Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana – Sezione giurisdizionale – sentenza 8 aprile 2014, n. 191

 

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana – Sezione giurisdizionale – sentenza 8 aprile 2014, n. 191

Presidente De Lipsis; Estensore La Guardia

 

Il provvedimento di applicazione della clausola di revisione, nella specie automaticamente inserita nel contratto, non è espressione di una potestà discrezionale, ma costituisce atto vincolato. Quindi, l’appaltatore vanta un diritto soggettivo nei confronti dell’Amministrazione, con conseguente insussistenza della necessità di impugnazione entro il termine decadenziale delle note con le quali l’amministrazione abbia denegato la chiesta revisione, in quanto a suo dire non dovuta.

 

Il riconoscimento da parte del Giudice Amministrativo del diritto alla revisione dei prezzi non costituisce sostituzione all’amministrazione nell’esercizio di un potere discrezionale.

 

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è giustificata, anche in ipotesi di difetto di attività discrezionali, allorchè sussista una stretta connessione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, quale è riscontrabile nella materia degli appalti; con specifico riferimento all’istituto della revisione dei prezzi, gli interessi pubblici e privati, da un lato quello dell’amministrazione alla conservazione del livello qualitativo della prestazione, dall’altro quello del privato alla conservazione dell’utile previsto al momento dell’assunzione del vincolo contrattuale, sono strettamente intrecciati.

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

 

Con la sentenza in rassegna, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana afferma un principio inedito, che farà certamente discutere. Il Giudice di appello siciliano, infatti, trae dalla premessa circa il carattere vincolato del riconoscimento della revisione prezzi da parte delle P.A. la conseguenza che i provvedimenti (recte: gli atti) con i quali, invece, tale pretesa venga negata, non sono espressione di una potestà amministrativa che incide su interessi legittimi e, dunque, come tali, non vanno impugnati entro il termine decadenziale, bensì atti paritetici che incidono sul diritto soggettivo alla revisione del prezzo di appalto.

 

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

Il Consiglio di Giustizia muove da una premessa corretta circa il significato da attribuire all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 (e, prima, all’art. 6 l. n. 537/1993). Esso, infatti, si articola attraverso "una sequenza che vede come obbligatoria non soltanto l’indicazione nel contratto della clausola di revisione, ovvero, in mancanza, l’inserzione automatica della clausola di revisione ma anche la sua applicazione, non avendo senso disporre per legge una norma integrativa del contratto, non dispositiva ma cogente, per poi consentire che resti disapplicata poiché non viene operata la revisione durante l’esecuzione del contratto, vanificando così l’effettività dell’inserzione automatica della clausola. La revisione deve essere perciò sempre operata, non essendovi alcuna discrezionalità dell’amministrazione in ordine all’an debeatur". Dal carattere doveroso del riconoscimento dell’an, si trae, però, una conseguenza che appare difficilmente conciliabile con i principi di teoria generale del processo. Si afferma, infatti, che il provvedimento negativo, col quale, cioè, venga negato il diritto al riconoscimento del diritto alla revisione, non andrebbe gravato con ricorso giurisdizionale entro il termine decadenziale. Come se, quindi, l’esercizio del potere amministrativo non fosse idoneo a degradare quel diritto (ammesso che tale possa considerarsi ad imis) ad interesse legittimo. Se così fosse, però - ed è qui che l’affermazione del Giudice sembra mostrare la corda - non capiremmo perché mai il legislatore abbia attribuito al plesso amministrativo la giurisdizione esclusiva in questa materia. Materia che non è, si badi, quella generica degli "appalti pubblici", ma quella, invece specifica, "relativa alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163" (art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a.).

Invero, in armonia con il precetto costituzionale (art. 103, comma 1, Cost.: "Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi"), almeno nel significato attribuitogli dalla Consulta (per tutte, v. Corte cost., sent. 6 luglio 2004, n. 204), non é dubbio che la giurisdizione esclusiva possa essere attribuita dal legislatore ordinario solo nell’ambito di quelle materie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e ("anche") di diritti soggettivi, tutte le volte che siano intrecciati tra loro in maniera tale da rendere difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa, sub specie dell’individuazione del plesso giurisdizionale da adire. Ma se, come ritiene il CGARS nella sentenza in commento, si faccia questione soltanto di diritti soggettivi, tale essendo la consistenza della posizione giuridica del privato anche nella fase dell’an (o comunque nelle questioni ad esso attinenti), dovremmo concludere, come sembra, correttamente, avere opinato l’appellante, per la illegittimità dell’art. 133 c.p.a., per violazione dell’art. 103, comma 1, Cost.

