Sommario: 1. Una premessa e un’introduzione al nuovo codice. – 2. I principali punti innovativi delle direttive. – 3. I principali contenuti della legge delega. – 4. Principi generali e ambito di applicazione.

1.  Una premessa e un’introduzione al nuovo codice

Il 19 aprile 2016, a seguito delle direttive europee del 2014 e della legge delega approvata il 28 gennaio 2016, è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale il decreto legislativo n. 50, contenente il nuovo “codice dei contratti pubblici”.

Dopo due anni di intensi dibattiti, studi, lavori, si avvia una forte azione di cambiamento nel sistema degli appalti e delle concessioni in Italia[1].

Far correre i treni, realizzare grandi opere utili, mettere in sicurezza gli edifici e il territorio, deve tornare a essere bello, per tutti, una grande sfida nazionale, in un tempo di riforme per l’Italia.

Troppo spesso oggi gli appalti pubblici sono associati agli scandali, agli sprechi, alla corruzione. Occorre cambiare verso.

Il recepimento delle nuove direttive europee sui contratti pubblici deve rappresentare un’occasione decisiva per riformare in modo profondo il settore degli appalti e delle concessioni in Italia. Nella “Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” il contributo degli appalti pubblici è ritenuto essenziale. Saprà l’Italia approfittarne per risolvere i suoi nodi storici, intricati in quel groviglio di leggi che già Massimo Severo Giannini definì “enigmistica giuridica”? Molte norme ma scarsa legalità, troppe stazioni appaltanti inefficienti, modesta attenzione per la qualità dei progetti, massimi ribassi e massimi aumenti dei costi in corso di opera, gare opache, scarsa efficienza dei controlli pubblici, partenariato pubblico-privato da migliorare, contenzioso giurisdizionale da contenere.

Naturalmente ci sono anche i punti di forza, le reti di Alta Velocità realizzate, il lavoro dell’ANAC, le recenti norme su project bond e “sblocca cantieri”, ma occorre non perdere il treno delle direttive europee per realizzare i cambiamenti necessari.

Queste e altre formidabili questioni sono state sullo sfondo della complessa opera di recepimento e riordino che ha condotto alla emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici in Italia.

L’approvazione del nuovo Codice, accompagnata da commenti largamente positivi, è stata il frutto dell’intenso lavoro della Commissione di studio per il recepimento delle direttive comunitarie, coordinata da Antonella Manzione, capo del dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La Commissione si è giovata del precedente lavoro svolto, a partire dalla primavera 2014, dalla prima Commissione insediata presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha steso le prime bozze contestualmente ai lavori in corso, in sede parlamentare, per l’approvazione della legge delega che si è avuta, con un certo ritardo, solo con la legge n. 11 nel 2016.

Non si può dire che non vi sia stata la previsione della complessità tecnica dell’opera da svolgere anche se occorre parimenti riconoscere che l’incertezza in sede legislativa sui principi della delega non ha giovato alla celerità e alla coerenza dei lavori.

La prima questione apparsa subito evidente è costituita dalla sottile distinzione tra i concetti di “recepimento” e di “riordino”.

Fino a che punto si doveva rimanere aderenti alle disposizioni delle tre direttive europee del 2014 e quanto si doveva innovare rispetto ad esse, per meglio corrispondere alle esigenze nazionali? Il tema, solo apparentemente accademico o di stile, è stato ed è tuttora dominante ai fini degli esiti della manovra complessiva.

La Commissione, tenendo conto delle pur contraddittorie indicazioni provenienti dal legislatore della delega, si è orientata preferibilmente verso la prima soluzione, secondo il modello cd. del copy out, ma rivisitato, al fine di segnare i caratteri di discontinuità e di innovazione nei confronti del codice vigente e, più in generale, del sistema del public procurement in Italia, analogamente a quanto fatto da altri paesi europei.

Ciò anche in ossequio al principio del divieto di gold plating, radicato nelle direttive europee e nell’ordinamento nazionale, già dal 2010, con l’intento di evitare sovraccarichi e appesantimenti burocratici e di perseguire il fondamentale obiettivo della semplificazione normativa[2].

È ben chiaro, però, che si è dovuto anche tener conto dei principi della legge delega, molto stringenti e precisi su diversi punti, in quella ottica di “riordino”, e non solo di “recepimento”, tesa a superare e risolvere i “vizi nazionali” del sistema.

Quanto il testo prodotto, certamente ancora suscettibile di cambiamenti attraverso l’emanazione delle linee guida e dei decreti correttivi, riesca nel difficile equilibrio tra le due esigenze, è giudizio complesso affidato agli interpreti e, per lo spazio residuo, ai decisori.

Analogamente complessa è la valutazione dei risultati sin qui perseguiti circa il fondamentale obiettivo della semplificazione normativa.

Il codice è stato ridotto nei suoi numeri, il regolamento del 2010 è stato soppresso e sostituito dalle linee guida dell’ANAC.

Come noto, si è voluto sin dall’inizio usare l’espressione polisensa di soft law per connotare il passaggio da un sistema di regolazione classicamente normativo e prescrittivo ad un altro, più improntato dalle “linee guida” dell’ANAC, sebbene la legge delega abbia in definitiva curvato l’iniziale approccio in direzione di un approdo più coerente con il diritto amministrativo, stabilendo l’approvazione delle linee guida tramite decreto ministeriale e la ricorribilità degli atti dinanzi al giudice amministrativo.

