concreto la parte ricorrente, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha ritenuto che il termine per la proposizione del ricorso fosse di sessanta e non di trenta giorni.

Conclude l’Adunanza affermando che “ Un’interpretazione eccessivamente rigorosa dell’art 37 c.p.a. che comportasse, cioè, il rifiuto del beneficio della rimessione in termini anche nella situazione in esame, finirebbe, a ben vedere, per vanificare la finalità dell’istituto e per privarlo di ogni utilità pratica ( ove negato, appunto, anche a fronte di una palese incertezza giurisprudenziale sulla stessa misura del termine in relazione al quale si è consumata la decadenza).”

 

  1. conclusioni.

Il percorso argomentativo seguito dall’Adunanza parte dal presupposto che un istituto giuridico, previsto dapprima in una disciplina normativa e successivamente riproposto in un’altra disposizione legislativa, è chiaro e completo sia nella sua essenza formale che sostanziale. Ne deriva che l’istituto deve essere interpretato ed applicato nella sua accezione letterale, senza che vi sia bisogno di ulteriori interventi ermeneutici che ne specifichino i termini normativi già di per se chiari.

Nel caso specifico l’istituto dell’affidamento, ovvero il termine “affidamento” viene utilizzato sia dal vecchio che nuovo testo del codice dei contratti e ciò senza limitazione o precisazioni del suo oggetto. Ne consegue che la nozione di “procedure di affidamento” resta tecnicamente compresa nella materia dei contratti pubblici in generale e che “l’affidamento” non può essere ricondotto dall’interprete solo ad alcuni dei diversi schemi formali nei quali si articola l’attività contrattuale pubblica.

La ratio del rito speciale e del rito super-accelerato sta nell’esigenza di una sollecita definizione dei giudizi aventi ad oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all’esercizio di funzioni pubbliche, che implicano la cura di interessi generali di particolare importanza e tale ratio non può essere circoscritta attraverso l’interpretazione al solo schema contrattuale degli appalti, con esclusione di quello delle concessioni.

L’interprete non è tenuto a dare un significato diverso all’istituto di quello che già ha. Il primo criterio ermeneutico che deve utilizzare è quello letterale, ma anche se dovesse utilizzare canoni interpretativi diversi da quest’ultimo, quale per esempio il criterio teleologico, arriverebbe alla stessa soluzione, perché seguendo la ratio della norma non potrebbe trascendere dalla celerità del giudizio che deve caratterizzare schemi contrattuali pubblici che hanno per oggetto interessi pubblici di particolare interesse.

I significati letterali dei termini di “affidamento” e “procedure di affidamento” comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, forniture o incarichi di progettazione mediante appalto, sia l’affidamento di lavori, servizi e forniture mediante concessione.

Infatti, esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni al fine di evitare incertezze relative alle regole processuali applicabili ai contratti misti.

L’alveo applicativo del rito speciale ex artt. 119 e 120 c.p.a ricomprende le procedure di affidamento mediante appalto e quelle di affidamento di concessioni, entrambe soggette al termine dimidiato di trenta giorni per la presentazione del ricorso principale, incidentale o dei motivi aggiunti.[21]

 

 


[1] Nell’ambito del servizio pubblico ( concetto, peraltro, ontologicamente ambiguo e mutevole nel tempo) il vasto numero di fattispecie - differenti sotto il profilo della natura giuridica per oggetto, contenuto ed effetti - possono essere accumunati; 1) dalla caratteristica comune dell’affidamento, della realizzazione e gestione dei servizi pubblici in outsourcing, ad un soggetto terzo attraverso il trasferimento di nuovi status, di nuove legittimazioni, di nuove qualità o di nuovi diritti nel patrimonio giuridico del concessionario; 2) dalla struttura  bifasica del procedimento per cui da un lato gli atti della fase di affidamento del contratto hanno carattere prettamente amministrativo – provvedimentale, mentre dall’altro, con la stipula del contratto e la nascita del rapporto consensuale, la parte precettiva del rapporto concessorio, originariamente amministrativa, diventa contratto; 3) dalla natura c.d. bifronte dello strumento concessiorio, che al contempo congloba al suo interno un provvedimento amministrativo che conclude il procedimento di evidenza pubblica e determina i nello stesso momento il contenuto del contratto.