Di tale critica si fa carico la sentenza, ma lo fa mercè l’utilizzo di un argomento che non convince, e già per il fatto di provare troppo, oltre che per apparire in contraddizione con la premessa. Secondo il CGARS, infatti, "la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è giustificata, anche in ipotesi di difetto di attività discrezionali, allorchè sussista una stretta connessione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, quale è riscontrabile nella materia degli appalti; con specifico riferimento all’istituto della revisione dei prezzi, gli interessi pubblici e privati, da un lato quello dell’amministrazione alla conservazione del livello qualitativo della prestazione, dall’altro quello del privato alla conservazione dell’utile previsto al momento dell’assunzione del vincolo contrattuale, sono strettamente intrecciati". L’affermazione è certamente condivisibile, ma, appunto, non si salda con il convincimento poco prima espresso dal Giudice circa la natura di "diritto soggettivo" della posizione di vantaggio del privato già nella fase dell’an debeatur. L’affermazione, inoltre, non sembra persuasiva anche per il fatto di individuare la materia negli "appalti pubblici", piuttosto che, nel solco del ripetuto art. 133, nella "revisione prezzi".

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

In verità, il salto logico che sembra contraddistinguere la sentenza qui brevemente annotata sembra stare in ciò: nella pretesa di ricostruire la consistenza della posizione giuridica del privato alla stregua della natura vincolata o discrezionale del potere amministrativo. Ora, si sa che tale orientamento trova autorevolissimi esponenti anche nella migliore dottrina amministrativistica (per tutti, il compianto prof. Orsi Battaglini). Sennonchè, esso appare in conflitto con molteplici argomenti ritraibili dal diritto positivo e dei quali non può mettersi conto di occuparci in questa sede, in cui ci si é limitati ad un commento "a caldo" e nulla più. Basti pensare, comunque, alla disciplina sui vizi formali (art. 21-octies), che non avrebbe ragion d’essere se con l’atto vincolato dialogasse il diritto soggettivo, essendo il relativo contenzioso sottratto al sindacato generale di legittimità del giudice amministrativo. O, ancora, alla norma che consente al Giudice nel rito sul silenzio di pronunciarsi anche sulla fondatezza della pretesa (art. 31, comma 3, c.p.a.). L’auspicio, allora, è che sulla questione possano intervenire nuovi arresti chiarificatori, considerando che, delle due, l'una: o già nella fase dell’an il privato vanta un diritto soggettivo (e allora sembrano fondati i sospetti di illegittimità costituzionale agitati dall’appellante); o, invece, le questioni che attengono all’an del diritto coinvolgono interessi legittimi, e allora i provvedimenti che neghino la revisione sono espressione di un potere amministrativo, per quanto vincolato, e vanno gravati, pena il loro consolidarsi, entro il noto termine decadenziale. Da ciò ne dovrebbe discendere l’irricevibilità di un ricorso tardivo, ovvero l’inammissibilità di quello che, sotto le mentite spoglie dell’azione di accertamento o di condanna, cerchi di aggirare l’avvenuto consolidamento nel mondo giuridico del provvedimento di rigetto. Provvedimento che, altrimenti, verrebbe disapplicato dal Giudice amministrativo, ciò che davvero pare impedito da saldi principi, anche di rango costituzionale.

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

F. Caringella, M. Giustiniani, Manuale di Diritto Amministrativo, IV. I Contratti Pubblici, Ed. Dike, 2014, pp. 1924 ss.

F. Caringella, M. Giustiniani, Codice dei Contratti Pubblici, Ed. Dike, 2014, sub art. 133. 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 483 del 2013, proposto da: 
Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino” di Messina, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Beatrice Miceli, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Palermo, via Nunzio Morello 40;

contro

Consorzio Stabile Miles - Servizi Integrati, in persona del legale rappresentante, nella qualità di capogruppo del Rti Miles – MTS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Lo Castro e Anna Prestifilippi, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Giustizia Amministrativa in Palermo, via F. Cordova 76;

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA - CATANIA :Sezione III n. 02626/2012, resa tra le parti, concernente riconoscimento dell’adeguamento del canone relativo ad appalto di servizio di pulizia

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consorzio Stabile Miles - Servizi Integrati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2013 il Cons. Silvia La Guardia e uditi per le parti l’avv. M. B. Miceli, l'avv. S. Martella su delega dell'avv. A. Lo Castro e l'avv. A. Prestifilippi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

I. - Viene in decisione l’appello proposto dall’Azienda ospedaliera universitaria “G. Martino” di Messina avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il TARS, sezione di Catania, ha accolto il ricorso proposto dal Consorzio Stabile Miles Servizi Integrati, nella qualità di capogruppo del Rti Miles – MTS, per il riconoscimento del diritto alla revisione del prezzo in relazione all’appalto del servizio quinquennale di pulizia e sanificazione, affidatole a far data dall’1.3.2008 e fino al 28.2.2013, a seguito dell’annullamento della primitiva aggiudicazione ad altra impresa partecipante alla gara, bandita nel 2005, e di giudizio di ottemperanza alla sentenza di questo Consiglio n. 907/2008 che lo aveva disposto.