 

Si aprono, a riguardo, formidabili questioni circa l’inquadramento dogmatico delle “linee guida” nel sistema delle fonti[3]. Vi sono vari elementi e materiali che possono indurre a ritenere che debba essere riconosciuto un potere normativo diffuso, interno alla società organizzata, che si esprime in forme nuove superando la classica distinzione delle fonti indicata dall’art. 1 della legge generale del 1942.

È interessante a riguardo, sia il rapporto del Consiglio di Stato francese del 2013, nella parte dedicata a “le droit souple” che, a certe condizioni, può trasformarsi in “droit dur”[4] e sia la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 18 settembre 2015, n. 4358, che ha ritenuto che le linee guida «a prescindere dal loro inquadramento dogmatico, assumono, in ogni caso, valenza di canoni oggettivi di comportamento per gli operatori del settore la cui violazione integra un’ipotesi di negligenza (…) essendo all’Autorità riconosciuto il ruolo di garante dell’efficienza e del corretto e trasparente funzionamento del mercato nel settore dei contratti pubblici (…)».

Questa ultima considerazione ci riporta, peraltro, alle teorie neoistituzionaliste sui rapporti tra diritto ed economia che pongono l’enfasi sulla centralità della nozione di istituzione, quale terreno di incontro e punto di equilibrio, più che sul formalismo giuridico[5].

Non vi è dubbio che l’ANAC, che somma ora molteplici poteri non solo di vigilanza ma anche normativi, amministrativi, gestionali, sanzionatori, paragiurisdizionali, ben al di là dell’opportunità di un mutamento del nomen, costituisca l’istituzione di riferimento, la vera novità, il presidio pubblico, dell’intero sistema degli appalti e dei contratti pubblici.

Un ruolo istituzionale “forte”, che era mancato sin qui in Italia.

Senza altro aggiungere, sembra a noi che le linee guida dell’ANAC, cui è affidata gran parte della manovra di riordino, abbiano natura sostanzialmente regolamentare, sulla base delle espresse previsioni di legge e del disegno istituzionale, e che, in quanto tali, vada ad esse riconosciuta efficacia vincolante nei confronti delle stazioni appaltanti e degli operatori del settore.

Da questa (provvisoria) conclusione discende che l’approvazione delle linee guida dovrebbe essere preceduta opportunamente dal parere del Consiglio di Stato.

Il tema sarà approfondito oltre, nel capitolo sulla governance dei lavori pubblici (cap. 15), tenendo conto della “tripartizione” della natura giuridica delle linee guida ANAC, delineata dal parere del Consiglio di Stato 1 aprile 2016, n. 855, un parere pregevole e di grande utilità, in linea con il successo che il rinnovato corso dell’istituto sta riscontrando in più campi.

Ma occorre sin da ora evidenziare che il testo finale del codice approvato non ha tenuto conto delle indicazioni del Consiglio di Stato su due punti rilevanti:

a) nella omessa previsione del parere preventivo del Consiglio di Stato nell’emanazione delle linee guida generali dell’ANAC;

b) nella riformulazione dell’art. 211, che in effetti attribuisce ora all’ANAC un potere inusuale di gerarchia su tutte le stazioni appaltanti attraverso il meccanismo raccomandazione/sanzione del RUP che non si adegua, che sembra alterare in modo significativo l’assetto ordinamentale della materia.

Il decreto legislativo in commento, opportunamente definito “Codice dei contratti pubblici” delinea un più avanzato contesto di qualificazione della domanda ossia delle stazioni appaltanti (oltre 36.000!), attraverso sistemi di certificazione, di aggregazione e di centralizzazione della domanda[6].

L’obiettivo è quello, fondamentale, della forte riduzione del numero delle stazioni appaltanti in Italia che è la premessa per la riqualificazione dell’intero sistema pubblico degli appalti (come già invocato da Massimo Severo Giannini nel noto “Rapporto sui principali problemi dello Stato”, del 1978).

Forse si poteva fare di più, ma la strada è tracciata con decisione, molto dipenderà dalle fasi dell’attuazione ed è comprensibile la necessità di un tempo per la transizione.

Si tratta di un cambiamento epocale e decisivo per l’efficienza e la trasparenza del sistema pubblico.

 

Non abbastanza, forse, si è fatto sin qui per l’altro grande tema costituito dalla qualificazione dell’offerta, che dovrà meglio essere sviluppato in sede di linee guida ANAC.

È tuttavia chiaro che l’affollatissimo mondo delle imprese di costruzione in Italia non può continuare ad essere all’altezza delle sfide di competitività del Paese se accanto ai requisiti formali di legittimazione non si introducono anche rating reputazionali e di efficienza, basati sul curriculum delle imprese e sulla valutazione dei risultati prodotti nell’esecuzione delle opere pubbliche.

Anche in questo contesto occorre premiare il merito e le aggregazioni che producono efficienza.

In altri termini, va profondamente rivisto l’attuale sistema delle SOA, prevedendo requisiti che facciano leva sui criteri reputazionali delle imprese.

La valutazione dei requisiti di carattere generale resta, invece, in capo alle stazioni appaltanti.

Viene fortemente implementato lo sviluppo delle procedure telematiche che costituiranno d’ora in poi la regola.

Migliori soluzioni, rispetto al codice vigente, sono state individuate nello schema del decreto in tema di avvalimento[7], con l’esclusione per i consorzi, e nella valutazione delle offerte anomale, con l’esclusione di criteri di predeterminazione: anche in questo campo, potrebbe esserci spazio per soluzioni più avanzate e coraggiose.