[2] Libro verde sulle partnership di tipo pubblico – privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni [COM ( 2004) 237 def. ; Comunicazione sui partenariati pubblico privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e  concessioni COM/2005/569 del 15 novembre 2005 ; Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici, COM/ 2006/ 179 del 1 agosto 2006; Guide to the application of the European Union rules on state aid, public procurement and the internal market to services of general economic interest, and in particular to social services of general interest. SWD/2013/53, 15 febbraio 2013.

[3]  Il nuovo codice del contratti, D.gls. 18 aprile 2016, n.50,  all’art. 3 comma 1 lett. uu) e vv) dà l’esatta definizione rispettivamente di “concessioni di lavori” e di “concessioni di servizi” come – lett uu)  - “il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una parte o più stazioni appaltanti affidano l’esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i lavori oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo con l’assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei lavori”; lett vv) quale il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano ad uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lett. ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione di servizi”.

Il rischio operativo ricade sul concessionario; rischio riferito alle possibilità che in condizioni normali le variazioni di mercato possano incidere sull’equilibrio del piano economico finanziario che è in grado di infierire sul netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario. Per raggiungere tale punto di equilibrio l’amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero una cessione di beni immobili. Se tale contributo è erogato per il mantenimento dell’equilibrio finanziario è possibile individuarlo attraverso un diritto di godimento su beni immobili che sono nella disponibilità della Pa e la cui utilizzazione è strumentale e connessa all’opera affidata in concessione. In ogni caso il prezzo riconosciuto, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o altri meccanismi di finanziamento a carico della Pa, non può mai essere superiore al 30% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo degli oneri finanziari.

[4]  Sono escluse dalle concessioni di servizi e di lavori quelle aggiudicate ad imprese collegate ovvero a joint venture di cui l’ente può farne parte,  e la cui attività principale consiste nel prestare tali servizi o lavori al gruppo cui appartiene, invece di offrirli sul mercato, purché siano costituite da più enti aggiudicatori al fine di svolgere attività contemplate dalla direttiva. Considerando il terzo comma dell’art. 164 si esclude dalla disciplina relativa alle concessioni i servizi non economici di interesse generale. In base ai principi del TFUE in materia di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e libera circolazione delle persone, gli Stati membri sono liberi di organizzare la prestazione di servizi sia nelle forme singole di servizi di interesse economico generale o di servizi non economici di interesse generale ed anche in forma combinata.

[5] Consiglio di Stato sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4682 ( omissis) Ai fini della qualificazione in parola risultano dirimenti da un lato la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio all'origine dei fatti di causa, resta interamente in capo al soggetto affidatario, il quale - oltretutto - è anche tenuto a corrispondere un importo pecuniario piuttosto cospicuo in favore dell'Amministrazione, e dall'altro lato la circostanza che il servizio viene erogato non in favore della Università, ma della collettività di utenti universitari (studenti, docenti, personale). Nel caso di specie deve, quindi, trovare puntuale applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale (conforme peraltro al paradigma comunitario di riferimento) secondo cui si ha concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (in tal senso -ex plurimis - Cons. St., sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068).Si è precisato, al riguardo, che quando l'operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizi. Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione (Cons. St., sez. V, 6 giugno 2011, n. 3377). Conseguentemente, l'appello in questione è meritevole di accoglimento laddove afferma che l'affidamento all'origine dei fatti di causa è configurabile come concessione di servizi, sì da rendere applicabili le previsioni di cui all'articolo 30 del "codice dei contratti e, correlativamente, da rendere inapplicabili le previsioni di cui agli articoli 56 e 57 del medesimo "codice', alle quali non può essere riconosciuta valenza di principio in relazione all'applicazione dei canoni di trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità. Al contrario, dagli atti di causa emerge che l'Amministrazione ha correttamente applicato le previsioni di cui al comma 3 dell'art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006 (la quale impone l'esperimento di una gara informale cui devono essere invitati almeno cinque concorrenti - se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione -, con predeterminazione dei criteri selettivi).Ed infatti l'Ateneo romano ha esperito una procedura comparativa cui ha invitato otto operatori del settore e ne ha regolato lo svolgimento esplicitandolo nella lettera di invito (atto in data 8 maggio 2006), la quale faceva rinvio a un analitico capitolato d'oneri.Né può essere condiviso l'argomento sollevato dalla società appellata la quale lamenta l'illegittimità dell'operato dell'amministrazione, la quale avrebbe illegittimamente deciso di non convocarla alla procedura per cui è causa, in tal modo omettendo di considerare la sua qualifica di gestore uscente.Al riguardo si osserva che non appare irragionevole la determinazione dell'Amministrazione la quale, pur curandosi di operare nell'ambito di applicazione del comma 3 dell'art. 30 del richiamato d.lgs. n. 163 del 2006, aveva deciso di non invitare alla gara un soggetto (l'odierna appellata) nei cui confronti era insorto un rilevante contenzioso in sede giudiziaria, conclusosi con una sentenza di condanna al risarcimento dei danni subito dall'Ateneo in seguito all'occupazione sine titulo dei propri locali.