Con detta sentenza, il Tar, dopo aver disatteso le eccezioni di difetto di giurisdizione, di tardività-inammissibilità del ricorso, e la tesi della resistente che la revisione non potesse accordarsi alla luce della previsione dell’art. 6 del C.S.A., che stabiliva come fissi e invariabili i prezzi determinati nell’atto di aggiudicazione, ha ritenuto fondata la richiesta di revisione, con riferimento alle previsione dell’art. 115 cod. contratti, ed ha definito i criteri cui l’amministrazione doveva attenersi nella corresponsione della dovuta revisione.

L’Azienda appellante denuncia l’erroneità della sentenza per i seguenti motivi:

1) fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, che viene riproposta ed è argomentata con la mancata impugnazione degli atti con i quali era stata negativamente riscontrata la richiesta di revisione, ed erroneità dell’argomentazione del Tar, secondo cui, trattandosi di diritto soggettivo, era inapplicabile la regola della tempestiva impugnazione degli atti di diniego. L’appellante sostiene che, in realtà, la giurisprudenza che afferma il carattere discrezionale della potestà amministrativa di riconoscere o meno l’adeguamento del corrispettivo contrattuale è ancora attualissima e che alla natura autoritativa del diniego di revisione consegue la necessità di impugnarlo nei termini decadenziali;

2) infondatezza nel merito del ricorso di primo grado ed erroneità della sentenza gravata, che concreta una inammissibile sostituzione del giudice amministrativo nell’esercizio di un potere che implica valutazioni rimesse esclusivamente alla potestà amministrativa; inoltre la previsione di cui il Tar ha fatto applicazione non troverebbe applicazione nella fattispecie, atteso che il periodo per il quale è stata chiesta la revisione non corrisponde ad una proroga contrattuale, ma semplicemente al periodo di sostituzione nel contratto ad un’altra impresa; nella specie, d’altra parte, il capitolato speciale d’appalto (art. 6, ultimo capoverso) vieta la revisione prezzi per tutta la durata contrattuale e non potrebbe farsi luogo ad un automatico inserimento, in sostituzione della clausola contrattuale, della previsione normativa richiamata dal Tar. Quanto, infine, ai criteri dettati per il calcolo dell’importo da corrispondere all’impresa appellata, sarebbe erronea l’indicazione che il calcolo della percentuale revisionale debba essere commisurato al tempo dell’affidamento dell’appalto all’impresa originariamente aggiudicataria, sostenendosi che, invece, quand’anche la revisione fosse dovuta, il momento dal quale l’aumento dei prezzi può essere apprezzato non possa che essere quello della stipulazione del contratto;

3) per il caso di affermata doverosità della revisione prezzi, viene affermata l’erroneità della sentenza gravata anche nella parte in cui, nel rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione, non ha preso in considerazione l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in primo grado con riferimento al disposto dell’art. 133, comma 1, lett. e) n.2), c.p.a..

Resiste, controdeducendo articolatamente, l’impresa appellata.

Dopo replica dell’azienda ospedaliera, la causa è stata posta in decisione all’udienza dell’11 dicembre 2013.

II. - Il Collegio reputa che l’appello sia infondato, per le ragioni che seguono.

L’art. 115 del codice degli appalti, che riprende la previsione di cui all’art. 6, comma 4, l. 537 del 1993, stabilisce che: a) “tutti” i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture “debbono” recare una clausola di revisione periodica dei prezzi e b) la revisione “viene operata” sulla base di un’istruttoria condotta dall’amministrazione sulla base dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lettera c) e comma 5.

Viene perciò stabilita una sequenza che vede come obbligatoria non soltanto l’indicazione nel contratto della clausola di revisione, ovvero, in mancanza, l’inserzione automatica della clausola di revisione ma anche la sua applicazione, non avendo senso disporre per legge una norma integrativa del contratto, non dispositiva ma cogente, per poi consentire che resti disapplicata poiché non viene operata la revisione durante l’esecuzione del contratto, vanificando così l’effettività dell’inserzione automatica della clausola.

La revisione deve essere perciò sempre operata, non essendovi alcuna discrezionalità dell’amministrazione in ordine all’an debeatur.