Un certo dibattito, anche critico, si è sviluppato sulla cd. “liberalizzazione” del subappalto.

Si sono confrontate più tesi: l’esito è stato quello della previsione di un limite generale, su tutti i lavori, non solo per la categoria prevalente, del trenta per cento.

Forse una soluzione di compromesso.

In linea con le direttive, risulta essere la determinazione di una soglia, nell’ambito del sottosoglia, entro cui consentire alle stazioni appaltanti maggiore discrezionalità nelle procedure, nel rispetto dei principi europei di pubblicità, trasparenza, concorrenza, anche attraverso la valorizzazione del principio di rotazione, che è diffuso nelle prassi in Europa, e che può determinare nuove consuetudini (white list, albo certificato degli offerenti e dei fornitori, ecc.).

 

Si tratta di un atto di fiducia nei confronti delle amministrazioni pubbliche e degli enti aggiudicatori che, se ben interpretato, anche con il sussidio delle linee guida, non avrà effetti negativi sulla concorrenza né sulla legittimità dell’azione pubblica.

Nella fase dell’attuazione molta attenzione dovrà essere dedicata al regime delle opere a scomputo nel sottosoglia in considerazione dell’innovativo principio stabilito dall’art. 20 del nuovo codice in tema di opere pubbliche realizzate a cura e spese del privato.

Analogamente occorre fare circa il regime particolare dei “servizi sociali”, coordinando la disciplina della legge Madia sulla stessa materia, per dare certezza a problemi concreti sempre crescenti (si pensi al rinnovo delle concessioni per la gestione delle strutture sportive e agli appalti di servizi alla persona, svolti da soggetti no profit).

Innovativa è la procedura prevista dall’art. 22 dello schema del decreto in tema di dibattito pubblico e di partecipazione dei portatori di interessi alle scelte relative ai “grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale”.

Viene introdotto un modello di “udienza pubblica” o, secondo la prassi anglosassone, di “examination in public”, utile a rafforzare “la democrazia amministrativa” e a prevenire i conflitti, che dovrà essere coordinato con gli attuali procedimenti di VIA e di VAS, anche tenuto conto della nuova disciplina della conferenza di servizi stabilita dal decreto di attuazione della legge 124/2015.

Un’intelligente previsione può ritenersi quella contenuta dall’art. 192 dello schema di decreto con cui si consente la cessione di immobili inclusi in programmi di dismissione, a titolo di corrispettivo, ai privati che realizzano opere pubbliche. Ove possa esser chiaro che la cessione avviene senza vincoli di destinazione urbanistica, ferma l’approvazione pubblica del progetto di valorizzazione, si otterrebbe il duplice obiettivo di recuperare risorse per le opere pubbliche e di finalmente valorizzare i beni dismessi, ora incagliati nelle “filiere decisionali” dell’urbanistica locale.

Una novità assoluta, in tema di governance pubblica, è costituita dall’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con D.P.C.M. da adottare entro tre mesi, della “Cabina di regia” che è definita come «la struttura nazionale di riferimento per la cooperazione con la Commissione europea per quanto riguarda l’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici e di concessioni, e per l’adempimento degli obblighi di assistenza e cooperazione reciproca tra gli Stati membri, onde assicurare lo scambio di informazioni sull’applicazione delle norme contenute nel presente decreto e sulla gestione delle relative procedure».

Misure assai opportune sono contenute nello schema del nuovo codice in tema di razionalizzazione e riduzione del contenzioso amministrativo con la previsione dell’anticipazione e della semplificazione della fase delle impugnazioni nei confronti dei vizi soggettivi che comportano delle esclusioni (oggi circa il 70 per cento del contenzioso dopo l’assegnazione!) e dei vizi di composizione della commissione di gara, spesso rilevati strumentalmente ad anni di distanza. Un contenzioso spesso strumentale e pretestuoso che dovrebbe ora essere depotenziato.

Vengono anche meglio chiarite le “ sei vie alternative al contenzioso giudiziale”, ossia gli accordi bonari, il (nuovo) collegio consultivo tecnico, la transazione, l’arbitrato, la camera arbitrale presso l’ANAC e i pareri di precontezioso dell’Autorità che potranno ora essere richiesti dalla stazione appaltante, o da una o più delle altre parti, “relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”, che potranno essere vincolanti, d’intesa tra le parti.

Un’attenzione merita il principio di unitarietà della progettazione che tende, già nella fase del livello preliminare, ora “studi di fattibilità”, ad individuare il progetto e il soggetto cui affidare la progettazione definitiva ed esecutiva, con notevole risparmio di risorse e di tempi ed anche garantendo una migliore stabilità degli indirizzi progettuali. Forse si poteva e si può fare di più su questo punto.

Il nuovo codice conferma un ampio favor per il concorso di progettazione delle opere pubbliche[8], non solo da parte delle stazioni appaltanti ma anche degli enti aggiudicatori.

è stato soppresso l’appalto integrato, in coerenza con il principio di limitazione espressamente stabilito nella delega, e si è fatto di più: d’ora in poi gli appalti per l’esecuzione dovranno essere affidati solo sul progetto esecutivo, una scelta rigorosa che ha lasciato perplesso qualcuno.

Una valutazione positiva occorre dare anche della disciplina dei settori speciali[9], che è ora più organica e compiuta, e tiene in certa misura conto delle peculiarità di settori ad alto contenuto tecnologico.