[6]  Il rito degli appalti è articolato secondo le seguenti linee generali: costruzione di un separato rito speciale che ricalca lo schema dell’art. 23 – bis Tar, divenuto art. 119 c.p.a., ma che se ne discosta in più punti; la disciplina del rito abbreviato comune ( art. 119 c.p.a.) resta applicabile per quanto non espressamente disposto dall’art. 120 c.3, c.p.a.; la competenza inderogabile, già affermata dall’art. 245. D.lgs. n. 163/2006 generalizzata per tutti i giudizi amministrativi ( art. 13 c.p.a.); previsione di termini più brevi sia di quelli ordinari, sia di quelli di cui all’art. 119 c.p.a. ( art. 120, comma 2 c.p.a.); obbligatorietà dei motivi aggiunti per impugnare atti connessi ( non mera facoltatività); giudizio di merito ove possibile immediato, da celebrarsi comunque in un termine breve ( art. 120 comma 6, c.p.a. così come novellato dalla l.n. 114/2014, udienza da celebrarsi entro 45 giorni; sinteticità degli atti di parte ( regola introdotta con decreto del Presidente del Consiglio di Stato ( l.n. 114/2014).

[7] Con il nuovo codice dei contratti pubblici al rito speciale appalti si affianca un nuovo rito super accelerato con le sue caratteristiche specifiche: ambito riferito ad ammissioni ed esclusioni in relazione alla sub-fase di gara di verifica dei requisiti generali e requisiti di qualificazione ( quali capacità tecnico – professionale e capacità economico finanziaria); impugnazione proponibile entro termine di trenta giorni decorrente dalla pubblicazione sul profilo del committente, ai sensi dell’art. 29 codice degli appalti, del provvedimento che determina ammissioni ed esclusione, oltre alla previsione del rito camerale salvo che le parti non chiedano udienza pubblica ( art. 120 comma 2 bis, e comma 6 bis c.p.a.). Sono previsti termini ristretti per la definizione immediata del merito, salvo rinvii, ove necessari, per l’istruttoria, termini a difesa e integrazione contradittorio ( rinvii entro comunque termini stringati).

[8] In caso di istruttoria, l’ordinanza fissa per il deposito di documenti un termine non superiore a tre giorni decorrenti dalla comunicazione, o se anteriore, dalla notifica. La nuova camera di consiglio deve essere fissata entro e non oltre quindici giorni ed è esclusa la possibilità di cancellare la causa dal ruolo, il giudice deve depositare sentenza entro sette giorni dall’udienza di discussione, e come per il rito contro l’aggiudicazione è possibile la pubblicazione anticipata del dispositivo che avverrà entro due giorni dall’udienza; l’appello va proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o se anteriore, dalla notificazione della sentenza e non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza. Il nuovo rito super accelerato è applicabile anche in appello.

In difetto di una regola transitoria specifica l’art. 216 comma 1 del c.p.a, stabilisce che le disposizioni si applicano alle procedure di affidamento i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati dopo l’entrata in vigore del codice degli appalti.