La previsione di un meccanismo di revisione del prezzo di un appalto di durata su base periodica dimostra, quindi, che la legge ha inteso munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un "nuovo" corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto riferito alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con mantenimento dell’equilibrio contrattuale a beneficio di entrambi i contraenti, poiché l’appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l’alea propria dei contratti di durata, e la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento di una prestazione divenuta onerosa (nei sensi sopra indicati cfr., ad esempio, Cons. Stato, VI, 27 novembre 2012, n. 5997 e, III, 19 luglio 2011, n. 4362);

Ne deriva che il provvedimento di applicazione della clausola di revisione, nella specie automaticamente inserita nel contratto, non è discrezionale ed è, pertanto, pienamente condivisibile l’avviso del primo giudice che non vi era “spazio per alcuna valutazione circa la necessità di applicazione della revisione dei prezzi nei contratti di servizi e forniture e che, quindi, l’appaltatore vanti un diritto soggettivo nei confronti della medesima Amministrazione”, con conseguente insussistenza della necessità, predicata dall’odierna appellante, di impugnazione entro il termine decadenziale delle note con le quali l’amministrazione aveva denegato la chiesta revisione, in quanto non dovuta.

La contestata reiezione dell’eccezione di inammissibilità del ricorso da parte del giudice di primo grado trova, quindi, questo Collegio pienamente concorde, con conseguente infondatezza del primo motivo di appello.

Ne deriva, ulteriormente, quanto al secondo motivo, attinente il merito dell’azione esperita in primo grado dall’impresa, che è infondata la prioritaria tesi dell’appellante che il riconoscimento da parte del Tar del diritto alla revisione dei prezzi costituisca sostituzione all’amministrazione nell’esercizio di un potere discrezionale.

Quanto alle ulteriori critiche di cui ai punti 2 e 3 del secondo motivo, si rileva, da un lato, l’irrilevanza della clausola del capitolato speciale d’appalto che vieta la revisione dei prezzi, stante l’automatico inserimento nel contratto della clausola voluta dal legislatore, e, dall’altro, che la vicenda in esame è caratterizzata dalla consegna del servizio dopo un contenzioso durato circa tre anni; in particolare, il servizio è stato assegnato all’odierna appellante a seguito di giudizio di ottemperanza, dopo l’annullamento della aggiudicazione della gara ad altra impresa.

Non è, quindi, pertinente la giurisprudenza invocata dall’appellante, relativa a casi di successivi contratti, che costituiscono nuovi e autonomi rapporti giuridici, anche di contenuto analogo a quello originario, trattandosi, nella specie, del contratto nascente dall’aggiudicazione della gara.

Quanto ai criteri di calcolo del compenso revisionale (punto 4 del secondo motivo) l’appellante afferma l’erroneità della sentenza, sostenendo che il calcolo della percentuale revisionale debba essere relazionato al tempo della stipula del contratto con l’impresa qui appellata e non, come ritenuto dal Tar, a quello dell’affidamento all’originaria aggiudicataria.

La tesi, eminentemente assertiva, non risulta convincente, tenuto conto dello svilupparsi della concreta vicenda, che ha visto il subentro della legittima aggiudicataria, in quanto è dalla data dell’iniziale affidamento del servizio che si apprezza il discostamento in aumento dei costi, cui la revisione intende porre rimedio (fermo restando, come rilevato dal primo giudice e non oggetto di contestazione da alcuna delle parti, che il compenso revisionale riguarda solo il periodo in cui il servizio è stato svolto dall’odierna appellata).

Anche il terzo e subordinato motivo, con il quale viene riproposta l’eccezione di difetto di giurisdizione lamentandosi che il Tar non abbia preso in considerazione l’eccezione di illegittimità costituzionale del disposto dell’art. 133, coma 1, lett. e) n. 2) c.p.a., non può trovare accoglimento, stante la manifesta infondatezza della questione, alquanto genericamente accennata, di legittimità costituzionale, tenuto conto che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è giustificata, anche in ipotesi di difetto di attività discrezionali, allorchè sussista una stretta connessione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, quale è riscontrabile nella materia degli appalti; con specifico riferimento all’istituto della revisione dei prezzi, gli interessi pubblici e privati, da un lato quello dell’amministrazione alla conservazione del livello qualitativo della prestazione, dall’altro quello del privato alla conservazione dell’utile previsto al momento dell’assunzione del vincolo contrattuale, sono strettamente intrecciati.

Per tali ragioni, l’appello va respinto.

Nella complessità delle questioni trattate si rinvengono eccezionali ragioni che inducono a compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

definitivamente pronunciando sull'appello n. 483 del 2013, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Raffaele Maria De Lipsis, Presidente

Antonino Anastasi, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore

Pietro Ciani, Consigliere

Giuseppe Mineo, Consigliere