Forse si poteva fare meglio sui punti relativi allo stand still (abbreviandone i termini, come nella direttiva ricorsi del 2007) e alla speciale peculiarità del settore anche in materia di riduzione del numero dei concorrenti da invitare nelle procedure negoziate, ove il mercato non offra altre opportunità, come pure oggetto di riflessione è la scelta dei commissari di gara, dall’albo ANAC, che dovrebbero possedere i requisiti specialistici del settore.

Naturalmente il nuovo codice introduce istituti nuovi come il partenariato per l’innovazione e, più in generale, il partenariato pubblico-privato[10] e delinea per la prima volta un contesto normativo unitario per le concessioni, ove talune scelte essenziali sono state operate dal legislatore della delega: alle concessioni si applicano i principi essenziali degli appalti ma l’art. 167 fa salvo, pur con limiti, il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, stabilito dalla direttiva europea.

Molto dipenderà dalla fase dell’attuazione e dell’interpretazione.

“Appalti, da 660 a 217 articoli: codice più leggero”, così ha in prevalenza titolato la stampa nei primissimi commenti del testo, ponendo giustamente l’enfasi sulla manovra di semplificazione. Ma, come si rileva anche solo da queste poche note, i temi sono molti e assai rilevanti. Nei giorni finali, precedenti l’approvazione l’attenzione si è comprensibilmente concentrata sulla disciplina del regime transitorio, dopo l’abrogazione del regolamento, per evitare ritardi ma anche possibili stasi delle gare da shock normativo, come avvenne ai tempi della riforma Merloni.

Si è trovata una soluzione equilibrata, secondo il parere del Consiglio di Stato, con l’indicazione specifica delle parti del regolamento che restano in vigore fino all’emanazione dei decreti ministeriali e delle linee guida sostitutive. Una soluzione chiara e sostenibile.

Inoltre, l’art. 216 precisa che «Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni di cui al presente codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per le quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte».

In claris non fit interpretatio.

2.  I principali punti innovativi delle direttive

La direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, hanno modificato e sostituito, rispettivamente, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, allo scopo di realizzare una semplificazione e una maggiore flessibilità delle procedure, nonché avvicinare la disciplina dei settori “speciali” a quella dei settori classici. Naturalmente non tutti i principi sono stati ritenuti self executing ed anzi le circa duecento disposizioni delle direttive, e i più numerosi “considerando”, sembrano tener conto delle differenti peculiarità degli ordinamenti nazionali.

è stato osservato che le direttive producono effetti giuridici anche prima del recepimento.

Infatti «la direttiva [...] produce effetti giuridici anche prima della scadenza del termine» di recepimento[11], generando «l’obbligo del rispetto di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE, di astenersi dall’adottare misure che abbiano il risultato di rendere più difficile l’attuazione della direttiva o che possano compromettere il risultato», sì che in tutte le loro emanazioni gli Stati membri nelle more della trasposizione devono interpretare il diritto nazionale «alla luce della lettera e dello scopo della direttiva»[12].

Incombe cioè agli stessi «l’obbligo di stand still, che è poi il tradizionale obbligo di buona fede, nel senso che devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano comprometterne il risultato prescritto dalla direttiva»[13].

Come noto l’obbligo di stand still di matrice europea ha espresso riflesso in norme interne come l’art. 117, comma 1, Cost. (se il legislatore è vincolato a norme e principi europei, lo è tanto più chi deve applicare le norme) e l’art. 1, comma 1, legge n. 241/1990, garanzia di costante conformità dell’azione amministrativa (e perciò del giudizio su di essa) a norme e principi europei.

Dopo la formale approvazione del nuovo codice il tema ha perso gran parte del suo rilievo pratico.

Si possono, solo in estrema sintesi, ora richiamare i principali contenuti innovativi delle direttive del 2014.

Innanzitutto, il crescente ricorso all’autocertificazione, con l’introduzione del documento di gara unico europeo (DGUE) che conterrà le informazioni relative all’azienda e l’autocertificazione dei requisiti necessari alla partecipazione alle gare: si tratta di una novità a livello europeo, ma senza alcun tratto realmente rivoluzionario per il nostro ordinamento in cui il processo di decertificazione è stato avviato da tempo.

In secondo luogo, l’introduzione di misure incentivanti l’accesso al mercato da parte delle piccole e medie imprese, mediante la riduzione dei costi amministrativi di partecipazione alle gare. Occorre a riguardo non trascurare che la struttura del mercato in Italia già vede un’ampia partecipazione delle piccole imprese, diversamente che in altri paesi, con effetti non sempre positivi sul risultato finale.

Allo stesso fine è prevista l’incentivazione della suddivisione degli appalti in lotti; qualora il contratto non venga suddiviso in lotti di dimensioni più piccole, l’amministrazione aggiudicatrice sarà tenuta a dare motivazione della decisione assunta: un’impostazione questa, in parte corretta, a suo tempo, dalla legge Merloni per il rischio di aumentare la frammentazione nell’esecuzione e i ritardi.

Vi è la previsione, in riferimento ai requisiti di fatturato, di una regola che impone alle stazioni appaltanti di non introdurre nei bandi soglie minime di fatturato sproporzionate rispetto al valore del contratto (al massimo si potrà richiedere un fatturato doppio rispetto all’importo a base di gara).

La riduzione dei tempi minimi per la presentazione delle offerte da parte delle imprese: nel caso di procedura aperta il tempo minimo per la presentazione delle offerte passa da 52 a 35 giorni, in caso di procedura ristretta da 37 a 30 giorni.