[9] I termini del rito appalti sono stati oggetti di evoluzione. Si distingue tra rito speciale e il rito super-accelerato contro ammissioni ed esclusioni introdotto dal d.gls. n. 50/2016. Per il rito speciale, secondo la norma transitoria contenuto nell’art 40 comma 2 d.l. n. 90/2014 le nuove regole si applicano ai ricorsi depositati da data successiva alla data di entrata in vigore del d.l. Questo crea un sistema di doppio regime a seconda delle liti promosse prima o dopo l’entrata in vigore del D.L.

[10]  CARINGELLA – DELLA VALLE, I processi amministrativi speciali, Milano, 1999; QUARANTA – LOPILATO ( a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011; LIPARI Commento all’art 119, in CARINGELLA – PROTTO ( a cura di), Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, 2013, DE NICTOLIS, Il nuovo contenzioso in materia di appalti pubblici, Milano 2003; DE NICTOLIS Processo amministrativo, formulario commentato, Milano 2016; COSMAI –IOVINO, Il nuovo codice degli appalti pubblici, Roma, 2016;  CARINGELLA, MANTINI, GIUSTINIANI, Il nuovo diritto dei contratti pubblici, Roma, 2016.

[11]  La questione riguarda soprattutto i giudizi risarcitori autonomi che prima del Codice erano risolti dall’Adunanza Plenaria n. 9 /2007.  Secondo tale pronuncia il rito abbreviato dell’art.. 23 bis della L.n. 1034/1971 non è applicabile ad una controversia che consegue ad una procedura di espropriazione, ma nella quale vengono in rilievo profili di stampo esclusivamente risarcitorio; nei giudizi meramente risarcitori, infatti, non ricorre la ratio per la quale il Legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini processuali ordinari, una più rapida tutela di interessi pubblici. Tale impostazione è di difficile applicazione in relazione agli artt. 120 c.p.a. e seguenti laddove la struttura normativa comprende anche controversie risarcitorie. Rimane fermo il fatto che se la domanda risarcitoria è proposta in via accessoria a quella impugnatoria, il rito accelerato risulterà applicabile ai sensi dell’art. 32 comma 1 c.p.a.

[12]  A seguito del d.lgs n. 53/2010, in attuazione della direttiva 66/2007/CE, sono state introdotte nuove regole per questo tipo di contenzioso che derogano ulteriormente alla disciplina dell’art. 119 c.p.a.

[13]   Il rito super - accelerato prevede, tra l’altro, anche l’abbreviazione dei termini per proporre il ricorso. Mentre, infatti, per il rito abbreviato comune il codice ha previsto una dimidiazione dei soli termini processuali interni del giudizio, le esigenze particolari di accelerazione e di celere definizione del giudizio per gli appalti, hanno suggerito di ridurre anche il termine per la notificazione

[14]  ( omissis) “quando l’istituto richiamato in un atto normativo abbia già ricevuto una definizione chiara del suo significato e una autonoma disciplina sostanziale in un diverso provvedimento legislativo, l’interprete, in difetto di indizi significativi di una diversa volontà del legislatore, deve stimare quel richiamo coerente con la formula definitoria già vigente”. Adunanza Plenaria n. 22/2016

[15] ( omissis)  Anche gli atti che incidono su quest’ultima formula contrattuale, infatti, necessitano di una cognizione giurisdizionale rapida, al pari di ( o, comunque, non inferiore a quelli che riguardano gli appalti, con il duplice corollario che un’esegesi che li escludesse dall’ambito applicativo del rito speciale finirebbe per vanificare la predetta ( palese) finalità e che, viceversa, una compiuta soddisfazione dell’anzidetto interesse pubblico impone una lettura degli artt. 119 e 120 c.p.a. che vi comprenda anche le controversie relative alle concessioni. Adunanza Plenaria n. 22 / 2016

[16]  Si tratta, come si intuisce, agevolmente, di un effetto paradossale e pericoloso, che espone i giudizi sui contratti pubblici ad inaccettabili ambiguità processuali, che contraddicono proprio le esigenze di speditezza delle controversie in questione e che vanno, appunto, scongiurate, accedendo all’opzione ermeneutica sopra preferita. Adunanza Plenaria n. 22 /2016.