Analogamente è previsto l’obbligo, entro un periodo di transizione di 30 mesi, di stabilire la comunicazione integralmente elettronica tra la p.a. e le imprese in tutte le fasi della procedura, compresa la trasmissione di richieste di partecipazione e, in particolare, la presentazione delle offerte: una misura che incentiva il mercato telematico degli appalti.

Di particolare rilievo è l’introduzione, da parte delle direttive, di nuove procedure di affidamento che aumentano le possibilità di negoziazione tra la p.a. e le imprese in corso di gara, come ad esempio i “partenariati per l’innovazione”, che consentono alle autorità pubbliche di indire bandi di gara per risolvere un problema specifico, lasciando spazio alle autorità pubbliche e all’offerente per trovare insieme soluzioni innovative: naturalmente non occorre confonderli con le procedure di partenariato pubblico privato che costituiscono un contesto più ampio.

Le direttive prevedono anche l’ampliamento delle possibilità di ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata senza bando) da parte delle stazioni appaltanti. Solo per i settori ordinari, viene introdotta la procedura competitiva con negoziazione ad esempio, in risposta ad un bando, le imprese inviano un’offerta iniziale che viene negoziata e progressivamente “limata” con la p.a. fino a pervenire all’offerta finale.

Altro punto significativo è costituito dalla possibilità per gli Stati membri di prevedere il pagamento dei subappaltatori per le prestazioni affidate direttamente da parte dell’autorità aggiudicatrice, consentendo ai subappaltatori di proteggersi efficacemente dal rischio di mancato pagamento.

Certamente innovativa è l’introduzione, in materia di subappalto, al fine di combattere il dumping sociale e garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati, di disposizioni più severe sulle “offerte anormalmente basse”.

Coerentemente si stabilisce la preferenza, per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione nell’assegnazione degli appalti, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Viene incoraggiato, inoltre, l’uso strategico degli appalti per ottenere merci e servizi che promuovano l’innovazione, rispettino l’ambiente e contrastino il cambiamento climatico, migliorando l’occupazione, la salute pubblica e le condizioni sociali: un paragrafo assai opportuno che evidenzia l’impatto economico, ambientale e sociale degli appalti e li collega ai temi centrali dello sviluppo economico.

Naturalmente i punti rilevanti sono molti altri ma su ciò si avrà modo di soffermarsi nelle pagine che seguono.

Del tutto nuova è invece la direttiva 2014/25/UE che disciplina, per la prima volta, la materia delle concessioni facendo tesoro delle pronunce giurisprudenziali.

3.  I principali contenuti della legge delega

La legge delega è stata approvata dal Parlamento, dopo un lungo anno di lavori e audizioni, solo il 28 gennaio 2016, con un complesso articolato di principi.

Come ben colto dal parere del Consiglio di Stato, rilasciato dall’Adunanza della Commissione speciale il 21 marzo 2016, i punti maggiormente innovativi sono i seguenti:

a) la trasparenza, digitalizzazione e accessibilità piena agli atti (art. 1, comma 1, lett. q), n. 2, legge delega); obiettivo coerente con le riforme in itinere del codice dell’amministrazione digitale e del “decreto trasparenza” (il c.d. Freedom of information act italiano);

b) la centralizzazione obbligatoria della committenza, che muove dalla specificità del contesto italiano, connotato dall’esistenza di oltre 32.000 stazioni appaltanti; in tale obiettivo la delega prosegue in una scelta politica avviata già negli scorsi anni, senza trascurare l’esigenza di assicurare, a fronte delle grandi centrali di committenza, la tutela delle piccole e medie imprese (art. 1, comma 1, lett. dd) e cc) legge delega);

c) la qualificazione obbligatoria per le amministrazioni che vogliono svolgere le funzioni di stazione appaltante (art. 1, comma 1, lett. bb), legge delega);

d)  la istituzione di un albo dei commissari di gara presso l’ANAC, a cui le stazioni appaltanti dovranno attingere per la istituzione delle commissioni di gara (art. 1, comma 1, lett. hh), legge delega);

e)  la separazione tendenziale tra progettazione ed esecuzione, la introduzione di istituti e strumenti volti a garantire la qualità progettuale e la corretta verifica progettuale (art. 1, comma 1, lett. oo), lett. rr), e la necessità che nelle forme di partenariato siano determinate “modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria” (art. 1, comma 1, lett. tt), legge delega);

f)   le regole specifiche per alcune tipologie di appalti, per ragioni

(i) di tutela dell’unicità del patrimonio artistico-culturale italiano (appalti relativi ai beni culturali; art. 1, comma 1, lett. o), legge delega);

(ii) di carattere sociale (servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, servizi ad alta intensità di manodopera) (art. 1, comma 1, lett. d) e art. 1, comma 1, lett. gg);

(iii) di lotta alla corruzione (appalti della protezione civile, art. 1, comma 1, lett. l), legge delega, e contratti segretati, art. 1, comma 1, lett. m), legge delega).

g)  il rating di legalità, i criteri reputazionali, il sistema di penalità e premialità per gli operatori economici (art. 1, comma 1, lett. q), n. 5) e lett. uu);

h)  i conti dedicati imposti agli operatori economici (art. 1, comma 1, lett. q), n. 4);

i)   il soccorso istruttorio (art. 1, comma 1, lett. z), in ciò proseguendosi un percorso già avviato con il d.l. n. 90/2014;

l)   le limitazioni ai poteri del contraente generale e il rafforzamento dei controlli pubblici (art. 1, comma 1, lett. ll) e mm), legge delega);

m) il superamento della c.d. legge obiettivo (art. 1, comma 1, lett. sss), legge delega);

n) l’introduzione di principi concorrenziali per le concessioni, anche già affidate, mediante l’obbligo di esternalizzazione di una elevata percentuale degli affidamenti e la scansione temporale per l’avvio delle gare in relazione alle concessioni in scadenza;

o)  l’introduzione del dibattito pubblico, per assicurare la partecipazione delle collettività locali alle scelte di localizzazione delle grandi opere aventi rilevante impatto sull’ambiente e sul contesto socio-economico (art.1, comma 1, lett. qqq), legge delega);

p) una governance efficiente ed efficace attraverso la cabina di regia presso la P.C.M. e il rafforzato ruolo dell’ANAC che coniuga i compiti di autorità anticorruzione e di vigilanza e regolazione del mercato degli appalti pubblici.

Come affermato dal Consiglio di Stato «la legge delega coglie il recepimento delle tre direttive come occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali».

Naturalmente i principi, nel dettaglio, sono anche più numerosi, secondo alcune opinioni anche troppo numerosi.

Il legislatore delegato si è così trovato, come osservato in precedenza, tra “recepimento” e “riordino”, in un difficile compito.

4.  Principi generali e ambito di applicazione

L’art. 1 del nuovo Codice è molto diverso dal precedente testo del Codice del 2006 avendo assunto, nel corso dei lavori, il valore di un principio quadro, in certo senso riassuntivo del nuovo assetto della disciplina. Minori sono le novità riguardanti il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, anche perché l’approvazione della riforma costituzionale, ora in attesa di referendum conservativo, ha reso consigliabile una definizione più duttile ed elastica della materia, da riconsiderarsi alla luce delle innovazioni della Costituzione.

L’art. 3 presenta un quadro delle definizioni ancora più ampio del precedente, arricchito da istituti di diretta derivazione eurocomunitaria.

In particolare, l’articolo 1 recepisce gli articoli 1, 13 e 23 della direttiva 2014/24/UE, 1 e 41 della direttiva 2014/25/UE nonché 1 e 27 della direttiva 2014/23/U. Esso definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione del codice, stabilendo che lo stesso disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Si elencano, poi, particolari tipologie di contratti soggetti all’applicazione del nuovo codice, anche in parte mutuando i contenuti della disciplina attualmente recata nell’aticolo 32 del decreto legislativo n. 163 del 2006, e sistematizzandone la collocazione[14].

Per quanto concerne i contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, si chiarisce che esso si applica anche ai suddetti contratti, salvo che per quelli rientranti nell’alveo della disciplina recata dal decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208.

È, inoltre, previsto che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotti, d’intesa con l’ANAC, direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero, tenuto conto dei principi fondamentali del nuovo codice e delle procedure applicate dall’Unione Europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l’Italia è parte. Resta ferma l’applicazione del codice alle procedure di affidamento svolte in Italia. Infine, si dispone la salvezza di tutte le speciali disposizioni vigenti in materia per le amministrazioni, gli organismi e gli organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile.

L’articolo 2, relativo alle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome, delinea il riparto delle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome, nel modo elastico suggerito dallo stesso Consiglio di Stato[15].

L’articolo 3, riguardante le “definizioni”, recepisce gli articoli 2, 33, par. 1 della direttiva 2014/24/UE, 2, 3, 4, 29, par. 1, 51, par. 1 della direttiva 2014/25/UE, 5, 6, 7 e 13, par. 1 della direttiva 2014/23/UE. Esso contiene le definizioni contenute nel codice, che comprendono quelle contenute nelle direttive europee, con i necessari adeguamenti in relazione all’assetto dell’ordinamento interno[16]. Rispetto al precedente codice, si tiene conto anche della legislazione nazionale intervenuta medio tempore, e sono, altresì, inserite nuove definizioni, tra cui, quella di joint venture, quale associazione tra due o più enti, finalizzata all’attuazione di un progetto o di una serie di progetti o di determinate intese di natura commerciale e/o finanziaria. Merita di essere segnalato, inoltre, che per la prima volta vengono introdotte le definizioni di: partenariato pubblico privato, lavori complessi e opere incompiute, rischio operativo, rischio di costruzione, rischio di disponibilità, rischio di domanda.