[17]  ( omissis) Il Collegio non ignora, anzi, condivide i principi costantemente affermati in merito alla natura eccezionale del predetto beneficio, ma reputa che, nella fattispecie, ricorrano le condizioni che autorizzano (anzi, impongono) la rimessione in termini dell’impresa ricorrente. Adunanza Plenaria 22/2016.

[18]  L’art. 37 cod. proc. amm. dispone che “il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto”.

[19] Cons. Stato, Ad. Plen., 9 agosto 2012, n. 32, l’art. 37 cod. proc. amm. è una disposizione normativa che attribuisce rilievo all’accadimento di circostanze oggettive non imputabili a chi non abbia rispettato regole processuali ovvero alla oscurità del quadro normativo o alle oscillazioni giurisprudenziali, con la conseguenza che ai fini della concessione del beneficio non sono sufficienti la buona fede e l’esistenza di fattori soggettivi del ricorrente (cfr., sotto quest’ultimo profilo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 19 dicembre 2013, n. 6108).

[20] ( omissis) Le comunicazioni di segreteria tramite posta elettronica certificata sono valide anche se riferite a ricorsi notificati prima dell’entrata in vigore del c.p.a. (purché, comunque, successive a esso) e anche se indirizzate a un difensore che aveva omesso di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nel ricorso o nel primo atto difensivo. La validità e l’efficacia della comunicazione tramite posta elettronica certificata possono essere contestate solo adducendo un difetto di funzionamento del sistema informatico o una causa di forza maggiore non imputabile al destinatario.

A fronte di una comunicazione effettuata tramite posta elettronica certificata non può essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile previsto dall’art.37 c.p.a., sulla base della sola deduzione (e del coerente rilievo) dell’incertezza giuridica sulla validità dell’utilizzo dello strumento di trasmissione della PEC. Adunanza Plenaria n. 33 /2014.

[21] La formulazione dell’art. 120 comma 5 c.p.a. in tema di decorrenza del termine di impugnazione ha dato luogo a contrasti esegetici. L’art 120 comma 5 c.p.a. stabilisce che il termine per il ricorso principale, pari a 30 gg. decorre dalla ricezione delle comunicazioni di cui all’art 119 codice appalti, ovvero, in ogni altor caso dalla conoscenza dell’atto”. Secondo una tesi la previsione si riferisce al termine di impugnazione per i soli atti contemplati dall’art. 79 del codice appalti del 2006 (art. 76 d.lgs. 50/2016) e alle sole forme di comunicazione ivi previste. Tale interpretazione non è condivisibile perché l’art . 79 è stato novellato dal d.lgs. 50/2016 per garantire la piena conoscenza e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara, comprese esclusioni e aggiudicazioni; tuttavia la norma non prevede forme di comunicazione come esclusive e tassative e non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o piena conoscenza. La norma lascia aperta la possibilità che la piena conoscenza dell’atto sia acquisita con altre forme,

Adunanza Plenaria n. 31/2012. Ulteriore questione che si è posta è se il termine di impugnazione decorre dalla comunicazione dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 79 codice appalti del 2006 o da quando l’aggiudicazione diviene efficace ai sensi degli artt. 11 e 12 del codice appalti del 2006 ( ora artt. 32 e 33, d.lgs. n. 50/16). Il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva per i concorrenti non aggiudicatari inizia a decorrere dal momento in cui hanno ricevuto la comunicazione di cui all’art. 79  comma 1 lett a) , d.lgs n. 163/06 ( ora art. 76 d.lgs. n. 50/16) e non dal momento eventualmente successivo in cui la stazione appaltante ha concluso con esito positivo la verifica del possesso dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario ai sensi dell’art. 11 comma 8 dello stesso decreto ( ora art 32 d.lgs. n. 50/16 ). Adunanza Plenaria n. 31/2012.

Con la novella apportata dal d. lgs. N. 50/2016 nel comma 7 dell’art 120 c.p.a si fa espressamente eccezione dei casi di cui all’art 2 – bis del medesimo art. 120 c.p.a, ossia ai casi in cui sono immediatamente impugnate amissioni ed esclusioni. Sembra volersi affermare che nel rito super-accelerato non siano ammessi motivi aggiunti, e pur tuttavia non si può escludere in astratto la necessità di proporre i motivi aggiunti anche in tale rito.