[1] Per i primissimi commenti e note, si veda: V. A. Bonanno, Il ruolo dell’Anac nell’attuale sistema di regolazione degli appalti pubblici. Il caso della delibera n. 157/2016 in materia di subappalto necessario e contratti esclusi e le prospettive per l’attuazione della legge n. 11/2016, in www.lexItalia.it, 2016; F. Botteon, Sulla data dalla quale si applica il nuovo codice degli appalti e su altre problematiche in materia di pubblicazione, in www.lexItalia.it, 2016; G. Civico, Nuovo Codice degli appalti: se la domanda di partecipazione è incompleta la sanzione è dovuta soltanto qualora l’impresa decida di regolarizzare, in www.lexItalia.it, 2016; C. Contessa, Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in www.giustamm.it – Rivista internet di diritto pubblico, 2016; D. Gaglioti, Prime note sull’istituto del responsabile unico del procedimento (RUP) nella bozza di decreto legislativo di riforma dei contratti pubblici, in www.lexItalia.it, 2016; A. Mirabile, I contratti pubblici di Poste Italiane. La situazione attuale ed il futuro: fra liberalizzazione e quotazione, in www.giustamm.it – Rivista internet di diritto pubblico, 2016; M. Macchia, Il regime delle spese di funzionamento delle centrali di committenza, in www.giustamm.it – Rivista internet di diritto pubblico, 2016; P. Quinto, In vigore il codice appalti fra trionfalismi ed incognite, in www.lexItalia.it, 2016; P. Quinto, I ricorsi al Tar nel nuovo codice degli appalti, in www.lexItalia.it, 2016; P. Quinto, I rilievi (critici) dell’Adunanza del Consiglio di Stato al Codice degli appalti e qualche ulteriore riflessione, in www.lexItalia.it, 2016; R. Rolli, D. Sammaro, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: l’ANAC e l’Uomo di Vitruvio, in www.giustamm.it – Rivista internet di diritto pubblico, 2016; M.A. Sandulli, Rito speciale in materia di contratti pubblici, in www.lamministrativista.it.

 

[2] Su questi temi, amplius, mi permetto rinviare a Mantini P., Nel cantiere dei nuovi appalti pubblici, Milano, 2015.

 

[3] Per un approccio ad un tempo normativo e funzionalistico, nel senso che le linee guida sarebbero norme che vincolano gli operatori che partecipano alle attività disciplinate si veda V. Italia, Le linee guida e le leggi, Milano, 2016, in particolare pp. 16 e ss.. Secondo l’Autore «le Linee Guida sono atti normativi particolari, emanati da un’autorità amministrativa, hanno una forma specifica e stabiliscono un particolare vincolo giuridico. Esse sono “norme”, ed hanno – come punti nodali del loro ciclo di vita – la determinazione, modificazione, abrogazione e specialmente l’interpretazione e l’applicazione».

 

[4] Amplius si rinvia a V. Italia, op. cit., pp. 26 e 27.

 

[5] Per un’ampia e puntuale disamina, suffragata da copiosa letteratura internazionale, si rinvia a G. Montedoro, Il giudice e l’economia, Roma, 2015, pp. 117 e ss..

 

[6] Le nuove direttive rendono ancora più importanti l’organizzazione e la professionalità delle stazioni appaltanti in quanto ne aumentano la discrezionalità e rendono necessarie nuove e più complesse valutazioni (impatto ambientale, sociale, ciclo di vita del prodotto, “rischio operativo”, offerta economicamente più vantaggiosa, ecc.). Per gestire una macchina di queste dimensioni occorrono una organizzazione e una strategia adeguate, caratterizzate da un approccio sistemico e integrato. La strategia di razionalizzazione della spesa deve basarsi su un insieme di azioni combinate e coordinate, che agiscano sui tre livelli del sistema degli acquisti pubblici italiani: centrale di acquisto nazionale, centrali di acquisto territoriali, direzione acquisti di enti/amministrazioni.

 

[7] Come abbiamo sostenuto, occorre «una seria semplificazione amministrativa, degli oneri burocratici, dei formalismi, favorendo il soccorso istruttorio senza trasformare però l’istituto dell’avvalimento nel market delle qualifiche o nel rifugio degli incapaci», v. P. Mantini, op. loc. cit., p. 243.

 

[8] Già in sede di legge delega (lett. oo) viene affermato con chiarezza l’interesse pubblico alla “qualità architettonica”, da perseguirsi “anche attraverso lo strumento dei concorsi di progettazione” (espressione forse un po’ timida) ma soprattutto viene limitato “radicalmente” il ricorso all’appalto integrato, che come è noto è preferito dalle imprese perché unisce la proposta progettuale all’offerta di esecuzione, con ciò dischiudendo i mercati dei servizi professionali di progettazione.

 

[9] Mi permetto rinviare a P. Mantini, C. Panetta, I settori speciali nel nuovo codice dei contratti, in Osservatorio sugli appalti pubblici – Giustamm.it, n. 9, 2016.

 

[10] In effetti, l’osservazione più diffusa è che vi è molta disponibilità di capitali sui mercati finanziari ed occorre... trovare il modo di poterli convogliare (e remunerare) ai fini della realizzazione di opere di interesse generale.

 

[11] A.Tizzano, Trattati dell’Unione europea, Giuffrè, 2014, p. 2259.

 

[12] Cfr. Corte giust. U.E. 8 ottobre 1987, Kolpinghuis Nijmegen, causa C-80/86.

 

[13] G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Cedam, 2012, p. 144. In giurisprudenza v. Corte giust. U.E., 18 dicembre 1997, Inter-Environnement Wallonie et al., causa C-129/96.

 

[14] Nel parere il Consiglio di Stato ha in particolare osservato che «l’art. dello schema di decreto, nel definire l’ambito di applicazione della nuova normativa, riprende il contenuto di alcune disposizioni contenute nelle direttive (artt. 1, 13 e 23 della direttiva 2014/24/UE, nonché 1 e 27 della direttiva 2014/23/UE). Articolo 1, comma 2, lettera d) L’art. 1, comma 2, lett. d), dispone che il codice si applica anche ai d) lavori, servizi e forniture affidati dalle società con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, fatto salvo quanto previsto all’articolo 192”. La qualificazione come soggetto tenuto al rispetto delle regole di scelta del contraente anche delle società appartenenti alla tipologia descritta (che non sono né organismi di diritto pubblico ne soggetti in house) non è imposta dal diritto europeo. La norma riprende il contenuto dell’art. 32, comma 1, lett. c), dell’abrogando d.lgs. n. 163 del 2016. Il mantenimento di tale disposizione potrebbe presentare problemi di compatibilità con il riordino delle società pubbliche in corso di definizione in attuazione della legge n. 124 del 2015, nel cui ambito tale tipologia societaria non sembra collocarsi in modo sistematicamente coerente. Si segnala, inoltre, che la norma in esame rinvia a disposizioni contenute nel d.lgs. n. 267 del 2000, che saranno “superate” dal nuovo testo unico sui servizi pubblici locali».

 

[15] Nel parere recepito il Consiglio di Stato ha osservato che «in primo luogo, l’attuale formulazione sembra riconoscere uno spazio generale di intervento alle Regioni che la giurisprudenza costituzionale riconosce soltanto nei limiti già indicati nella parte generale di questo parere. In secondo luogo, la norma pone quale vincolo all’esercizio delle funzioni legislative regionali il rispetto di “disposizioni di legge statale”. La dizione è eccessivamente generica in quanto non si comprende quali siano le “disposizioni” che possono venire in rilievo. Il riferimento dovrebbe essere alle sole “disposizioni”, relative al settore dei contratti pubblici, che sono adottate dal legislatore statale nell’esercizio di una funzione legislativa in una materia di propria competenza costituzionale, non senza rilevare che nelle materie di competenza concorrente il vincolo per le Regioni deriva dai soli “principi” e non da tutte le “disposizioni” della legge statale. Si propone, in alternativa alla eliminazione della norma, la seguente formulazione. “1. Le disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto. 2. Le Regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di competenza ragionale ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. 3. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione”. Articolo 3 (Definizioni). L’art. 3 contiene richiami alle singole definizioni mediante un sistema di duplicazione delle lettere che rende di difficile lettura il testo. La lett f) dell’art. 3 reca la definizione di “soggetti aggiudicatori” ai soli fini della Parte III, e di “altri soggetti aggiudicatori” intesi come soggetti privati tenuti all’osservanza del codice. Si segnala che la parte III riguarda le concessioni e in essa non compare la figura dei soggetti aggiudicatori, che è invece propria degli istituti della finanza di progetto, del partenariato, del contraente generale e infrastrutture strategiche (v. anche il (pre)vigente codice appalti d.lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 32). Pertanto, il corretto riferimento è alla parte IV, e non III, del codice. Inoltre, si segnala che l’espressione soggetto aggiudicatore compare anche negli articoli 27 e 104, che non sono contenuti nella parte IV (né nella parte III). Al fine di evitare confusioni definitorie e applicative si suggerisce di rivedere e chiarire la terminologia utilizzata negli articoli 27 e 104».

 

[16] Sul punto il Consiglio di Stato, nel citato parere, ha espresso diversi rilievi sullo schema di decreto, in larga misura recepiti nel testo finale. In particolare ha osservato che «la lett. eee) dell’art. 3 reca una definizione di partenariato pubblico privato che fa riferimento alle sole “opere fredde” e manca qualsiasi riferimento alle concessioni e al partenariato istituzionale, presenti invece nel d.lgs. 163/2006 all’art. 3, comma 15-ter. Inoltre, lo stesso istituto trova una definizione anche nell’art. 180 (partenariato pubblico-privato), dove si riscontra una definizione più corretta di partenariato che considera anche le “opere calde”. La presenza di due definizioni, peraltro non univoche, per lo stesso oggetto può creare rischi interpretativi; pertanto sarebbe opportuno riportare nell’art. 3 la definizione contenuta nel citato art. 180, limitandosi in quest’ultimo a operare un rinvio all’art. 3. Nella lett. uu) dell’art. 3, nella definizione delle concessioni, è opportuno sostituire le parole “gestire i lavori” e “gestione dei lavori”, rispettivamente con “gestire le opere” e “gestione delle opere”. Infatti ciò che si gestisce nella concessione sono le opere, non i lavori, come del resto si evince dalla versione francese delle direttive, che distinguono tra ouvrage e travaux. La lett. vvv) dell’art. 3 reca la definizione del dialogo competitivo, prevedendo come presupposto di ammissibilità che si tratti di appalti “particolarmente complessi”. Si propone di eliminare l’inciso “in caso di appalti particolarmente complessi” che è mutuato dalla definizione del dialogo competitivo contenuta nell’art. 3 dell’abrogando d.lgs. n. 163/2006, ma che era ritagliata sulla direttiva 18/2004, che circoscriveva il dialogo competitivo agli appalti “particolarmente complessi”. Gli artt. 26, par. 4 e 30 direttiva 24, facendo riferimento ai diversi requisiti dell’innovatività, della negoziazione e dell’esistenza di soluzioni disponibili, non contengono tale presupposto, né lo contengono gli artt. 59 comma 2 e 64 del codice. Perciò la definizione non è in linea con il recepimento del dialogo competitivo, né con la direttiva, né con la legge delega che pone il generale divieto di gold plating. Sul piano del drafting, infine, si osserva che l’uso delle lettere per elencare le 83 definizioni contenute nell’art. 3 è molto pesante e sacrifica la leggibilità della disposizione. Si suggerisce, pertanto di usare i numeri per ordinare le definizioni ovvero, in conformità al metodo adoperato nell’art. 3 del (pre)vigente codice, di creare tanti commi quante sono le definizioni».